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Autore: yeahitsmarts    07/12/2013    1 recensioni
La chiamata avviene soltanto una volta nella vita, dopo di che la tua esistenza diventa un semplice rincorrersi nel tempo e nello spazio. Lo sa bene Gabe, l'unico viaggiatore consapevole di ciò che lo aspetta nel corso delle sue innumerevoli rinascite. I suoi compagni (uno per ogni continente) non ricordano praticamente nulla o, quando lo stanno per fare, muoiono in circostanze misteriose.
Fermare il male è davvero il loro compito principale o c'è qualcosa di più potente e oscuro dietro la loro missione?
Gabe, Helga, Shani, Yurim e Connor affronteranno il viaggio più difficile di sempre, pieno di ostacoli, di partenze, di addii. Cinque ragazzi dalla vita apparentemente normale che dovranno prendere una decisione più difficile di quanto pensino. Il male e il bene sono davvero ciò che sembrano?
Dreamtime, che il viaggio abbia inizio.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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06 // Van Gogh.
"non preoccuparti della distanza,
sono proprio qui se ti senti sola."

«Non hai nessun graffio, mi auguro!» la voce di Aria, nonostante i cinque minuti passati al telefono, ancora risuonava lontana anni luce. Prima di rispondere Helga aveva sbuffato e aveva infilato la testa sotto il cuscino, cercando di ignorare la fastidiosa suoneria che stava tentando di svegliarla. Aria aveva insistito continuando a chiamarla per altre cinque volte, così, in preda all'esasperazione, la bionda si era fiondata sul cellulare rispondendo con voce impastata ancora di sonno.
Aria aveva attaccato a blaterare su quanto fosse andato bene il pranzo con i famigliari del ragazzo e di come la serata, poi, si era svolta nel migliore dei modi.
Helga stropicciò gli occhi e si affacciò alla finestra, accingendosi ad accendere la sua solita sigaretta mattutina post dormita.
«Quindi mi stai dicendo che non sei più vergine e che ti ha perforato per benino. Ottimo, sono contenta per te!» esclamò senza troppa convinzione mentre la città, come lei, aveva appena iniziato a svegliarsi.
«Oh, smettila, mi metti in imbarazzo!» bofonchiò Aria percettibilmente irritata «E ti ho detto che appena ci saremmo viste te l'avrei raccontato in modo più dettagliato».
Helga rise soltanto dopo aver soffocato la bile che iniziava a risalirle su per lo stomaco, un po' per la sigaretta, un po' per l'affermazione dell'amica «Ehy, frena i tuoi spiriti bollenti, so perfettamente come funziona la riproduzione sessuale» e preferì tralasciare la sottile differenza tra 'il sapere come si fa' ed il 'non averlo mai praticato'. 
Helga, in teoria, era l'unica nella sua classe a non aver ancora sperimentato i piaceri del sesso, rispondendo a qualsiasi battutina scema con quello che aveva letto sulle riviste a riguardo. A parole la credevano tutti brava, quasi un'esperta, ma Aria, la sua migliore amica, sapeva perfettamente che quelle erano solo chiacchiere poiché Helga, di amore, sapeva ben poco.
«Oh, volevo soltanto renderti gioiosa insieme a me di questo grande evento» piagnucolò Aria.
Helga si sentì terribilmente in colpa, se la immaginò tutta incupita mentre il suo entusiasmo veniva smantellato dalle sue affermazioni. «Scusa, sono contenta per te, davvero». 
Aria riconobbe all'istante la nota di sincerità nella sua voce e sembrò riprendersi. Tossicchiò imbarazzata, Helga non era una che facilmente chiedeva scusa ma tutt'altro, e cambiò immediatamente argomento, giusto per assicurarsi che non degenerassero in altre smancerie che non erano per niente il loro punto forte.
«Comunque, ti ho chiesto se stai tutto bene, se Gabe ti ha per caso preso con la macchina, se hai male alla gamba o...» prima che potesse continuare il suo elenco, Helga tentò invano di interromperla poiché Aria continuava la lista senza ascoltarla.
L'amica aspettò pazientemente che finisse, poi, ridacchiando, iniziò con il suo racconto: «No, Aria, non sto per niente male. Gabe ha battuto la testa, gli usciva un po' di sangue ma dalla sua reazione non sembrava niente di strano. Piuttosto tu come hai fatto a saperlo? Lo hanno detto al telegiornale?»
Aria pensò che la sua amica doveva essere davvero strana ma preferì tenere quest'osservazione per sé: «Ma quale tg! Ah, Helga, sai benissimo anche tu che qui, le notizie, vanno quasi più veloci della luce. C'è perfino chi giura che sia stata Elke a costringere il povero Gabe ad investirti con la macchina, sai, teme per il suo posto da fidanzata».
«Ti prego, smettila con queste cretinate. Elke e Gabe stanno bene insieme, punto» dirlo costò una certa fatica alla ragazza. Certamente avrebbe preferito prendere lei il posto della fortunata rossa, ma pensare addirittura ad un attentato nei suoi confronti perchè Elke era davvero gelosa di Helga era supposizione più che stupida.
«Dici così soltanto perchè te ne sei convinta. Secondo me è vero, cioè non del tutto, ma lei è sicuramente gelosa di te. Adesso vado a fare colazione, mi accompagna papà con la macchina, che fai, vieni con noi?»
Helga guardò l'0rogologio consapevole che nel suo frigo non ci fosse niente da mangiare e così decise di rimettersi al letto per un'altra decina di minuti «No, vado con i mezzi, ma grazie lo stesso per il pensiero. Ci vediamo dopo!» e con un'inspiegabile tristezza in corpo, attaccò all'amica senza aspettare una sua risposta.
Non si fiondò sotto le coperte ma passò il tempo restante a fissarsi allo specchio cercando di darsi una sistemata. Si soffermò sulle sopracciglia castane e dalla forma così particolare: sua mamma aveva insisto un sacco di volte sul fatto che Helga sarebbe dovuta andare dall'estetista per farsi dare una sistemata ma a lei piacevano così, conferivano all'ovale viso un'aria diversa, fresca e inoltre era molto più espressiva di tante altre ragazze con le sopracciglia talmente fine da essere quasi invisibili. 
Dopo una piacevole doccia calda, fu il momento di acconciarsi e vestirsi. 
Gabe non riusciva a vederla più di una conoscente? Poco importava, lei si sarebbe concentrata su qualche altro ragazzo.
Helga si concesse un po' di matita sugli occhi e abbondò con il mascara. Evitò cipria, fondotinta e cose strane che le avrebbero soltanto irritato la pelle e colorò le sue labbra con un rossetto di un rosso scuro. Appiattì i capelli sotto uno zuccotto nero, indossò una felpa larga senza cerniera, dei jeans, le sue scarpe da ginnastica preferita e uscì di casa. 
Se soltanto sua madre l'avesse vista vestita così, le avrebbe dato della poco di buono insinuando inoltre che il suo orientamento sessuale fosse dubbio e che somigliasse ad un ragazzo. Gliel'aveva ripetuto molte volte, pronunciava sempre le stesse parole e tirava in ballo la defunta nonna affermando che se soltanto avesse avuto la possibilità di vedere sua nipote, ne sarebbe rimasta profondamente delusa.
«Che fine ha fatto la tua femminilità?» le borbottò la donna poco prima che Helga si richiudesse la porta di casa alle spalle. 
Non osò neanche voltarsi per risponderle: «Dov'è finita la tua dignità? Prendo la tua bicicletta, torno più tardi, ciao».
Scese le scale due a due e finalmente poté togliere le catene alla vecchia bici della mamma che stava ferma sotto casa da almeno quattro mesi. La vernice rosa era ormai scrostata e  alcune parti di pelle del sellino erano strappate. Helga montò su e si addentrò per le vie di Amsterdam con un notevole anticipo.
Scelse la via più lunga, si concesse una piccola pausa a Piazza Dam e proseguì passando oltre canali e piccole viuzze. Una volta davanti al museo, parcheggiò la bicicletta lontana dalla visuale dei suoi compagni di classe e si avviò verso l'entrata. 
Aria non era ancora arrivata e Helga si concesse l'ennesima sigaretta. 

«Ce l'hai il biglietto per entrare?» la voce di Gabe risuonava minacciosamente vicina. Helga si tastò addosso e scosse la testa: «Credo che si siano dimenticati di me» rispose sconsolata mentre si avviava nella direzione del professore.
Gabe la fermò mostrandole due piccoli cartoncini colorati: «Uno è il tuo, prendilo» d'istinto la ragazza afferrò quello più scuro raffigurante 'I mangiatori di patate' e, biascicando un veloce grazie, raggiunse Aria che nel frattempo era entrata nel museo e per tutto il tempo non aveva fatto altro che fissarla sospettosa da oltre il vetro. 
«E' talmente gentile che quasi mette i brividi» Helga le lanciò un'occhiata divertita mentre la restante parte della classe iniziava ad entrare nel museo.
«Hai ragione» sentenziò la ragazza una volta dentro «E' da ieri che sprizza dolcezza da tutti i pori». 
Aria si fermò poco prima di andare a sbattere contro un visitatore probabilmente giapponese e proseguirono a slalom tra gli altri turisti.
«Si sentirà in colpa nei tuoi confronti» probabilmente aveva ragione ma in cuor suo sperava soltanto che qualcosa, nel profondo dell'animo del ragazzo, si fosse mosso.
«Già e se non smetterà di fare il galantuomo Elke mi taglierà la testa» di tutta risposta, Aria mimò con il pollice un coltello passante sul collo e si mise a ridere: «In effetti ti fulmina con lo sguardo ogni volta che vi sorprende a scambiare due chiacchiere».
Elke non aveva affatto tutti i torti: Helga non sapeva che tipo di fidanzata lei stessa sarebbe stata, se di quelle gelose o menefreghiste, ma era sicura al massimo che Elke appartenesse alla prima categoria e, oltretutto, aveva come ragazzo niente meno che Gabe.
Lui, prima di Elke, sembrava come se completamente disinteressato ad avere una vita sentimentale (quanto meno stabile e duratura) eppure appariva così felice in sua compagnia.
Helga dovette ammettere con rammarico che l'amore era imprevedibile e che quel tipo di fortuna non le sarebbe mai capitato in vita sua.
Il professore chiamò all'attenzione l'intera classe che nel frattempo si era sparpagliata e divisa in gruppetti. La voce  di Hermann tuonò minacciosa e all'istante cessarono risate e schiamazzi.
«Temo che, dandovi troppa libertà, qualcuno di voi distruggerà l'intera struttura» lo disse senza troppa convinzione nella voce e con una nota di divertimento. I ragazzi colsero al volo quel suo tono e scossero la testa all'unisono.
«D'accordo, vi invito gentilmente a non fare foto e a non disturbare gli altri visitatori. Potete muovervi liberamente nel museo come volete, troverete me e gli altri due colleghi in giro. Per qualsiasi domanda o curiosità venite pure a cercarci. Ah, mi raccomando di non sottovalutare quest'uscita, ognuno di voi sceglierà un'opera a piacere e ci scriverà un tema sopra con tanto di ricerca» battendo le mani diede il permesso a tutti di dileguarsi. 
Aria si aggregò ai maschi della classe che parlavano della recente partita dell'Ajax così Helga decise di dirigersi verso la parte opposta, in completa solitudine, a soffermarsi per diversi minuti sui quadri.
«La casa gialla» Gabe era a pochi passi da Helga e lei non se ne era minimamente accorta.
«Gabe!» esclamò spaventata quella mentre un gruppo di francesi insieme alla guida la guardò male.  Il ragazzo le tappò la bocca con la mano e ridacchiò scuotendo la testa «Devi sempre farti riconoscere» poi la fissò negli occhi per tre interminabili secondi.
«Accidenti, il rossetto!» gridò nuovamente indignata, ma divertita, mentre il ragazzo si fissava la mano colorata di rosso. Scoppiò in una fragorosa risata quando vide le sue labbra completamente sporche del lipstick che le era colato fino al mento.
Gabe allungò una mano nella sua direzione e provò, molto grossolanamente, a darle una ripulita. 
Helga se ne stava immobile, sentiva le gambe molli mentre Gabe le passava il pollice sotto il labbro inferiore. Avrebbe voluto allungare una mano e toccarlo a sua volta, infilare le dita in quel ciuffo inconfondibile ma preferì stare ferma, in attesa che quella specie di tortura cessasse.
«Ecco fatto» le disse avvicinandosi un poco mentre invece allontanava la mano. Helga temeva di specchiarsi e di vedere che orrendo pasticcio Gabe avesse appena fatto con al sua faccia. 
«Spero soltanto di non somigliare ad un pagliaccio» borbottò a bassa voce facendo tornare il suo sguardo verso il quadro.
«Affatto» confermò Gabe «La casa gialla comunque piace tanto anche a me» aggiunse poi indicando il dipinto appeso al muro.
Helga gli rivolse un'occhiata sospettosa e si strinse nelle spalle, l'afferrò per il braccio e lo trascinò altrove.
«Io preferisco questo» davanti a loro c'era una tela settantadue per novanta centimetri raffigurante una camera da letto dai toni non troppo allegri. Era la seconda volta che ne rimaneva incantata, che soffocava l'impulso di provare ad entrare lì dentro, di stendersi su quel letto con la coperta rossa chiedendosi chissà quale panorama si celava dietro la finestra leggermente aperta.
«Lo sapevo...»
«Hai detto qualcosa?» Helga era talmente concentrata sui dettagli del quadro che proprio non era riuscita ad ascoltare il leggero borbottio di Gabe. Quello scosse il capo e le indicò il sotto della sedia «Mancano le ombre, ci hai mai fatto caso?».
Helga sorrise appena, si avvicinò attenta a non far scattare l'allarme e vagò con lo sguardo da una parte all'altra della camera «Già. E tutto sembra sul punto di crollare, quasi come me».
Gabe non finse di non sentirla, gli si strinse il cuore  quando Helga pronunciò quella frase. 
«Helga» la chiamò staccando la sua attenzione da quel quadro «Usciamo a fumare e a fare due chiacchiere».
Ma la ragazza scosse il capo e si allontanò da lui «Ascolta Gabe, tu mi stai simpatico, lo devo ammettere, ma questo teatrino può finire, sul serio, è diventato insopportabile. Stai con Elke, accidenti! Lei è così bella e siete fatti l'uno per l'altro, l'ho sempre sospettato. Se stai cercando di farla ingelosire, se stai tentando di far ricadere qualche attenzione speciale su di te... Questo è il modo sbagliato» eppure, notando l'espressione ferita del ragazzo, estrasse dalla tasca le sue Marlboro Light e gliene allungò una «Dai, andiamo» e Gabe, senza spiaccicare parola, la seguì in silenzio.

 
***

Connor fissò spaesato le diverse valigie sparpagliate sul pavimento del salone. Alex era in camera, a gettare alla rinfusa alcuni vestiti del ragazzo sul letto.
«Cor!» lo chiamò mentre la testa era infilata del tutto in un anta contenente un mucchio di magliette a mezza manica «I documenti dove li tieni? E i soldi?»
Connor l'afferrò per la mano e lo tirò indietro «Perchè non me l'hai detto prima?» il suo sguardo era carico d'odio, di delusione. 
Alex decise di fermarsi e sospirò «Oh, Cor, non dirmi che ce l'hai ancora con me!» il ragazzo però annuì sull'orlo di una crisi di pianto e l'amico si sentì terribilmente in colpa. Si abbandonò sul materasso e invitò l'altro a fare altrettanto «Ascolta, ho mantenuto questo segreto soltanto per il tuo bene. Tu credevi che tua sorella Corinne fosse... Morta a causa della droga. Ha passato un orribile periodo di depressione che è sfociato in quel modo che sappiamo entrambi, ma, una volta in Corea, si è curata ed è diventata un'ottima domestica. È più che contenta di rivederti dopo tutto questo tempo e andrai anche in vacanze, in Europa!» dopo quest'esclamazione, Connor si asciugò le lacrime che silenziose stavano scorrendo sul suo viso «Europa? Dove?»
Alex ridacchiò e gli allungò una manata in pieno petto «Non lo so neanche io! È una sorpresa!»
Avventura.
Quella parola apparve luminosa nella mente del ragazzo. Scattò in piedi e aiutò Alex a sistemare la valigia. Poco prima di chiudere l'ultima però, entrò con molto timore nella libreria privata del padre e prelevò quattro tomi rilegati in pelle. «Sai» iniziò una volta tornato in camera e sistemando quei libri sotto i pantaloni «Sta notte ho sognato una voce che mi diceva di leggerli, secondo me nascondono un segreto» Alex gli sorrise affettuoso «Sempre il solito sognatore!».
Connor annuì deciso: «Io scoprirò quel segreto».
Nonostante Alex credeva pienamente che quelli fossero soltanto pensieri infantili, decise di dargli spago: «Ne sono sicuro! E, giusto per curiosità, come si chiamano quei libri?»
Connor lanciò un'occhiata al bagaglio rosso ormai chiuso.
«Diario di mille vite. Copertina di pelle, titolo dorato a lettere maiuscole, Primo, terzo, quarto e quinto volume, il secondo probabilmente l'ha perso mio padre. Senza autore, senza trama. Te l'ho detto che è un gran bel segreto».

***


«Gabe, tu credi che io porti sfortuna?» dopo essersi umilmente scusata e aver provato a cambiar discorso più volte, quella domanda le era uscita con una naturalezza tale che lei stessa ne restò sorpresa. Helga non credeva davvero di portare sfiga, eppure le circostanze dell'incidente del giorno precedente erano incredibilmente strane, inoltre ancora doveva trovare una spiegazione logica al flashback, oltre che dare la colpa alla marijuana e alla stanchezza.
«Ma certo che no! Helga» Gabe fece l'ennesimo tirò di sigaretta e sputò fuori il fumo «Perchè me lo chiedi?»
Già, bella domanda: perchè quel pensiero la stava assalendo da quando aveva messo piede in casa? Helga si strinse semplicemente nelle spalle gettando il mozzicone lontano da loro «Ieri, per un momento, ho pensato che fosse stata colpa mia. Sarebbe potuta andare peggio».
Gabe la imitò e le aprì la porta per rientrare nuovamente alla mostra «Non essere sciocca e non pensarci più, stiamo entrambi bene ed è questo che conta».
La ragazza gli rivolse un veloce sorriso e poco dopo si trovò a dover controbattere con alcuni lavoratori del museo che non volevano più farli rientrare.
Passati venti minuti all'entrata, senza che nessun professore o compagno di classe intervenisse in loro aiuto, Gabe ed Helga decisero di tornarsene a casa, fregandosene del contrappello, ognuno per la propria strada.
Lei si dileguò accennando un rapido saluto con la mano, girando i tacchi e scappando nella direzione opposta: per quel giorno, di Gabe, ne aveva avuto più che abbastanza. 
«Stavo pensando che...» per poco non gli tirò la biciletta dietro. Helga si voltò nella direzione della voce con il cuore in gola che le batteva all'impazzata.
«Porca miseria, Gabe!» riuscì a gridare il suo nome con tutta la paura che aveva in corpo, cosa che nel museo non aveva potuto fare «Se stai cercando di farmi venire in infarto sei sulla strada giusta!»
Il ragazzo non potè fare a meno di ridere di quella sua espressione terrorizzata e di osservare la bicicletta con la vernice scrostata. Helga si sentì terribilmente in imbarazzo e si parò tra il ragazzo e il mezzo di trasporto.
«A cosa stavi pensando, quindi?» domandò spazientita mentre quello non riusciva a staccare gli occhi di dosso dalla bici.
«Oh» Gabe ridacchiò in quel suo modo che irritava tanto Helga, una risata finta, senza convinzione, priva di vero divertimento «Sarebbe bello andare a vedere una mostra sulla Seconda Guerra Mondiale, non trovi? Ci sono così tanti ricordi lì...» .
La ragazza inclinò il capo e gli lanciò un'occhiata sospettosa «Non capisco dove vuoi arrivare» era quasi ora di pranzo e, infastidita, si infilò il casco senza più curarsi della sua sgangherata bicicletta, ormai Gabe l'aveva notata «Nel quartiere dove abito io c'è la casa di Anna Frank, se la storia ti interessa così tanto». Ma cos'era quello, un appuntamento? Certo, Helga sperava in qualcosa di più romantico, una cena a lume di candela, una passeggiata presso uno degli innumerevoli parchi di Amsterdam, ma una semplice visita ad un museo... 
Gabe sembrò quasi ricevere una pugnalata al cuore, la sua espressione sofferente sorprese Helga «Niente, credevo solo che...» la guardò negli occhi, c'era qualcosa di strano in quel suo comportamento, ma non sapeva spiegarsi esattamente cosa.
«Niente, davvero, adesso vado. Elke mi sta aspettando, sai, ha la febbre»
«Molto interessante, ero quasi in pena per lei. Ah, non sai quanto mi dispiaccia» lo disse così inacidita che Gabe notò immediatamente quella nota di sarcasmo nella sua voce «Davvero» proseguì lei mentre saliva in sella alla sua bici «Falle gli auguri di pronta guarigione da parte mia, non vedo l'ora di rivederla tra i banchi di scuola» e così dicendo, scuotendo la testa, si liquidò verso casa.

 
***

L'aereo di Shani atterrò ad Amsterdam con un ritardo di quasi mezz'ora. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che dormire e leggere, con un vicino che russava un po' troppo forte per i suoi gusti. 
Attendendo pazientemente che arrivasse anche il suo bagaglio finalmente riuscì a pensare a sua mamma e a quanto le sarebbe mancata. Lo zio Ghali, da quel che ricordava, era un tipetto stravagante che a soli diciotto anni aveva iniziato a girare il mondo. Aveva vissuto per sei anni in Giamaica per poi spostarsi in Brasile, partire per il Messico e, infine, si trovava ad Amsterdam da circa cinque anni. Dai suoi racconti l'Olanda era tutto ciò che aveva sempre cercato in uno stato, specie per la marijuana che girava tra la popolazione come caramelle. Nei suoi racconti inoltre non mancavano mai le capatine nel quartiere a luci rossi di cui ricordava a memoria il listino prezzi.
Shani sorrise al pensiero di passare un mese intero con uno svampito del genere e, con il suo trolley al seguito, si incamminò verso l'uscita, dove un tipo sui trentotto anni si stava sbracciando proprio nella sua direzione. Indosso aveva un cappello con righe nere, gialle e verdi, che ricordavano in tutto e per tutto la bandiera giamaicana. Dal copricapo spuntavano molteplici dred non troppo lunghi che a Shani ricordarono... 
La ragazza scacciò immediatamente quel pensiero e corse a grandi falcate verso di lui «Zio, come stai?» quello saltò qualsiasi genere di convenevoli e l'abbracciò «Benvenuta ad Amsterdam dove droga e sesso sono legali! Ah, qui farai la bella vita».
Accidenti, pensò esasperata, è più fuori di testa di quanto la mamma le avesse detto.
Shani non sapeva proprio che fare quindi decise di sorridergli senza aggiungere altro e lo seguì in silenzio fino alla macchina. Nel frattempo aveva appena cominciato a piovere e alcune goccioline scesero anche sul suo viso: voleva tornare a casa.

 
***

«Tu saresti?» la signora Sunwoo se ne stava con le braccia incrociate davanti a quel ragazzo dall'aspetto bizzarro. Aveva le fattezze di un americano, con i suoi capelli castani ben pettinati e gli occhi chiari coperti da un paio di occhiali da vista dalla montatura di legno. 
Lui lasciò stare le valige, decise di guardarla in viso e rispose, con un filo di voce: «Connor, Connor Harris» poi fece un impacciato inchino, l'aveva visto fare in tv e credeva che fosse necessario per quel tipo di cultura orientale. 
Connor si rese conto di trovarsi a Busan, in un paese completamente diverso dal suo, soltanto quando si era trovato faccia a faccia con quella seria signora sulla quarantina. Prima che la donna potesse risponderle, un uomo si affacciò dalla porta «Se è un altro venditore porta a porta caccialo via» tuonò prima che Connor riuscisse a cogliere alcuni particolari del suo viso.
«Sta con me, sta con me!» una terza figura comparve sulla soglia, era una ragazza dal corpo esile, un po' bassa e dai capelli lunghi e scuri: la figlia di quella intollerante coppia di signori coreani.
I due si scambiarono occhiate eloquenti, sembravano dialogare in silenzio tra di loro.
«E' il fratello di Corinne, sta con me e parte con noi per Amsterdam. Hai tutto, ragazzo?»
Prima che Connor potesse rispondere, ci fu un battibecco in coreano che non riuscì a capire. I genitori strillavano, la ragazza rispondeva lentamente e in modo pacato e sembrò avere la meglio. I due li lasciarono finalmente soli sulla soglia, così lei potè presentarsi. 
«Sono Yurim Sunwoo, tua sorella lavora per me. Hai tutto, quindi?»
Annuì frastornato, cosa si erano detti?
«Bene, aspettaci pure qui. Io e tua sorella arriviamo tra poco, il taxi è già sotto casa». 
Connor non riusciva a spiaccicare parola, la fissava e basta, chiedendosi cosa avesse spinto una sconosciuta a partire con la sua domestica e suo fratello. Doveva essere sicuramente fuori di testa.
Mentre aspettava le due ragazze si decise a darsi una mossa e caricò il suo bagaglio nella vettura, dove un taxista poco cordiale stava fumando un sigaro seduto comodamente sul posto del conducente. 
Corinne scese poco dopo Yurim, mentre tentava di trascinare due enormi bagagli verdi giù per le scale. 
«E' bello rivederti, fratellino. Ci divertiremo moltissimo ad Amsterdam» gli confessò non appena lo vide. Connor, di tutta risposta, l'abbracciò forte, facendole sentire tutto il calore e l'affetto che non aveva potuto darle in tutti quegli anni di assenza.

 
***

«Svegliati Helga, il tempo si è ormai quasi concluso» la ragazza si trovava in una casa diroccata e dall'aspetto mal ridotto. Dentro c'era odore di muffa e di pesce andato a male e fuori, oltre la finestra, un corvo gracchiava appollaiato su un ramo spoglio. La voce proveniva dal piano di sopra dove uno spiraglio di luce illuminava le strette scale. 
Helga salì un gradino per volta mentre il marcio legno sotto di lei scricchiolava ad ogni passo.
«Non venire qui, non salire su. Vattene via Helga, mettiti in salvo, il tempo scade!» eppure lei continuava il suo percorso, incurante degli avvisi che la voce le stava sibilando. Quelle parole non avevano senso, quegli avvertimenti erano infondati e ormai aveva curiosità di capire a chi appartenesse quella voce.
«Helga!» tuonò la voce più forte non appena si trovò sul pianerottolo del primo piano «Devi andartene di qui, non ascoltarla, non varcare la soglia, sei in bilico». Ma chi non doveva ascoltare? Quante erano le persone dentro quella casa oltre a lei?
«Oh» ridacchiò una seconda voce, più lieve «Non starlo a sentire, burbero com'è. Vieni pure cara, vieni verso di me». 
Una seconda luce proveniente da una porta che si aprì da sola sotto ai suoi occhi, illuminò un tratto di corridoio, avvolgendola in un barlume bianco immacolato.
«Non andare verso di lei, ascoltami. Sii libera di scegliere, sii padrona di te stessa, combatti...» ma prima che potesse completare la frase, la voce si affievolì e la porta, con un soffio di vento, si chiuse, lasciando Helga sola con le risate provenienti dal bagliore bianco.
Quando stava per varcare la soglia, l'edificio prese fuoco ed Helga si trovò intrappolata in un muro di fiamme ardenti che le scottavano il corpo. La ragazza provò a gridare e a ripararsi, ma l'incendio divampava sempre più velocemente.

Madida di sudore e con il fiato corto, Helga si alzò di scatto dal letto. Dell'incubo ricordava ben poco: due porte, delle voci, una casa diroccata, un rogo improvviso. Pensò che prima di allora non aveva mai fatto un sogno così reale e, ne trovò la conferma, notando delle piccole bruciature sulle nocche della mano sinistra.


Angolo dell'autrice:  sono tornata
dopo tanto tempo, dopo tante indecisioni, dopo mille dubbi.
Sono tornata con il sesto capitolo e non ho ancora
idea di quanti altri ne scriverò. Però il mio obiettivo
ce l'ho bene in mente: una storia per me, una per lui.
Troverò presto il coraggio e sappiate che se Gabe è strano,
è imprevedibile, con l'aria da figo ma il carattere timido, 
è solo perchè per me è il migliore. Ma mai quanto
quello reale.
  
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