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Autore: MartaFix    03/12/2013    8 recensioni
"Caro Mika,
il mio nome è Irene.
Il nome Irene deriva dalla parola "pace", in greco "eirene".
Ma nel mio piccolo, inutile, stupido cuore di ragazzina, di pace non ce n'è.
Tranne per quelle note che mi scaldano dentro, quando ho così freddo, non ho niente a cui aggrapparmi.
Tranne per quelle parole, non ho niente che mi consoli.
Sei l'unico che mi sta salvando da questo oblio, Mika.
Continuo ad aggrapparmi alla tua mano, al tuo braccio forte, mentre scivolo nel baratro, giù, giù, sempre più giù.
Ho paura, Mika.
Ho tanta paura, che prima o poi sarò troppo stanca, non riuscirò più a stringere la tua stretta, e cadrò, per sempre.
Tienimi stretta, ti prego, ti prego.
Ti abbraccio forte.
Irene"
Genere: Commedia, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1 – UN'ALTRA LETTERA

 

 

I want your love, don't try to stop me

can't get enough, still hanging on me

your guilty heart, don't let it break you

and if you pray, well no-one's gonna save you

 

 

"Caro Mika,

il mio nome è Irene.

Il nome Irene deriva dalla parola "pace", in greco "eirene".

Ma nel mio piccolo, inutile, stupido cuore di ragazzina, di pace non ce n'è.

Tranne per quelle note che mi scaldano dentro, quando ho così freddo, non ho niente a cui aggrapparmi.

Tranne per quelle parole, non ho niente che mi consoli.

Sei l'unico che mi sta salvando da questo oblio, Mika.

Continuo ad aggrapparmi alla tua mano, al tuo braccio forte, mentre scivolo nel baratro, giù, giù, sempre più giù.

Ho paura, Mika.

Ho tanta paura, che prima o poi sarò troppo stanca, non riuscirò più a stringere la tua stretta, e cadrò, per sempre.

Tienimi stretta, ti prego, ti prego.

Ti abbraccio forte.

 

Irene"

 

 

Poso la matita accanto al foglio stropicciato, su cui sono impresse le parole dell'ennesima lettera.

Mi stropiccio gli occhi.

Guardo la sveglia sul comodino.

Sono le 2.17.

E' notte, lo so, dovrei dormire.

Se i miei mi scoprissero sveglia a scrivere scemenze...

Eppure non ce la faccio.

Ho bisogno di vomitare queste parole su della carta, ho bisogno di liberarle, la gabbia del mio cuore è troppo stretta per contenerle tutte.

Ho già il mio bel da fare a contenere tutti i demoni che mi schiacciano, e mi feriscono, e mi fanno sanguinare dentro.

Devo liberare almeno le parole.

Sospiro, un sospiro malinconico.

Piego la lettera con cura, e la metto nella scatola rossa destinata a contenerle tutte.

Ne ho già scritte altre tre, solo questa settimana.

Dei del cielo, sto peggiorando.

Per fortuna domani e sabato, e andrò ad imbucarle.

Perchè è il sabato, il giorno delle lettere.

Il giorno in cui spendo parte della mia paghetta per comprare i francobolli diretti in Inghilterra.

A casa sua.

Mi infilo sotto le coperte, infreddolita.

Dovrei fare come dice mia madre, coprirmi un po', anzichè dormire in canottiera e mutandine anche a dicembre.

Ma a me piace così.

Spengo l'abat-jour.

E mi addormento in fretta.

E' sempre così, quando il pensiero del mio eroe mi scalda un po' il cuore.

 

 

 

La mattina dopo

 

Guardo con impazienza l'orologio appeso al muro della mia classe, mordendomi il labbro.

Sotto il banco, la mia gamba saltella in modo agitato.

Dai, suona, suona...

Ti prego...

Prima che la campanella trilli, devo arrancare per altri tre lunghissimi minuti di lezione di greco.

Appena lo fa, balzo in piedi, gettando alla rinfusa le cose nel mio zainetto sgualcito.

Controllo brevemente che la scatola rossa sia presente, e mi infilo la giacca.

- Ire, aspettami! - sento la voce di Adele.

- Non posso Ina, scusami! - rispondo trafelata mentre imbocco il corridoio.

- Ma non vieni al mercato con noi?

- Scusami, a domani! - urlo di rimando, senza più vederla.

Corro giù per le scalinate del mio liceo, schivando gente che si intrattiene in chiacchiere, mentre il berretto di lana continua fastidiosamente a scivolarmi sull'occhio sinistro.

Pff.

Cammino di buona lena attraverso le strade di san pietrini del centro città.

Quando arrivo all'ufficio postale, mi specchio brevemente nella vetrina.

I miei lunghi capelli mossi di un vago color rame, misto a castano, spuntano scomposti e disordinati dal berretto, intrecciandosi con lo sciarpone che mi copre il mento.

Si scorgono solo pochi tratti del mio viso in questa cornice di stoffa e capelli.

Poggio lo zaino a terra, di fronte alla buca delle lettere.

Tiro fuori con delicatezza la scatoletta di legno.

Aprendola, tiro fuori le lettere ad una ad una, e segnandole con un bacio lieve, le infilo nella fessura della buca.

Ogni volta mi carico di un turbinio di emozioni disparate.

Speranza nel futuro di quelle carte, paura di una possibile ennesima illusione, dolore nel ricordo di ciò che c'è scritto dentro, gioia nel pensare al mio Michael.

Infine, mi rimetto in spalla lo zaino.

Mp3, cuffie nelle orecchie.

E mi allontano verso la fermata del bus, canticchiando The Origin Of Love, con gli occhi un po' più scintillanti del solito.

   
 
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