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Autore: OrenjiAka    29/11/2013    3 recensioni
La Londra del diciottesimo secolo è divisa in due parti: la piccola e protetta fazione dei ricchi e la marea irrimediabilmente grande dei poveri, criminali, ladri, assassini.
Zoro è uno spadaccino. Da quando è arrivato in Inghilterra, però, per avere i soldi appena sufficienti a mangiare deve lavorare o rubare. E nemmeno il suo impiego nel Galop riuscirà a proteggerlo dall'onda impetuosa della criminalità londinese.
Qualcosa nel dietro le quinte scuote le acque, e da lì che questa storia comincia.
Dalle prime righe: [Tre sono i punti fondamentali per iniziare questa storia.
Punto primo: i discorsi, se riguardano la politica, sono sempre troppo lunghi.
Come quello che l’uomo in frak dall’aspetto fantomatico stava leggendo, eppure tutta quella folla era rimasta ad ascoltarlo per una buona mezz’ora.
Ci si stupiva sempre di come le persone fossero attratte dalle esecuzioni pubbliche.]
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eichiiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Capitolo 5, Mattino


Durante gli allenamenti del Circus Galop tutti erano concentrati nel proprio lavoro
e il palco per gli spettacoli s’impregnava di un’atmosfera silenziosa e pesante.
Quell’aurea veniva spezzata di rado,
per esempio quando Franky, dopo un lunghissimo volo,
era finito su una trave del tetto e non ne voleva sapere di scendere.
Oppure quando Zoro colpì accidentalmente Sanji
durante il suo allenamento come lanciatore di coltelli.
...
“Accidentalmente”, certo.
Comunque si era sempre mantenuta la massima serietà. Fino ad allora.

Zoro tirò il coltello. La lama affondò nel legno, il manico baciava la superficie della tavola. “Bel lancio” si sarebbe detto il ragazzo, se solo avesse sfiorato l’enorme cerchio rosso che faceva da bersaglio.
Quello era l’ennesimo di una lunga serie di tiri che avevano lasciato incisioni solo sul bordo del ripiano, una sequenza che non si sarebbe mai dovuta mostrare durante uno spettacolo.
Zoro emise un sospiro frustrato, camminò verso la tavola e cavò il coltello. Un enorme buco rimase lì, a marcare l’ultimo sbaglio. Se lo chiese: «Perché tutti questi errori?».
E la risposta venne dalle sue spalle, chiara e concisa. Stava correndo con la schiena piegata in avanti, le braccia tese di fronte a sé e le ciocche arancioni che sembravano fare una gara tra loro a chi si scioglieva dalla coda per prima. Le palline scappavano dalle mani inesperte di Nami, rimbalzando non appena le dita di lei riuscivano a sfiorarle, colpendo una parete e tornando indietro una volta che non avevano modo di allontanarsi, e avevano un filo di sarcasmo rallentando sempre più fino a fermarsi quando la rossa non aveva più le forze per raggiungerle.
Non c’era alcun dubbio: il lavoro più rumoroso del mondo era quello del giocoliere. O meglio, dell’apprendista giocoliere, alle prime armi e che riusciva solo a far cadere le palline rumorosamente.
Nami come giocoliere faceva pena. Come apprendista, invece, era insuperabile.
Dalla sua postazione Usop seguiva con gli occhi la sua protetta.
Lei raggiunse l’ultima pallina e si asciugò la fronte: «Non sono un granché, non è vero?».
L’altro le sorrise: «Non vai così male».
Le mani di Zoro strinsero la presa sul pugnale, i suoi occhi lo puntarono. Usop sentì dei cubetti di ghiaccio scivolare lungo la schiena. La rossa sistemò le ciocche ribelli in una coda: «Non ci credo».
Deglutì: «Serve un po’ di allenamento!».
Da come lo guardava lo spadaccino, la sua testa e il suo collo si sarebbero dati addio molto presto. «Io penso che sia il caso di trovarti qualcos’altro».
Nami si sedette su una cassa e posò le palline accanto a sé. Quella era la prima volta che non ne cadeva nessuna.
Zoro le si avvicinò: «Solo perché te l’ha detto Zef non significa che sei obbligata a rimanere».
«Mi serve un lavoro», protestò lei.
«Se ti interessa, io avrei bisogno di una partner».
Nami lo squadrò: «Io... una lanciatrice di coltelli?».
Lui corrugò la fronte. Alle spalle della ragazza, Usop stava mimando milleuno modi su come essere uccisi da un lanciatore di coltelli non-proprio-esperto, con delle citazioni in labiale dal libro dell’Apocalisse.
Lo spadaccino non sapeva se essere divertito o scandalizzato. O tutte le due cose assieme.
Mentre faceva la parte dell’unico spettatore di quel numero comico montato sul momento, una voce desiderata come una puntura d’ape interruppe i suoi pensieri.
«Se per un essere regredito come te è un messaggio difficile, te lo tradurrò io: “Non credo sia una buona idea”».
Zoro digrignò i denti: «Non pensavo che ti saresti rimesso a rompere le scatole così in fretta, cuocastro».
Sanji camminò verso di loro: «Qualsiasi cosa, se può aiutare Nami-swan».
La rossa si voltò e trovò alle sue spalle Usop in atteggiamenti da cortigiana. «Che stai facendo?».
L’altro arrossì: «Beh... Apocalisse, Babilonia la grande prostituta... lasciamo stare».
«Mi pare che Nami-swan abbia qualche problema a inserirsi», Sanji si sedette per terra a gambe incrociate.
«Quando le chiedevo di essere la mia partner», Zoro posò il pugnale in una tasca, «intendevo una partner che stesse ferma davanti al bersaglio mentre lanciavo i coltelli».
Il biondo sussultò: «Marimo!».
«Qual è il problema? Non prendo il centro nemmeno quando voglio».
«Non ci pensare nemmeno!».
«Va bene! Va bene...», Zoro grugnì.
Usop diede un’occhiata veloce ai suoi strumenti da Clown: «Se non è ferrata con le palline potrebbe non farcela con altro», schioccò le dita, «però può provare ad avere un’espressione arrabbiata! Farebbe il Clown Augusto, ora che Rufy non c’è avevo proprio bisogno di un’altra spalla».
Sanji scosse la testa: «Anche se l’Augusto è una spalla ci vogliono anni di pratica per...».
«Avanti, dovrebbe fare la parte di quella che non sa fare niente!», Zoro si sentì osservato. Nami aveva le braccia conserte e tamburellava freneticamente l’indice sul braccio. «Non dicevo che tu non sai fare niente».
Il quartetto era confuso.
La rossa guardò in faccia tutti i presenti, emise un sospiro: «Non posso decidere io cosa fare?».
 Zoro si passò una mano sugli occhi. «Vieni con me, ti faccio conoscere la compagnia».
~~~

I dolori di una rissa si sentivano solo il mattino dopo, e Kidd in quel momento lo sapeva meglio di ogni altra persona al mondo. La pelle bruciava, i muscoli erano indolenziti e riusciva solo ad associare tutte quelle sensazioni ad un nome: Trafalgar Law. Voleva dormire.
Le braccia di Morfeo però erano tanto desiderate quanto periture, si alzò sui gomiti e diede un’occhiata attorno. Era in una stanza senza finestre, in uno spazio claustrofobico. Il miscuglio di umido e polvere gli pizzicò il naso. «Oh, bene», sospirò, «sono a casa».
Sdraiato sul materasso di lana a due piazze vecchio e logoro, accanto a lui dormivano profondamente Heat e Wire, tutti e tre sotto la pelliccia del rosso. Su un comodino improvvisato con una cassa di legno, un lume ad olio schiariva la stanza e il volto di un uomo che lo stesso Kidd aveva l’onore di vedere senza il suo casco sul viso poche volte.
«Hey», Killer era seduto di fianco al letto a braccia conserte.
«Hey». Il rosso indicò una delle tante ferite: «Fa un male cane».
«Lo immaginavo. Non sei messo molto bene, ma te la caverai comunque».
«Come sempre», si mise in piedi, scoprì gli altri due dalla sua pelliccia e la indossò.
Killer si alzò: «Dove credi di andare?».
«A bere. I postumi di una rissa non svaniscono a letto», aprì la porta e salì il primo gradino.
Il biondo indossò velocemente la sua maschera e lo seguì: «Non per questo la sbornia avrà effetti migliori».
«Sai che ti dico? Offri tu».
~~~

«Non sapevo suonassi il violino!», Nami era incredula, e studiava lo strumento musicale centimetro per centimetro.
Brook si schiarì la voce: «Oh, in realtà so suonare anche il pianoforte e la chitarra; ma i risparmi di una vita mi hanno permesso di avere soltanto questo».
La prima persona da cui Zoro e Nami andarono era già una vecchia conoscenza per la rossa, e lo scheletro sembrava non lamentarsene.
Nami restituì il violino al musicista: «Mi sono sempre chiesta di cosa fossero fatti i violini per costare così tanto...».
«Perlopiù si tratta di legni pregiati di diverso tipo, credo che lì ci siano acero, abete, ebano e ciliegio. Il filo dell’archetto è di crine di cavallo, mentre le corde del violino sono budella di pecora...».

Zoro cambiò argomento prima che potesse salirgli in gola un coniato di vomito: «La sto portando in giro per vedere se riesce a inserirsi in qualche numero».
«Yohohoho! Sarei felicissimo di poter lavorare con te, Nami-san! Io ho un numero musicale».
«No!», Zef passava di lì portando alcune casse d’ignoto contenuto. «Tu sei “Brook, lo scheletro vivente”, non “Brook, il canterino”! Cammina su e giù per la pista come al solito e tutti saranno contenti».
«Ho studiato musica per anni», Brook posò lo sguardo sul suo violino, «Salire su un palco e camminare è un abominio per me! Morirò per la vergogna! Anche se io sono già morto! Yohohoho!».
Nami storse la bocca: «Umorismo... da morti?».
Zoro annuì: «Nulla di così diverso dall’umorismo inglese, fidati».

La ragazza non aveva modo di aiutare Brook nel suo numero, e il duo finì dalla persona più vicina a loro in quel momento: Zef.
«Io. Non. Sono. Il. Capo. Chiaro il concetto?».
«Non ti ho mai visto salire sul palco», Zoro faticava a mantenere il suo passo, lo stesso Nami.
«Io non faccio spettacoli, non faccio il capo, io faccio il cuoco. Trasporto casse di questo tipo, se ce n’è bisogno». Il vecchio poggiò l’oggetto su un banco.
Il tonfo che ne venne fuori spinse Nami a chiedersi se le gambe del tavolo si sarebbero spezzate o no: «Insomma, tu aiuti dietro le quinte».
Il  vecchio passò le dita sulla cassa e alzò una nuvola di polvere: «Ragazza, lo vedi tutto questo posto?».
Lei diede un’occhiata alla struttura possente.
«L’ho costruito io, mattone per mattone. Ne vado fiero e non lo sentirò mai come un “lavorare dietro le quinte”».
Zef fece dietrofront e andò a prendere un’altra cassa: «La ragazza non ha il fisico per trasportare certi pesi, trovale qualcos’altro».

Proprio mentre Zef si allontanava con un nuovo carico sulle spalle, un piccolo baule si trascinava lentamente. Lo spadaccino lo sollevò e Chopper continuò a spingere, inciampando a terra. Si sollevò sulle sue zampe: «Zoro?».
«Ti do una mano, vogliamo fare una chiacchierata con te». E si misero a camminare.
La rossa si sfregò le mani: «Tu che fai nel Circus Galop?».
«Di solito guarisco le ferite che si fanno gli altri durante i numeri, non vado sul palco. Mi vergogno troppo. Non voglio essere un fenomeno da baraccone. Non che pensi questo di Brook... ma io non me la sento».
«Mi pare giusto», Nami pensò a quanti quattrini avevano perso con lo spettacolo della renna parlante in meno. «Allora perché ti sei dato alla carriera circense?».
«Non l’ho deciso io», Chopper si risistemò il cappello rosa, «Ho sempre vissuto nell’Epping Forest, ma i miei simili non mi volevano perché non facevo versi da renna, facevo versi da umano. Poi mi hanno trovato Sanji e Rufy e le cose da allora sono cambiate».
Nami scosse la testa: «Aspetta, hai detto l’Epping Forest? Il parco dove i reali vanno a caccia? Perché Sanji e Rufy erano lì?».
Zoro posò la cassa che aveva sulle spalle: «Avevamo fame, non avevamo soldi per comprare cibo e li abbiamo mandati a fare un po’ di bracconaggio. Tanto i nobili possono farne a meno».
La rossa da quelle parole capì che la gente con cui stava avendo a che fare non poteva avere tutte le rotelle a posto, non se andavano in certi posti: «Quindi hanno visto che parlavi e ti hanno portato con loro?».
«Hanno visto che parlavo... e si sono chiesti che gusto avessi. Credo di aver fatto il giro del parco almeno cinque volte scappando da loro urlando di essere una renna, non un cervo».
Nami era sconcertata: «Eh?».
Zoro scrollò le spalle: «Ripeto: avevamo fame e li abbiamo mandati a fare bracconaggio».
La rossa rimase in silenzio. «Quei due hanno trovato una renna parlante e la volevano mangiare?».
Zef rallentò il passo: «Sì. Quando sono tornati ho detto agli altri del gruppo di non dargli ascolto, perché alla storia della renna nell’Epping Forest non ci credeva nessuno».
“Perché una renna parlante è più convincente, vero?” pensò Nami a bocca aperta.
Chopper le tirò un lembo della maglia: «So che cerchi qualcosa da fare. Da grande voglio essere un dottore. Non so quando accadrà, per allora dovrò cercare un’infermiera carina, puoi essere tu se vuoi!».
Nami sorrise alla piccola renna col potenziale poco sfruttato e andò con Zoro alla ricerca di un’altra persona.

«Fratello Usop!».
Il ragazzo salutò a sua volta Franky. «Hai ancora problemi col cannone? Aspetta, vengo a darti una mano».
Nami aveva la bocca aperta: «Zoro, quello è davvero un...».
«È un cannone, sì. Il nostro è l’unico circo che usa un cannone durante gli spettacoli. Non sperare di finire là dentro: Franky come proiettile umano ha già abbastanza problemi con la stazza che si ritrova, figuriamoci se una cosa piccola come te può...» Zoro si guardò intorno «Nami, dove sei finita?».
La rossa stava letteralmente accarezzandone la canna. Usop si avvicinò. «Bello, vero? L’ho modificato io!».
«Modificato?».
«Franky non sarebbe mai entrato nella bocca del cannone, o sarebbe molto sul colpo. Io e la mia fidanzata pensavamo di partire per il Nuovo Mondo facendo fortuna con questo mio brevetto una volta accumulati un po’ di soldi».
Nami sorrise tra sé e sé: «L’America, eh?».
«Non proprio... mio cugino George ci ha invitato per stare da lui in Canada. Pensò che accetterò» il ragazzo aveva un’espressione compiaciuta.
L’uomo con i capelli azzurri le fece un cenno: «Hai già trovato qualcosa da fare, sorellina?».
Nami scosse la testa in senso negativo.
«Perfetto! Ti va di accendere la miccia per lanciarmi? Non hai idea di quanto sia scomodo farlo mentre sei dentro la bocca di un cannone, e per quel momento di solito sono tutti indaffarati!».
«Affare fatto!».
~~~

Impel Down, orgogliosa di presentarsi come la prigione che accoglieva più criminali in Inghilterra, fu felice di sbarazzarsi di due teste calde.
Ace e Rufy furono spinti fuori dai cancelli in meno che non si dica, punzecchiati dal tridente di un individuo che di antropomorfo aveva ben poco.
Hannyabal sputò: «Non m’importa se non avete finito di scontare la pena. Sparite, buoni a nulla!», e lanciò per terra i loro effetti personali. Se te li riconsegnavano si erano affezionati, o almeno era quello che pensavano i due fratelli.
«Ace, non sento più le ossa», Rufy si stiracchiò tutti i muscoli in corpo.
Il maggiore scostò la polvere dai pantaloni: «Qualcuno dovrebbe spiegargli che i sacchi di paglia non sono tra i letti più comodi».
Hannyabal fece dietrofront e batté il suo tridente un paio di volte per terra: «Quando diventerò direttore, farò dormire tutti i criminali per terra! Se proprio cercate qualcosa di più comodo non fatevi arrestare!».
Ace scosse le spalle e si allontanò: «Visto? Ci siamo fatti accompagnare alla porta dal vicedirettore! Magari la prossima volta sarà il direttore Magellan a scortarci».
«Spero proprio di no», Rufy si tappò il naso, «dicono tutti che la sua puzza sia un veleno mortale».
«Ora come ora non siamo messi molto meglio di lui», Ace fissò il fango incrostato sui suoi pantaloni. «Dovremmo farci un bagno».
«Prima andiamo a mangiare».
«Rufy, tu pensi solo al cibo...», un rumore li interruppe. Era il brontolare dello stomaco del maggiore. «Sì, quella di fare colazione è un’ottima idea».
~~~

«... Ace a quel punto se ne va a mangiare con Rufy. Rimaniamo Zoro, io e una borsa piena di cose rubate. La nostra è stata una grande impresa e voglio raccontarla a quelli del Circus Galop, Zoro invece vuole farsi un giro. Con la refurtiva. Mai stato d’accordo, ma finisce che ce ne andiamo in un certo locale dove la proprietaria è una nostra amica: lui ordina rum, il grande capitan Usop non cede all’alcol. Nascondo subito la borsa quando due tipi vestiti di rosso si avvicinano. Ci riempiono di domande, io uso il mio irrimediabile carisma per raccontare qualche storia per calmarli, ma Zoro taglia corto troppe volte finché non li fa innervosire. Posso farli fuori facilmente, per carità! Ma far correre rischi in nome del Circus Galop? No, nossignore! Cerco di evitare la rissa, a quel punto i due tizi si presentano come i Bow Street Runners e capiamo che non abbiamo più niente da fare lì. A dire il vero lo capisco io, perché Zoro è convinto di poterli affettare come Sashimi senza nessuna conseguenza. Ah, il sashimi è pesce tagliato a fette sottilissime... ma non importa, non importa. Così lo prendo di peso e lo trascino fuori dal posto, non dopo una violentissima rissa, dove ovviamente ho la meglio. Mai sottovalutare il Capitano Usop. Mentre scappiamo sembra che gli inseguitori si moltiplichino, sono arrivati persino i rinforzi a cavallo. Ovviamente li ho sconfitti tutti in poco tempo, avresti dovuto vedermi! Quando mi volto però mi rendo conto di essere solo. Zoro si è perso. Mi tocca tornare indietro e cercarlo, come farebbe ogni grande capitano. Quando lo trovo, un pezzo grosso lo sta braccando. È un mostro nero, dagli occhi sottili che ti tagliano l’anima con lo sguardo. Ha una spada, e non una spada normale: la lama e l’elsa sono lunghissime. Mi viene da dire: “Siamo nel diciottesimo secolo e tu te ne vai in giro con una spada?”, quando mi ricordo che anche Zoro fa lo stesso e che ormai ci ho fatto l’abitudine. Poco male. La cosa più strana è che sta combattendo con un coltello. Così capisco subito: quella mattina, quando il mostro si è svegliato e vestito, invece di mettere la spada al fianco l’ha messa sulla schiena, poi se l’è dimenticato come una persona si dimentica di aver indossato due calzini diversi e si è messo a combattere con quel pugnale perché non sa di avere di meglio sulle spalle. Il tizio vestito di nero ha già disarmato Zoro ed è sul punto di farlo fuori. Non ho paura, mi metto in mezzo e gli dico: “Provi tanto a fare il duro, ma con quella specie di crocifisso sulla schiena sei ridicolo!”...».
«L’hai detto? E allora lui che ha fatto?», Nami gli passò un altro foglio.
Non avendo più nulla da fare per quella mattina, Zef li aveva mandati per le strade di Londra ad appendere i manifesti disegnati da Usop degli spettacoli.
Lui piantò due chiodi: «Beh, non l’ho proprio detto. Ho pensato che avrebbe ricordato di non avere solo quel coltellino con sé e avrebbe usato quello spadone. Non sono mica codardo, ma è meglio essere prudenti, eh! Così sto per attaccarlo quando la comparsa di Ace mi batte sul tempo. Non combatte, dice qualcosa che né io né Zoro riusciamo a sentire. Il tizio col crocifisso dietro la schiena mette il suo coltellino in un fodero che teneva appeso al collo. Quello che ne viene fuori è una collana con un crocifisso. Crocifissi davanti, crocifissi dietro... Gli voglio chiedere se quel tipo è la reincarnazione al maschile di Maria I, ma sono impegnato ad aiutare Zoro e il mostro se ne va. Quando io e Zoro arriviamo al Circus Galop ci rendiamo conto di aver lasciato la borsa con la refurtiva nella locanda. Torniamo a cercarla ma non c’è più. O se l’è fregata qualche furbone oppure se la sono presi i Bow Street Runners, dico io. Zoro non è del tutto d’accordo, ma ancora non mi ha spiegato perché».
Nami prese dalla cesta un altro foglio: «Chissà cos’è che ha detto Ace».
Il ragazzo lo appese più avanti, mentre martellava i chiodi aggiunse: «Chissà... E non è nemmeno il guaio più grosso in cui mi sono cacciato! Ti ho mai raccontato di quando ho salvato Sanji da un mostro bianco delle nevi? È un inverno gelido, uno dei più rigidi che io ricordo...».
«Per ora pensiamo al nostro lavoro» e la ragazza studiò nei minimi particolari il manifesto, i ritratti di Brook, Zoro, Franky e Rufy e la scritta a caratteri cubitali:

Il Circus Galop è orgoglioso di presentarvi un nuovo esuberante spettacolo questa e la prossima sera, alle 8:00 p.m. nell’East End, quartiere Tower Halmets.

«Hai fatto un ottimo lavoro», Nami annuì.
«Il disegno di Brook non è eccessivo? L’ho fatto così macabro che il pubblico potrebbe rimanere deluso».
«Usop, è uno scheletro parlante! Certo che nessuno ne rimarrà deluso!», proseguirono la loro camminata. «Al massimo gli daremo in mano un violino e lo faremo suonare. Vedremo, poi, che dirà il pubblico».
«Mi pare una buona idea», Usop alzò la testa e sentì un odore pizzicargli il naso. Si accorse che le loro ombre erano davvero piccole: «Ma guarda, è già mezzogiorno?». Il suo sguardo si posò su una bancarella, dove un uomo coperto dalla testa fin alla punta dei piedi si dava un gran da fare con le fritture.
«Vuoi dei Fish and Chips, Nami? È da stamattina che appendiamo manifesti ed è quasi l’ora di pranzo».
La rossa fissò l’uomo alla bancarella. Questo contraccambiò lo sguardo, poi tornò al suo lavoro.
Usop sventolò la mano davanti al viso della ragazza: «Nami, ci sei?».
«Non mi vanno. Tu prenditene pure, se ti va».
Lui pagò pochi spiccioli all’uomo, quello lo fece servire da solo. Con grande stupore il ragazzo cercò di mettere più patatine possibili nell’involucro di carta. L’altro tornò a guardare la rossa, fece scivolare sotto il mento il fazzoletto che gli copriva il viso. La pelle era troppo liscia e le labbra troppo marcate per essere quelle di un umano, le mandò un messaggio in labiale.
“Sei nei guai, ragazzina”.










Babilonia, la grande prostituta: Usop non si mette a imitare le cortigiane/donne di strada/libere professioniste/e così via mentre recita l’Apocalisse a caso. Infatti nell’Apocalisse viene rappresentata Babilonia (che molti pensano sia Roma, Giovanni quando scriveva era abbastanza enigmatico) come una prostituta. Quando vi chiederanno se sapete qualcosa sull’Apocalisse di Giovanni, dite questo. Almeno queste righe di nota non avranno sprecato inutilmente attimi della vostra vita :’-)

Budella di pecora: a tutti gli amanti del violino, state tranquilli! Solo in quel secolo le corde si facevano con le interiora delle povere pecorelle, oggi potete suonare un violino tranquilli e sapere che tutte le pecore e gli agnelli che vengono portati ogni giorno al macello non saranno vostra responsabilità... se non a tavola, ovviamente.

Il fantomatico cugino di Usop: potete cercarlo su One Piece Wiki, se volete. Non lo troverete. Non è un personaggio della serie, è una persona realmente esistita. Si chiama George Hunt, più noto come Great Farini. È conosciuto come l’inventore del cannone modificato per lanciare un uomo. Nella mia storia avrebbe fregato l’idea da Usop.


N.d.A.
Avete presente quando un autore di una fan fiction non scrive per moltissimo tempo, tutti pensano sia già morto e sepolto e come accade in tutte le telenovele degne di nota l’interessato resuscita per i motivi più disparati?
Ecco, è il caso mio.
Chiedo comunque scusa, perché dopo che dei lettori si sono presi la briga di seguire la mia storia non aggiornare più per molto tempo era un dispetto che non dovevo permettermi di fare.
Mi discolpo dicendo che ho avuto un blocco un po’ su tutto.
A tirarmi fuori dai guai? Il disegno e l’arrivo della stagione delle cioccolate calde e dei tè ogni pomeriggio.
Non posso garantirvi una data sicura, ma vi prometto che mi darò da fare. Parola di Francesco Amadori!



 
  
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