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Autore: Lelaiah    05/12/2013    0 recensioni
Ethelyn è figlia del Vento, ma ha i capelli di fiamma.
Drew vive in un villaggio di minatori, in compagnia del suo fidato amico Blaking.
Simar e Kiron sono gli eredi al trono di un Regno celato da una misteriosa e potente foresta.
Nive è stata abbandonata e si guadagna da vivere facendo la danzatrice.
Zahira è a capo del proprio villaggio, ma è rimasta sola.
Gizah ha la capacità di trasformarsi in un centauro grazie all'eredità paterna.
Infine Roving è l'ultimogenito dell'antica casata dei Kite, indomito come il simbolo della propria famiglia.
Tutti loro sono attesi al varco e si ritroveranno a viaggiare per lunghi chilometri nel disperato tentativo di impedire la morte di uno dei Veglianti, i grandi lupi elementali. Non dovranno temere le ombre perchè è in esse che si cela il loro nemico.
Nessuno di loro è nato per diventare un eroe, ma voi siete disposti ad accompagnarli in questo viaggio?
Qualsiasi sia la vostra risposta, vi do comunque il benvenuto a Suran!
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 37 Cambiamenti
Dopo tanto, troppo, troppissimo tempo ecco qui il nuovo capitolo.
Scusate per l'enorme ritardo, ma scrivere, questo semestre, sembra diventato impossibile :( In più ci si mette anche il blocco dello scrittore, dannazione!
Comunque, gli ingranaggi si stanno muovendo e i ragazzi sono vicinissimi alle terre del Sud.
Buona lettura! :)




Cap. 37 Cambiamenti


  Chiuse gli occhi, focalizzandosi sulle piccole scintille di luce che poteva vedere dietro le palpebre serrate.
Il calore della fiamma alle sue spalle lo avvolgeva, rendendo l’aria crepitante e soffocante.
Ma a lui non importava.
La sua essenza era concentrata su quella degli altri, nonostante riuscisse a percepirli solo a tratti.
  Si era reso conto che qualcosa non stava andando per il verso giusto diverso tempo prima, ma non era mai riuscito a mettersi in contatto con nessuno dei suoi fratelli. Ora, inspiegabilmente, erano loro a cercare di stabilire un collegamento.
Aveva proteso la sua propria essenza il più lontano possibile, fino a scontrarsi con quella che sembrava una barriera fisica e ostile. Non sapeva di preciso cosa fosse e ne saggiò la consistenza con un guizzo di potere: quella tremolò, ma non cedette.
  Infastidito, cercò di non perdere le staffe e rimanere concentrato. Se avesse inseguito il pensiero si sarebbe distratto e ogni sforzo sarebbe risultato vano.
Saggiò il terreno con gli artigli ed assorbì un po’ del calore che emanava dalla grande fiamma danzante dietro di lui. Il suo pelo sfrigolò, come fosse in procinto di bruciare.
Improvvisamente, come se un fiume avesse rotto gli argini, percepì la voce di uno dei suoi fratelli. Per la precisione di Manannan, il cui potere era opposto al suo.
“Fratello! Finalmente!”, esclamò quello, con un pizzico di fastidio nella voce.
“Sempre impaziente, eh, Manannan?”, lo canzonò.
Il Cair dell’Acqua arricciò il labbro superiore. “Naur, non è tempo di scherzare. È già un miracolo se siamo riusciti a metterci in contatto con te.”, lo rimbeccò.
“Siamo?”
“Io e Fenris.”, spiegò l’altro.
Naur si fece stupito e, per poco, non perse il controllo del proprio potere. “C’è anche il Primo?”, domandò allora.
“No. Parlare con lui è molto difficile, per via del potere della quercia.”, rispose il suo interlocutore, il suo tono ricordava quello di un maestro.
“Perché sei sempre così tranquillo, quando parli con me? Sappiamo entrambi che non sei così.”, protestò il lupo dal pelo ramato.
“Naur, non è il momento. Concentrati!”, si sentì rimproverare. Senza poterselo impedire sghignazzò, mostrando i denti.
Dopo quel breve scambio di battute, il Cairansis si fece serio. “Raccontami tutto per filo e per segno. Ho avuto sentore di un cambiamento, ma non ho mai potuto confermare i miei sospetti.”, disse.
“Ci sono stati molti cambiamenti, non ultimo l’avvento di un nemico.”, fu la risposta pacata.
“Quale nemico?!”
Manannan espirò profondamente, incassando l’ondata di potere che gli era arrivata dal fratello. “Lascia che ti spieghi e non bruciare come un fuoco impazzito.”, borbottò.
“Meglio che tu sia conciso.”, il Vegliante del Fuoco irrigidì i muscoli della schiena, pronto a ricevere brutte notizie.


***

  Dormiva serena, come se quei dieci anni non fossero mai esistiti.
La osservò in silenzio, seguendo rapito il lento movimento del suo petto. Allungò una mano per sfiorarle il viso, ma all’ultimo esitò.
“E se questo fosse solo un sogno?”, si chiese, il dubbio a divorargli l’anima. Aveva continuato a chiederselo da quando l’aveva vista riemergere dalle acque del lago, avvolta in un bocciolo di luce.
  Restò a fissarla immobile, quasi temendo che potesse sparire da un momento all’altro. Alla fine, certo che non sarebbe evaporata come neve al sole, le lasciò una carezza carica d’amore sulla guancia.
Lei sorrise nel sonno, provocandogli una stretta al cuore. Senza pensarci due volte la strinse a sé, attento a non svegliarla. Affondò la mano tra i suoi capelli e, poco dopo, vi nascose il viso.
Serrò gli occhi con forza, tentando di non farsi vincere dall’emozione, ma lo sforzo si rivelò vano: si ritrovò a piangere silenziosamente, come solo un bambino avrebbe fatto.
Diede libero sfogo alle lacrime, conscio del fatto che fossero lacrime di gioia e non di dolore. Dopo dieci, lunghi anni poteva piangere di gioia.
Mentre lasciava che lo sfogo avesse il suo corso, Kiraliaji si mosse nel sonno e nascose il viso contro il suo petto, come se stesse cercando rifugio.
Ricordò le notti passate nello stesso letto, da piccoli, stretti l’uno all’altra come se ne andasse delle loro vite. I piedi freddi di sua sorella lo facevano continuamente sobbalzare, ogni volta che lei si muoveva nel sonno.
Al pensiero gli sfuggì un sorriso e desiderò che ci potessero essere altre notti così, passate a maledirla perché non lo lasciava dormire.
-D’ora in poi ti proteggerò sempre, lo giuro.- sussurrò, lasciandole un rapido bacio sul capo.
La giovane donna che aveva tra le braccia sembrò udirlo e sorrise a sua volta, stringendosi maggiormente a lui.
Accentuò la presa sul suo esile corpo e puntò lo sguardo fuori dalla finestra, sul cielo terso e trapunto di stelle.
“Quei ragazzi hanno portato cattive nuove.”, meditò, tornando con la mente al pomeriggio appena passato.
Se quello che gli avevano raccontato era vero, allora doveva mettersi subito al lavoro in modo da poter proteggere il villaggio e, soprattutto, Kiraliaji.
“Ma cosa posso fare, a parte qualche incantesimo di protezione?”, si chiese, crucciato.
Aveva studiato per anni le leggende di Suran e tutta la sua storia, dalla sua creazione fino ai giorni presenti, ma gli sembrava di non ricordare nulla che potesse risultare utile alla missione dei ragazzi.
La cosa più sconvolgente era l’aver confermato l’esistenza dei Balhia, creature ritenute molto più che leggendarie.
Mentre inseguiva quel pensiero, un altro lo colse all’improvviso. Quasi balzò a sedere sul letto, colpito. “Un attimo! Gli antichi libri… i templi…!”, i suoi occhi vagarono freneticamente per tutta la camera.
C’era una cosa che poteva fare per aiutare e, l’indomani, si sarebbe messo subito al lavoro.
Nel frattempo, almeno per un po’, si sarebbe goduto la ritrovata presenza della sua piccola sorellina.
Soddisfatto e finalmente in pace, si lasciò andare al sonno che lo vinse in poco tempo.

  Si alzò di buon’ora e fece colazione con qualche fetta di pane spalmata col miele.
Mentre mangiava lanciò un’occhiata distratta verso la finestra e vide che i suoi ospiti erano ancora nel mondo dei sogni. Anzi, per la precisione lo erano solo i ragazzi: l’Ippogrifo e il grosso lupo erano assenti.
“Probabilmente sono andati a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.”, pensò, finendo la propria colazione. Si ripulì le mani e poi si affrettò ad andare nello studio, che aveva costruito ampliando parte della casa in cui era cresciuto.
  Aprì le imposte e si mise a scorrere con attenzione i titoli sui dorsi dei libri. Finalmente individuò ciò che stava cercando e lo estrasse con mano sicura, aprendolo subito dopo sul tavolo al centro della stanza.
Sfogliò parecchie pagine, lasciando scivolare lo sguardo su paragrafi fitti di parole. Si bloccò un paio di volte, convinto di aver trovato quello che gli serviva, ma subito dopo si rese conto di essersi sbagliato e proseguì.
Alla fine arrivò alla parte che gli interessava. Si sedette e si mise a leggere con attenzione, temendo di perdere il passaggio che conteneva le informazioni che gli servivano. Quando lo trovò raddrizzò la schiena, facendosi se possibile ancora più attento.
Lo lesse interamente e poi rialzò la testa, soddisfatto.
“Devo informarli.”, pensò. Non era certo della rilevanza di quell’informazione, ma riteneva giusto doverli informare. Grazie a loro aveva riavuto Kiraliaji, quindi era il minimo che potesse fare per sdebitarsi.
Ripose il volume al suo posto e tornò nella grande stanza che fungeva da zona giorno, trovandovi la sorella intenta a scaldarsi un po’ di latte.
-Oh, Orphen, buongiorno!- lo salutò gioviale, ma ancora un po’ assonnata.
L’uomo rimase sulla soglia, colpito da quell’immagine. Ricordava tutte le mattine passate insieme, seduti al tavolo della cucina a parlare del niente o di cose successe i giorni precedenti.
-Che c’è?- gli chiese Kiraliaji, vedendosi osservata.
Scosse la testa, accennando un sorriso. –Nulla, tranquilla.
Lei lo scrutò attentamente per qualche istante, poi fece spallucce e tornò alla propria colazione.
-Appena hai finito di mangiare, vorrei che uscissi con me: devo parlare ai nostri ospiti.- le comunicò, togliendosi di dosso la nostalgia.
La giovane annuì, addentando un biscotto alla vaniglia.
Poco dopo si alzò e seguì il fratello fuori dalla porta, dove trovarono il gruppo di ragazzi intento a svegliarsi.
Li salutarono e Kiraliaji offrì loro un po’ dei biscotti con cui aveva appena fatto colazione.
-Mentre mangiate, vorrei che mi steste a sentire.- disse loro Orphen.
Simar si fece guardingo. –Di che si tratta?
-Di una cosa che potrebbe esservi utile, ma non ne sono certo.- rispose.
Al che tutti i presenti si fecero guardinghi, compresi Blaking e Nehir di ritorno proprio in quel momento.
-Stanotte, meditando su quello che mi avete detto, ho ripensato a quanto ho letto durante i miei anni di apprendistato. Tra le cose che ho studiato, c’è anche la leggenda dei Balhia.- iniziò, prendendo a camminare avanti e indietro davanti ai suoi interlocutori. –Una delle prime cose che si scopre, leggendola, è che i cinque cavalli sono molto più potenti uniti, che divisi.- aggiunse.
-Sì, ce ne siamo accorti.- commentò Drew, sorridendo brevemente a Blaking. L’amico rispose con un’espressione leggermente imbarazzata, scusandosi per i recenti disagi.
-Una cosa che forse non sapete, è che ci sono due elementi più forti degli altri, anche all’interno di quel gruppo.- continuò l’Elfo.
Il principe terminò il proprio pezzo di focaccia e poi, meditabondo, mormorò:-Fuoco e Acqua…?
-Esattamente.
-E questo come potrebbe aiutarci?- domandò Ethelyn, perplessa.
-Be’, prima dovrete trovare tutti i Balhia.- precisò. –Poi, la leggenda dice che i loro poteri saranno incrementati se “Fuoco e Acqua si uniranno”.- concluse.
A quella strana rivelazione seguirono molte espressioni perplesse, compresa quella di Kiraliaji. I ragazzi si scambiarono occhiate perplesse, cercando di trovare una spiegazione logica a quanto era appena stato detto loro.
-La brutta notizia è che non so come questo possa accadere.- ammise il Sacerdote, spezzando il silenzio e guardandoli con un pizzico di disappunto. –Non è scritto nei testi.
-Be’, allora quest’informazione non ci è molto utile.- commentò Blaking, raddrizzando il capo piumato.
-E’ sempre meglio di niente, no?- disse invece Ethelyn, molto più propensa a vedere il lato positivo della questione.
I presenti si scambiarono occhiate perplesse, ma alla fine annuirono, anche se non completamente convinti.
-Ho solo questo, per ora.- ammise Orphen, con un sospiro dispiaciuto.
Kiraliaji lo guardò, meditabonda. –E… e se ti aiutassi nelle ricerche?- propose, risollevando lo sguardo.
Lui la fissò con tanto d’occhi, stupito. –No! Kiraliaji, sei appena tornata in libertà! Hai… hai moltissimo tempo da recuperare, esperienze mancate e… no. Non posso permettere che tu ti rinchiuda in una stanza, leggendo vecchi libri.- rifiutò, deciso. La ragazza restò a fissarlo senza parole, confusa da una reazione così violenta. Suo fratello dovette accorgersene perché aggiunse:-Scusa… ma cerca di capirmi.
-Ti capisco.- sorrise e lo abbracciò di slancio, davanti a tutti. Il Sacerdote arrossì di colpo, imbarazzato e rimase con le braccia sollevate, senza sapere se ricambiare o meno il gesto.
Sentendo la sorella così rilassata, però, decise di lasciarsi andare e stringerla a sé.
Dopo qualche istante, riscuotendosi dal torpore di quell’abbraccio, il giovane uomo si ricordò di una cosa. L’allontanò gentilmente da sé e le disse:-Me ne sono ricordato solo ora, perdonami: c’è qualcuno che vorrebbe salutarti.
La ragazza dai capelli fulvi si fece nuovamente perplessa. Chi poteva essere?
Era vero: non era ancora scesa al villaggio per salutare gli altri, ma dubitava che qualcuno avesse sentito così tanto la sua mancanza. Forse il maestro Hughes.
  Vedendo l’espressione curiosa e al tempo stesso perplessa di Kiraliaji sorrise, portandosi subito dopo due dita alle labbra. Esitò un istante e poi lanciò un lungo fischio.
Dovettero attendere solo qualche istante per veder arrivare la grande aquila dal piumaggio bruno. Alla sua vista, l’Elfa si aprì in un sorriso e la guardò con tanto d’occhi, contenta. Non credeva l’avrebbe mai rivista.
-Credevo che… per tutto questo tempo…?- chiese, fissando rapita la postura regale dell’animale.
Suo fratello annuì. –L’ho chiamato Chrysaetos… per via del suo piumaggio.- le spiegò, lasciando che il rapace si appollaiasse placidamente sul suo braccio.
-Chrysaetos. Posso toccarlo?
-Sì, ma avvicinati con calma.- l’avvertì.
Stava per allungare una mano quando, poco oltre il dislivello che conduceva al sentiero per il villaggio, comparve Nive.
La giovane pareva abbastanza adirata e si annunciò protestando contro i compagni di viaggio, accusandoli ancora una volta di averla estromessa dalle questioni importanti. Il suo arrivo infastidì l’aquila, che arruffò le piume del collo e sbatté qualche volta le ali.
-Bene, almeno ha ammesso di voler far parte del gruppo. È un inizio.- commentò Drew, senza farsi sentire da altri se non da Blaking. A quanto pare, però, anche Ethelyn riuscì a sentirlo perché gli dedicò un’occhiata contrariata.
-Siamo stati presi da altro, ma poi ti avremmo riferito tutto.- cercò di rabbonirla Simar. La danzatrice lo guardò male e sembrò volerlo incenerire con lo sguardo. –E, in ogni caso, cos’è tutto questo improvviso interesse…?- chiese subito dopo.
  Lei non rispose e si limitò a sedersi su uno dei tronchi, mostrando a tutti la propria indignazione. Il principe scambiò un’occhiata mortificata coi loro ospiti, scusandosi per il comportamento della compagna di viaggio.


***

  Quella mattina, all’alba, aveva scorto una strana stella nel cielo.
Socchiudendo gli occhi si era resa conto di aver sbagliato: non era una stella e non si trovava nemmeno in cielo.
  Quello era il Vegliante del Sud, lanciato a folle velocità nei pressi delle pendici del vulcano. Al suo passaggio i campi coltivati coi fiori qara, le piante da cui ottenevano i fili di vetro (molto richiesti per le cotte di maglia e gli abiti), raddrizzarono le corolle e salutarono il sole non ancora sorto.
Si era chiesta per quale strano motivo il Cair stesse puntando verso i confini con le terre del Cuore e si era fatta perplessa. Anzi, preoccupata.
Naur non era quello che si può definire un essere socievole, nonostante avesse molto a cuore tutte le creature che vivevano nelle sue terre: aveva fama di essere puntiglioso e attaccabrighe.
La cosa strana però, era che il grosso lupo di fiamma non si vedeva aggirarsi per le terre del Sud da tantissimi anni. Non un’apparizione, non un cenno.
“Prevedo guai.”, pensò, accarezzandosi pensosa il mento appuntito. Aveva seguito la scia della creatura fino a quando non era scomparsa, confondendosi coi raggi del sole.
Ora se ne stava sulla soglia di casa, meditabonda, aspettando l’inizio di un nuovo giorno. In mano reggeva una tazza ricolma di un profumato infuso e sentiva sulla pelle i primi barbigli di luce.
  Un movimento attirò la sua attenzione e Zahira si fece guardinga. Raddrizzò la schiena e puntò lo sguardo sull’orizzonte, pronta a cogliere qualsiasi segno di pericolo.
Quando capì che si trattava solo dei primi tessitori che s’inoltravano nei cambi, si rilassò. Abbracciò l’intero villaggio con uno sguardo carico di affetto e sorrise ai piccoli che stavano correndo oltre le porte di casa per andare a giocare.
Ricambiò i saluti che le vennero porti ed osservò l’attività iniziare frenetica.
Quel giorno avrebbe dovuto incontrare il capovillaggio di un paese vicino, per discutere del prezzo di vendita dei fili di vetro e della possibilità di ampliare una parte dei loro campi.
Si prospettava una normale giornata, uguale ed indaffarata come tutte le altre.
Fece per rientrare in casa, quando un urlo richiamò la sua attenzione.
Col cuore in gola e la testa invasa da ricordi che avrebbe preferito tenere sepolti, si precipitò fuori. –Che succede?!- chiese, allarmata.
Vide molti compaesani confluire verso il sentiero che portava alle coltivazioni e li seguì.
Una volta arrivata nei pressi del primo campo trovò un folto gruppo di tessitori, tutti quanti chini ad osservare il terreno.
  Si fece rapidamente largo tra la folla e se li ritrovò davanti. –Cosa sta succedendo…?- domandò, questa volta un po’ più calma.
Uno dei lavoratori si scostò e le mostrò quanto avevano trovato: impronte animali con strani residui luminosi.
Fissò quei segni con apprensione, ricordando le voci che aveva sentito al mercato vicino: le terre dell’Ovest erano in mano ad un potere maligno, i cui servi oscuri stavano cercando di spadroneggiare.
“Possibile che siano arrivati fino a qui?”, si domandò.
-Che dobbiamo fare?- le chiese qualcuno.
-Per ora riprendete a lavorare, ma rimanete vigili. Ritornerete alle vostre case un’ora prima del solito e questa notte stabiliremo dei turni, per capire se esiste una reale minaccia.- decise, efficiente come aveva imparato ad essere da quando era stata nominata capovillaggio.
Le sue parole causarono un diffuso mormorio, ma nessuna protesta.
Zahira sapeva essere molto persuasiva, quando voleva.


***

  Guardò fuori, oltre il grande squarcio nella parete.
Sotto di lui la vita cittadina scorreva frenetica, tra suoni, colori ed odori. La sabbia che ricopriva perennemente le strade veniva sollevata in ampie nuvole dai carri e dai cavalli di passaggio, ma le persone non sembravano farci caso.
A Meridie il clima era particolarmente secco e faceva caldo per quasi tutto l’anno, eccetto durante i due mesi che coincidevano con la stagione delle piogge. Nulla a che vedere con Cretos, molto più piovosa e verde.
Sospirò, riparandosi dietro il profilo scalcinato del muro. Appoggiò lentamente il capo alla parete, fissando il soffitto senza realmente vederlo.
L’attesa era snervante e lui non era bravo ad aspettare, non lo era mai stato. Quella non era una caccia alla lepre, quindi non doveva nemmeno concentrarsi per evitare di sfarsi scoprire.
Solo aspettare.
“Odio aspettare.”, pensò, passandosi una mano tra i capelli e stringendone con foga qualche ciocca.
Lanciò un’altra occhiata distratta alla strada sottostante, tenendo d’occhio il via vai animato di gente. Se fosse tornato, l’avrebbe visto arrivare.
Mentre imprecava mentalmente contro l’immobilità a cui il suo piano l’aveva costretto, lasciò vagare lo sguardo per l’enorme ambiente in cui si trovava. L’edificio presentava finiture di pregio, intonaci di calce e decorazioni a mosaico in alcune stanze, ma quella che aveva scelto come camera privata era molto semplice e pulita.
Rispecchiava un po’ il suo carattere, per certi versi dai tratti manifestatamente taglienti.
Aveva cosparso una bella porzione di pavimento con cuscini d’ogni tipo e forma, appendendo per sé un’amaca dall’aspetto comodo, ma altalenante.
Alcuni grandi cuscini fungevano da giaciglio per il suo compare d’avventure, attualmente fuori per uno spuntino.
“Se almeno Runaway fosse qui, potrei parlare con qualcuno.”, si disse. Ma, subito dopo, si lasciò sfuggire un sorriso, dandosi dello stupido. Non era normale considerare dialogo quello che aveva con la creatura, dato che quella non gli rispondeva a parole.
Non aveva una sana conversazione con qualcuno da…
-Cinque lunghi anni.- la voce gli uscì in un sussurro amaro. Restò a fissarsi le mani, tentando di controllare l’improvviso moto di rabbia che l’aveva assalito.
Quando fu riuscito a domarlo, lanciò l’ennesima occhiata all’esterno. Questa volta, però, trovò una sorpresa ad attenderlo. Intercettò gli occhi del ragazzino appoggiato all’angolo di una casa e gli fece un impercettibile cenno del capo.
Il bambino scomparve.
Subito dopo qualcuno bussò contro la parete: due colpi brevi ed uno lungo.
-Entra.- disse soltanto.
Il giovane visto poco prima ora si trovava davanti a lui, trafelato ma sorridente. Sperò che quell’espressione fosse foriera di buone notizie. –Allora…?- chiese, con un pizzico d’agitazione.
-Ce l’avete fatta, signor Roving. La parte est della città è vostra!- annunciò con entusiasmo il suo informatore.
Gli occhi dell’Elfo scintillarono per qualche istante, prima che lui si alzasse e lasciasse un buffetto sulla spalla del ragazzino. –Hai fatto un buon lavoro, grazie. Questa sera pagherò te e i ragazzi.- gli disse, orgoglioso del risultato.
-Grazie!- esclamò l’altro.
Esitò un attimo e poi gli disse:-Vai pure.
Il bambino si congedò con un rapido cenno del capo, si voltò per uscire di gran carriera, ma per poco non finì schiacciato contro il muro. L’arrivo di Runaway l’aveva colto di sorpresa e, come ogni singola volta, il giovane era balzato indietro, spaventato.
  Come dargli torto?
Quasi tutti i suoi collaboratori avevano timore del suo fido compagno e, da un lato, li capiva. I primi tempi quegli occhi rossi mettevano una certa inquietudine anche a lui.
-Non ti farà niente, tranquillo.- cercò di tranquillizzare il giovane collaboratore, impedendosi al contempo di ridacchiare per la sua reazione.
-Mhm…- fu la risposta diffidente.
Roving allora puntò gli occhi chiari in quelli cremisi della creatura e quella, dopo qualche istante, entrò nella stanza, lasciando libero il passaggio. Il ragazzino non si lasciò scappare l’occasione e fuggì  a gambe levate, salutando lungo le scale.
Sentì sbattere il grande portone d’ingresso e solo allora si concesse di ridere. –Continui a fargli un brutto effetto.
Il compare gli dedicò una pigra occhiata, prima di sdraiarsi sui guanciali.
Il giovane allora tornò a guardare fuori dalla finestra. “Ti scoverò, Ghilen. E, una volta stanato, pagherai per tutto il male che hai fatto.”, promise. “La prima cosa che perderai sarà questa città.”


***


  Orphen e Kiraliaji avevano lasciato il gruppo di ragazzi a discutere.
A quanto gli era dato capire, Nive era l’ultimo membro affiliatosi e sembrava restia a sopprimere il proprio carattere spiccatamente egocentrico a beneficio degli altri. Sicuramente si stava dimostrando una bella gatta da pelare, non c’erano dubbi.
Vedendolo sogghignare, sua sorella lo superò di qualche passo e gli chiese, curiosa:-A cosa pensi?
-A quanto quella ragazza sia cocciuta.- ammise, scuotendo il capo.
-La danzatrice?- fece lei, lanciando un’occhiata alle proprie spalle. Osservando il piccolo gruppo, era riuscita a capire che lo Spirito Blu sapeva ballare, nonostante non l’avesse vista esibirsi la sera in cui era stata liberata.
Suo fratello le lanciò un’occhiata, stupito. -Come sai che è una danzatrice?
-Be’, li ho osservati.- ammise la ragazza, sentendosi in imbarazzo. Le sembrava di aver fatto una cosa sbagliata, anche se non sapeva perché.
Orphen rimase in silenzio per un po’, proseguendo verso il centro del villaggio. –Non sono arrabbiato, se è questo che temi. Sono stupito: non credevo avessi un tale spirito d’osservazione. L’ultima volta che ti ho parlato eri…- s’interruppe.
Capendo il suo stato d’animo, la giovane allungò una mano ed intrecciò le dita con quelle dell’Elfo, sorridendogli subito dopo per rallegrarlo. Lui apprezzò enormemente il gesto, accentuando la presa.
Camminarono in silenzio per un altro po’, fino a quando lei non si decise a chiedere:-Com’è morto papà…?
A quella domanda, il Sacerdote alzò la testa di scatto, come se si fosse scottato. –Come…?- gracchiò, di colpo senza voce.
“Non dovevo chiedere.”, realizzò Kiraliaji, pentendosi subito. –Niente.- si affrettò a dire.
-Come lo sai?- si sentì chiedere.
Fu costretta a fermarsi, perché suo fratello le mise le mani sulle spalle. Tenne lo sguardo basso per qualche istante, sentendosi stupida: non avrebbe dovuto rivangare il passato. Soprattutto un passato doloroso.
Però doveva sapere cos’era successo.
Deglutì a vuoto qualche volta. –Nostro padre. Ricordo di averti visto attaccarlo, mentre venivo trascinata giù…- ammise.
-Io…
-Orphen!- Hughes arrivò a trarlo d’impaccio.
Il giovane uomo trattenne a stento un sospiro di sollievo, grato. Non avrebbe saputo come affrontare l’argomento con la sorella, dato che lui stesso aveva cercato di rimuoverlo dai propri ricordi.
Non si era mai considerato un assassino e togliere la vita al padre lo aveva privato di una parte di sé. Temeva che, rivivere quei brevi istanti, avrebbe potuto farlo sentire ancora più sporco di quanto non si fosse sentito allora.
Decise di concentrarsi su quanto aveva da dirgli il maestro, ma quello non gli stava prestando attenzione: era tutto preso ad osservare Kiraliaji, ad abbracciarla e sorriderle, incredulo.
“E’ vero: da quando è stata liberata, nessuno dei nostri compaesani ha potuto incontrarla.”, si rese conto, osservando la scena intenerito.
L’uomo aveva fatto da precettore sia a lui che alla giovane, quand’erano piccoli. Ed era stato anche l’aiuto più valido che avesse mai potuto sperare di avere durante quei dieci anni d’inferno.
-Hai visto com’è cresciuta, Orphen?- gli disse l’Elfo, commosso.
Annuì, sorridente. Kiraliaji li fissava entrambi, imbarazzata e a disagio. Sicuramente non aveva previsto un trattamento del genere.
-Hughes.- il Sacerdote decise di trarla d’impaccio. –Perché mi cercavi?- aggiunse, una volta ottenuta l’attenzione dell’altro.
Quello lasciò andare il viso della giovane dai capelli ramati e si voltò a guardare quello che, da parecchi anni a quella parte, era diventato il suo capovillaggio. –Ieri sera ci siamo riuniti.- iniziò.
-Riuniti? Tu e chi altri?- domandò il suo interlocutore.
-Io e tutti gli altri abbastanza vecchi da aver capito la portata di quello che sta succedendo.- gli rispose, fissandolo dritto negli occhi.
-E cos’avete deciso?
-Lumiria ha vissuto isolato per troppo tempo. È tempo che le cose cambino.- asserì con convinzione.
-Cosa volete fare?- chiese Kiraliaji, allarmata dal tono del maestro.
-Tranquilla, piccola. Niente di così pericoloso.- la rassicurò, sorridendole brevemente. Poi tornò a voltarsi verso Orphen. –Vogliamo porci a difesa del passaggio verso Sud.
A quelle parole, l’Elfo fece tanto d’occhi. –Voi cosa?! Ma siete impazziti?! L’unico Sacerdote rimasto sono io e…- ma venne interrotto.
-Non siamo vecchie fatine indifese, sappiamo ancora usare la magia. È giusto aiutare Suran, dato che, come hai detto anche tu, sei l’unico rimasto della tua casta e non è possibile cambiare questo fatto.- fu la risposta, precisa e decisa.
-Ma…
-Il passaggio ha già una buona protezione naturale: se aggiungiamo i nostri occhi e la nostra magia, non farà altro che rafforzarsi.- argomentò l’altro.
-Non posso acconsentire a questa pazzia!- protestò l’uomo, incredulo di fronte alla sicurezza dell’amico di vecchia data.
-Peccato, perché la decisione è già stata presa.
  
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