Capitolo 2:
Lo Spirito del Natale Passato.
Draco Malfoy
dormiva placido nel suo letto. Ogni tanto si rigirava e si svegliava di
soprassalto ma,
tutto sommato quella
era, per lui, una notte particolarmente tranquilla.
A
tranquillizzarlo così era stato un sogno.
Sembrava quasi stupido a dirsi, dato che i sogni sono solo frutto del
nostro
inconscio e rappresentano semplicemente un desiderio nascosto.
Draco
desiderava intensamente che qualcuno sapesse cosa lo tormentava.
Desiderava
che qualcuno capisse cosa nascondeva, cosa provava, che oltrepassasse
il guscio
che aveva avvolto attorno ai suoi occhi e al suo cuore.
Qualcuno
che gli dicesse semplicemente: “Hey, sono qua.
Tranquillo, ti aiuterò io.”
Nessuno
ancora aveva fatto ciò, e Draco non sperava in nulla di
simile, ma non poteva
fare a meno di desiderarlo.
Non
poteva di certo dire ai suoi amici: “Hey, sapete? Sono un
Mangiamorte! E devo
uccidere Silente! Dai, lo faccio fuori e poi andiamo a Hogsmeade a
farci un
paio di Burrobirre!”
All’inizio
dell’anno scolastico, sull’espresso per Hogwarts,
Draco, aveva cercato di
rivelare ai suoi compagni il suo compito e il suo stato
d’animo, ma non ne era
stato capace. Allora era esaltato dal compito che gli era stato
affidato.
Ne
era intimorito e spaventato, sapeva cosa avrebbe comportato il suo
fallimento ma,
allo stesso tempo, si sentiva orgoglioso e desideroso di fare bene il
lavoro,
per poter così soddisfare i suoi ideali.
Poi,
però, si era accorto che Potter lo stava ascoltando: aveva
intravisto sulla
cesta dei bagagli il bianco delle sue scarpe.
Già
arrabbiato e stressato per i fatti suoi, rancoroso
dell’incarcerazione del
padre, lo aveva immobilizzato, gli aveva rotto il naso e
lo aveva nascosto
sul treno, coprendolo col mantello
dell’invisibilità.
Ovviamente,
dopo se ne era pentito, ma era troppo tardi. E poi doveva fare lo
stronzo, no?
Sennò la sua reputazione sarebbe andata a puttane.
A
volte, dopo quella volta, aveva la sensazione che Potter sospettasse di
lui,
vedeva come lo guardava sospettoso e lo seguiva ovunque.
Buffo,
dopo cinque anni passati ad andargli dietro e di stuzzicarlo per farsi
notare,
ora era Harry ad andare dietro a Draco, anche se lui aveva solo bisogno
di
essere lasciato in pace. O di essere aiutato.
Potter
lo avrebbe solo aiutato a finire ad Azkaban, per come erano al momento
i loro
rapporti, così Draco tentava di evitarlo, anche se la cosa
gli risultava
parecchio difficile e lo faceva stare anche peggio di come
già stava.
Draco
voleva davvero essere amico di Potter ma, ogni qualvolta lo incontrava,
gli
tornava in mente di quando aveva teso la mano ad Harry, sicuro che
l’altro
l’avrebbe presa.
Ma
era rimasta vuota, fredda e sola.
Proprio come era lui in quel momento.
Per
quel motivo Draco non riusciva ad aprirsi con lui, anche se spesso
avrebbe
voluto dirgli: “Ma cosa stiamo facendo? Prendi
questa dannata mano che ti
tendo e diventiamo amici!”
Non
lo aveva ancora fatto e di sicuro non lo avrebbe fatto mai.
Gli
urlava contro, invece, insulti su insulti, toccando tasti delicatissimi
come
la morte dei suoi genitori e il fatto di essere
stato allevato dai
Babbani.
Draco
non faticava a comprendere l’odio del Grifondoro nei suoi
confronti.
Ora
però non ce la faceva più: voleva solo tornare ad
essere un ragazzo normale,
con i soliti problemi adolescenziali da sedicenne.
Non
voleva più occuparsi di un assassinio.
Non voleva più dover guardare il Marchio Nero ogni volta che
si cambiava.
Voleva
solo che qualcuno accogliesse la sua silenziosa richiesta di aiuto e
che lo
portasse via da quell’inferno.
E
quel qualcuno avrebbe voluto che fosse Potter, il San Potter, che aiuta
tutti,
tranne i Serpeverde, come se anche essi non avessero un cuore, e delle
paure.
Dopo
quel sogno, però, Draco si sentiva come più
tranquillo e, anche se non ne
capiva il motivo, un briciolo di speranza si era depositato sul suo
cuore ormai
vuoto.
“…Draco…”
Una
voce lo chiamava. Una voce che era sicuro di conoscere, ma al momento
non
capiva a chi appartenesse.
Era la voce di un uomo adulto.
“Draco,
svegliati!” ordinò la voce.
Draco
si rigirò nel letto, tenendo gli occhi chiusi.
Però, come era accaduto prima,
una forte luce glieli fece spalancare.
E,
come accaduto prima, davanti a lui si ergeva un fantasma. Non era una
donna, questa
volta.
Era il fantasma di un uomo anziano, sui settant’ anni, coi
bianchi capelli
corti e un po’ di barba.
Sembrava
molto più solido e corporeo del fantasma della donna ma era,
tuttavia, meno
denso di una persona umana.
Era davanti a lui e gli sorrideva calorosamente. Era un sorriso carico
d’affetto.
Il
Serpeverde lo fissò con tanto d’occhi.
Non era possibile.
Non poteva essere lui.
Era morto giusto pochi mesi prima.
Si
guardò intorno, spaventato, portandosi le coperte fino al
mento.
Si rese conto, in quell’istante, di essere solo.
Non
vedeva niente attorno a se. Solo il buio e il vuoto.
E il fantasma.
Draco
continuò a fissarlo. Non era possibile.
Gli
venivano in mente le parole della donna che aveva visto in sogno:
“Per tre
notti, rispettivamente questa notte, domani notte e dopodomani notte,
riceverai
la visita di tre spiriti.”
Quella
era forse uno spirito? Allora il suo non era stato un sogno.
O
forse il suo desiderio era stato esaudito ed era morto nel sonno,
così, senza
un motivo?
“Draco!
Non mi riconosci più? Dai, vieni! Devo portarti in un
posto!” disse il
fantasma, tendendo la mano a Draco.
Certo
che Draco lo riconosceva. Come poteva essere altrimenti? Gli aveva
voluto molto
bene e la sua morte lo aveva devastato.
Si mise seduto sul letto, sempre osservando lo spirito
levitare davanti a
lui, che gli sorrideva benevolo e paziente.
“…Nonno...”
sussurrò Draco.
Il
sorriso di Abraxas Malfoy si allargò ancora di
più.
“Si,
Draco, figliolo. Sono io. Vieni” gli disse, sempre tendendo
la mano al nipote. “Ho
visto che mio figlio ti ha messo in una brutta situazione, benedetto
ragazzo.
Io gli voglio un bene dell’anima, ma questo non doveva farlo.
Draco, tu devi
reagire. Non macchiarti di assassinio. Ribellati a tuo padre,
a mio
figlio. Vieni. Ti devo fare vedere delle cose.”
Il nonno di Draco continuava ad avere la mano protesa verso di lui.
Timoroso,
Draco la afferrò.
Immediatamente
sentì il suo corpo galleggiare e si vide sollevato in aria.
Abraxas sorrise e
li smaterializzò.
Si
trovavano in una sorta di mondo parallelo. Tutto intorno era un vortice
color
Rosso-Verde e loro viaggiavano al centro di questo vortice.
“Nonno,
dove stiamo andando?” chiese Draco ma, a sorpresa, suo nonno,
anzi che
rispondergli, lo avvicinò a se e lo strinse in un caldo
abbraccio.
“Quanto
mi è mancato sentirti chiamarmi
‘nonno’” sussurrò Abraxas
all’orecchio del
nipote.
Draco,
a quelle parole, strinse a se il corpo del nonno, affondando il viso
nel suo
petto.
Stava
bene li, si sentiva a casa. Niente Voldemort, niente Nagini, niente
Mangiamorte.
Solo loro due, come quando lui era piccolo.
Avrebbe
voluto che quel momento non finisse mai, avrebbe voluto restare
abbracciato a
suo nonno per sempre. Solo con lui, in quel mondo parallelo, senza
dolore.
Purtroppo
però, tutte le cose belle finiscono. Dopo qualche minuto
Abraxas sciolse
l’abbraccio e guardò dritto negli occhi il nipote.
Avevano
lo stesso colore di occhi, lui e Draco.
“Draco,
ora noi faremo un viaggio attraverso
il tempo. Io, ora, per te, sono lo Spirito del Natale Passato. Ti
mostrerò
alcuni dei tuoi Natali scorsi. Vieni.”
Riprese
la mano di Draco e lo condusse verso la fine del vortice.
Una
luce bianca accecò il Serpeverde, che dovette chiudere gli
occhi.
Quando
li riaprì, si ritrovò a casa sua. Era nel
salotto, i mobili in legno antico
erano sempre gli stessi.
Al centro della stanza si ergeva un magnifico albero di Natale
elegantemente
addobbato, il fuoco scoppiettava allegro nel camino ed era
l’unica fonte di
luce nella stanza.
Fuori
era buio e nevicava.
Suo padre, seduto sul divano in pelle, sorseggiava un bicchiere di vino
rosso.
Sembrava
molto più giovane: i capelli biondissimi erano corti, il
viso nitido, luminoso
e senza imperfezioni.
Sua
madre, Narcissa, era sdraiata, col capo posato sulle ginocchia del
marito e
coperta da una trapunta verde-argento. Anche lei sembrava molto
più giovane.
Aveva
una cascata di capelli biondi, leggermente mossi, che le ricadevano sul
viso e
inondavano le gambe di Lucius.
Le sue labbra erano rosse, carnose e piene.
Le ciglia chiare lunghissime, gli occhi chiusi, la pelle nivea.
Si lasciava accarezzare il viso da Lucius, che la guardava come se
fosse la
donna più bella del mondo.
“Mamma…
Papà…” mormorò Draco,
commosso. Non
aveva mai visto quella manifestazione d’affetto tra i suoi
genitori, anche se
si vedeva che si amavano moltissimo.
In
quel momento sembravano due pezzi perfettamente combacianti di un
bellissimo
puzzle.
A
un certo punto, però, Narcissa spalancò gli occhi
turchini e guardò il marito
con un’espressione di pura gioia sul volto.
“Lucius!
Ha scalciato! L’ho sentito!” disse, eccitata.
Draco
in un primo momento non capì cosa sua madre intendesse ma,
quando la vide
alzarsi a sedere, togliendosi la trapunta e mettendosi le mani sulla
pancia
leggermente ingrossata, comprese.
“Il
bambino che porta in grembo sono io, vero?” chiese la bionda
Serpe a suo nonno,
che annuì.
“Si”
rispose, guardando teneramente il quadretto familiare “questo
è il Natale del
1979, il Natale prima della tua nascita.”
Draco,
commosso, osservò i suoi genitori: entrambi avevano le mani
posate
delicatamente sul pancione ancora poco accentuato, ma ben visibile, di
Narcissa
e lo guardavano con tanto amore che il Draco adulto aveva una gran
voglia di
andare li e abbracciarli.
“Ti
piace questa visione, Draco?” gli chiese suo nonno.
“Certo!
Vorrei solo che fosse così sempre, accidenti!”
“Rifletti,
Draco, perché non è più
così? Cosa vi impedisce di essere una vera e unita
famiglia, legata dall’amore anzi che dal terrore?”
lo ammonì Abraxas.
Draco
abbassò gli occhi e non fiatò, ma sapeva
perfettamente la risposta.
Colui
che impediva la loro felicità era Voldemort,
quell’uomo vile e spregevole,
portato in famiglia da Bellatrix e che aveva influenzato anche suo
padre.
Abraxas,
comprendendo lo stato d’animo del nipote, gli mise una mano
sulla spalla e
disse: “Draco, so perfettamente che non è colpa
tua. Non hai voluto tu tutto
ciò che sta succedendo. So che stai solo cercando di
compiacere Lucius, come
hai sempre fatto.”
Sorrise,
e poi lo prese per mano: “Vieni, c’è
ancora qualche tappa da visitare, prima
della fine del nostro viaggio.”
Detto
questo, si smaterializzarono, tornando nel mondo parallelo,
all’interno del
vortice Rosso-Verde.
Alla
fine del vortice ci fu di nuovo una luce bianca che accecò
il Serpeverde e che
lo costrinse a coprirsi il volto con il braccio.
“…Draco!
Attento, tesoro!” La voce di Narcissa giunse alle orecchie
del Draco adulto
prima ancora che la sua vista tornasse nitida.
Quando
lo tornò, la prima cosa che il Serpeverde vide fu se stesso.
Doveva avere circa quattro o cinque anni e si stava arrampicando sul
gigantesco
albero di Natale posto al centro del salotto e aveva un puntale a forma
di
stella in mano.
Rideva.
“Questo
è il Natale del 1985” lo informò il
nonno, mentre Narcissa, ridendo, toglieva
il bambino dal grosso albero.
“No,
mamma” protestò allora il piccolo, mettendo su
un’espressione imbronciata
talmente comica che il Draco adulto non poté non fare a meno
di scoppiare a
ridere “Io voglio mettere il puntale!”
“Tesoro,
certo che lo puoi mettere! Ma non arrampicarti sull’albero!
Usa la bacchetta di
papà!” gli rispose allora sua madre, accarezzando
i biondi capelli del figlio,
che rimaneva imbronciato.
“Ma
papà non vuole!” esclamò lui.
Narcissa
assunse allora un’espressione furbetta e si mise le mani
dietro la schiena.
“Papà
ora non c’è, giusto? È nel suo studio e
chissà quando ne uscirà. E indovina un
po’ cos’ha la mamma dietro la schiena!”
Draco
prese a saltellare e a cercare di guardare dietro la schiena di sua
madre
“Cos’hai? Dai dimmelo, mamma!”
Narcissa
tirò fuori da dietro la schiena una lunga e sottile
bacchetta nera.
Il
piccolo Draco la guardò estasiato.
“Oh,
mamma! La bacchetta di papà! Che bella! Posso
usarla?”
“Certo,
tesoro. Fai vedere alla mamma cosa sai fare! Metti il puntale in cima
all’albero.” Replicò Narcissa, porgendo
la bacchetta al figlio, che la prese e
la resse come se fosse stato un tesoro prezioso.
Poi
chiese alla mamma: “Cosa devo dire per farlo
volare?”
“Wingardium
Leviosa. Forza, campione!” lo incoraggiò
lei.
Draco
si voltò a guardare il maestoso albero, che era almeno tre
volte la sua
altezza, e mise su un cipiglio concentrato “Wingaddium
Leviosa”
borbottò. Non successe niente.
Riprovò
altre due volte, ma il puntale restava fermo e immobile ai piedi
dell’abete.
“Mamma!
Non ci riesco!” piagnucolò il bambino, con gli
occhi lucidi, rifugiandosi tra
le braccia di sua madre.
“Dai
tesoro, non piangere” lo consolò lei,
accarezzandoli i capelli “questa è una
magia molto difficile! La facciamo insieme?” gli chiese
allora, restituendo la
bacchetta al bambino, che annuì, ancora fra le lacrime.
Entrambi
misero le mani sulla bacchetta e dissero “Wingardium
Leviosa”.
Il
puntale si alzò e levitò verso la cima
dell’albero, con gran gioia di Draco.
Alla
fine si posò sulla punta, proprio mentre Lucius Malfoy
varcava la soglia della
porta.
Quando
vide sua moglie e suo figlio far levitare con la (sua) bacchetta il
puntale,
sorrise affabile e si avvicinò a loro, prendendo in braccio
Draco e cingendo
Narcissa in vita, stampandole un sonoro bacio sulle labbra.
Draco
allora protestò.
“No.
No! Anche io voglio baciare la mamma!” esclamò,
sporgendosi dal grembo di suo
padre e aggrappandosi al collo della mamma e ricoprendola di baci.
A
Draco, quello adulto, scappò un lacrima lungo la guancia.
Rivoleva
quella vita. Rivoleva i suoi genitori. Rivoleva il Natale in famiglia.
Draco
sentiva dentro di se come un senso di abbandono.
Sentiva
come un bisogno di piangere davvero, non solo qualche lacrima, come
soleva fare
di solito.
A
lui serviva un bel pianto ristoratore, di quelli lunghi e a dirotto, ma
sentiva
come un groppo alla gola che gli impediva di
sfogarsi del tutto,
neanche quando era da solo.
E
poi gli serviva un amico. Di amici in verità ne aveva tre:
Blaise, Theo e
Pansy, e anche Daphne sapeva essere molto dolce e disponibile con lui,
ma c’era
un qualcosa che gli impediva di aprirsi totalmente.
Ma
che altro poteva fare? Come si fa a rivelare agli amici che sei un
Mangiamorte
e che devi uccidere Silente?
I
genitori della metà dei suoi compagni, compresi i padri di
Theo, Tiger e Goyle,
erano Mangiamorte, ma i suoi amici già da tempo avevano
affermato di non voler
seguire le orme dei genitori.
Cosa
che aveva affermato pure lui, Draco, ma, a differenza degli altri, non
era
stato in grado di portare a termine la sua decisione e se ne vergognava
da
morire.
Era
ancora immerso in quelle riflessioni, quando suo nonno gli strinse di
nuovo la
mano.
“Draco,
dobbiamo andare. Mi dispiace, resterei qui anche io, ma dobbiamo ancora
percorrere un’altra tappa e non abbiamo molto tempo. Lo
capisci, vero?”
Draco
annuì. Avrebbe voluto restare li per sempre e fondersi con
quel bambino che ora
si stava agitando sul tappeto perché sua madre gli stava
facendo in solletico.
Tornarono
per la terza volta nel vortice e si diressero di nuovo verso la luce
che stava
alla fine.
Draco
chiuse gli occhi prima ancora che essa potesse ferirli.
Quando
li riaprì si trovava nello studio di suo padre. Aveva undici
anni e guardava
sospettoso un bicchiere colmo di Whisky Incendiario.
Suo
padre era i piedi di fronte a lui e lo guardava, sarcastico.
“Questo
è il Natale del…” cominciò a
dire Abraxas, ma Malfoy concluse la frase al suo
posto.
“…
1991”
Malfoy
si ricordava perfettamente quel giorno: aveva talmente strepitato che
voleva
bere il Whisky Incendiario di cui gli aveva parlato a scuola Blaise che
alla
fine, spazientito, suo padre lo aveva costretto a berne un bicchiere
intero.
E,
per un ragazzino di soli undici anni, non era cosa da poco.
“Forza,
Draco, bevi.” lo esortò Lucius “Un
bicchiere, avanti.”
Draco
vide se stesso da ragazzino fissare terrorizzato il calice.
Avevano
detto che il Whisky incendiario era molto forte e lui, ovviamente, non
aveva
mai bevuto alcolici, ma avrebbe fatto di tutto per compiacere suo padre.
Il
Draco più piccolo chiuse gli occhi e bevve almeno mezzo
bicchiere in un solo
sorso.
Immediatamente
aveva sentito la gola bruciare molto e la stanza aveva preso a girare.
Non
aveva avuto il tempo di dire e fare niente che era svenuto, con gli
occhi che
lacrimavano.
Draco
allora vide suo padre chinarsi su di lui e baciargli il viso, prima di
andarsene e lasciarlo alle cure di Narcissa, che si era avvicinata con
un panno
bagnato e una tazza di caffè nero fumante.
“Nonno,
perché mi hai fatto vedere proprio questo
episodio?” chiese allora Malfoy ad
Abraxas “Non è che sia il mio ricordo
migliore…”
“Lo
so, caro nipote, ma questo ricordo è importate. Segna come
un inizio. Hai
capito che inizio, Draco?”
Draco
non ne era sicuro, ma provò a rispondere: “Questa
è stata, mi sembra, la prima
volta che mio padre mi costrinse a fare qualcosa…”
“Esatto!”
confermò Abraxas “E tu lo hai assecondato. Piano
piano ha cominciato a
chiederti di fare cose sempre più grosse. Ti ha sempre
amato, Draco, questo
devi sempre tenerlo presente. Ti ha amato anche più di se
stesso, solo che non
si rendeva conto delle cose esagerate che ti chiedeva.”
Draco
annuì. Erano tutte cose che sapeva perfettamente.
Nonostante
i modi duri di suo padre negli ultimi tempi, sapeva che gli voleva un
bene
dell’anima.
“Dai
Draco, andiamo. Il mio tempo è quasi scaduto. Prima
però devo farti le
cosiddette ‘raccomandazioni dell’ultimo minuto
’, per cui prendimi la mano che
torniamo nel vortice.”
Draco
fece come gli aveva ordinato e si smaterializzarono.
Tornarono
di nuovo al centro del vortice e Abraxas abbracciò di nuovo
il nipote.
“Draco,
fai tesoro di ciò che ti ho fatto vedere.” Gli
sussurrò all’orecchio, senza
sciogliere l’abbraccio.
“I
Malfoy posso essere tante cose brutte, superbi, altezzosi e con la
puzza sotto
il naso. È tutto vero. Ma non sono assassini. Lo stesso
Lucius non ha mai
ucciso. Torturato si, ma ucciso mai. Non diventare un assassino, Draco.
Ribellati.
Lucius ancora non sa cosa Voldemort ti ha costretto a fare, ma sono
sicuro che
sarebbe fiero di te se ti ribellassi.”
Draco
strinse i pugni. Per suo nonno era facile parlare. Lui era
già morto. Lui non
viveva con la paura e l’angoscia di essere la causa della
morte dei suoi
genitori.
“Nonno,
non è facile. Il Signore Oscuro ha detto che
ucciderà tutta la mia famiglia se
non lo servirò fedelmente e non ubbidirò ad ogni
suo ordine.”
“Draco,
scusa se te lo dico, ma sei un vero stupido. Voldemort fa
così perché sa di poterlo
fare! Perché voi glielo permettete! Andate da Silente!
Ribellatevi! O anche tu
diventerai un assassino. Vuoi questo, Draco?”
Il
Serpeverde scosse la testa.
Certo
che non voleva diventarlo. Uccidere era tra le cose più
brutte che si potessero
compiere, insieme al violentare e al torturare. E sapeva che, se avesse
continuato su quella strada, avrebbe dovuto compiere tutti quegli
abominevoli
gesti.
Abraxas
strinse un secondo il corpo di suo nipote ancora più forte,
poi sciolse
l’abbraccio e gli diede un bacio sulla fronte.
“Io
ora devo andare, Draco. Il mio tempo è scaduto. Sei sempre
stato un giovane in
gamba, so che deciderai per il meglio. Ti voglio bene.”
“No!
Non andare!” urlò Draco, tendendo la mano, ma suo
nonno era scomparso.
Ci
fu un’altra luce bianca e Draco chiuse gli occhi.
Quando
li riaprì si accorse si essere tornato nel suo letto.
**
“Draco!
Dai, almeno oggi facci un bel sorriso! È la Vigilia di
Natale!”
Draco
si sforzò di sorridere, per far contento l’amico.
Erano
trascorse molte ore dalla sua ‘avventura notturna’
con lo spirito e Draco
tutt’ora si chiedeva se fosse stato un sogno o se fosse
successo tutto davvero.
Lui,
Theo e Blaise erano seduti al tavolo dei Serpeverde nella Sala Grande
semi
vuota e stavano consumando il the delle cinque.
Il
soffitto incantato mostrava un bel cielo bianco e grossi fiocchi di
neve
cadevano da esso.
La
Sala Grande era tutta addobbata: c’erano i dodici alberi
portati da Hagrid
abbondantemente addobbati e numerose fate svolazzavano fra i tavoli
cantando
carole di Natale.
“Last
Christmas, I gave you my heart
But
the very next day, You gave it away
This
year, to save me from tears
I'll
give it to someone special… ”
I
tre ragazzi sentirono cantare allegramente e si girarono: Pansy,
volteggiando nel tentativo di imitare una delle fatine, si stava
avvicinando a
loro cantando a squarciagola con un luminoso sorriso sul viso.
“Buona
Vigilia di Natale!” disse, quando si fu avvicinata ai suoi
amici,
baciando ognuno sulle guance, con particolare dolcezza Draco.
“Tesoro,
come stai oggi?” chiese, premurosa, scansando Theo e
sedendosi
davanti al biondo.
“Sto
bene, grazie, Pansy” rispose Draco, sempre sorridendo. E
stava davvero
meglio. Dopo essersi ritrovato nel letto, alle quattro del mattino, era
riuscito a dormire placidamente e senza disturbi per dieci ore filate,
cosa che
ormai non accadeva da mesi.
I
suoi amici sorrisero, e Draco credeva che lo facessero per pura
gentilezza, ma non era così.
Era
per felicità. Quel giorno Draco sembrava davvero molto
più riposato del
solito. Le occhiaie si vedevano molto meno, gli occhi non erano gonfi
di sonno,
e durante il the si era pure sbafato dieci biscotti!
Forse
il loro piano stava
funzionando.
**
“…10”
cominciò Tiger.
“…9”
replicò Goyle
“..7”
continuò, entusiasta Daphne.
“..6”
aggiunse Theo.
“…5”
esclamò Draco.
“…4”
mormorò Millicent.
“…3”
annunciò Blaise.
“…2”
esalò Pansy, eccitata.
“…1”
sussurrarono tutti i presenti, poi gridarono: “BUON
NATALE!!”
NdA: Cari lettori, come
promesso, ecco il secondo
Capitolo! Spero vi sia piaciuto! Ci vediamo Domenica prossima con Lo
Spirito
Del Natale Presente!