Come
promesso, ecco a voi il capitolo numero quaranta! Manca relativamente “poco”
alla fine (dodici o tredici capitoli, devo ancora decidere). Potrà sembrare che
il sesto anno di Harry, Ron e Hermione passi in fretta, troppo, ma ogni cosa ha
il suo perché. Questa è infatti la storia dedicata
principalmente ad Alistair ed è per questo che si svolge tanto rapidamente, poiché
questi mesi che passano tanto in fretta sono praticamente tutti uguali e non
succede niente di particolare. Questa che leggerete nel capitolo, è la giornata
tipica di Alistair mentre studia per diventare medimago, ma non abituatevi a
tanta calma, poiché già dal prossimo capitolo le cose cambieranno :D
Bene,
detto questo… vi lascio alla lettura.
Il
prossimo capitolo verrà pubblicato lunedì 6 gennaio
quindi… all’anno prossimo :D
Ne
approfitto per augurarvi buona Vigilia di Natale, buon Natale, buon Santo Stefano e buon Capodanno :D
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Chapter XL:
Far From Home, Far From Love
"Proprio in quel tempo Drogo si accorse
come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che
se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di
sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male,
anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.”
-Il deserto dei Tartari, Dino Buzzati-
Hyères, dipartimento del Var,
Costa Azzurra, Francia.
Alistair Piton uscì
dalla stanza d’ospedale con il capo chino. Si avvicinò a una donna e le
comunicò che suo figlio di soli undici anni non ce l’aveva
fatta ed era appena spirato. La donna scoppiò in lacrime e il giovane non poté
far altro che sussurrare un sincero “Mi dispiace”. Rimase a lungo con lei, per
poi lasciarla sola coi suoi famigliari che, ne era
sicuro, si sarebbero presi cura di lei.
Erano ormai passati
sei mesi da quando aveva finito Hogwarts e l’atmosfera natalizia si sentiva
anche nel reparto di pediatria di quel piccolo ospedale magico francese. Dal
canto suo, però, non sentiva per niente il Natale, forse perché solamente un
anno prima, nello stesso periodo, aveva dato il suo primo bacio a Hermione e
quest’anno non l’avrebbe nemmeno vista da lontano. Erano ormai mesi e mesi che non la vedeva e il suo pensiero continuava ad
andare a lei.
Quel giorno
lavorativo stava per concludersi e non poteva esserne
più felice. Aveva il viso stanco, grosse occhiaie sotto gli
occhi e i capelli molto più corti. Camminava per il corridoio, quando
Michele Bolére, il suo assistente in quel tirocinio
in pediatria, lo chiamò. Si voltò e attese che l’uomo si avvicinasse.
“Hai fatto un
ottimo lavoro, con quel bimbo.” Iniziò. “Ma non potevamo salvarlo,
le sue condizioni erano troppo gravi.”
Il ragazzo annuì
lentamente senza proferir parola.
“Non siamo degli
dei: non abbiamo il potere di salvare tutti.”
Il medimago gli
diede una pacca sulla spalla, fece un cenno col capo e si allontanò, molto
probabilmente diretto verso le scale antincendio dove avrebbe fumato l’ennesima
sigaretta della giornata.
Quell’uomo piaceva
ad Alistair e un giorno gli sarebbe piaciuto essere esattamente come lui:
trattava ogni paziente con affetto, non li sminuiva, era sempre pronto ad ascoltare
quei piccoli esseri umani che erano semplicemente terrorizzati dal fatto di
essere in ospedale. Sì, Michele Bolére era il suo
punto di riferimento e non quel medimago Mangiamorte a cui
era stato affiancato nei mesi precedenti e che presto sarebbe tornato ad essere
il suo mentore.
Passò la mano tra i
capelli corti, poi s’incamminò verso la cucina, il luogo riservato al personale
medico e infermieristico, là dove si preparavano the e camomilla per i piccoli
ospiti del reparto.
Aprì la porta e
vide che nella stanza, sedute al tavolo, c’erano due delle infermiere più
giovani: Amélie e Charlotte.
“Ciao ragazze.”
Mormorò atono il giovane medimago.
Subito le due si
ammutolirono, cosa che gli fece capire che fino a pochi istanti prima stavano parlando di lui, fatto a cui ormai era abituato.
Le ragazze si
scambiarono un’occhiata e poi sorrisero complici: questo confermò la sua
ipotesi.
Si strinse nelle
spalle, si avvicinò alla caffettiera e si versò un’abbondante dose di caffè.
Come quasi tutti i medimaghi e le infermiere, ormai ne era diventato dipendente
e non poteva andare avanti senza avere la sua dose di caffeina in corpo. E,
dopo ciò che aveva appena vissuto, un bel caffè poteva
fargli solo bene. Bevve rapidamente il liquido nero, poi lavò la tazzina nel
lavandino, infine prese una tazza bella grande da uno degli stipetti e la
riempì con dell’acqua. La scaldò e vi mise dentro una bustina di the, per poi
andare a sedersi insieme alle due ragazze che avevano seguito ogni suo gesto.
“Ma
come fai a bere il the dopo il caffè?” Domandò Charlotte.
“Scusa?” Chiese
faticando a capirla a causa del suo francese rapido e stretto.
“Come fai a bere il
the dopo il caffè.” Ripeté più lentamente la donna.
Alistair si strinse
nelle spalle mentre aggiungeva il latte al the.
“Sono sempre un
inglese: al the non potrei mai rinunciare.”
Si sedette su una
sedia e appoggiò la schiena al muro mente chiudeva gli occhi, la tazza di the
fumante in mano.
“Allora, Alistair,
come ti trovi in questo reparto?” Domandò Charlotte.
“Molto bene.”
Mormorò in risposta.
“E in che reparto
andrai una volta finita la tua esperienza qui in pediatria?” Incalzò.
“Non lo so ancora.
Seguirò il dottor Formier.”
“Il dottor Formier,
sì.” Annuì. “E’ un ottimo medimago, assolutamente.
Come mai hai scelto di venire qua per la tua formazione?”
“E’ un vecchio
amico di mio padre.” Rispose evasivo: non poteva certo dire che gli era stato
ordinato dall’Oscuro Signore e che non aveva avuto scelta.
“Capisco.” Sussurrò
la ragazza, per poi accennare un sorriso imbarazzato. “Beh, io devo tornare al
lavoro.”
Si alzò e fece
l’occhiolino all’amica, poi lavò la propria tazzina.
“Ci vediamo dopo.”
Salutò entrambi e
uscì dalla cucina, lasciando soli Amélie e Alistair.
“Come stai, Al?”
Domandò Amélie.
“Benissimo.”
Rispose atono.
“Bugiardo.”
Ribatté. “Si vede lontano un miglio che non stai bene.”
Sorrise amaramente
e bevve un lungo sorso di the.
“Non posso farci
molto. Nulla di ciò che dico cambia come stanno le cose, quindi una parola vale
l’altra.”
“E hai notizie dei
tuoi familiari?”
“Mia madre è morta,
mio padre è vivo.”
“Non sapevo che
fosse morta.” Mormorò imbarazzata. “Scusami.”
“Non potevi saperlo:
non l’ho mai detto.” Disse stringendosi nelle spalle. “E comunque non sei
obbligata.”
“Non sono obbligata
a far cosa?” Domandò sbattendo le palpebre.
“Solo perché siamo
stati a letto insieme non significa che io voglia
stare con te o conoscerti. O scambiare quattro chiacchiere.” Rispose
glacialmente.
Amélie incrociò le
braccia al petto e inarcò un sopracciglio.
“Ti ricordo che
sono felicemente fidanzata.” Ribatté indispettita.
“Non credo al tuo
felicemente: se tu lo fossi, non saremmo finiti a farlo nella stanza del medico
di guardia.”
“E’ stato un
errore.”
“E lo hai detto al
tuo futuro maritino? Non credo.” Disse
posando nuovamente la nuca al muro.
“Non ce n’è
bisogno.” Sibilò alzandosi. “E per la cronaca, ti stavo facendo quelle domande
semplicemente perché credo tu abbia bisogno di qualcuno con cui parlare.”
Alistair scosse il
capo, poi finì il suo the in un solo sorso. Si alzò e andò a lavare la tazza al
lavandino, per poi avvicinarsi alla porta e aprirla, fermandosi sulla soglia e
voltandosi a guardarla negli occhi, freddo come lo era prima di conoscere
Hermione.
“Non ho bisogno di parlare. Né con te, né con nessun altro. Ci si vede.”
Uscì dalla stanza e
controllò l’ora, notando che era finalmente giunta l’ora di tornare a casa.
Tirò un sospiro di sollievo e si diresse agli spogliatoi dove
si cambiò.
Quando fu vicino
all’uscita dell’ospedale, si sentì chiamare. Si voltò e vide Gabriel Formier,
il medimago Mangiamorte, avvicinarsi. Subito si irrigidì,
per poi acquistare un atteggiamento reverenziale e di pura stima.
“Dottor Formier.”
Lo salutò compostamente.
“Alistair.” Disse
il Mangiamorte. “Volevo congratularmi con te.”
“Per cosa,
signore?” Domandò.
“Sei un ottimo
medimago, ho ricevuto giudizi molto positivi dai medici con cui hai lavorato
fino ad adesso. E’ un peccato,
però, che molte delle tue cure siano destinate anche a dei Sangue Sporco.” Fece una smorfia schifata.
“Purtroppo non
possiamo rivelare chi siamo, dico bene dottor
Formier?”
“Esattamente. Ma
sono sicuro che farai strada.” Disse annuendo l’uomo.
“Continua così e sono sicuro che l’Oscuro Signore ti premierà.” Continuò a bassa
voce. “Tuo padre dev’essere orgoglioso di avere un figlio così fedele e
devoto.”
“Grazie, dottore.”
Disse accennando un mezzo inchino.
“Continua così.”
Ripeté l’uomo, per poi salutarlo con un cenno del capo e allontanarsi.
Alistair uscì
dall’ospedale e serrò la mascella, le mani chiuse a pugno. Lo odiava con tutto
se stesso e ancor di più odiava portare la maschera del bravo e fidato servo
dell’Oscuro Signore. Se solo avesse potuto, lo avrebbe ucciso lui stesso e, in
effetti, s’era chiesto perché non lo avesse ancora
fatto. Se solo si fosse presentata l’occasione, era sicuro che avrebbe fatto tutto il possibile
per ucciderlo, sebbene sapesse benissimo che avrebbe rischiato lui stesso la
vita, ma la cosa non lo toccava più di tanto. L’unico motivo
per cui gli sarebbe dispiaciuto morire era il non aver chiarito con
Hermione, non averle detto il motivo per cui l’aveva trattata in quel modo,
anche se probabilmente, una volta morto per mano dello stesso Oscuro Signore,
lei avrebbe capito.
Scosse il capo per
scacciare quei pensieri dicendosi che non valeva la pena pensarci, soprattutto per il fatto che non sarebbe mai stato in grado di uccidere
Colui Che Non Deve Essere Nominato e che molto probabilmente avrebbe continuato
con quella vita per anni. Senza di lei, la sua amata Hermione.
Estrasse le chiavi
dalla tasca, aprì il portone d’ingresso e salì le scale raggiungendo il terzo
piano. Aprì la porta e la richiuse alle proprie
spalle. Si voltò e spalancò gli occhi.
“Per Salazar,
Jerome!” Esclamò storcendo il naso e coprendosi gli occhi con una mano.
“Merd!” Esclamò Jerome, il suo coinquilino, che subito
scattò in piedi e afferrò una coperta con cui coprì il proprio corpo e quello
della sua ragazza.
“Oh, Alistàir…” Mormorò imbarazzata Josephine.
“Che cavolo, lo
sapevi che sarei tornato a quest’ora dall’ospedale.” Sbottò irritato. “E tu che fai? Ti fai trovare a scopare insieme a Josephine.”
“Alistàir, calmati, s’il te plait.” Borbottò ancora la
ragazza.
“No, non mi calmo. Che diamine.” Scosse il capo e chiuse le mani
a pugni.
“Dai, dai Al.” Intervenne Jerome dopo essersi infilato i boxer. “Non è suscesso nionte.
Sai, mon amie, dovresti
trovarti anche tu un’amica. Josephine potrebbe farti
conoscere qualcuna.” Cercò di rabbonirlo il francese.
“No. Assolutamente
no. Non ho bisogno di nessuna.” Sibilò sempre più
arrabbiato. “Fate quel diavolo che volete, scopate quanto vi pare e piace, ma
evitate di farvi trovare così da me.”
Detto ciò, Alistair
li superò velocemente e s’infilò nella propria stanza facendo sbattere la
porta. Chiuse gli occhi e si appoggiò ad essa con la
schiena, per poi scivolare lentamente a terra.
Era geloso marcio
di Jerome. Non tanto perché aveva una vita sessuale dal
momento che anche lui l’aveva. Era geloso del coinquilino perché era
libero di amare, di stare con la ragazza che desiderava sposare, con cui voleva
costruire un futuro. E lui? Lui non aveva nulla di tutto questo: lui era
destinato alla solitudine e non per proprio volere.
Mai come in quel
momento Alistair Snape s’era sentito così solo.