Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Timcampi    28/11/2013    3 recensioni
"Rico Brzenska, quindici anni d'età di cui gli ultimi otto trascorsi in una solitudine troppo nera per una bambina, contemplava il vuoto con occhi spenti, le braccia piegate in un rigido e impettito saluto militare e i piedi fastidiosamente infilati in quegli stivali troppo grandi.
Di tanto in tanto, mentre il capo istruttore inventariava il branco di ragazzini macilenti schierati come pedoni in divisa su una scacchiera polverosa, la ragazzina lasciava correre pigramente lo sguardo sui suoi compagni, i membri del settantasettesimo Corpo di Addestramento Reclute.
«QUAL È IL TUO NOME, RAGAZZO?!» brontolò il capo istruttore, puntando i piedi di fronte al suo ennesimo bersaglio: un ragazzo sull'attenti all'estrema sinistra dello schieramento, smilzo e acerbo, con un paio di spessi occhiali in bilico sulla punta del naso un po' aquilino e gli angoli della bocca sottile ricurvi nello sfontato accenno d'un sorriso eccitato. Poteva avere forse diciotto o diciannove anni.
Rico aggrottò la fronte e, senza neppure accorgersene, si ritrovò ad allungare il collo verso la sua direzione.
Il ragazzo sbattè ripetutamente le ciglia, si sistemò gli occhiali in cima al naso e sbattè nuovamente le ciglia.
E poi scoppiò a ridere."
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Hanji Zoe, Rico Brzenska, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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SCHIERAMENTI

 

Bastò una manciata di minuti perchè le reclute cominciassero a socializzare, dopo di che la mensa si colmò del fitto, amichevole chiacchiericcio di cinquanta ragazzi e ragazze, o forse poco più.

C'era chi dibatteva a proposito dei metodi brutali degli istruttori, chi aveva un passato o una storia da raccontare, chi decantava le proprie gesta future ed esponeva con cura maniacale ogni insignificante dettaglio della propria vita da trascorrere in questo o in quell'altro Corpo.

E poi c'era Rico. Era stata ben attenta a scegliere un tavolo appartato, più piccolo e scricchiolante degli altri, avvolto in una penombra tanto densa da rendere quasi indistinguibile il fumante contenuto della scodella che le stava davanti. Teneva il cucchiaio sospeso a mezz'aria, lo sguardo corrucciato fisso su un punto che si muoveva oltre i freddi vetri della finestra. Fuori, a giudicare dal frenetico ondeggiare del vessillo sovrastante l'edificio riservato agli istruttori, aveva iniziato a soffiare un vento di notevole intensità, e il piccolo punto dall'altra parte del campo aveva rallentato la sua corsa da un po', ma senza accennare a fermarsi. Era caduto diverse volte, certo, e Rico poteva vederlo chiaramente sistemarsi gli occhiali sul naso e fissare le finestre della mensa come un cane lasciato a raspare sulla porta, ma il puntino non si fermava mai.

Zoe Hanji.

Doveva essere tra i più grandi d'età, eppure non dava segni una gran maturità intellettuale.

Schioccò la lingua, portandosi il cucchiaio alla bocca, lo sguardo ancora incatenato alla figura allampanata che trascinava i piedi nella polvere ad un ritmo incostante ma ipnotico. Fu una voce maschile alle sue spalle a riportare la sua mente dentro l'ambiente caldo e accogliente della mensa.

«Questo posto è libero?»

Rico impiegò un istante a recepire la domanda.

«Sì» tagliò corto infine, prendendo a mangiare più rapidamente e fissando con affettata noncuranza la propria zuppa. Non le piaceva l'idea che qualcuno l'avesse notata studiare così attentamente quella ragazza, e sperava che non cominciasse a farsi strane idee; e tantomeno l'allettava la prospettiva d'avere quello stesso qualcuno seduto proprio di fronte a lei.

La scodella del nuovo arrivato era quasi vuota e qualche morso era già stato strappato dalla sua pagnotta: ne dedusse che doveva essersi spostato a metà della cena, e ne avrebbe anche domandato il motivo se non fosse stata dannatamente certa del fatto che non le sarebbe affatto piaciuto saperlo.

«Quella ragazza è proprio instancabile. Credo che ne vedremo delle belle, nei prossimi tempi» commentò il giovane, servendosi della pagnotta mangiucchiata per far cenno all'argomento di conversazione.

Rico strinse i denti, deglutendo rumorosamente il boccone.

Se anche aveva osato sperare di non essere stata notata, mentre fissava quella ragazza fin da quando avevano terminato gli allenamenti, ora sapeva di non avere scampo. Si sentì un animale in trappola, braccato.

«Mi auguro di no» si limitò a borbottare, abbandonando il cucchiaio e sorbendo direttamente dalla scodella ciò che restava della zuppa. Quando la depositò sulla tavola, la mano destra del ragazzo si tese verso di lei.

«Ian Dietrich» si presentò.

«Rico Brzenska» mugugnò, stringendo con fermezza quella mano molto più grande della sua, più ruvida, decisamente più forte. Non sarebbero bastati neppure anni e anni di duro allenamento per renderla altrettanto forte, si disse, con un pizzico di rammarico.

«Allora, Rico... Da dove vieni? Io sono cresciuto nel distretto di Karanese, nel Wall Rose»

«Stohess» scandì.

«Vieni dal Wall Sina? Sul serio? Correggimi se sbaglio: sei qui per entrare nella Polizia Militare» scommise, gettandosi tra le fauci l'ultimo pezzo di pane.

Nonostante i modi amichevoli del giovane, però, Rico non era abituata a tante attenzioni, né le gradiva. Ne aveva maturato un certo timore, un timore che il tempo trascorso ad arrancare nel buio in solitudine, circondata soltanto da voci ostili e melliflue, non aveva fatto che accrescere.

I suoi occhi indugiarono per un istante oltre la finestra: Zoe Hanji era lunga distesa nella polvere, a braccia spalancate, il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente. Per un attimo, fu quasi sul punto di ridere.

«Non sbagli. E ora scusami, ma sono stanca. Sono certa che non avrai difficoltà a trovare conversatori migliori di me» tagliò corto, alzandosi bruscamente e lasciando il tavolo.

«Aspetta!» esclamò ancora il giovane, con un gran sorriso lungo il volto magro. «Quello lo lasci?» domandò, additando la pagnotta completamente intatta lasciata accanto alla scodella vuota.

«No, no» borbottò Rico, dopo un momento d'esitazione, avvolgendo il pane con il tovagliolo e portandoselo gelosamente al petto. «Nel caso mi venisse fame stanotte» si giustificò, più con se stessa che con Ian.

 

Quando aveva chiesto indicazioni a proposito del suo alloggio, le era stata indicata la porta in fondo al corridoio, quella forse più lontana dalla porta d'ingresso del dormitorio femminile; le avevano consegnato un paio di candele e una scatoletta di fiammiferi, con la raccomandazione di utilizzare con estrema parsimonia sia le une che gli altri.

Aprendo finalmente l'uscio di quella che sarebbe stata la sua camera per i prossimi tre anni, salvo eventi straordinari, Rico si trovò di fronte due letti a castello addossati ai lati della stanza, divisi dal fascio di debole luce lunare che filtrava attraverso i sottili vetri di una singola finestra. Si lasciò sfuggire un tremito e pregò in cuor suo che quella camicia da notte che s'era concessa il lusso di acquistare prima di arruolarsi fosse davvero calda come appariva: l'attendevano notti gelide, contro cui nulla avrebbero potuto una coperta leggera e il bruciare di una candela.

In un canto, c'era un'unica sedia un po' malconcia. Agli angoli adiacenti alla finestra, incastrati tra il muro e i letti, vi erano due piccoli comodini. Rico posò la pagnotta sopra uno di essi e accese una candela, dopo di che si spogliò, piegò con cura la propria divisa e la ripose in un cassetto, riempiendo l'altro con le poche cose che aveva ritenuto saggio portare con sé: poca biancheria, una camicia d'uno smorto color tortora, una lunga gonna d'un vivace color ruggine, un pettine di legno, un panno per pulire gli occhiali.

Avrebbe lasciato gli altri due cassetti a disposizione della sua compagna di giaciglio, si disse, ma poi notò con grande stupore che soltanto uno dei due letti a castello era stato preparato per la notte: l'altro era occupato soltanto da due materassi spogli.

La camicia da notte era pungente, di scialba e dura lana grezza. Se la lasciò scivolare sulle membra che già avevano cominciato ad assumere un colorito bluastro e si lasciò cadere con un sordo cigolio sul letto più in basso, a braccia aperte, quasi a voler marcare il proprio territorio. Accadeva spesso che parlasse o si agitasse nel sonno, e l'idea di cadere da una certa altezza nel cuore della notte non la allettava.

Fu in quel momento che, preceduta da un certo baccano, la sua unica coinquilina spalancò la porta della stanza.

Nonostante il freddo pungente, indossava soltanto i laceri e sporchi calzoni della divisa e una fascia di stoffa consunta che le fasciava il seno scarno, e manteneva con un braccio il resto dei suoi indumenti, insieme a un laccio per capelli di cuoio liso. I capelli scuri e disordinati che facevano da cortina ai lati del suo viso ossuto erano ancora bagnati, doveva aver appena finito di lavarsi.

«Dimmi che questa non è la tua stanza» scandì Rico tra i denti. Ma il suo tono risultò decisamente più lamentoso di quanto si augurasse.

«Andiamo, non fare quella faccia» mugugnò Zoe Hanji, la ragazza che sarebbe finita tra i denti di un titano durante la sua prima missione. «Non potevi sperare in una prospettiva migliore. O preferisci guardare la gente soltanto da lontano?» asserì. E nonostante le sue parole suonassero, in qualche modo, minacciose, sul viso della ragazza troneggiava un ampio, odioso sorriso. Per la seconda volta nella giornata, Rico si trovò ad affrontare una mano tesa.

«Qual è il tuo nome, curiosona?»

«Rico Brzenska» bofonchiò. «Non c'è bisogno che mi dica il tuo»

La stretta di Zoe era di gran lunga più forte di quella del ragazzo della mensa. E più umidiccia.

«Sono contenta che tu abbia scelto il letto di sotto, Curiosona. Posso continuare a chiamarti Curiosona?» gongolò, sfilandosi i pantaloni e gettandoli sopra la testata del proprio letto.

«Decisamente no»

«Ma io ho già dimenticato il tuo nome, Curiosona»

«Rico. Finirai per imbrattare le lenzuola» mormorò, accennando alle ginocchia di Zoe. Erano piagate e sanguinanti. Ma quante volte era caduta?

La ragazza parve cadere dalle nuvole.

In quel momento, Rico realizzò quel che si sarebbe dimostrato, di lì a breve tempo, una inconfutabile realtà: non ci sarebbe stato giorno, durante il suo periodo d'addestramento, in cui la sua convivenza con quell'assurda creatura non avrebbe fatto correre a entrambe il rischio di finire nei guai.

Il suo compito, si disse, era quello di evitare il più possibile che ciò avvenisse.

Si chinò ad esaminare le ferite: il ginocchio sinistro poteva andare, non era poi così malridotto ma era ancora incrostato di polvere e sangue; il destro era messo un bel po' peggio, ma comunque lo strato di sporco era troppo per poter valutare l'entità del dramma. Ma si era lavata per davvero? Più la distanza tra loro s'accorciava e riusciva a studiarne meglio l'aspetto e l'odore, più in Rico andava maturando l'idea che ci fosse bisogno che qualcuno le insegnasse a farlo.

Si guardò intorno, le labbra arricciate e la fronte aggrottata, fino a che il suo sguardo non si posò sulla pagnotta, o meglio, su cosa l'avvolgeva.

«Non muoverti di lì. Siediti, e non muoverti» l'ammonì, cercando di sillabare ogni parola come avrebbe fatto con un bambino o con qualcuno che non parlasse bene la sua lingua.

E Zoe obbedì, con il suo allegro, snervante sorriso che pareva cucito sopra la sua faccia. Portando con sé il tovagliolo, Rico uscì dalla camera, sbattendo inavvertitamente la porta nel richiuderla.

Si concesse il tempo di un lungo, profondo sospiro, prima di mettersi in cammino verso i bagni.

Come avrebbe potuto sopportare una simile convivenza, dopo aver giurato a se stessa che avrebbe evitato a ogni costo quella ragazza? Avrebbe finito per cacciarsi nei guai, presto o tardi, a causa sua. Non le era difficile immaginare la loro stanza ridotta alla stregua di una discarica maleodorante, impronte fangose sul pavimento, macchie d'ogni tipo sulle lenzuola, i suoi averi trafugati di tanto in tanto...

E di chiedere un cambio di stanza non se ne parlava. Non gliel'avrebbero mai concesso, era decisamente poco nel loro stile. Nossignore, avrebbe dovuto imparare a gestirla, a domarla, a districarla come i nodi tra i capelli.

Strizzò energicamente il tovagliolo.

Sì, ce l'avrebbe fatta.

 

...No, decisamente no.

Zoe Hanji era distesa sul letto più in basso, il letto di Rico, dopo aver gioiosamente espresso la propria approvazione in merito alla sua scelta. Come se ciò non fosse stato già sufficiente, era stesa a pancia in giù, con le ginocchia che avevano probabilmente già sporcato le lenzuola, e intenta a sbocconcellare la pagnotta che Rico aveva incautamente lasciato sul comodino.

Nel momento stesso in cui la ragazza entrò, però, si mise a sedere con fare innocente, con l'aria stupita e ingenua di un bambino un po' stupido, facendo dondolare le gambe fuori dal materasso.

Mantenere la calma sembrava un'impresa sempre più lontana dalla portata di Rico.

«Nessuno t'ha autorizzata a toccare quel pane» biascicò, accovacciandosi di fronte a lei «e neppure ad appropriarti del mio letto» Fece una smorfia disgustata. «Sta' un po' ferma e lasciami lavorare»

Cominciò a tamponare rudemente le ginocchia della compagna, sfregando via lo sporco con una foga certamente maggiore di quella necessaria. Cercare di mostrarsi gentile nei suoi confronti era, per quanto d'obbligo e consigliabile, assolutamente fuori questione.

«Avevo fame. E non riuscivo ad arrampicarmi fin lassù» si lagnò Zoe, contemplando con rassegnazione le proprie gambe. Automaticamente, il tocco di Rico si fece ancor meno delicato.

«Domani mattina cercheremo di procurarti dell'alcol o della tintura di iodio; anche del vino andrebbe bene. La sinistra può andar bene così, ma la destra va disinfettata»

Fasciarla con il tovagliolo ancora umido era altamente sconsigliabile, così, in assenza di rimedi alternativi, Rico si ritrovò costretta a fasciare il ginocchio con il panno per gli occhiali. Così grande le sarebbe stato poco pratico, e poi poteva farne a meno per un po'.

«Lavalo, prima di restituirmelo. ...Anzi, sai che ti dico? Non mi fido del tuo senso dell'igiene, restituiscimelo così com'è, provvederò io a lavarlo» sentenziò infine. «E ora... la faccenda dei letti. Credo non sia un problema, se utilizzo quello» additò il piano inferiore del letto vuoto «Userò le lenzuola del tuo letto, quando tornerai come nuova provvederemo a rimettere tutto a posto»

Zoe la osservava con aria curiosa, con un caldo bagliore in fondo agli occhi color cioccolato. Ora che aveva tolto gli occhiali, le si notavano meglio.

«Cosa c'è, adesso?»

«Grazie» sorrise quella, puntellando i gomiti sulle gambe e posando il capo tra le mani.

Le parole vennero fuori in maniera automatica: «Non c'è di che»

Mentre preparava il letto, percepiva lo sguardo dell'altra costantemente incollato addosso. Se ne stava rannicchiata su un fianco in posizione fetale, e sembrava più che determinata a non staccarle gli occhi di dosso neanche per un secondo, quasi a volersi vendicare per il trattamento subito mentre scontava la sua punizione. Era frustrante, snervante, decisamente fastidiosa. I suoi occhi brillavano nella penombra come quelli di un qualche animale molto affamato. In qualche modo, però, le sembrò di essercisi già quasi abituata.

Abbandonò gli occhiali sul comodino, spense la candela ormai ridotta a un mozzicone di pochi centimetri e poi si coricò.

Quei grandi e curiosi occhi da opossum, però, non accenavano a darle tregua. Dato lo spessore dei suoi occhiali, comunque, Rico immaginò dovesse avere una vista di gran lunga peggiore della propria.

«Dovresti metterti qualcosa addosso e pensare a dormire, ora» la rimbeccò, ma l'altra fece spallucce.

«Non ho nulla da mettermi» ridacchiò, come se ci fosse davvero qualcosa di comico, nelle sue parole. Probabilmente, invece, la situazione era ancor più disastrosa di quanto Rico avesse immaginato. Effettivamente, pensò, non l'aveva vista portare con sé alcuna borsa, quando era entrata. Preferì non farle domande, sapendo che il rischio era di riceverne a sua volta.

«Non preoccuparti, me la caverò. Ci ho fatto il callo» aggiunse. E nonostante non potesse vederla, Rico seppe che stava sorridendo.

«A pensarci bene...» borbottò, senza sapere bene cosa le stesse passando per la testa «A pensarci bene, ecco, è probabile che finiremo nei guai. Magari domani arriverà qualche nuova recluta e questo letto servirà a loro»

«La colpa è mia, è giusto che ci dorma io. Possiamo scambiarci le lenzuola»

Zoe ridacchiò di nuovo. La sua voce, però, sembrava leggermente incrinata.

«No, finiremmo comunque nei guai entrambe. E poi...» si alzò, trascinando con sé il proprio cuscino «...io finirei nei guai, se tu morissi congelata.» sentenziò. Zoe sorrise di nuovo: questa volta le era abbastanza vicina da vederlo chiaramente. «Perciò spostati. E ricordati di lavarti come si deve, da domani»

Senza fare complimenti, Zoe le acciambellò accanto, la testa posata nell'incavo del suo collo, le dita lunghe e screpolate aggrappate alla lana della camicia da notte. Era ruvida e ingombrante e puzzava di cane bagnato, ma la sensazione che starle accanto le procurava non era poi così spiacevole.

«E comunque è soltanto per stanotte. O al massimo fino a che non avrai qualcosa da metterti addosso, perciò non te lo sognare neanche, che te lo lasci fare per tutto l'inverno»

In tutta risposta, un rumore gutturale si levò da sotto di lei.

«...E russi, anche. Ti odio» sospirò, ma Zoe era già precipitata nel sonno più sereno che le fosse mai stato concesso.






 

*PLIN PLON*
In primis, un ringraziamento e un abbraccio a tutti coloro che continuano a seguire e ad apprezzare questa storia, spero di non deludervi mai!
Mi sono divertita davvero molto a scrivere e a rileggere questo capitolo, in genere amo soffermarmi sul passato e sulla storia dei personaggi, che siano creati da me o meno, e poi amo l'ambiente militare, il cameratismo, la solidarietà che da forzata finisce per divenire spontanea, quei legami unici e contrastanti che si instaurano tra commilitoni. 
Se vi state domandando dove siano tutti gli altri personaggi, sappiate che sarete prestissimo ripagati della vostra attesa! 
In quanto allo schema della storia, per quanto possa sembrarvi strano vi assicuro che, alla fine, ogni tassello troverà il proprio posto. Certamente, comunque, avrete notato il parallelismo tra questo capitolo e il precedente. 
Queste due ragazze fanno una tenerezza incredibile, ho le dita legate alla tastiera! ;w;
Vi prometto che non dovrete attendere molto, prima di leggere il prossimo capitolo. Ah, come sempre vi chiedo di farmi un fischio, nel caso troviate qualche errore: comprendetemi, sono solita scrivere quando sono mezza addormentata.
A presto! *-*

   
 
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