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Autore: Lacus Clyne    09/12/2013    3 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a tutti! Come state, amici? Io male, ma eccomi qui! Allora, intanto ho un piccolo avviso: siccome ho un po' di cose da organizzare, cercherò di pubblicare il lunedì (mattina/sera, dipende), almeno per un po'... niente, che dire? Aurore e il suo epic plan per salvare Damien... ma cosa troverà la nostra eroina nella residenza Dobrée? Preparatevi perché questa parte sarà lunga, MOLTO, davvero MOLTO forte, e... forse solo per Damien? Chi lo sa! Certo è che la vita di Aurore sta per cambiare... di nuovo. Ringrazio i miei carissimi recensori e chi ha aggiunto la storia alle seguite/preferite! Silenziosi, fatevi sentire, non mangio, eh? Cioè, oggi mangerei qualcuno... anzi no, mangiare no, dare in pasto a certe pantere sì, però... mi manca il mio Jack!! ;__________; Let's begin! Alla prossima e buona lettura! :)

 

 

 

 

 

Era notte fonda quando, aiutata dai ragazzi di Ruben, raggiunsi la residenza di Adamantio della famiglia Dobrée. Avevamo scelto di muoverci nell’oscurità più completa per evitare di essere scoperti e almeno fino a quel momento, ci eravamo riusciti. Dopo la cerimonia del giorno precedente, la vita nella capitale aveva ripreso a scorrere normalmente, sebbene si potesse respirare nell’aria una rinnovata speranza, data dalla Croix du Lac che si era mostrata, finalmente. Ma chi conosceva la verità era ben attento alle proprie mosse.

- Per l’ultima volta, siete sicura di volerlo fare davvero?

Domandò Einer, nel porgermi le mani per aiutarmi a scavalcare il muro. Più o meno, era la trentesima volta che mi si poneva quella domanda. Alla fine, però, era stata la stessa Violet a darmi coraggio e il benestare per intraprendere quella missione.

- Certo!

Esclamai, salendo sulla scaletta improvvisata e scavalcando il muro. Per fortuna, non era poi così alto e mi venne piuttosto facile, grazie anche al mio spericolato senso dell’equilibrio. Ero sempre stata piuttosto brava in Educazione Fisica. Mi sedetti sul bordo, guardando i quattro che si erano posti a guardia.

- Fate attenzione, ragazzi…

Raccomandai loro. Eyde mi dette il suo ok, poi vidi Zarvos e Gourias osservare tutto intorno. Quei due erano piuttosto silenziosi, pensai tra me e me.

- E se doveste avere bisogno di noi, ricordate il campanellino.

- Va bene!

Confermai, controllando che il campanellino che mi aveva dato Rose come segnale fosse ancora lì. Poi, non appena ebbi la sicurezza che fosse tutto tranquillo anche nel parco, saltai giù, correndo verso il palazzo che si stagliava a circa un centinaio di metri da me.

Mentre correvo, prestando attenzione al gazebo in ferro che abbelliva la strada che conduceva alla residenza, col cuore in gola al pensiero che oramai pochi metri mi dividevano da Damien, mi ritrovai a ricordare il nostro primo incontro.

Fu proprio il primo giorno di scuola, a Darlington. L’anno scolastico era cominciato da poco e noi ci eravamo trasferiti solo da un paio di giorni in quella nuova cittadina. Ero così felice, con indosso la mia nuova, stupenda uniforme. Evan era il solito morto di sonno, persino quella mattina. A furia di cambiare scuola, aveva perso perfino l’entusiasmo del primo, fatidico giorno. E così, a causa sua, avevamo fatto tardi. Varcato il cancello, vidi l’edificio scolastico più bello tra tutti quelli che avevo visto fino a quel momento, con un parco grande e ben curato, tagliato all’inglese e con siepi che facevano da contorno agli alberi di pesco. La struttura, costruita con mattoni rossi e bianchi, aveva dei lunghi colonnati lungo le ali laterali e delle torri che supportavano l’entrata principale, preceduta da una breve scalinata in pietra. E quello era il liceo di Darlington, classico così come quella stupenda cittadina. Evan e io ci separammo poco dopo aver preso le mappe della scuola e gli orari delle lezioni. Lui aveva Storia, e allora ancora non sapevo che il suo professore era Leonard Warren, mentre io avevo Letteratura Inglese. Cercai di raccapezzarmi nello studiare la mappa, ma per quanto elegante, quella scuola sembrava un labirinto, la prima volta. Avevo capito che i diversi anni erano smistati in base ai piani e avevo felicemente raggiunto il primo, ma non trovavo la mia aula. Per giunta, la scuola offriva diversi indirizzi, dunque le cose si complicavano. Dal momento che non c’era nessuno all’orizzonte in grado di aiutarmi e le lancette dell’orologio continuavano a scandire il ritardo, provai a raggiungere il terzo piano, sperando che a Evan fosse andata meglio. Poco male, quando lo vidi nell’atto di bussare, per poi ripensarci nel rendersi conto a sua volta che era tardi, lo raggiunsi.

- Non entri?

Domandai.

- Credo sia meglio aspettare la prossima ora. A quanto pare sono nel bel mezzo di una spiegazione.

Prestai orecchio e sentii per la prima volta la voce, sebbene ancora poco riconoscibile, del professor Warren, impiegato nella spiegazione della guerra di secessione. Guardai mio fratello.

- Io non riesco a trovare la mia aula… e non c’è nessuno che possa aiutarmi…

Confessai, colpevole. Evan mi accarezzò la testa.

- Andiamo, la cerchiamo insieme.

Annuii, ma mentre stavamo per imboccare la scala per tornare al primo piano, ci ritrovammo davanti Damien, che saliva. Fu la prima volta che vidi quel ragazzo. Diversamente da mio fratello, che portava spesso la cravatta allentata, Damien era molto attento al portamento. Nel vederci, affilò lo sguardo. Per un attimo ebbi quasi la sensazione che ci avesse già visti prima, ma ero sicura di non aver incrociato nessuno nei corridoi. Forse stava tornando dal bagno.

- Scusa, puoi indicarci la IC?

Chiesi.

- Siamo nuovi, e io mi sono persa…

Confessai, ignara di avere davanti a me il temutissimo e rispettato despota del liceo di Darlington. Damien affilò lo sguardo ed ebbi l’impressione che sogghignasse.

- Siete nuovi e tu ti sei persa. Come vi chiamate?

- Io sono Aurore Kensington! E lui è mio fratello Evan!

Esclamai, facendo le presentazioni. Damien salì di qualche gradino. Era davvero molto carino, con quegli occhi di smeraldo e quei capelli castani che gli incorniciavano l’ovale del viso.

- Kensington, eh? Siete inglesi?

Prima che rispondessi, Evan si rivolse seccato verso Damien.

- Non credi di essere un po’ troppo curioso? Siamo già in ritardo e non vorrei che mia sorella perdesse il resto dell’ora.

Disse. Damien inarcò il sopracciglio, sogghignando ancor di più.

- Oh. Senti senti. Rigirando la tua domanda… non credi di essere un po’ troppo grande per fare da balia a tua sorella?

Avvampai nel sentire quelle parole. Evan che mi faceva da balia? Ma chi diavolo era quel tizio? Di colpo, il fatto che fosse un bel ragazzo passò in secondo piano. Arrogante, presuntuoso sputasentenze che non sapeva un accidente di noi.

- Che diam---

Anche stavolta non potei rispondere, perché Evan tramutò tutto di botto la sua espressione in una maschera gelida. Se c’era una cosa che mio fratello odiava era che si criticasse senza ragione. E quel ragazzo gli aveva appena fornito un’eccellente occasione.

- Non osare nemmeno azzardarti a pronunciare un’altra mezza sillaba su di noi. Non ci conosci e noi non siamo interessati a conoscere te. Quindi, gira al largo e lasciaci in pace.

Poi Evan mi prese per mano e scendemmo velocemente le scale. Mi voltai appena per vedere quel ragazzo che sulle scale, si era voltato a sua volta e ci guardava, con sguardo acuto e pungente. Solo dopo scoprii chi era e cosa significava mettersi contro di lui. Ma anche cosa significava averlo dalla propria parte e sentirne la mancanza, forte al punto da decidere di avventurarsi nel cuore della notte in un luogo che nemmeno si conosceva, pur di ritrovarlo.

Damien, dove sei?, mi domandai, quando finalmente raggiunsi il palazzo Dobrée. Alzai lo sguardo, puntando le finestre. Ricordai che a palazzo Trenchard, Damien aveva avuto le stanze che davano sul cortile interno della residenza. Chissà se aveva mantenuto quella stessa disposizione anche in quel caso. Poi, sentii d’improvviso una finestra aprirsi. Scorsi la luce che illuminava il balcone al secondo piano, con una cascata di fiori notturni che lo addobbava. Mi nascosi dietro a un cespuglio, proprio in direzione del balcone, sperando che qualcuno uscisse. Poco dopo, sentii ridere e vidi Amelia Dobrée affacciarsi. Indossava una sottoveste rosa chiaro, e aveva i lunghi capelli castani sciolti. Pochi istanti e vidi anche un uomo uscire con lei, ridendo e porgendole due calici. Sospirai, senza rendermi conto che avevo trattenuto il fiato fino a quel momento. E poi passai oltre, raggiungendo un reticolato di rampicanti che saliva per diversi metri. Toccai i fiori che creavano disegni dalle forme più disparate, pensando al tatuaggio che spiccava sul braccio di Arabella, poi sollevai lo sguardo. C’era un altro balcone, accanto a una finestra aperta proprio vicino ai rampicanti, al primo piano. Pensai che potesse essere la finestra di un corridoio, così decisi di salirci. Certo, era davvero strano che non vi fosse sorveglianza, ma a parte le guardie personali, non avevo mai avuto modo di vedere alcun tipo di controllo nelle residenze.

- Ok, diamoci da fare…

Mi arrampicai facendo attenzione a non fare troppo rumore e a dove mettessi i piedi. In più di un’occasione, finii col graffiarmi, ma non ci feci caso. Dovevo raggiungere Damien e qualche graffio era il rischio minimo. Quando finalmente salii sul balcone, mi accorsi che la finestra era poco più lontana di quanto avessi calcolato. Il buio aveva falsato la misura e provare a raggiungerla non mi sembrò affatto una buona idea. Guardai dal balcone, notando le case che si intravedevano in lontananza e il bellissimo panorama del parco notturno.

- E adesso dove vado?

Mi voltai verso la porta-finestra che dava sul balcone e ci posai la mano.

- Oh Damien… dove sei finito?

Sussurrai. Spinsi appena appena la porta di vetro e notai che non era chiusa. Presi fiato e coraggio, pensando a quell’occasione e mi affacciai piano piano, oltrepassando le cortine che coprivano la porta. E fui dentro la stanza, trovandola vuota. C’erano una scrivania, con dei fogli appoggiati sopra, degli abiti poggiati sulla poltrona accanto al letto, che faceva pendant con altre tre, tutte poste ai quattro angoli, mentre il letto stesso, pieno di cuscini dorati, era disfatto. Sul muro, proprio sopra al giaciglio, c’erano due lanterne che emanavano una luce soffusa, impossibile da vedere dall’esterno. Mi avvicinai agli abiti, raccogliendo una camicia scura. E non appena la avvicinai a me, sentii la fragranza di Damien. Mi ritrovai a singhiozzare prima ancora di rendermene conto. E non seppi nemmeno quante volte ringraziai Dio perché era lì, da qualche parte, vivo.

- Damien…

Mormorai, inebriandomi del suo profumo.

- … sì?

Nell’istante stesso in cui sentii la voce alle mie spalle, cessai di compiere qualunque azione umana legata all’istinto di sopravvivenza: respirare, pensare, agire. In quel momento, il mio cervello era totalmente scollegato dal resto del corpo, che per quanto mi riguardava, rispondeva solo all’emozione suscitata da quella voce sorpresa. Tu-TumTu-Tum… a quanto stava battendo il mio cuore? Forte, piano, forse non batteva nemmeno? Non sapevo nemmeno cosa fosse giusto dire una volta che mi fossi voltata. D’improvviso, compresi cosa volesse dire essere innamorata. E mi ricordai della mamma, quando le chiesi, per la prima volta, cosa significasse amare qualcuno. “E’ come essere privati della propria anima e al tempo stesso, come averne acquistata una doppia. All’improvviso ti senti mancare la terra sotto ai piedi. E il cuore va per conto suo. Ti si offusca la mente e non riesci nemmeno a pensare lucidamente. E’ come se tutto ciò che sei si annullasse in un istante, per poi ritornare più forte di prima e farti impazzire di gioia non appena la persona che ami ti stringe forte a sé”, mi aveva spiegato. E io non avevo mai provato niente di tutto quello, prima di quel momento. Sentii le lacrime pungermi gli occhi e bagnare le mie mani e mi concentrai, per quanto possibile, sul respiro di Damien alle mie spalle. E quando finalmente fui in grado di connettere di nuovo, mi voltai e lo vidi. Vidi quell’ovale di porcellana appena illuminato dalle luci soffuse. Lo smeraldo nei suoi occhi era più scuro, data la poca luce, ma ciononostante, era quello che conoscevo. Sollevai la mano verso la sua guancia, così come aveva fatto lui con me, la notte alla residenza Devereaux. E percorsi il profilo dritto della mascella arrivando sino alle labbra piene. E poi, quando la sua vista si confuse, velata dalle mie lacrime ormai irrefrenabili, lo strinsi forte, come mai avevo fatto prima di quel momento, impregnandone la casacca chiara. E capii cosa volesse dire mia madre. Piansi, appoggiata al suo petto caldo, ascoltando il battito del suo cuore, piansi di gioia e di felicità. E mi resi conto che lo amavo.

- Mi dispiace tanto, Damien! Non dovevo dirti tutte quelle cose… sono stata davvero ingiusta con te e adesso… ecco, se fossi arrabbiato con me lo capisco… ho infranto la nostra promessa e… e…

Mentre farfugliavo quella quantomai confusa spiegazione, sentii le sue mani accarezzarmi i capelli e mi si mozzò il respiro. Sollevai lo sguardo, mentre mi fissava.

- Damien…

Mi accarezzò il viso con la punta delle dita, poi scese, raccogliendo tra quelle stesse dita il ciondolo che portavo al collo.

- Aurore.

Che strana sensazione sentirlo pronunciare il mio nome con un tono tanto cantilenante. Eppure, quando vidi comparire il ghigno che avevo visto la prima volta che l’avevo incontrato a scuola, qualcosa, in quell’idillio, si spezzò. E quando l’altra mano mi attirò con forza al suo viso e le sue labbra furono sulle mie, impetuose e maliziose, capii che ero in un incubo.

- Evan, hai mai baciato una ragazza?

Ricordai di averlo chiesto a mio fratello una volta. Stava giocando ad Assassin’s Creed, seduto sul divano angolare a quattro posti grigio, nel nostro salotto. Il telecomando gli cadde di mano mentre Desmond era nel bel mezzo dell’esplorazione dei ricordi di Ezio Auditore.

- Che domande fai tutto d’un tratto?

Mi domandò, sconvolto.

- Che c’è di strano? Sono solo curiosa…

Avevo quasi quattordici anni allora. Evan mise in pausa il gioco, poi si voltò verso di me, con sguardo indagatore.

- Cosa mi nascondi, Aurore?

Mi imbronciai. Doveva sempre pensare male.

- Niente, è solo una domanda… è che insomma… non ho mai visto la mamma baciare nessuno e non so se sia una buona idea chiederglielo…

- Lascia stare, meglio di no…

- Meglio di no cosa?

Ci fece eco la mamma, facendoci trasalire. Non l’avevamo sentita rincasare e per giunta, in mano aveva diverse buste della spesa.

- Niente, mamma!

Si affrettò a dire Evan. Ma per quanto mio fratello potesse essere indagatore, nulla poteva contro Celia Kensington, soprattutto quando inarcava il sopracciglio biondo.

- Vediamo. Non c’è nessun compleanno in programma, dunque è escluso che stiate complottando per qualcosa del genere. Considerando che non ci sono strani odori, non avete né bruciato qualcosa né distrutto degli elettrodomestici. Già, è tutto a posto. Quindi… rimane la scuola. Sono le 18:45 e non avete alcun compito davanti. Questo significa che avete già finito e se ci fosse stato qualche problema a scuola, conoscendovi, non avreste aspettato così tanto per confabularne. Ci sono, problemi di cuore!

Evan diventò rosso come un peperone e io battei le mani.

- Esatto, mamma! Evan non mi vuole dire come si b---

- Zitta!

Esclamò mio fratello, tappandomi la bocca.

- Lasciala perdere, mamma… eh?

La mamma sorrise così candidamente che sentii Evan sudare freddo, anche dopo aver sciolto la presa su di me.

- Dicevi, cara?

Mi chiese. Quando mi ricomposi, continuai la mia ricerca.

- Ho chiesto a Evan se ha mai baciato una ragazza!

Esclamai, innocentemente. La mamma si accese di curiosità.

- Oh, questa mi piace. Brava Aurore, è un’ottima domanda.

Mi disse, facendomi l’occhiolino.

- Smettetela, voi due!

Esclamò Evan, più imbarazzato che mai.

- Secondo me se arrossisce così è un sì… ma non capisco perché non voglia dirmelo… che c’è di strano?

Domandai alla mamma. Lei rimase per qualche istante a riflettere sulla mia domanda, poi guardò Evan che, mi accorsi, gesticolava come un addetto all’atterraggio degli aerei sulla pista di una nave ammiraglia. Li guardai perplessa, incapace di capire cosa potesse significare e perché mio fratello, che era sempre così controllato, sembrava così a disagio. Poi la mamma sorrise, lasciando le buste e raggiungendoci, sedendosi accanto a noi e abbracciandomi.

- Cosa vuoi sapere, tesoro?

Mi domandò, dolcemente.

- Ecco… mi piacerebbe tanto sapere come si bacia qualcuno…

La mamma mi guardò stupita, poi si mise a ridere, mentre Evan esalò ufficialmente l’ultimo respiro.

- Beh… non è una cosa che si possa spiegare… o meglio, non ci sono delle tecniche. Viene da dentro, è uno slancio, fondamentalmente. Quando qualcuno ti piace davvero tanto, quando ne sei innamorata, è uno dei gesti più naturali che si possano fare. E quando le labbra si incontrano… beh, diciamo che quando accadrà, saprai già da te come fare.

Sorrise sorniona, mentre mi accarezzava i capelli.

- Perchè volevi saperlo?

- Beh… perché alcune mie compagne hanno già dato il loro primo bacio…

- E tu non vuoi essere impreparata?

Annuii, convinta.

- Tesoro mio, accadrà quando incontrerai la persona giusta. Non avere fretta.

Allora la abbracciai forte e le scoccai un bacio sulla guancia. Mi guardò teneramente.

- Mamma, quanti anni avevi quando hai dato il tuo primo bacio?

Ci pensò, rimanendo in silenzio per qualche secondo. Immaginai che probabilmente stava ricordando quel momento, e vidi il solito antico velo di tristezza nei suoi occhi. Capii allora che doveva essere stato con papà.

- Mamma… non fa niente!

Lei mi strinse forte a sé.

- Avevo sedici anni. E fu il primo, meraviglioso gesto che venne da me e da tuo padre…

Sorrisi, quando anche lei lo fece. Ero così felice che mi avesse aperto il suo cuore, che quasi mi ero scordata di Evan.

- Evan?

- Oh…

La mamma si voltò a guardarlo, poi si mise a ridere.

- Sembra proprio che tuo fratello sia rimasto ancora a quand’era bambino su certe cose.

- Mamma, dacci un taglio…

- Dimmi, tesoro. Lo preferisci netto o seghettato?

E l’urlo terrorizzato di Evan pose fine a quel momento di ricerca sul tema bacio.

Lo schiocco secco della mia mano aperta sulla guancia di Damien mi riportò improvvisamente alla realtà. Mi scostai, portando le dita tremanti alle labbra. Il mio primo bacio… a Boer ci era andato così vicino, e nonostante ci fosse tensione, era tutto così perfetto… e adesso, invece, le sue labbra mi avevano rubato quel bacio con tanta arroganza al punto da non riuscire nemmeno a credere che fosse stato proprio lui a farlo. Mossi qualche passo indietro, rendendomi conto di stare tremando come una foglia.

- Che c’è? Non credevo fossi ritrosa a tal punto, Lady dell’ametista.

Disse, così malevolo che stentai a credere alle mie orecchie. Deglutii, sentendo le labbra ancora pulsanti sotto ai polpastrelli.

- C-Chi diavolo sei tu?

Domandai, tutto d’un fiato. Damien spalancò gli occhi, meravigliato.

- Mi sembra che tu sappia già chi sono, dal momento che mi hai chiamato per nome e mi hai trattato come se fossimo conoscenti di vecchia data.

Cercai di replicare, ma non riuscivo a capire cosa diamine stesse dicendo.

- Tu non sei Damien… no, è impossibile. Damien non avrebbe mai fatto una cosa del genere… eppure, sei identico a lui… ma no… no, non può essere… non capisco…

Misi le mani in testa, sperando che il mio cervello si decidesse a tornare a funzionare decentemente. Calma, Aurore, pensa. Lui si mise a ridere, divertito. Lo guardai in tralice.

- Amelia mi aveva detto che la nuova Lady dell’ametista era un tipo particolare. Che c’è? Non dirmi che non hai mai baciato nessuno prima d’ora. E’ alquanto triste.

Disse, maliziosamente.

- Ti ha dato forse di volta il cervello?!

Replicai, incredula per quello che stavo sentendo. Sì, non c’era altra spiegazione. Damien era impazzito. Il suo sguardo si fece acuto e mi afferrò fulmineamente per il polso, stringendo fino a farmi male.

- Ahi! Lasciami, Damien!

Esclamai. Ma lui non lo fece. Al contrario, mi sollevò il viso con l’indice della mano libera, puntando i suoi occhi verdi nei miei. Il cuore mi tradì, prendendo a battere forte. Nonostante tutto, l’effetto che Damien aveva su di me non era cambiato e anzi, era quasi amplificato, in un certo senso.

- Forse dovrei darti qualche lezione … si dà il caso che sia piuttosto bravo come insegnante.

Sgranai gli occhi ripensando al sit-in di studio a casa di Violet. Quella volta, mi ero stupita di quanto fosse in gamba. Ma in questo caso, ero più che sicura che non fossero materie scolastiche quelle che aveva in mente di insegnarmi. Cercai di scostarmi, ma la sua presa si fece più ferrea. E poi, mi vennero in mente le parole che Violet mi aveva detto su di lui. Dongiovanni, l’aveva chiamato.

- Dongiovanni un corno… razza di pervertito, che accidenti hai in testa, Warren?!

Vidi la sua bocca aprirsi in una muta esclamazione, e a giudicare dalla sua espressione del tutto esterrefatta, cercai di immaginare cosa gli fosse stato fatto. Il lavaggio del cervello mi sembrò l’ipotesi più plausibile. Allentò appena la presa e io continuai.

- Hai dimenticato chi sei? Ti ho sentito sul sagrato della cattedrale… Damien Ealing! Il solo Damien che conosco è Damien Warren, il despota del liceo di Darlington, il fratello maggiore di Jamie! Il… il mio… Damien…

Feci uno sforzo enorme per ricacciare indietro le lacrime e il magone, ma lui sembrava incredulo tanto quanto lo ero io nel dirlo.

- Warren? Liceo di Darlington? Jamie? Non ho idea di cosa tu stia dicendo.

Mollò la presa, lasciandomi libera e potei vedere i segni delle sue dita sul mio polso indolenzito.

- Non so cosa ti abbiano fatto, Damien… ma tu non sei la persona che ti hanno detto di essere. Il tuo nome è Damien Warren e noi siamo arrivati insieme in questo mondo! Ti prego, cerca di ricordare… non puoi aver dimenticato tutto! E poi, mi hai riconosciuta, sono Aurore…

- La Lady dell’ametista.

Mi fece eco.

- Lascia stare, non ha importanza! Ricordi cos’è successo a Wiesen?! Noi due eravamo insieme e siamo caduti nella trappola di Livia… e poi, poi io ti ho lasciato indietro…

Abbassai lo sguardo, vergognandomi per quello che avevo fatto. Lord Oliphant aveva ragione quando mi aveva detto di pensare alle conseguenze delle mie azioni. E rialzai gli occhi verso di lui, che continuava a guardarmi come se stessi parlando in una lingua straniera.

- Riprenditi, Damien, maledizione! Che diavolo ti hanno fatto?!

Urlai, e il grido di dolore si mischiò alle note alte della mia voce.

- Non ti hanno insegnato che non si urla nel cuore della notte?

Una voce femminile mi fece sobbalzare. Mi voltai di colpo e vidi Amelia sulla soglia della porta. Indossava ancora la sottoveste che ne metteva in luce il corpo sinuoso. Con disinvoltura, entrò nella stanza, giocando coi lunghi capelli castani. Alla sua vista, entrambe le pietre che portavamo al collo risplendettero.

- Ravviva quelle lanterne, per favore.

Disse, con voce gentile.

La guardai stupefatta, così come guardai Damien obbedire ciecamente a quella richiesta, per poi raggiungere e affiancare Amelia. Erano molto simili quei due, con gli stessi capelli castani e gli occhi verdi. Rose non si sbagliava quando diceva che entrambi si ricordavano l’un l’altra.

- Sei stata tu?

Domandai. Amelia ridacchiò, prendendo un ciuffo dei capelli ricci di Damien e avvolgendolo attorno all’indice.

- Damien, dimmi. E’ di tuo gradimento?

Domandò, ignorandomi. Sbuffai sgomenta.

- E’ bella, come dicevi. Ma non capisco per quale motivo sia convinta di avere a che fare con un certo Damien Warren. E poi… Warren? Questo nome somiglia a Warrenheim, pensandoci. Il che è un’offesa imperdonabile. Dimmi, è stato Lionhart Warrenheim a mandarti qui?

Chiese, accigliandosi.

- Niente affatto! Da quando in qua ti risulta che vada d’accordo con tuo pa---

Amelia richiamò la mia attenzione con un paio di colpetti di tosse.

- E’ opera tua, vero?! Che cosa gli hai fatto?!

- Dovresti lasciarci parlare un po’, mio caro.

Disse con voce suadente, accarezzando il viso di Damien.

- Cugina, non ho intenzione di lasciar correre!

- Cugina?!

Esclamai. Passasse il lavaggio del cervello, ma quello era troppo perfino per quanto potessi tollerare.

- Amelia!

Amelia Dobrée rise, poi mi rivolse un’occhiata di sfida, prima di tirare a sé il viso di Damien. Vidi rosso davanti ai miei occhi, quando quell’impudente lo baciò proprio dinnanzi a me, che mi ritrovai testimone di quella scena inaspettata. Sentii male al cuore, una fitta forte e penetrante, mentre Damien ricambiava quel bacio come se da esso dipendesse la sua capacità di respirare. E Amelia… La Lady dello smeraldo mi guardava con la coda dell’occhio, sfidandomi a reagire. Avrei potuto correre da loro, dividerli, ma ero paralizzata. Costretta, mio malgrado, ad assistere a quello spettacolo del tutto sbagliato.

- No… non baciarla così…

Mormorai appena, mentre una violenta ondata di dolore mi colpiva da dentro, irradiandosi in tutto il mio stesso corpo. Per la prima volta in vita mia, capii cosa fosse l’avere il cuore infranto. E se poco prima ero stata sul punto di impazzire per la gioia di avere ritrovato la persona che amavo, in quel momento, vedendo le labbra di Damien che cercavano fameliche quelle di Amelia, compresi cosa fossero la gelosia e il dolore della delusione. E non volevo provare anche quello. Poi, Amelia scansò Damien, che rimase con le labbra socchiuse, quasi a volerne ancora. Qualunque cosa lei gli avesse fatto, l’aveva trasformato nel suo burattino, pronto a eseguire ogni suo ordine. Era persino peggiore della Croix du Lac. Gli passò la mano tra i capelli, poi lo spinse via. Provai un istintiva sensazione d’odio nei confronti di quella ragazza e corsi verso Damien, che si appoggiò alla poltrona. Sembrava in trance, quasi catatonico.

- Damien?!

Esclamai, sorreggendolo. Mi rivolse uno sguardo vacuo, poi sorrise, per un istante, nel modo che conoscevo. Per un attimo pensai che mi avesse riconosciuta e gli sorrisi anch’io.

- Vattene. Non vali nemmeno come puttana.

Impallidii e rimasi col fiato mozzato. Quelle parole dette con tanta freddezza, ma più pesanti di un macigno, mi rimbombarono dentro alle orecchie, arrivando dritte fino al petto, pronte a sferrare l’ultimo colpo di piccone sul mio cuore che tanto era già stato martoriato. Un colpo di grazia sarebbe stata la giusta definizione, credo. Ma in quel momento, la sola cosa che riuscii a definire fu il vuoto che sentivo dentro. Era come se non ci fosse più nulla intorno. Non sentivo più nemmeno i miei stessi battiti, eppure, vedevo ancora chiaramente Damien ridacchiare follemente davanti a me, anche quando mi allontanai da lui. Avevo l’impressione di essere prigioniera nel mio stesso corpo. Amelia mi fece segno di uscire da quelle stanze maledette, e obbedii, del tutto incapace di reagire. Solo quando chiuse la pesante porta dietro di lei e quando non sentii più, almeno fisicamente, la risata spietata di Damien, mentre la devastazione faceva terra bruciata tutto intorno, annientando ogni mia speranza, Amelia mi portò in un piccolo salone pieno di finestre, mostrandomi l’ennesimo quadro di famiglia. Solo che in quel caso, accanto al quadro dei Dobrée, ce n’era uno più piccolo, a cui inizialmente non prestai attenzione. Guardai distrattamente, quasi incapace di focalizzare, i genitori di Amelia, con lei molto piccola. Aveva sin da allora uno sguardo attento e perspicace, molto meno spontaneo rispetto persino a quello di Livia. Poi, vidi il quadro più piccolo. Vi era ritratta una donna dai capelli castano scuro, quasi neri, acconciati in una lunga treccia molto morbida. Aveva dei grandi occhi verde acqua, cangianti, identici a quelli di Damien e del piccolo Jamie. C’era così tanta serenità sul suo viso. Sorrideva, stringendo tra le braccia un bambino di appena pochi mesi. Notai poi che lo stile dei due quadri era differente. Il grande ritratto della famiglia Dobrée era sicuramente opera di Grace Lantis, mentre il piccolo era meno dettagliato, ma al tempo stesso, prestava più attenzione ai soggetti. Guardai il bambino in braccio alla donna, coi pugnetti stretti, i ciuffi castani che incorniciavano quel visino ancora tondo, immerso nell’incoscienza dei primi mesi.

- Quelli sono…

Mormorai.

- Grace. La donna amata da mio zio, William Ealing. E quel bambino è il figlio nato dalla loro unione. Damien.

Come potevo dubitare davanti a quell’evidenza?

- Spiegami com’è possibile…

Dissi, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal quadro.

Amelia scrollò le spalle e giocò con una lunga sciocca di capelli.

- Hai forse bisogno che ti spieghi come nascono i bambini? Non mi stupisce che Damien ti abbia stroncata, se non conosci nemmeno i gesti più ovvi.

Punta nell’orgoglio, mi voltai verso di lei, di scatto, afferrandola per le spalle. Amelia mi guardò stupita, poi sorrise.

- Ti dà fastidio, eh? Già. L’idea che il tuo Damien desideri un’altra ti fa ribollire il sangue nelle vene, non è così? Ebbene, lascia che ti riveli un piccolo segreto, mia cara.

Arricciò le labbra, avvicinandole al mio orecchio. Il suo respiro era controllato e la sentii ridere sommessamente, poi parlò con voce bassa e suadente.

- Non appena Damien salirà su quel trono maledetto, io lo sposerò e insieme ridaremo lustro a Dourand. Nel corso degli anni, mio padre, Nevius Dobrée, ha fatto di tutto per risollevare le sorti della nostra terra e degli Ealing. Sposando mia madre, la sorella maggiore di William, pensava di riuscire a ottenere potere sufficiente per riuscire nel suo intento. Ma mia madre era una povera sciocca, al pari del fratello. Troppo idealismo e poche azioni. Ma io sono diversa da loro. In questo mondo, devi agire se vuoi ottenere qualcosa. Devi essere pronta a tutto, anche a scendere a compromessi. Dimmi, Aurore. Rivorresti Damien?

Le code dei nostri occhi si incrociarono.

- Secondo te?

Amelia si avvicinò ancora, pericolosamente. Strinsi la presa, sperando di farle male, ma non dette alcun cenno di reazione.

- Non mi hai risposto. Cosa saresti disposta a fare per lui? Se ti dessi la possibilità…

Dal tono, immaginai che mi stesse proponendo una sorta di patto. Ma quella ragazza era pericolosa e non potevo certo fidarmi di lei. Possedeva astuzia e sadismo, un connubio alquanto letale.

- Sarei disposta a ucciderti, se questo servisse a riaverlo.

Dissi, memore di ciò che mi aveva detto l’anziano nella residenza Valdes. Secondo lui, sarei stata pronta a tutto per i miei cari, proprio come mio padre. E in quel momento, presi coscienza del fatto che quell’uomo aveva ragione. Amelia si mise a ridere.

- Non ne saresti in grado nemmeno se ti mettessi una spada in mano. Sei troppo pura, Aurore.

- Sfidami, allora.

Replicai, seccamente.

Il suo sguardo si accese di curiosità, poi mi afferrò i polsi, scrollandosi dalla mia presa. Fu rapida e forte, più di quanto potessi immaginare, nello sbattermi con le spalle al muro, vicino al quadro di Grace. Imprecai, cercando di divincolarmi, ma la sua forza era maggiore della mia, a dispetto del fisico apparentemente esile. Mi fissava interessata, e quello sguardo mi risvegliò, in un certo senso, da quella sorta di torpore in cui ero quasi scivolata, dopo le parole di Damien.

- Cosa potrei fare con te? Consegnarti a Liger, sperando che questo velocizzi la questione aperta sulla discendenza degli Ealing… ma certo, potrei farlo, ma voglio divertirmi un po’.

Consegnarmi a Liger come pegno era la scorciatoia ideale per risolvere i suoi problemi. Ad Amelia non importava niente del mio eventuale coinvolgimento con le famiglie Trenchard e Cartwright. La sola cosa che le interessava era ottenere il trono di Adamantio.

- Dimmi cos’hai fatto a Damien, prima!

Esclamai. Lei puntò i suoi occhi di smeraldo nei miei.

- Se me lo domandi, immagino che tu non conosca a pieno tutti i poteri delle gemme che portiamo al collo.

- Che vuoi dire?

Amber mi aveva spiegato che potevano fungere da chiavi per aprire nuovi portali e come mezzi di comunicazione, ma al di là di quello, non comprendevo il legame con quello che era successo a Damien.

- Beh… diciamo che ho soltanto sbloccato i suoi ricordi originali.

- Stai mentendo!

Mi affrettai a rispondere. Amelia si incupì. Evidentemente, essere contraddetta non le piaceva.

- Hai ancora dubbi a riguardo? La persona che conosci come Damien Warren è esistita sol perché Lord Warrenheim ha sposato Grace, dal momento che questa non poteva coronare il suo sogno d’amore con mio zio, e ha cresciuto quel bambino. Ma che ti piaccia o no, il suo vero nome è Damien Ealing e sarà il prossimo Despota. Una volta tolti di mezzo Warrenheim e quel ragazzino, sarà un gioco da ragazzi. Né Cartwright né Vanbrugh hanno le capacità per diventare Despota. Il solo che può riuscirci è Damien.

Inorridii nel sentire quelle parole, pronunciate con tanto ardore e convincimento.

- Quel ragazzino, come l’hai chiamato, è il fratellino di Damien! E lui non ci rinuncerà mai, qualunque cosa tu gli abbia fatto!

Amelia si mise a ridere.

- Non credi che l’abbia già fatto? Lui odia Warrenheim da così tanto tempo… non dirmi che non te n’eri mai accorta.

Sì che l’avevo fatto. Me n’ero resa conto già da prima di recarci in quel mondo. Ma questo non bastava a giustificare l’atteggiamento di Amelia.

- Anche se lui odiasse suo padre al punto da scegliere di essere un’altra persona, i sentimenti per il suo fratellino non cambieranno mai.

Così come accadeva a me ed Evan. Nonostante avessi scoperto così tanto sulla nostra storia, mio fratello rimaneva per me un punto fermo.

- Sei così convinta di ciò che dici… eppure, è servito più tempo per lavorare sui ricordi che ti riguardano che su quelli di Jamie. Pare proprio che Damien ti volesse molto bene. Dovevi vedere in che modo combatteva per trattenere dentro di sé quei ricordi.

Scoppiò a ridere, sadicamente, mentre lo shock mi scuoteva dalla testa ai piedi.

- Maledetta…

- Eh?

Affilò lo sguardo, poi lasciò la presa ferrea sui miei polsi, liberandomi, per poi scaraventarmi a qualche passo di distanza. Si allontanò di poco.

- Aurore, Aurore. Fammi divertire, Lady dell’ametista.

Premette un interruttore e il palazzo si illuminò. Tutte le lanterne si ravvivarono all’istante, e quasi rimasi accecata dall’intensità della luce, al punto da dovermi parare gli occhi. Amelia alzò la voce, che risuonò nei corridoi della residenza.

- La caccia al coniglio lilla è iniziata! Chiunque lo catturerà, lo potrà possedere.

La guardai sgomenta, quando i miei occhi si riabituarono alla luminosità.

- Che vuol dire?!

Amelia scoppiò a ridere.

- Faresti meglio a correre, al posto di fare domande.

Mi consigliò, dai corridoi attigui sbucava il personale della residenza. Deglutii meccanicamente, quando mi resi conto di cosa aveva in mente. Il coniglio lilla ero io. Col cuore in gola le rivolsi un ultimo sguardo.

- Non finisce qui, Amelia. Ti pentirai di quello che hai fatto a Damien.

Lei mi rivolse un largo sorriso, poi la sua espressione si fece truce, a tratti spaventosa, in un modo che mi ricordò Livia, ma terribilmente più consapevole. Livia era pur sempre una ragazzina. Amelia era una giovane donna che agiva con cognizione di causa.

- Corri, coniglietto.

Lo feci. Corsi per i corridoi infiniti e labirintici del palazzo Dobrée. In realtà non sapevo nemmeno dove dovessi andare, nè dove sarei sbucata. Ogni qualvolta incrociavo la servitù, cambiavo strada. Corsi a lungo, cercando persino di nascondermi nelle stanze, che purtroppo per me, trovai chiuse. Amelia stava progettando già da un po’ questo gioco malefico, evidentemente, e mentre cambiavo direzione, salendo le scale, mi ritrovai a pensare a come avesse potuto sapere della mia presenza lì, proprio in quel momento. Guardai istintivamente la mia ametista, riflettendo sui poteri che le pietre stesse avevano. Aiutami…, pensai tra me e me. L’ametista brillò, rispondendo alla mia richiesta, indicandomi un luogo scuro. Mi ci infilai. Era una sorta di intercapedine. Smise di brillare non appena mi fui nascosta, e sentii ben presto le voci e i passi degli uomini che mi cercavano. Feci uno sforzo enorme per trattenere il fiato, sebbene avessi la paura che il battito accelerato del mio cuore mi tradisse. Quando non sentii più nessuno, uscii da quel rifugio momentaneo, raggiungendo il fondo del corridoio, sulla cui parete si apriva una finestra.

- Dannazione… sembra proprio che di qui non si vada oltre…

Mormorai, sovrappensiero, mentre mi affacciavo alla finestra.

- Aurore.

La voce di Damien alle mie spalle mi fece trasalire. Mi voltai di colpo, terrorizzata. Il ricordo delle sue parole era così forte che mi scrollò di dosso l’esitazione, e cercai di sfuggirgli. Ma fu più forte e mi afferrò per il polso, torcendomi il braccio dietro la schiena. Urlai di dolore, ma a lui sembrava non importare. Sentii il suo respiro incalzante sul collo, mentre con la mano libera mi sollevava il viso, costringendomi a guardarlo. Smettila di guardarmi così… smettila, Damien! Svegliati, per favore!!

- Per quale motivo mi hai chiamato Warren, prima?

Mi domandò.

- Eh?

- Rispondimi!

Sentimmo dei passi in lontananza farsi sempre più forti, e Damien mollò la presa, afferrandomi la mano.

- Dannazione.

Esclamò, per poi portarmi con sé su per le scale fino a giungere in cima alla torretta est del palazzo. Quando vi fummo giunti, chiuse il portone dietro di noi e si voltò a guardarmi.

- Adesso rispondi alla mia domanda.

Ordinò, con voce fredda.

Mi ritrovai a tremare, non so se più per la paura o per la tensione, soprattutto quando lo vidi raggiungermi fino a fermarsi a due passi appena da me. Amelia non poteva aver mentito, ma al tempo stesso, io sapevo che tutto ciò che lui era stato prima di scoprire chi fosse davvero, non poteva essere una menzogna a sua volta.

- Damien Warren… il despota del liceo di Darlington…

- Ancora con questa storia.

Scrollò la testa, portando la mano tra i capelli castani ribelli. Era come se stesse combattendo con qualcosa, dentro di sé. Forse, non aveva perso del tutto i suoi ricordi. Come quelli originali, che erano stati sbloccati da Amelia, forse quelli che riguardavano la sua vita nel nostro mondo erano stati sigillati, da qualche parte. Mi avvicinai, posando la mano sul suo petto e sentendo la mia ametista pulsare. Mi guardò in tralice.

- Tu sei nato come Damien Ealing, in questo mondo. Ma sei cresciuto come Damien Warren, nel mondo della luce.

Dissi, semplicemente.

- Quell’abominio di Warrenheim ha sedotto mia madre e ci ha strappati alla nostra famiglia! Non mi piace essere associato a quel nome.

Nel sentirlo parlare in quel modo, così sprezzante e tanto freddo nei confronti del padre, realizzai che in fondo, l’odio per quell’uomo era rimasto costante.

- Ciononostante, Damien, tu hai un fratellino, che ami più di ogni altra cosa al mondo. Jamie…

- Il fantoccio di Warrenheim? Non ho legami con quel bastardo.

Sgranai gli occhi. Se si fosse sentito, probabilmente avrebbe rimpianto quella cattiveria.

- Non è così! Se sei venuto qui non è stato per scoprire chi eri, o almeno, non soltanto… la ragione prima è stata trovare tuo fratello, Damien! Non ti rendi conto che tutta questa furia ti sta accecando?! Ok, posso ammettere che tu sia sconvolto dall’aver scoperto la verità sulla tua famiglia, ma se c’è una cosa che so e su cui posso mettere la mano sul fuoco, è che tu daresti la vita per Jamie! E lui ti sta aspettando! Crede in te più di quanto tu immagini… ha fiducia in suo fratello e desidera riabbracciarlo il prima possibile! Tu almeno puoi ancora farlo…

Singhiozzai, mentre l’assenza di Evan si faceva risentire, costante a ricordarmi quanto mio fratello mi mancasse. Damien mi guardò. Il suo viso era un misto di emozioni. Era sconvolto, incredulo ed ero certa che dentro di sé, stesse continuando a lottare.

- Damien, ti prego, devi ricordare! Ricorda chi sei davvero!

Mi afferrò violentemente il polso, digrignando i denti. Aveva il fiato corto, tant’era angosciato. Sobbalzai, poi con la mano libera, gli accarezzai la guancia.

- Smettila... forse per l’altro Damien contavi qualcosa, ma per me…

- Sta’ zitto!

Esclamai, suscitandone la sorpresa.

- Tu conti per me… più di quanto immagini. Damien Warren, ti amo… ti amo più di quanto avessi mai immaginato possibile… e non rinuncerò a te sol perché una maledetta pietra ti ha sigillato i ricordi. Amelia può credere ciò che vuole, ma so che in fondo al cuore, in un angolo remoto, tu sai di cosa sto parlando e prima o poi, riuscirai a tornare il ragazzo di cui mi sono innamorata…

Addolcii la voce, senza rendermene nemmeno conto, e gli accarezzai le labbra, le stesse che mi avevano baciata a tradimento e che avevano baciato Amelia, poco prima. Damien mi sembrò improvvisamente così indifeso e fragile e desiderai proteggerlo, con tutta me stessa.

- Tu una volta mi hai detto che avevo gli occhi del colore dei lillà, un colore che non avevi mai visto prima. Sai, Damien… è stata la cosa più gentile e bella che potessi mai dirmi e non lo dimenticherò mai. Ti prego, cerca di ricordare…

La mia mano scivolò tra i suoi capelli scuri, e mi sollevai sulle punte, quanto più potei. E quando finalmente le nostre labbra si toccarono, in modo giusto, naturale, così come sarebbe dovuto essere, ci baciammo. Damien esitò per alcuni istanti, poi allentò la presa intorno al mio polso e la sua mano finì con l’incrociarsi alla mia. Con il braccio libero mi cinse la vita, trattenendomi contro il suo corpo. E per la prima volta, realizzai a pieno il senso delle parole della mamma. Le sue labbra erano così calde e morbide e si adattavano alle mie come se fossero nate per incontrarsi. Fu così dolce e intenso al tempo stesso che ebbi quasi la sensazione che intorno a noi, non ci fosse null’altro che non fossimo noi. Già… era come perdere la propria anima per poi acquistarne una doppia. Ed era squisitamente meraviglioso. Poi, dopo un tempo che non seppi nemmeno definire, tanto ero stordita da quel bacio, ci separammo. Riaprii gli occhi e così fece lui. Lo smeraldo e l’ametista insieme.

- Aurore…

Sussurrò, con voce stupita e tenera al tempo stesso.

Gli sorrisi, sentendo le guance caldissime. Avrei anche potuto avere la febbre, in quel momento.

Prima che dicesse qualunque cosa, tuttavia, sentimmo colpi provenire da dietro il grande portone.

- Ci hanno trovati!

Dissi, agitata. Damien mi spinse dietro di sé, poi corse al portone, cercando di bloccarlo.

- Non passeranno!

- Non puoi farcela, Damien!

- Scommettiamo?

Spinse il portone con tutta la forza che aveva dentro, ma non ci riuscì. La mia ametista prese a brillare con forza e la strinsi nel pugno, quando di colpo, vidi il portone spalancarsi e Damien scaraventato via, a pochi metri di distanza.

- Damien!

Urlai, correndo da lui, mentre Amelia e i suoi servi ci raggiungevano.

- Coniglietto, ti abbiamo trovato.

Canzonò Amelia.

Damien si tirò un po’ su, tenendo la mano sulla nuca.

- Stai bene?

- Secondo te?

Mi fece eco.

La Lady dello smeraldo ci guardò di sottecchi.

- Spero che ti sia divertita a credere di aver vinto, mia cara. Ma ti ricordo che Damien mi appartiene. Vieni da me, caro.

Disse, tendendogli la mano nivea.

Scossi la testa, stringendo la camicia di Damien, che si alzò.

- No, Damien, non farlo!

- Mh… in fondo ha ragione. Non farlo, sì… ho in mente un’idea migliore. Dal momento che hai catturato il coniglio lilla, puoi decidere cosa farne. Ho un suggerimento, però. La consegnerai a Liger, di persona, in modo da provare oltre ogni dubbio la tua fedeltà. Ops, non era un suggerimento. E’ un ordine.

Sgranai gli occhi, sconvolta. Damien si voltò a guardarmi e quando lo vidi tendere il braccio verso di me, capii che non aveva recuperato i ricordi. Era ancora al giogo di Amelia. Mi tirai indietro, correndo fino al muretto perimetrale.

- Vorresti gettarti di sotto come hai fatto a Boer? Peccato solo che non ci sia il canale a salvarti, stavolta.

Ridacchiò Amelia, incrociando le braccia.

Deglutii. Aveva ragione, ma non sapevo davvero come sfuggire a quella situazione. E quando vidi quegli uomini avvicinarsi, mi accucciai, terrorizzata. D’improvviso, in mezzo a quel vociare, sentii un tintinnio.

- Il campanellino!

Esclamai, ricordandomi tutto d’un tratto che Rose mi aveva dato quell’oggettino per le emergenze. Pensai che fosse stata provvidenziale e cercai di tenere a mente di ringraziarla se fossi sopravvissuta, poi lo presi dalla tasca, facendolo suonare.

Amelia rise, divertita.

- Cosa credi che possa fare un campanellino? Damien, prendila. Mi sono stancata di questo gioco, ora.

Damien mi raggiunse con pochi passi e io serrai gli occhi, sperando che i ragazzi fossero così veloci da intervenire. Ma del resto, erano così lontani e non potevano raggiungermi tanto in fretta… ero spacciata. Mi dispiace… mamma…

Una folata di vento mi colpì forte, e quando riaprii gli occhi, Damien e gli altri erano indietreggiati. Amelia per giunta, era impietrita. Inspirai, ringraziando la mia buona stella per quel miracolo e mi voltai.

- Rag---

Rimasi a bocca aperta quando vidi le ali nere e lucenti di Lughoir turbinare con forza e il suo cavaliere sguainare la spada scintillante. Il Fulmine d’argento

- Adam…

Sussurrai.

- Cavaliere Nero!

Esclamò Amelia, con voce stridula.

Adam si voltò verso di loro, poi saltò giù, ponendosi tra me e gli altri.

- Ma guarda… credevo che Liger ti avesse fatto fuori.

Disse Amelia.

- Come vedete, Lady dello smeraldo, sono ancora qui.

Mi rialzai, affiancandolo. Ero così felice di vederlo, in quel momento, vivo e in buona salute, che soprassedetti riguardo a come si trovasse lì.

- Attaccatelo, adesso!

Ordinò la giovane, e la servitù dei Dobrée si lanciò all’attacco. Adam respinse gli assalti con facilità incredibile, ed ebbi prova di tutto il suo valore, in quell’occasione. Tuttavia, non uccise nessuno di loro, ma si limitò a renderli inoffensivi e privi di sensi. Ma quando mirò a Damien, che era vicino ad Amelia in quel momento, corsi a fermarlo.

- No, non farlo! Non fargli del male!

Esclamai, aggrappandomi alle sue spalle possenti.

- Togliti!

Ruggì, cercando di scansarmi.

Amelia, stupita, ne approfittò per scappare, mentre Damien, fissando il sigillo che Adam portava sul guanto, sguainò il pugnale che Leandrus gli aveva dato e corse all’attacco. Adam mi scansò, ma non riuscì a pararsi del tutto dall’attacco di Damien, che finì per colpirlo in viso. Urlai nel sentire il rumore della lama che cozzava contro il metallo della maschera e nel sentire l’imprecazione di dolore di Adam. Ciononostante, afferrò Damien per il polso, disarmandolo e puntandogli contro la spada.

- Tu… quel sigillo è lo stesso di Warrenheim! Voi siete in combutta! Mi hai ingannato, maledetta!

Sbraitò, cercando di divincolarsi, ma Adam lo sbattè al muro.

Mi mancò il fiato, soprattutto quando vidi la maschera di Adam cadere a terra, rotta in almeno tre pezzi. Il mio cuore scandì gli istanti rimbombando all’interno del mio petto. Che cosa voleva dire Damien? Perché sosteneva che il sigillo era lo stesso del professor Warren? Avevo visto bene la Croce di diamante sul suo guanto, per cui, doveva esserci sicuramente un errore. E poi, Adam tirò a sé Damien, colpendolo con forza dietro al collo. Svenne e cadde a terra, accanto alla maschera. Il Cavaliere Nero si chinò, toccando i pezzi, poi tirò indietro le braccia, sollevando il cappuccio sulla testa.

- Adam…

Mormorai, raggiungendolo.

- I tuoi compagni sono qua sotto. Ho detto loro di aspettare e di fermare Amelia Dobrée. Puoi raggiungerli.

- A-Aspetta, per favore…

Dissi, quando si alzò. Era voltato di schiena e non sembrava intenzionato a rivelarmi chi fosse. Con quel lungo mantello scuro, era così simile alle rappresentazioni della morte. Non mi stupiva che godesse di una reputazione famigerata tra gli imperiali. Eppure, non aveva ucciso nessuno, nemmeno Damien.

- Sei ferito?

Domandai, fermandomi a qualche passo da lui. Lughoir, intanto, scalpitava, vicino al bordo del muretto.

Adam posò la mano su volto ormai smascherato, e vidi il sangue sul guanto nero, non appena la tolse.

- Non è niente.

Replicò con voce monocorde.

- Mi dispiace, Adam…

- Non devi.

- Non è vero! Io… tu ne hai passate così tante, per colpa mia… e adesso… adesso…

Tesi la mano verso il suo mantello, incerta.

- Stai piangendo?

Domandò.

Annuii, sforzandomi di soffocare i singhiozzi.

- Adam, grazie per non avergli fatto del male…

- L’ho fatto soltanto perché non è in sé. Se l’avesse fatto con cognizione di causa, non sarei stato così clemente.

Deglutii. Dopo mi chinai a raccogliere i pezzi della sua maschera. Nonostante volessi vedere il suo volto, evitai di sollevare lo sguardo.

- La tua maschera è distrutta…

- Non importa.

- Ma così ti riconosceranno!

- Non accadrà.

- Adam!

Adam si chinò a sua volta, posando la mano sulla fronte di Damien. Il cappuccio lo nascondeva, riuscivo soltanto a vedere il profilo del naso dritto. Sul guanto, spiccava il sigillo che Damien aveva associato a Warren.

- Tu conosci Lionhart Warrenheim, non è così?

Adam annuì.

- E conoscevi anche mio padre…

- Già.

Sospirai, guardando Damien.

- Cosa gli stai facendo?

La runa che portava al collo risplendette, tanto quanto la mia ametista. Che strano, reagivano tra loro.

- Adesso starà bene. Ma ci vorrà un po’ prima che recuperi tutti i suoi ricordi. Potrebbe essere confuso.

Lo guardai incredula. Adam aveva aiutato Damien nonostante lui l’avesse attaccato. Scostò la mano, e io la raccolsi nella mia, guardandolo. Si voltò appena, mantenendo basso il cappuccio. Sul suo viso colavano ancora dei rivoli di sangue.

- Sono così felice di rivederti…

- Credevi che non sarebbe accaduto?

Scossi la testa.

- No, lo temevo. Liger è pericoloso e avevo paura che ti uccidesse…

Non rispose, ma sentii il suo sguardo addosso, sebbene non potessi vederlo.

- Hai trovato tua madre?

Domandò, a sorpresa. Addolcii lo sguardo e sorrisi, al pensiero che avrei potuto rivederla, grazie a lui.

- Sì… e ho scoperto di avere una sorella…

Rimase in silenzio, mentre glielo dicevo.

- Adam?

Sollevai la mano libera, carezzandogli appena lo zigomo insanguinato. Lui fece per scostarsi, ma quando comprese che non avevo cattive intenzioni, mi lasciò fare, sebbene sembrasse a disagio. Mi strappai un lembo del mantello, poi cercai di ripulirgli il viso, stando attenta a non andare troppo oltre, ma mi resi conto che l’origine della ferita doveva essere più in alto, probabilmente vicino alla tempia.

- Non posso fare di più…

Adam scostò il viso, puntandolo verso Lughoir.

- Va bene così.

Disse, prendendo i cocci della maschera e alzandosi. Io rimasi vicino a Damien, ancora privo di sensi, mentre lui si allontanò verso il suo grifone. Tuttavia, un paio di servitori, rialzatisi, ed evidentemente ancora in grado di combattere, ci assalirono alle spalle. Strinsi forte Damien, ma fui tirata via.

- Lasciami!

Esclamai a quello che mi aveva afferrata.

- Il coniglio è mio!

Urlò, mentre l’altro mi puntò alla gola il pugnale di Damien.

Adam si voltò fulmineamente, stringendo con forza la spada e sollevandola verso di noi.

- Lasciatela immediatamente!

Ordinò, ma la lama mi carezzò con veemenza la gola nuda. Mi irrigidii, senza riuscire a respirare. Ma almeno, non si erano avventati su Damien o su Adam. Cercai di liberarmi con una gomitata, ma la punta del coltello mi tagliò, e sentii un dolore fitto e lancinante che mi fece urlare.

- Dove vuoi andare?!

Latrò l’altro servitore, mentre Adam corse verso di noi. Riuscii appena a vederlo mentre colpiva entrambi i servitori, con fendenti  rapidi e precisi, liberandomi. Respirai a malapena e quando vidi il cappuccio che nella corsa era calato, rivelando il suo volto, mi sentii mancare la terra sotto ai piedi.

Ricordo come se fosse ieri, ti strinsi forte e tu mi accarezzasti il viso con la manina e apristi gli occhi, erano i più belli e puri che avessi mai visto in vita mia… erano della stessa tonalità ametista di quelli di tuo padre…

Gli occhi che mi guardavano allarmati erano d’ametista.

Traballai, quando Adam mi prese in braccio, evitandomi una rovinosa caduta. Ero talmente incerta e confusa che esitai persino a guardarlo ancora in viso. Eppure, quelle braccia che mi serravano in quel momento erano così protettive che mi tranquillizzai. Per qualche frazione di secondo, la mia mente si mise a ragionare su cosa potessi aver visto. Probabilmente ero così shockata che avevo finito col vedere ciò che più desideravo. Già, non poteva esserci altra spiegazione. Magari la luce che proveniva dai piani inferiori aveva falsato la realtà e avevo scambiato i colori. Perché non poteva essere così. Adam non poteva essere lui. Mio padre era morto, ucciso dalla Croix du Lac e lui stesso me l’aveva confermato, dunque per quale motivo mentire? E se anche i suoi occhi fossero stati di quel colore, magari era un qualche parente dei Valdes, qualche cugino, nipote, zio… qualunque cosa, ma non poteva certo essere il mio così tanto desiderato papà. Sarebbe stato troppo bello per essere vero. E impossibile. Avevo smesso di illudermi già da tanto tempo e ogni volta che quel pensiero tornava a farsi vivo, la consapevolezza che non potesse realizzarsi era talmente distruttiva che mi faceva male. Sarebbe stata la stessa cosa ora. Eppure, Adam mi aveva salvata, in più occasioni e mi era stato accanto. Gli avevo aperto il mio cuore, raccontandogli la mia storia nonostante fosse una guardia imperiale e lui si era limitato ad ascoltarmi, pazientemente, sebbene avesse l’aria di chi non ha particolare pazienza. Ma no, non era possibile. Non…

- Aurore, stai bene?

Mi chiese.

Scossi la testa, cercando di capacitarmi.

- No, i-io…

Balbettai, tremando di nuovo. Sentivo tutto il suo profumo e mi ritrovai a piangere, portando le mani alla bocca per soffocare i singhiozzi. Adam mi posò, dapprima esitante, una mano in testa, accarezzandomi dolcemente i capelli. Quel gesto, che solo la mamma ed Evan potevano fare. Poi, tirò nuovamente su il cappuccio e fu allora che alzai lo sguardo. Prima che non lo vedessi più, prima che l’agonia del dubbio offuscasse ciò che restava della mia capacità di giudizio, lo fermai, posando le mani tremanti sulle sue. Non protestò, stavolta, quando abbassai nuovamente quel cappuccio, scorgendo per la prima volta, per bene, il volto ferito, nella carne e nell’anima, di Greal Valdes. L’avrei riconosciuto tra mille. Avevo impresso il suo viso ancora adolescente nel quadro nella residenza di famiglia a Challant. Per così tanti anni mi ero chiesta come fosse il volto di mio padre e mi ero convinta, dopo allora, che mai l’avrei visto da adulto. Con le dita, seguii il profilo delle palpebre socchiuse che incastonavano quegli occhi d’ametista identici ai miei. Carezzai le accennate rughe attorno a essi e gli zigomi alti, il naso dritto e posai i palmi aperti sulle sue guance scolpite. Osservai poi la ferita che si era procurato quando Damien l’aveva colpito. Non sanguinava più, ma aveva incrostato i capelli brizzolati che incorniciavano il viso perfetto. Sembrava stanco. Stanco di nascondersi, forse. Stanco di dover combattere. La linea delle sue labbra piene si allungò in un appena accennato sorriso. Il sorriso di mio padre. Quanto avevo desiderato di vederlo? Sorrisi anch’io, incapace di parlare.

- P-Papà?

Balbettai, con voce estranea nelle mie stesse orecchie. Stavo forse sognando?

Adam, Greal, annuì soltanto.

Scossi la testa, e tutto ciò che avevo represso, i miei desideri di bambina, la tristezza per non averlo mai conosciuto, il dolore del vedere la mamma piangere per lui, la speranza di poterlo abbracciare un giorno, tutto ciò che trattenevo dentro di me da sedici, lunghi anni, esplose tutto d’un colpo e lo strinsi forte, scoppiando a piangere.

- Papà!!

Mio padre ricambiò quell’abbraccio, e fu allora che dentro di me, nacque una nuova speranza. Ora avevo una ragione in più per ridare la vita a quel mondo. Poi, quando riacquistai un po’ di calma, tornai a fissare quel volto perfetto, che mi osservava a sua volta.

- C-Com’è possibile? T-Tu dovresti essere morto…

Balbettai. Papà (e pronunciare quel nome adesso mi sembrava talmente strano che non sapevo nemmeno definire la sensazione che mi provocava) mi scostò i capelli dal collo, controllando il taglio di cui avevo persino cancellato l’esistenza, in quel momento.

- Te ne parlerò non appena anche tua madre e Arabella saranno in salvo, Aurore. Adesso, devi raggiungere i tuoi compagni, prima che si insospettiscano.

- No! No, per favore…

D’improvviso, fui assalita dalla paura di non rivederlo più.

- Tornerò presto.

Disse, raccogliendo una ciocca del miei capelli scuri, identici ai suoi da giovane.

- Papà…

- Per tutto ciò che avete passato, mi dispiace.

Lo abbracciai forte, desiderando portare dentro di me tutto l’amore che provavo in quel momento.

- Va bene così… ora, va bene così…

Mormorai.

Mi accarezzò i capelli, poi mi scostò leggermente, guardandomi in un modo che non ammetteva repliche d’alcun tipo. Greal Valdes, l’uomo accusato di aver scaraventato questo mondo nell’oscurità. Il Cavaliere Nero… la persona che mia madre amava da sempre e che avrebbe amato per sempre.

- Va’, Aurore.

Annuii, sebbene a malincuore.

- Non tardare… abbiamo così tante cose da dirci…

La sua espressione si ammorbidì appena, facendosi rassicurante.

- Stai attenta.

Poi, tirò nuovamente il cappuccio sulla testa, salendo in groppa a Lughoir, che agitando le ali massicce, spiccò il volo. Così, mio padre e il suo grifone scomparvero in pochi istanti dalla mia vista, lasciandomi sola con Damien e tutta la servitù di Amelia, ormai fuori gioco. Posai la mano sul collo, sentendolo pizzicare, ma mi accorsi che la mia ferita non sanguinava più. E allora raggiunsi Damien. Papà mi aveva detto che i suoi ricordi erano ancora confusi, perciò evitai di svegliarlo e mi affacciai alla torretta, guardando in basso. Vidi i ragazzi insieme ad Amelia e richiamai la loro attenzione col campanellino. Poi, dopo diversi minuti, Zarvos si affacciò, facendosi largo tra i servi di Amelia.

- Aurore!

- Zarvos!

Mi raggiunse, guardando tutti quegli uomini svenuti.

- Sono morti?

- No… per questo motivo, è meglio andare via, ora.

- Lasciarli qui così è rischioso però.

Osservò, grattandosi la testa. Poi, optò per rinchiuderli nelle segrete del palazzo, almeno fino a che non avessero stabilito cosa farne definitivamente. Assentii e gli chiesi di aiutarmi con Damien, che era ancora svenuto.

- Dunque l’avete trovato. A quanto pare riuscite sempre a ottenere ciò che volete.

Disse, caricandolo in spalla. Lo aiutai, accarezzando la schiena di Damien, per poi andarcene.

- Non è proprio così… ma avrei fatto qualunque cosa…

Risposi, mentre scendevamo le scale. Raggiungemmo velocemente gli altri, trovandoli a parlare tra loro.

- Aurore!

Esclamò Eyde.

Amelia ci guardava, con aria seccata.

- Ragazzi… scusate per il gran casino…

Dissi. Loro sorrisero, poi Zarvos raccontò della servitù di Amelia, e ci voltammo tutti  a guardarla. Einer, che la tratteneva, fu il primo a rivolgerle la parola.

- Stavolta l’avete combinata davvero grossa, Milady.

Lei lo guardò con la coda dell’occhio.

- Io? Dovreste scervellarvi su come spiegare a Liger e alle guardie imperiali che vi siete introdotti nella mia residenza, stanotte. Ma soprattutto… come giustificherete la presenza di Aurore?

Sul suo viso spuntò un sorrisetto, quando mi rivolse il suo sguardo.

- Che vuoi dire? Liger non c’è, non può sapere cosa stia succedendo!

Esclamai. Lei si mise a ridere.

- Sai, Aurore? La tua capacità d’osservazione lascia molto a desiderare. Mentre voi cincischiate, il mio Cercis starà già tornando con lui.

I ragazzi si guardarono incerti, poi mi venne in mente l’uomo che era con Amelia sul balcone e mi prese un colpo.

- No, non può essere…

- Sapete chi è, Aurore?

Incalzò Eyde, preoccupato. Lo guardai, annuendo. In effetti, avevo visto quell’uomo giusto in quel momento e dopo, non ci avevo fatto più caso. Amelia ridacchiò divertita.

- Poveri stupidi. Credevate sul serio che mi sarei fatta mettere nel sacco in un modo così puerile?

- Andiamocene! Presto!

Esclamò Einer, tirandola.

- E con la servitù come facciamo?! Il Cavaliere Nero non ha ucciso nessuno di loro!

Già. Papà li aveva deliberatamente lasciati in vita. Magnanimo, certo, ma al tempo stesso, in questo momento, eravamo in pericolo.

- Dannazione… doveva farsi prendere dalla filantropia proprio ora?

Protestò Gourias. Lo guardai di sottecchi.

- Uccidere non è una soluzione!

Controbattei.

- Non è il momento delle dispute filosofiche!

Esclamò Zarvos.

Amelia continuava a ridere.

- Siete così patetici.

- Fate silenzio!

La richiamò Eyde.

Così, decidemmo di allontanarci, ma prima che potessimo varcare le mura del palazzo, fummo sorpresi dal fruscio dello sbattere di ali e dai versi dei grifoni. Alzammo gli sguardi. Liger, perfettamente riconoscibile sul suo grifone bianco, era in volo nei paraggi.

- Merda...

Imprecò Einer. Vidi tutta la tensione sui loro volti, al contrario di Amelia, che sorrise.

- Tempo scaduto, miei cari.

Pensai alle raccomandazioni di Lord Oliphant e compresi di aver fatto ancora una volta il passo più lungo della gamba. Ma ciononostante, se avessi lasciato Damien nelle mani della Lady dello smeraldo, non me lo sarei mai perdonata. Lo guardai, così indifeso in quel momento. Pensai alla mamma e a quanto sarebbe stata felice di rivedere papà vivo. Presto, lui sarebbe corso da lei e l’avrebbe salvata, assieme ad Arabella. Raccolsi la mia ametista, stringendola forte tra le mani.

- Andate avanti, ragazzi!

Esclamai. Si voltarono a guardarmi, increduli.

- Non se ne parla, Aurore! Muovetevi!

Controbattè Einer.

- No. Liger vuole me. Tornate da Ruben. Io cercherò di guadagnare un po’ di tempo.

I ragazzi erano perplessi. Per un istante, anche la stessa Amelia lo fu, poi affilò lo sguardo felino.

- Credimi, non farai nemmeno in tempo a contrattarlo quel tempo. Se pensi che Liger sia il tipo che si fa ingannare così, allora sei fuori strada.

Mi disse.

- Non importa! Andate, per favore!

Mentre parlavamo, tuttavia, Zarvos richiamò la nostra attenzione sul comandante. Quando vidi Lughoir di fronte al grifone bianco, oramai abbastanza vicino alla residenza, capii le intenzioni di mio padre.

- No!

Esclamai, col cuore in gola.

- Cavaliere Nero!

La voce del comandante Liger risuonò nell’aria notturna.

- Che intenzioni avrà?

Domandò Gourias, guardandoci.

Era evidente. Voleva permetterci di scappare facendo da esca. In qualche modo, come avevo intenzione di fare io stessa. Strinsi forte la mia pietra, guardando i ragazzi, prima di fissare lo sguardo in alto.

- Liger.

La voce profonda di papà non era affatto intimidita. Ma stavolta, la sua identità rischiava di essere svelata.

- Non farlo…

Mormorai.

- Sembra che le nostre strade siano destinate a incontrarsi in eterno.

Ribattè Liger.

- Così sembra.

Rispose semplicemente mio padre.

- Andiamocene!

Incalzò intanto Zarvos, ma quando vedemmo Liger puntare verso di noi, ci rendemmo conto che non avremmo fatto in tempo. Amelia, per giunta, si mise a sventolare le braccia al cielo, alzando la voce per farsi sentire meglio.

- Liger, siamo qui!

Esclamò, richiamandone l’attenzione. Quando il comandante si voltò verso di noi, avvistandoci, mi resi conto che qualunque tentativo di farla franca ormai non aveva più motivo di esistere. E per giunta, Amelia aveva appena vanificato lo sforzo di mio padre. Ma per qualche motivo del tutto ignoto, che tuttavia ci sorprese, Liger ci ignorò e sguainò la spada. Amelia, come noialtri, rimase a bocca aperta. Liger aveva accettato l’ennesima sfida da parte del Cavaliere Nero, che a sua volta, puntava contro di lui la sua spada. Stava per esserci un combattimento, ma nonostante la contrarietà di Amelia e la mia paura all’idea di andarcene in quel momento, i ragazzi ci trascinarono via, mentre a pochi metri da noi, sullo spazio aereo del palazzo Dobrée, mio padre e il comandante Liger avevano ingaggiato una nuova battaglia.

 

 

 

 

  
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