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Autore: Mary P_Stark    27/11/2013    3 recensioni
La Ricerca di Brie e Duncan ha inizio. Non è più tempo degli indugi, i berserkir vanno trovati prima che si riversino sul loro branco per distruggerli tutti. La verità deve infine venire a galla, perché la faida venga fermata sul nascere. Nuove avventure aspettano i nostri eroi, e nuovi amici si uniranno ai vecchi per questo nuovo viaggio tra le lande della Norvegia, dove il culto dell'uomo-orso ha avuto il suo massimo fulgore. Sarà possibile, però, fermarli in tempo? E il nemico è rappresentato solo da loro? O le maglie di Loki sono più intricate di quanto essi non immaginano? TERZA PARTE DELLA TRILOGIA DELLA LUNA. (riferimenti alla storia presenti nei 2 racconti precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Capitolo 19
 
 
 
 
Non appena sbarcammo sull'Isola principale dell'Arcipelago delle Orcadi, Bryan e la sua guardia furono lì ad accoglierci, pronti ad ascoltare le ultime novità come a ragguagliarci su ciò che era avvenuto in zona.

Per giungere su Holm of Huip, dove si trovava la prigione di Niflheimr, avremmo preso un traghetto più piccolo, che ci aspettava in un porticciolo privato, a poca distanza da dove eravamo sbarcati.

Per una missione simile, dovevamo agire con più prudenza per non attirare l'attenzione degli umani, perciò non potevamo usare le comuni agenzie di viaggi per recarci su quella piccola isola di proprietà del branco.

La scoperta della rinnovata pace con i berserkir e della presenza, al villaggio di Gungnir, nientemeno che di Wotan, fece sorridere di sorpresa Bryan.

Al termine del mio breve racconto, ammiccò al mio indirizzo e chiosò: “Richiami nel nostro mondo un sacco di dèi, a quanto pare.”

“Avrei preferito non incasinare così tanto le vite di tutti quanti ma, a quanto pare, stare nel ventre della Madre era diventato stretto a molti” celiai, scrollando le spalle con ironia. “Sono scappati in massa!”

Tutti risero al mio commento, forse più per stemperare la tensione latente che gravitava intorno a noi, che per reale divertimento.

A nessuno piaceva l'idea di inoltrarsi nelle viscere della terra, in compagnia di ogni sorta di mostro mai concepito dal Creato, e con la minaccia potenziale di un disastro imminente.

Perché era inutile che menassimo il can per l'aia. La pelle non mi formicolava per caso, e dubitavo che fosse diverso per i miei compagni di viaggio.

Anche Bryan appariva torvo in viso e, per tutto il breve tragitto che ci separava da Holm of Huip, non parlò più.

Come nessuno degli altri, se era per questo.

Il silenzio fece da cornice alle nostre ultime miglia per mare e, quando finalmente sbarcammo in una cala seminascosta da due alte colonne rocciose a sud-est dell'isola, seppi che non sarebbe stata una visita pacifica.

Quel posto brulicava di energia statica negativa, ringhiava nella mia testa come una fiera furiosa e desiderosa di sangue ed io, pur non volendo, rabbrividii e mi addossai a Duncan, che fu lesto ad avvolgermi le spalle con un braccio.

“Sapevo che avresti reagito così” mormorò spiacente lui, fissandomi con i suoi tristi occhi smeraldini.

“Sono loro? I carcerati, intendo?” sussurrai, trovando difficile persino parlare con chiarezza.

Era complesso formare una frase di senso compiuto quando, nel cervello, mille grida iraconde mi confondevano le idee.

Annuendo, Bryan rispose ai dubbi di noi tutti. “L'isola non riesce a contenere la loro ira millenaria, ed essa fuoriesce dal terreno sotto forma di onde di energia... quelle che stanno facendo rizzare i peli sulle braccia a tutti quanti.”

Come per sottolineare le sue stesse parole, levò un braccio a mostrare la lieve peluria castano chiara che, imperterrita, non ne voleva sapere di stare al suo posto.

“Ma... Bev ed Ellie, allora?” esalai, terrorizzata all'idea che loro stessero subendo gli effetti di quel luogo da giorni.

Una voce famigliare portò noi tutti a volgere lo sguardo verso la scogliera che ci sovrastava e, alto e candido alla luce del sole, Joshua esclamò: “Il loro essere völva le rende immuni a questo genere di energia, o non mi sarei mai preso l'onere di portarle qui. Non sono un cattivo ragazzo, dopotutto.”

Sorrisi spontaneamente nel rivedere l'albino Fenrir di Londra che, in quel momento, portava i chiari capelli del loro colore naturale, di un bianco candido come neve, pettinati come Robert Pattinson in Twilight.

Joshua ci osservò ancora per un istante prima di raggiungerci con un balzo e  abbracciarci con calore.

Un attimo dopo, curiosò con lo sguardo i nuovi venuti e domandò con cortesia: “Posso stringervi la mano, allora?”

Thor fu il primo ad avvicinarsi a lui e, gaudente, strinse la mano protesa asserendo: “Ora che conosco il perché della mia totale insensibilità all'isola, mi sento un po' meglio. Pensavo di avere un problema in testa.”

“Beato te” mormorarono in coro i suoi compagni, fissandolo con aria vagamente invidiosa.

Doveva essere veramente uno strazio, per i berserkir, ascoltare quel lamento continuo, loro che tendenzialmente poco avevano a che fare con le onde di potere ed i doni psichici.

Non sarebbe stato un soggiorno tranquillo praticamente per nessuno.

“Bene, ora che abbiamo stabilito che qualcuno è più fortunato di altri, penso possiamo andare a fare visita al nostro caro Sebastian” dichiarai, l'aspettativa che mi sfrigolava sulla lingua come le bollicine della Coca-Cola.

“La adoro quando è così distruttiva” ironizzò Alec, balzando sulla scogliera per primo, subito seguito da tutti noi.

L'aspetto brullo dell'isola, con le sue lande completamente deserte, l'erba bassa e rada, i frequenti massi sporgenti e levigati dalle intemperie, mi diedero l'idea di un paesaggio lunare e disagiato.

Era decisamente il luogo migliore dove insediare una prigione infernale.

Nello scorgere in lontananza alcuni lupi del branco di Joshua, chiesi a Bryan: “I tuoi lupi?”

“Fanno a turno con quelli di Joshua per monitorare l'isola. Oggi è il loro turno. Non è facile rimanere qui a lungo, quindi non restano più di un giorno” mi spiegò Bryan, grattandosi nervosamente il dorso di una mano. Lo capii perfettamente.

Io avrei voluto scartavetrarmi da capo a piedi, ma decisamente non era un’opzione fattibile.

Nello scorgere una piccola costruzione dai muri bianchi, dotata di un alto faro che svettava nel cielo plumbeo – ovvio, no? Non poteva essere bel tempo! – domandai sorpresa: “Ma... non dovrebbe essere un'isola deserta?”

“Oh. Quella è la casa di Heimdallr… l’unico luogo, sull’isola, ad essere schermato da queste onde psichiche insopportabili” asserì con naturalezza Bryan, gelandomi sul posto.

Okay, sapevo benissimo che non si trattava del fantascientifico attore di colore del film Thor, in uscita a fine anno, ma ammettiamolo, sentirne parlare da Fenrir delle Orcadi mi sconquassò per bene.

“Aspetta un dannatissimo momento, Bryan” mormorai, bloccandolo ad un braccio con la mano. “Cosa intendi dire, con 'è la casa di Heimdallr'? Chi sarebbe il tizio?”

Ovviamente, tutto il nostro gruppo si fermò in attesa di spiegazioni o, per lo meno, io ed i berserkir perché, a quanto pareva, Duncan, Alec e Joshua sapevano benissimo a chi si stesse riferendo.

Come al solito.

Bryan mi sorrise spiacente e asserì: “Dimentico sempre che non sei nata licantropa, e che certe cose puoi non saperle. Heimdallr esiste da sempre, su Holm of Huip. I suoi discendenti acquistarono in tempi immemori quest'isola perché gli umani non ne prendessero possesso e scoprissero l'entrata di Niflheimr. E' consentita la visita ai turisti, ovviamente, ma nessuno può addentrarsi se non con delle guide che, sempre ovviamente, non raggiungono mai quel luogo.”

“Ed è... una persona?” chiesi dubbiosa, non sapendo cosa aspettarmi.

Duncan allora ridacchiò e disse: “E' un titolo onorifico come quello di Freki, per farti un esempio. E' sempre un licantropo, ed è sempre un erede del precedente Heimdallr. E guarda caso, in quella famiglia in particolare, ci sono sempre stati figli a cui tramandare quel ruolo.”

“Oh” gracchiai, sempre più sorpresa.

Avrei mai finito di scoprire cose nuove nel mondo mannaro? Ne dubitai immediatamente.

“Quindi, chi detiene il ruolo di Heimdallr, ora?” domandai a quel punto, cercando di non crearmi in testa idee troppo strambe. Avrebbe avuto anche lui un elmo cornuto e gli occhi gialli? Chissà?

“Lo scoprirai presto” mi disse nebuloso Bryan, sorridendomi.

Un'altra sorpresa? Ma si divertivano, a farmi venire l'ansia? Non sapevano che dovevo stare tranquilla e pacifica?

Seee, quando mai!

Continuammo a camminare in quel paesaggio brullo e spoglio ascoltando lo sciabordio delle onde in lontananza e lo stridio delle urla dei penitenti finché, oltrepassato uno spuntone roccioso, non ci apparve innanzi un antro oscuro.

Per un attimo, le reminiscenze delle Svalbard mi fecero rabbrividire ma, ben conscia di non poter scappare, continuai ad osservare quel passaggio funesto verso il ventre della terra.

Era un'autentica spaccatura nella roccia, non tanto l'entrata di una grotta e, sull'entrata, scorgemmo altri licantropi e, questi in particolare, indossavano gli stessi artigli d'argento che avevano ferito Alec in Norvegia.

Al nostro compagno di viaggio non piacque affatto vederli e, rivolgendosi a Joshua, borbottò: “Non dirmi che anche i tuoi uomini usano quei cosi?!”

“La situazione è particolare. Abbiamo dovuto sventare due attacchi massicci quanto improvvisi e, se non fosse stato per le due ragazze che stanno passando le vacanze sottoterra, ce la saremmo vista brutta. Quel pazzo di Sebastian aveva ordinato ai suoi di muoversi fino alla morte. Sai bene cosa significa” brontolò Joshua, scuotendo il
capo con irritazione.

“Quello stronzo! Voleva essere certo che non scappassero!” ringhiò Alec, sputando un’imprecazione tra i denti tanto volgare quanto sentita.

Lo quotai silenziosamente, più che d’accordo con lui.

Questa non era altro che un'ulteriore prova della malvagità di Sebastian.

I suoi lupi non avrebbero mai potuto abbandonare il campo di battaglia, con un ordine simile nella testa. Potevano soltanto vincere, o morire nel tentativo.

Il mio lupo gridò vendicativo, dentro di me, ed io non potei che essere d'accordo anche con lui.

Avrei volentieri infilato i denti nella sua carne, se ne fosse giunta l'occasione, ma per ora dovevamo solo interrogarlo.

“Ora è tutto in ordine?” domandai, cercando di non apparire torva alle mie stesse orecchie.

“A quanto pare sì, ma le due völva subodorano guai, anche se non sanno di che genere” ci spiegò Fenrir di Londra, aggrottando la fronte per un attimo prima di rivolgersi ai suoi lupi per avere notizie.

Tutto era a posto, non c'erano stati movimenti strani sul perimetro.

Allora perché ero sempre più agitata?

“Entriamo. Così potrete conoscere Heimdallr” ci propose a quel punto Bryan, avviandosi verso quelle nere fauci di roccia.

Cercai di tenere lontano dalla mia testa l'altra grotta che avevo visitato poco tempo prima, e che decisamente mi aveva lasciato orrendi ricordi, ma non potei esimermi dal rabbrividire nuovamente.

“Non ti succederà nulla, te lo prometto” mi sussurrò Duncan, lapidario.

“Basta che non ti sacrifichi tu al posto mio” precisai, immaginando senza troppi problemi quanto sarebbe stato disposto a dare di sé, pur di evitarmi un altro trauma.
Lui non mi rispose, segno che avevo centrato in pieno il bersaglio.

“Gli farò lo sgambetto prima che si butti in mezzo” mi promise allora Alec, strizzandomi l'occhio.

Duncan lo fissò malissimo, sicuramente indispettito dal suo intervento non richiesto ma lui, per tutta risposta, replicò: “E' inutile che mi guardi male. Se lei rimanesse senza di te, impazzirebbe, e questo vorrebbe dire scatenare il Ragnarök. Ero attento, quando ci parlò di Fenrir, cosa credi?”

A quello non avevo minimamente pensato, ma Alec aveva perfettamente ragione.

Se Duncan fosse morto per me, non avrei davvero più avuto alcun controllo sulle mie emozioni e, letteralmente, la mia testa sarebbe esplosa, scatenando il Crepuscolo degli dèi.

Per tutta risposta, i berserkir circondarono Duncan e Thor, sorridendomi comprensivo, asserì: “Penso che lo faremo diventare il nostro sorvegliato speciale.”

“Che?” esalò Duncan, per nulla divertito all'idea di essere controllato a vista.

Io ridacchiai e, battendo una mano sul braccio di un Duncan parecchio contrariato, dichiarai: “Mi sa che ti dovrai accontentare di essere tu, stavolta, la principessa della situazione.”

“Molto spiritosa” mi ringhiò contro lui, sospirando esasperato prima di guardare il cielo con aria indispettita.

Non potevo farci niente. Preferivo vederlo scocciato, esasperato con il mondo intero, furente con me, ma vivo.

Quando finalmente raggiungemmo quello che sembrava un ponte di pietra, lì ci fermammo e, sorpresa delle sorprese, ad attraversarlo fu una ragazza alta e dal fisico prestante, armata di spada e di un corno da guerra finemente lavorato.

Poteva apparire anacronistica, se si pensava che noi eravamo abbigliati per la maggiore in jeans e maglietta.

Eppure, lì in quella grotta, quella giovane guerriera vestita di pelli scure, con un'armatura di cotta di maglie dorate e armata fino ai denti, non mi sembrò poi tanto fuori posto.

“I miei più sentiti ringraziamenti per essere giunti. Il nostro ultimo acquisto, qui a Niflheimr, è particolarmente riottoso, e mi sta veramente creando dei guai. Spero abbiate intenzioni bellicose nei suoi confronti, perché per lo meno mi divertirò un po’, dopo tanta noia” esordì la nuova venuta, sorridendoci benevola.

Quel benvenuto ci fece sorridere e la ragazza, avvicinandosi a me tendendo una mano, accentuò il suo sorriso e aggiunse: “Finalmente ci ritroviamo, Fenrir. Non vedevamo l’ora di vederti dopo tanti millenni.”
***
Il rimescolio nel sangue che avvertii non appena sentii Heimdallr pronunciare il nome di Fenrir mi mise in allarme ma, quando la voce della mia anima divina esplose di entusiasmo, seppi di non dovermi preoccupare.

Dubbiosa, strinsi quella mano abbracciata da pesanti guanti di pelle consunta dall'uso, e mormorai dubbiosa: “Tyr?”

La ragazza, dai limpidi occhi azzurro cielo – semi nascosti dall'elmo dorato che indossava – annuì gaia ed esclamò: “Colpita e affondata!”

Lo stupore dipinto sui volti di tutti non poteva essere paragonabile al mio che, inebetita, la osservai togliersi l'elmo per mostrare una chioma spettinata di corti capelli bruni.

Tyr.

Uno dei figli di Wotan. Colui a cui Fenrir aveva mozzato la mano con un morso, roso dal dolore per essere stato ingannato proprio dal suo migliore amico.

Tyr.

Ed io che pensavo avrei trascorso tutta la mia vita a domandarmi in chi ti fossi reincarnato!, esalò Fenrir, ancora sconvolto da quella notizia.

Non sei l’unico ad aver avuto un’idea geniale! Come tu ti sei inserito nel corpo di una wicca per celarti agli occhi di tuo padre, così io mi sono immerso in Heimdallr per non apparire negli schermi radar di nessuno. Qui c’è troppa energia latente perché mi si possa trovare, replicò Tyr con voce allegra e divertita.

“Ehi, un momento! Com'è che voi due potete sentirvi vicendevolmente, mentre Avya non può parlare con Fenrir?” intervenni io, trovando quella conversazione a tre piuttosto curiosa.

Heimdallr mi fissò sorpresa ed io, rivolgendomi a lei, le spiegai succintamente l’arcano. “Duncan... è lui il possessore dell'anima di Avya.”

La ragazza volse allora lo sguardo verso di lui e, subito, i suoi occhi si fecero dolci e colpevoli assieme. Era chiaro che Tyr la stava influenzando non poco.

Le mie scuse per ciò che successe allora non saranno mai sufficienti, Avya. Potrai mai perdonare la mia superbia?, mormorò allora Tyr nella mente di Duncan.

Mi pare che tu abbia scontato millenni di condanna forzata, rimanendo nel ventre della Madre, mentre avresti potuto risorgere mille e mille volte, si limitò a dire Avya, con tono pacato e sincero.

Ugualmente, avrei dovuto essere un amico più fedele per Fenrir, e non limitarmi a credere ciecamente alle parole di Loki. Avrei dovuto sapere quanto fosse sbagliato il suo dire. Dopotutto, sappiamo tutti quanto sia subdolo.

Fenrir è, e sarà, sempre il padrone delle chiavi del Crepuscolo, Tyr. Questo non cambierà mai. Loki ha voluto solo anticipare i tempi, ma un domani tu e lui sarete comunque su fronti opposti. Non credi sia assurdo continuare a crucciarsi per un evento che, in ogni caso, non ha condotto alla fine di tutto?

Se lui avesse potuto rimanere con te, tu non saresti morta per mano degli sgherri di tuo fratello,precisò Tyr, cocciuto.

Sarei comunque morta qualche anno più tardi. Non ero una dea, Tyr. Ero già anziana, quando successe, perciò non fece molta differenza.

Mi scuserò comunque, Avya.

E io continuerò a dirti che non ce n'è bisogno.

A quel punto ridacchiai e Fenrir, crucciato all'idea di non poter udire ciò che diceva Avya, mi domandò: Cosa gli sta dicendo?

“Avya ha un bel caratterino. Gli sta praticamente dicendo che non vuole le sue scuse, che ad ogni buon conto il Ragnarök è stato evitato, che tu e lei siete ancora insieme, in un certo qual modo, e tutto procede per il meglio.”

Fenrir rise deliziato a quella spiegazione e Tyr, contrariato, ribatté nella mia testa: Non capisco perché non dovrebbe accettare le mie scuse!

“Tyr, con tutto il rispetto... ma stiamo parlando di una donna. Abiti dentro un corpo femminile da quanto... vent'anni? E non hai ancora imparato come siamo?” ironizzai, strizzando l'occhio a Heimdallr, che ridacchiò complice.

Tyr borbottò una risposta in merito prima di ritirarsi e la Guardiana, nel sorridermi divertita, celiò: “Discutiamo spesso, quando le nostre idee non collimano. Tu e Fenrir fate la stessa cosa?”

“Più o meno. Comunque, questa prigionia forzata sull’isola ha prodotto anche un altro effetto. Wotan non ha sentito la presenza del figlio qui sulla Terra.”

Spalancando gli occhi per la sorpresa, Heimdallr esalò: “Padre Tutto è qui?”

“Non abbiamo avuto il tempo di spiegare tutto a Bryan che, da quel che mi pare di capire, non sapeva nulla della tua illustre anima” dichiarai, sorridendo ad un piuttosto perplesso Fenrir delle Isole Orcadi.

“Già. Mi piacerebbe sapere le cose, visto che accadono a casa mia” brontolò l'uomo, fissando con cipiglio la sua sottoposta.

Per nulla preoccupata, Heimdallr replicò: “Avevo le mie regole da seguire, e avrei potuto dire tutto solo quando mi fossi incontrata con la guardiana di Fenrir. Punto.”

“E tu sapevi che sarebbe successo?” intervenne Duncan, curioso.

“No. Ci speravo e basta. Come Tyr. E' potuto risorgere nel corpo di un licantropo solo a precise condizioni. Una tra queste era che io attendessi qui, in segreto, il suo arrivo. A tutto il resto avrebbe pensato il destino” ci spiegò Heimdallr, scrollando le spalle.

“Comincio a essere un po' stufa di ruzzolare dalla famosa collina senza una meta fissa.”

Puoi anche ritenerti soddisfatta, no? Dopotutto, stiamo risolvendo tutti i grattacapi che ci sono capitati addosso.

“Oh, sì. Adesso di sicuro sappiamo perché Loki mi disse che non riuscivo a vedere la situazione d'insieme, o perché i berserkir si sarebbero lanciati contro di noi come uno sciame di locuste. Ovvio che l'avrebbero fatto! Dovevano difendere Wotan! Ma Tyr? Chi se lo aspettava?”

Neppure Loki, è evidente.

“Ho idea che al destino piaccia giocare, persino con gli dèi come pedine inconsce.”

Probabile.

“Bene, visto che i nostri due amiconi si sono ritrovati, possiamo procedere?” intervenne a quel punto Alec, sfregandosi le mani con impazienza.

Io e Heimdallr lo fissammo con uguali espressioni esasperate e l'uomo, accigliandosi immediatamente, esalò: “No, vi prego. Non due copie sputate della streghetta. Non potrei sopportarlo!”

Tutti scoppiarono a ridere e Heimdallr, curiosando il mio viso con lo sguardo, mi domandò: “Ti fai chiamare sempre così, da lui?”

“Oh, Alec è innocuo. E' un vezzeggiativo come 'tesoruccio', per lui” scrollai le spalle, incurante.

“Capito” assentì lei, aggiungendo poi: “Comunque, mi chiamo Tempest. Non credo tu voglia sempre chiamarmi Heimdallr.”

“Beh, tanto piacere, Tempest” le sorrisi, avviandomi dietro di lei per raggiungere il ponte di pietra che aveva attraversato per venirci incontro. “E' questo, quindi, il Bifröst? Lo pensavo più... colorato.”

Osservai con somma delusione lo scarno ponte di pietra smussata che oltrepassava la profonda gola sotto di noi ma Tempest, sorridendomi maliziosa, indicò dabbasso e asserì: “Quello è il Bifröst.”

Insieme agli altri, scrutai nelle profondità della gola e, a sorpresa, scorsi una luminescenza cangiante e sempre diversa, che scorreva con la virulenza di un fiume montano.

Non era acqua, non ne aveva la consistenza. Sembrava mercurio, ma aveva tutti i colori dell'arcobaleno, esattamente come diceva il mito.

Un ponte dell'arcobaleno.

Mi aggrappai al parapetto di pietra per sporgermi e curiosare meglio ma Tempest mi trattenne ad un braccio, dicendomi torva: “Non ti conviene cadere dabbasso. Chissà in che mondo finiresti!”

“In che senso?” esalai sgomenta, fissandola con occhi sgranati mentre mi rimettevo diritta.

“Bifröst è una corrente che collega tutti i Nove Regni, e le radici di Yggdrasil vi sono immerse, attingendone linfa vitale per sopravvivere nei millenni. Ad ogni colore corrisponde un Regno e, a seconda del momento, la corrente ti può spedire in un luogo piuttosto che in un altro.”

“Un momento... ma lo spettro di colori dell'arcobaleno comprende sette tinte, non nove” borbottai confusa, mentre attraversavamo il ponte per ritrovarci sull'altro versante.
“Esistono due spettri di colore non visibili agli occhi degli umani, ma solo a coloro che vivono nei Regni di appartenenza” mi spiegò Tempest, fermandosi non appena ebbe messo piede oltre il ponte. “E adesso, se non vi spiace, vi pregherei di fare silenzio. Niflheimr  non è un luogo in cui sia bene parlare. I prigionieri si eccitano per un nonnulla.”

“Aspetta, aspetta, aspetta!” la bloccai ad un braccio, prima che riprendesse a camminare. “Scusa l'ignoranza, ma Niflheimr è anche il nome di un Regno, quindi come possiamo...”

Tempest mi sorrise benevola e, indicando il ponte da cui eravamo provenuti, dichiarò: “Guarda attentamente. Non noti nulla?”

Tutti noi seguimmo con lo sguardo il suo dito puntato e, quando ci rendemmo conto di cosa avevamo appena oltrepassato, i nostri volti divennero cerei.

Nebbia. Nebbia finissima, color indaco, era finita sui nostri capelli, sugli abiti, su ogni parte del nostro corpo.

Ed era chiaro dai volti di Alec e gli altri che neppure loro, stavolta, erano a conoscenza di quel particolare. La cosa mi diede un piacere sordido, subito stemperato dal panico.

“E'... è quella roba laggiù?” gracchiai, indicando il Bifröst con mano tremante.

Tempest annuì e ci spiegò: “Siamo realmente a Niflheimr, adesso. E questo posto non è semplicemente una prigione. E' uno dei tre regni sotterranei, il regno delle nebbie, come avrete capito da ciò che avete appena attraversato e, di sicuro, uno dei meno carini.”

Mi passai una mano sulla fronte, immaginando di trovarla febbricitante, ma così non fu.

Era tutto vero, non stavo delirando per la febbre e, di certo, non sarebbero comparse scimmie volanti o pasticcini con le ali.

Ogni cosa, tutto quello che avevo udito del mito, era vero.

Certo, alcuni eventi e alcuni personaggi avevano trovato una collocazione diversa e, per altri, si poteva dire che il bel mondo pensava cose campate per aria... ma quello che avevo dinanzi agli occhi era più che reale!

Dio, Gordon sarebbe impazzito, quando glielo avessi raccontato!

Ammesso che non impazzissi prima io.

Sarebbe preferibile evitarlo, mi rammentò Fenrir.

“Come se non lo sapessi! Ma non potevi avvertirmi, darmi qualche suggerimento?” protestai, desiderando strangolarlo.

Dovevi arrivarci poco per volta. Come avresti reagito se ti avessi detto che non solo i Nove Regni esistono, ma molte loro creature vanno e vengono da, e verso, Manheimr come vogliono?

“Okay, sarei sbarellata, ma non è che adesso io mi senta molto più pronta rispetto a un mese fa”  brontolai, pur sapendo di mentire, almeno in parte.

Tutto ciò a cui avevo assistito, dalla comparsa dei berserkir, a quella di Loki, alla cerimonia per il risveglio del Crepuscolo degli dèi, a Wotan, ogni cosa mi aveva spinta a credere, ad allargare il mio spettro di conoscenza.

E ad accettare che certe cose, semplicemente, esistono. Non c'è bisogno di trovarne il senso.

Sei stata bravissima, Brianna. Riuscirai a sopportare anche questo.

“Sarà bene, o esploderà tutto” sbuffai, infilandomi dietro il gruppo capitanato da Tempest per discendere una lunga scalinata in pietra levigata.

Tutto il gruppo misto di berserkir e lupi appariva silenzioso quanto intimorito da quel luogo e, di sicuro, le urla – ora reali – che rimbalzavano sulle pareti di quell'immensa grotta, non aiutavano a tranquillizzarci.

Non sapevo cosa aspettarmi, perché non ero esattamente esperta di mostri – dov'era Ellie, quando serviva?! – ma, quando scorsi il primo essere imprigionato lì, seppi di dover inserire la modalità ON per quanto riguardava le stranezze.

La prima cella, in cui incappammo durante il nostro tragitto verso il ventre della terra, era piccola, priva di sbarre e maledettamente sudicia.

Su tre lati era circondata da pietra scura e liscia e, come fuse nella roccia, si potevano intravedere le radici di quello che immaginai essere Yggdrasil.

La parete mancante, però, non consentiva al piccolo abitante disgustoso di uscire.

Non appena ci vide, corse verso di noi con tutta l'intenzione di aggredirci, ma andò irrimediabilmente a sbattere contro una superficie invisibile quanto resistente.

Questo creò parecchi problemi, perché la creaturina esplose letteralmente, andando a insudiciare ulteriormente le pareti di pietra della sua prigione.

Non fui la sola ad emettere un sentito 'bleah' di disgusto, alla vista di quella scena, e Tempest, comprensiva e vagamente divertita, ci disse: “Io lo chiamo Blob, e il motivo penso lo avrete capito da soli, visto quanto è schifoso. Si è macchiato di infamia e di tradimento, nel suo mondo, ed è stato punito a questo modo giusto per fargli capire quanto avesse sbagliato quando ancora aveva un corpo di carne e sangue, e non di gelatina.”

Le urla del Blob ci perseguitarono mentre continuavamo a discendere le scale ed io, tappandomi le orecchie, pregai di arrivare a destinazione quanto prima. Quel posto lo odiavo già.

Duncan, vicino a me, mi sussurrò un incoraggiamento.

Non credevo possibile che quel luogo gli piacesse, ma si sentiva in dovere di proteggermi da quelle brutture. Come potevo non amarlo anche solo per quello?

Gli sorrisi benevola e cercai di farmi forza. Presto saremmo arrivati da Sebastian, e tutto sarebbe finito.

Nel volgere verso destra quando ci ritrovammo dinanzi a un bivio nel percorso, Tempest ci spiegò succintamente: “A sinistra si trova il passaggio per Helheimr, il Regno dei Morti e, onestamente, non mi va di metterci piede. E' ancora peggio di questo strazio.”

Preferii non indagare oltre. Molto meglio.

E, dalle facce di tutti i presenti, fu subito chiaro che la pensavano esattamente come me.

Cosa potesse esserci di peggio rispetto a quel luogo tetro, umido, freddo e dove una costante nebbiolina sembrava formarsi dal nulla, accarezzandoci con dita di morte il viso, restava da capire.

Ma preferivo far morire lì la mia curiosità, per una volta.

Proseguimmo oltre per una buona mezz'ora, costeggiando prigioni senza sbarre contenenti le creature più improbabili che potessero esistere, cose che neppure George Lucas in Star Wars aveva immaginato.

A quel punto, mi chiesi scioccamente se sarei più andata a vedere Thor al cinema, dopo quel viaggio.

Non poteva esserci nulla di altrettanto stravagante, in quel film, e avrebbe finito con il deludermi, ne ero quasi certa.

Erano mesi che la Marvel bombardava il web di immagini e, anche se quel poco che avevo visto mi aveva entusiasmato, ora cominciavo a ricredermi.

“E' il caso di pensare a un film?”, mi domandò Duncan, vagamente sorpreso.

“Dovresti saperlo come funziona il mio cervello. Cerco dei collegamenti con la realtà e, al momento, quello che gli si avvicina di più è il film della Marvel...non posso farci niente. Non sono così brava da accettare quel che vedo come un fatto incontrovertibile.”

“Scusa. E dire che ormai dovrei esserci abituato. Ma trovavo strano vedere quell'australiano nella tua testa, vestito con quell'armatura improbabile” , ironizzò Duncan, sorridendomi.

“Non è improbabile! E si chiama Chris Hemsworth, per la cronaca!”

“Preferisco Natalie Portman, se permetti.”

“Permetto, tranquillo”, celiai, facendo la sostenuta.

“Io opterei per l'altra brunetta... Jaimie Alexander”, intervenne Alec, spiazzandoci.

Lo fissammo sorpresi e lui, scrollando le spalle, aggiunse: “Andiamo, ragazzi... parlavate così forte che non ho potuto non sentirvi. E poi, ero incuriosito anch'io da quel film... prima di arrivare qui, almeno.”

A quel punto, una domanda mi sorse spontanea e Tempest, fermandosi un attimo per aprire un pesante portone di ferro arrugginito, si volse a mezzo verso di me e asserì: “Per rispondere alla tua domanda, sì. Qui i pensieri viaggiano con maggiore forza... ed escono con maggiore forza. Per questo riuscivate a sentirli anche fuori dalla prigione. E' un mondo strano, che ci volete fare?”

“Voglio tornare a casa” mi lagnai, penetrando nella stanza in cui ci aveva condotti Tempest.

“A chi lo dici” esalò una voce a me famigliare, dal fondo del salone.

Bastò quello a rallegrarmi.

Allungai il collo per cercare la figura di Elspeth oltre il muro umano che mi precedeva e, in fretta, oltrepassai i presenti per correre ad abbracciare la mia cara amica, esplodendo in una risata spontanea quanto liberatoria.

Saltammo sul posto come due bambine, tenendoci allegramente per mano mentre, con maggiore compostezza, Beverly si unì a noi con un sorriso speranzoso sul volto.

“Ben arrivati” mormorò poi lei, sorridendoci.

Io la abbracciai di slancio e la donna, ridacchiando per il mio entusiasmo incontrollato, dichiarò: “Non deve proprio esserti piaciuto, arrivare qui.”

“Per niente. E' per questo che sono felicissima di vedere due facce amiche” assentii con foga, baciandola sulle guance prima di scostarmi e fare le presentazioni. “Lasciate che vi presenti i nostri nuovi alleati. Loro sono Thor...”

Mi dilungai per un minuto buono per elencare i nomi di tutti i berserkir e spiegare chi fossero, e perché fossero lì.

Elspeth apparve sconcertata dalla notizia, ma si lanciò in entusiastiche strette di mano, seguite da altrettanto entusiastiche domande sul loro essere delle creature mistiche.

Di sicuro, i berserkir non si aspettarono un simile comitato di benvenuto, perché si ritrovarono a sorridere impacciati quanto imbarazzati.

Beverly la lasciò fare, preferendo che fosse la sua allieva a fare tutte le domande; lei aveva ben altro a cui pensare, in quel momento.

Si rivolse al suo Fenrir con un elegante cenno del capo e, nel sistemarsi una ciocca dei mossi capelli scuri dietro un orecchio, gli domandò: “Le tue ferite sono guarite, Fenrir?”

“Sono a posto. Qui come va? Il prigioniero ti ha scocciato?” le domandò per contro lui, guardandosi intorno alla ricerca di Sebastian. Evidentemente, si trovava in un'altra galleria, perché al momento non era visibile.

Beverly parve vagamente sorpresa dal suo interesse, ma rispose con prontezza. “Sebastian è uno scocciatore, quindi non mi ha stupita trovarlo particolarmente fastidioso. Io ed Elspeth ce la siamo cavata egregiamente, pur se nelle ultime ventiquattrore i messaggi che riceviamo sono piuttosto contraddittori.”

“Vorrà dire che lo farò parlare io” sogghignò lui, scrocchiando le dita delle mani con cupa soddisfazione. “Avete fatto un ottimo lavoro. Brave.”

Ora Beverly lo fissò a occhi sgranati ed io, intervenendo in suo aiuto, le battei comprensiva una mano sulla spalla, celiando: “Non farci caso... ha subito gravi danni al cervello, dopo le Svalbard, e ora soffre di un grave caso di 'gentilite'.”

Alec mi frizzò con uno sguardo omicida, che non fece altro che farmi sorridere di più, e portò Beverly a sospirare di sorpresa prima di mormorare: “Oh... bene. Era ora, finalmente.”

Lui la squadrò malissimo, ma la donna non vi fece alcun caso e replicò bonaria: “Pensavi davvero che mi sarei limitata a piangermi addosso perché tra di noi non ha funzionato, Fenrir? Io desidero davvero la tua felicità. Se non con me, con qualcun altro. E ora vedo che c'è speranza.”

“Non ne sarei così sicuro” brontolò lui, arrossendo suo malgrado.

“Io sono convinta del contrario. Ma sono una tua suddita fedele, Fenrir, e non mi opporrò alla tua testardaggine cronica” sorrise serafica Beverly, allontanandosi per avvicinarsi alla sua allieva.

Io rimasi accanto ad Alec, che la stava guardando a occhi sgranati e, ghignante, asserii: “Ti ha rimesso al tuo posto con una classe di prim'ordine. E ti sa guardare dentro meglio di quanto non riesca tu stesso.”

“Voi siete malate, ecco cosa. Pensare a... a come sto in un momento come questo!” sbottò lui, sbiancando in viso per la rabbia e, sì, la paura.

Alec era terrorizzato dai suoi sentimenti, e il fatto che Beverly glieli avesse schiaffati in faccia a quel modo, lo scombussolò non poco.

Gli diedi una pacca su un braccio e lo sospinsi verso il gruppo capitanato da Elspeth, dichiarando: “Una cosa non esclude l'altra, Alec. Ci si può preoccupare per i propri cari e andare a fare un po' di sana tortura al nemico.”

“Preferisco la seconda” grugnì lui.

“Non avevo dubbi” lo rassicurai, ghignando al suo indirizzo.

Anch'io, al momento, preferivo pensare alla seconda. Ne avevo una gran voglia.

 
***
 
“Aaah, finalmente delle facce nuove” ironizzò Sebastian, seduto a braccia conserte su un pagliericcio consunto.

Appariva un re assiso sul proprio trono, lì in quella gabbia senza sbarre che era la sua prigione, e quel suo modo di fare mi diede sui nervi.

Non aveva timore del luogo in cui si trovava, anzi, sembrava starci da dio.

Sorrideva sprezzante, guardandoci tutti uno ad uno e, quando finalmente si fermò per scrutarmi, ridacchiò e disse: “Sei più sciocca di quanto non credessi all'inizio. Sei venuta esattamente dove ti volevo.”

Aggrottai la fronte, e gli altri al pari mio, replicando: “Quello in gabbia, se non erro, sei tu.”

“Giààà” assentì lui, trascinando tronfio quell'unica, fastidiosa parola.

Tempest sfoderò la sua spada d'acciaio siderale – creata dai frammenti di una meteorite caduta millenni addietro – e la puntò contro il prigioniero, ringhiando: “Non ti conviene fare tanto il furbo, traditore. Non sei nelle condizioni di potertelo permettere.”

“Sciocca ragazzina presuntuosa” replicò Sebastian, levandosi in piedi per camminare in cerchio nella sua prigione. “Tu sei ugualmente stupida, come tutti loro. Ti fai bella del tuo ruolo di guardiana di Bifröst, ma non sai neppure chi si trova oltre il suo corso.”

“Che intendi dire?” sibilò Tempest, gli occhi che scintillarono come lame di ghiaccio.

Sebastian esplose in una risata stridula, selvaggia e, tutt'intorno a noi, il terreno prese a vibrare come una cassa di risonanza.

Mi aggrappai al braccio di Duncan, terrorizzata alla sola idea di rimanere schiacciata da tutti i metri e metri di roccia che ci sovrastava, ma nulla crollò sulle nostre teste.

Questo però non bastò a rassicurarci perché, sotto i nostri occhi sgomenti, Sebastian uscì come se nulla fosse dalla sua gabbia e, con un sorriso sinistro quanto soddisfatto, mutò.

Ma non fu un lupo quello che ci ritrovammo a fissare con gli occhi fuori dalle orbite, bensì una donna dall'aspetto orribile.

Metà del suo viso era come putrefatto, in liquefazione, mentre l'altra parte era perfetta, quasi bella.

“Ben trovato, fratello” esclamò, guardandomi con l'unico occhio sano, scoppiando poi in una risata sguaiata e crudele.

Hel.

Fenrir disse solo quell'unica parola, ma bastò a raggelarmi.

 
 

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N.d.A: Vi ho sorpreso almeno un po’? ;)
N.d.A. 2: Per chi avesse visto Thor 2, le prigioni senza sbarre di Niflheimr hanno origine in tempi non sospetti, mesi e mesi prima delle prime immagine comparse sul web. E' solo una fortuita coincidenza che abbiamo pensato alla stessa cosa, anche se esposta in modo diverso. :))
N.d.A. 3: Per chi avesse dei dubbi sulla sequenza temporale, ci troviamo nel 2010, per questo parlo del primo film su Thor parlandone come se dovesse ancora uscire al cinema. In effetti, uscì a novembre di quell'anno, e nel racconto ancora non ci siamo arrivati.


  
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