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Autore: Uvetta    15/12/2013    7 recensioni
Sentimento,
Ossessione,
Amore,
Arte,
Cosa può far incontrare due cuori che apparentemente non avrebbero niente in comune?
Provate a scoprirlo!
Flashfic di due capitoli
Genere: Dark, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Jasper Hale | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Note dell'autrice:


Piccola pubblicità: le altre mie storie...


By Night, che è già conclusa e

Gli Occhi dell'Assassino, che è ancora in corso.




Per il resto ci leggiamo in fondo....


Buona lettura


Uvetta





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Grazie Ele per il meraviglioso Banner





Darkmoon



Parte Seconda



Una musica di una struggente bellezza giungeva alle mie orecchie.

Erano passate esattamente due settimane da quando avevo scoperto che il mio nuovo vicino sarebbe stato anche il protagonista del primo vero incarico della mia migliore amica. Tante domande mi avevano assillato da allora: perché una persona con un nome così importante come il suo aveva mandato il suo agente per contattare un gallerista pressoché sconosciuto invece che rivolgersi a qualcuno molto più famoso?

Perché ingaggiare anche Alice?

Non volevo mettere in dubbio le sue capacità, io sapevo che quando si metteva in testa una cosa la portava a termine, ma io la conoscevo sin da quando portavamo i pannolini, lui come poteva saperlo?

Quella musica mi stava trafiggendo il cuore, quanto poteva soffrire un ragazzo per scrivere dei brani così?

Si era trasferito soltanto da una settimana e da allora il caos dei lavori si era drasticamente trasformato in melodia, perché lui suonava, suonava spessissimo e lo spazio che divideva le due villette era denso di note dolci e tristi che uscivano dai tasti del suo pianoforte.

Non l'avevo mai incontrato.

L'avevo visto muoversi silenziosamente nel giardino, ma sempre con il cappuccio della felpa che gli copriva il viso.

Qualche volta, mentre ero fuori, notavo le tende dietro una sua finestra muoversi, come se ci fosse qualcuno, ma non riuscivo mai a vederlo chiaramente.

Era sfuggente, chiuso e, nonostante Alice e Jasper stessero lavorando per lui, lui aveva mai voluto incontrarli, chiuso nel suo mondo solitario.

Sembrava quasi irraggiungibile.

Accesi il computer.

Controllai la posta, anche nella chat, come accadeva ormai da una settimana, niente nuovi messaggi.


LISA: Ciao Antony, che ti è successo? Inizio a preoccuparmi... non ho tue notizie da ben sette giorni! Ti ho mandato una ventina di messaggi e non mi hai mai risposto...


Rimasi qualche minuto lì a fissare lo schermo ed il puntino rosso, accanto al suo nickname, che indicava la modalità “off-line” del mio amico sperando che cambiasse in qualche modo: non accadde.

Decisi che era ora di dedicarmi un po' al mio lavoro. Iniziai con le e-mail, poi dovevo terminare un articolo su un mega-ricevimento che si sarebbe tenuto in città tra qualche giorno.

Fu così che persi la cognizione del tempo.

Quando sentii sbattere la porta dell'ingresso mi resi conto che la luce del giorno, ormai, si stava quasi completamente esaurendo. Il mio occhio andò alla chat, ma niente era cambiato, nessun messaggio in arrivo.

Sospirai.

Mi domandavo cosa poteva essere successo per fargli smettere, così all'improvviso, ogni comunicazione con me.

Sentivo il ticchettio dei tacchi muoversi velocemente al piano di sotto e poi salire rapidamente le scale.

Un leggero bussare alla porta mi avvisò dell'arrivo di Alice.


-Ciao Alice ben tornata!- dissi mentre lei apriva cautamente la porta. In contrasto col suo solito modo di essere varcò la soglia silenziosamente e molto lentamente. -Che hai? Sei strana!- la osservavo mentre attendevo che dicesse qualcosa. Lei dondolava sui talloni e stringeva tra le mani un catalogo. -Alice...?- alzai un sopracciglio.


-Vorrei che tu non ti arrabbiassi con me!-


-Perché dovrebbe accadere una cosa del genere?- riprese a dondolare sul posto ed iniziò ad osservarsi le punte dei piedi -Alice, ti prego, sono stanca di questa storia... vuoi spiegarmi il tuo comportamento?-


-Ho preparato il catalogo della mostra del nostro nuovo vicino...-


-Bene, sono felice per te! Spero che rispecchi bene il suo lavoro. Jasper cosa ne pensa?-


-Ne è entusiasta! Ha detto che la successione dei quadri è perfetta ed anche il taglio dell'impaginazione gli piace molto. Ho scelto un font per il carattere un po' particolare perché non volevo risultasse una cosa banale ed anche il tipo di carta su è stampato è a buccia d'arancia e trasmette la sua ruvidità al tatto, un po' come il carattere dell'artista...- lo strano di questa conversazione era che lei non stava saltellando in giro per la stanza, non mi strattonava per ottenere la mia attenzione, non parlava a macchinetta tentando di superare il guinness dei primati per il maggior numero di parole al secondo! Me lo stava semplicemente comunicando.


Alzai ancora di più il mio sopracciglio, lei accennò un sorriso di circostanza. Allungai la mano nella sua direzione in attesa.


-Vorrei dirti...- riprese appoggiando il piccolo fascicolo sulle mie dita, ma senza lasciarlo, -che non ho potuto fare altrimenti. E' la sua opera di punta e vuole che sia giustamente valorizzata!- le sfilai dalle mani l'oggetto incriminato. Volevo assolutamente capire quello che la spaventava tanto.


La copertina riportava uno schizzo a matita e carboncino, una donna, di spalle, lunghi capelli le coprivano la schiena, il profilo era solo leggermente accennato; una borsa sul fianco, definita solo da pochi tratti: se ne stava andando, sembrava quasi volesse scappare da lì. Per essere solo pochi segni su un foglio, era incredibile quanto riuscisse a trasmettere da un punto di vista emotivo; sembrava che l'artista ne sentisse la mancanza, ma che la postura decisa di lei lo privasse di una qualunque chance di seguirla.

Adesso capivo cosa intendeva Jasper quando diceva che, questo ragazzo, aveva un enorme talento. Senza rendermene conto iniziai a fantasticare su chi potesse essere questa giovane che aveva attratto così quest'artista, ma mi costrinsi a continuare e iniziai a sfogliare diligentemente le pagine incriminate.

Paesaggi più o meno astratti scorsero veloci davanti hai miei occhi. Acqueforti in bianco e nero dal sapore un po' retrò, oli su tela, persino qualche acquerello, per poi arrivare al clou della presentazione. Un quadro faceva bella mostra di se ed occupava tutt'e due le pagine in larghezza. Rappresentava un paesaggio indefinito i colori scuri facevano risaltare ancora di più i pochi punti di luce. Un sottile spicchio di luna splendeva nella notte ed illuminava il volto di una ragazza rannicchiata sotto un albero; i libri ammucchiati lì al suo fianco, sembrava in attesa, guardava lo spettatore come se aspettasse una qualche risposta ad una silenziosa domanda; dietro l'albero un'altra figura, una sagoma maschile appoggiata al tronco, le voltava le spalle. Sembrava non volersi far illuminare dalla sua luce, il suo posto era l'ombra.

Mi sentivo rapita dalla moltitudine di sensazioni che mi stavano turbinando dentro. Era come se percepissi l'attrazione che legava le due figure, ma che non la comprendessi; l'albero e la luna sembravano avvicinarli e separarli allo stesso tempo. Ogni cosa era studiata per contrastarne un altra.

Perché mi sarei dovuta arrabbiare a vedere questo capolavoro?

Perché Alice era così spaventata della mia reazione?

Alzai lo sguardo su di lei: era imbarazzata.

Perché?

Riportai gli occhi su quell'immagine.

Fui rapita dalla forma del viso di lei, i lunghi capelli scuri mossi da morbide onde, la bocca rossa e grandi occhi marroni...

Fissai ancora più intensamente, mentre la mia mente stava elaborando meglio l'immagine che i miei occhi avevano già registrato.

Poi capii.

Sentii un nervosismo montarmi dentro e l'impossibilità di restare lì si fece improvvisamente incontenibile.


-Da quanto lo sai?-


-In realtà me ne sono realmente resa conto quando mi hanno consegnato i cataloghi e li ho ricontrollati per vedere come erano venuti. Capivo che c'era qualcosa di strano in quel quadro, ma la chiarezza mi sfuggiva sempre tra le dita... fino a poche ore fa!-


-Io... io...- le parole mi morivano in gola -Stronzo! Ecco cos'è, uno stronzo!-


Stringendo il catalogo tra le mani mi avviai a passo di marcia verso quell'egocentrico per avere spiegazioni.

E me le avrebbe date, eccome se me l'avrebbe date!

Sbatacchiai la porta di casa e sentii la mia amica sussultare all'interno, notai con la coda dell'occhio che si era affacciata alla finestra del salotto per seguire, a debita distanza, i miei movimenti.

Arrivai davanti al cancellino di quella casa in un batter d'occhio, fissai solo per un attimo la cassetta delle lettere che riportava, diligentemente, il nome del proprietario: Edward A. Cullen.

Entrai senza esitare.

Quando arrivai alla porta mi attaccai al campanello fino a che l'uscio si aprì piano.

Mi trovai davanti un ragazzo alto, quasi un metro e novanta, longilineo, spalle larghe e dritte, completamente vestito di nero, indossava una felpa con il cappuccio ben calzato su i suoi occhi e l'ombra gli oscurava il resto del viso, si poteva solo intravedere la linea squadrata della mandibola e la sagoma delle labbra.

Era scalzo, i suoi piedi erano bianchi e contrastavano col tappeto su cui stavano perché di un colore rosso sangue.

Quando mi vide un sorriso compiaciuto fece spiccare i suoi denti bianchi nel buio della notte. La sua voce risultò calda e spensierata quando, normalmente, mi disse:


-Ben arrivata Isabella!- come se ci conoscessimo! Chi mai poteva avergli detto il mio nome. -è un piacere fare la tua conoscenza, finalmente!-


-Esigo una spiegazione!- e gli sbattei sul torace il suo catalogo -Subito!!!!-


-Oh, immaginavo...- assottigliai lo sguardo tentando di carpire qualcosa da quel volto seminascosto, ma sembrava rilassato, completamente a suo agio, come se il fatto che fossi così arrabbiata lo divertisse e basta. -Vuoi entrare?- dicendo questo si scostò leggermente dalla porta, i suoi occhi catturarono, per un solo istante, un flebile raggio di luce che ne rivelò le lunghe ciglia ed il colore delle iridi di un verde che sembrava non avere fine.

Perché si stava nascondendo?

Sorvolai su questa domanda ed entrai con passo deciso.

Un soffuso profumo di mughetto mi arrivò alle narici, mi guardai in giro cercandone la provenienza, ma nessun vaso di fiori era presente e non vi era un punto preciso da cui provenisse era semplicemente ovunque.

Mi ritrovai in un open-space, una grande sala col pavimento completamente coperto di spessi tappeti di varie misure e colori. Alla mia sinistra l'angolo cottura era diviso dal resto solo con un separè di foggia orientale. La luce era fioca e la maggiore illuminazione proveniva dal caminetto acceso, un bel fuoco scoppiettava dietro un cristallo protettivo e scaldava l'ambiente, un divano rosso e dall'aspetto soffice vi era posto difronte insieme ad un tavolino basso ed una poltrona.

Al centro di tutto campeggiava un magnifico pianoforte a coda. Era nero e lucido, con la cassa armonica chiusa e ricoperta di un'infinità di fogli, potevo distinguere spartiti scarabocchiati e degli schizzi più o meno conclusi, particolari di persone o anche oggetti.

Sentivo la sua presenza alle mie spalle, ne potevo definire i contorni anche se non lo vedevo era un'entità della quale non potevo dubitare, sapevo che mi stava osservando e che stava valutando il mio comportamento, ma in questo caso chi doveva dare delle spiegazioni era solo e soltanto lui.


-Quando hai fatto quel dipinto?- chiesi senza neanche voltarmi.


-Circa un anno e mezzo fa.- rispose rilassato come non mai.


-Ti sei trasferito qui solo da due settimane... come hai fatto? Come potevi tracciare il mio volto così dettagliatamente allora?- mi voltai, ero furente e più che la mia rabbia saliva più che lui sembrava divertito.


-Forse non è da sole due settimane che so della tua presenza su questo pianeta...- la sua voce solo un sussurro nascosto nel crepitio del fuoco vicino a noi.


Inconsciamente mi mossi verso in piano, ero attratta da tutti quei fogli sparpagliati. Sentii un mugolio, come di dolore, provenire dal padrone di casa e, questo, mi spinse ancora di più in quella direzione.

Afferrai un disegno era un particolare: delle mani, femminili, le dita intrecciate tra loro, le unghie corte e curate, nessun anello, ma un braccialetto con un ciondolo ornava il polso destro. Era il mio braccialetto, quel piccolo ninnolo era un regalo di mia nonna, me lo aveva dato il giorno del diploma era una piccola rosa intagliata nell'alabastro, era unica ed estremamente riconoscibile. Presa da una strana bramosia iniziai a scorrere ogni foglio scartando solo gli spartiti. Erano tutti schizzi del mio viso, con i capelli legati o sciolti, le mani, i piedi, tutta la mia figura in varie posizioni, per lo più ero impegnata a leggere qualcosa. Mi sentivo sconvolta era come vedere una carrellata della propria vita vista con gli occhi di qualcun altro.

Non sapevo se sentirmi lusingata o spaventata.

Le mie mani iniziarono a tremare mentre continuavo a notare particolari di me sparsi un po' ovunque.


-Che diavolo...?- imprecai mentre mi voltavo per chiedere delle spiegazioni.


Me lo ritrovai davanti, soltanto a pochi centimetri dal mio volto, i suoi piedi scalzi non mi avevano fatto percepire alcun rumore e non mi ero accorta che si fosse avvicinato così tanto a me. Il profumo di mughetto era più intenso ora e mi stordiva leggermente.

La sua testa era voltata di lato, il viso ancora per buona parte in ombra; riuscivo a distinguere lo zigomo destro e le lunghe ciglia chiuse; gli angoli della bocca verso il basso ed i muscoli della mandibola contratti. La parte sinistra del suo viso completamente nascosta, un po' dal cappuccio, un po' nell'ombra.


-Vuoi spiegarmi?- mi stavo decisamente alterando, era come se avesse violato la mia privacy. Ma qualcosa in lui sembrava cambiata, tutta quella sicurezza che aveva ostentato era misteriosamente scomparsa.


-Abbiamo frequentato alcuni corsi insieme, all'università; o almeno alcuni di quelli degli ultimi due anni e mezzo.- il suo tono era quasi un sussurro, duravo fatica a distinguere le parole, ma sapevo che se lo avessi interrotto, lui non avrebbe più continuato. -Il giorno che ti vidi per la prima volta, credevo di aver avuto un'allucinazione. Masticavi una liquirizia rossa e ridevi a crepapelle, eri a braccetto di un ragazzo dalla pelle olivastra capelli neri ed i tratti dei nativi americani. Era come se il sole ti illuminasse in modo diverso. Ne rimasi stordito. Osservavo i tuoi movimenti, la tua spensieratezza e ti invidiai per questo.

Quel giorno disegnai, per la prima volta, il tuo sorriso.- Non ricordavo nemmeno quel giorno, poteva essere uno dei tanti, dalla descrizione, ero in compagnia di Jacob; era stato il mio ragazzo per qualche mese quasi tre anni fa. Il silenzio disegnò i suoi contorni intorno a noi, lui mi voltò le spalle prima di riprendere a parlare.-Era diventato un gesto quotidiano farti un piccolo schizzo, come mangiare o respirare; l'importante era che tu non mi notassi a farlo. Per me era semplice passare inosservato, essere l'unico figlio dei Cullen mi aveva portato a nascondermi: da sempre!- Era come se le ombre lo seguissero e volessero nasconderlo come se riuscisse a comandarle a suo piacimento. -Ci fu l'incidente...- sospirò e immaginai avesse richiuso gli occhi -per circa un mese non ti rividi più, passai circa due settimane in ospedale e altrettante a casa in riabilitazione. Morivo dalla voglia di conoscerti, ma le mie condizioni mi avevano precluso qualunque possibilità.-


-Questo che cosa significa Edward? Che c'entra il tuo incidente?- mi ero completamente persa.


-Niente...- la sua voce era quasi indistinguibile. Si allontanò di qualche passo sprofondò sul divano sostenendosi la testa con le mani. -Quando tornai all'università ti cercai ovunque, ero impaziente di vedere cos'era cambiato durante la mia assenza. Nel momento in cui ti vidi mi sembrò di tornare a respirare normalmente. Solo dopo notai che eri in compagnia. Il tuo accompagnatore non era più lo stesso, adesso era Erick.- Sospirò -Poi, dopo qualche mese, ci fu Travis, Peter e qualche altro, non ricordo i nomi e non mi interessava comunque; nessuna storia durava più di qualche mese ed io continuai a disegnarti ed a dipingerti, poi contattasti Antony...-


-Antony? Come sai di lui?- stavo perdendo la pazienza, mi sembrava tutto così assurdo, non mi ero mai accorta che lui mi osservasse, tanto meno che mi ritraesse.


La sua testa si alzò di scatto e vidi chiaramente un angolo della sua bocca schizzare verso l'alto. -Antony... beh, lo conosco molto bene, Isabella... o forse dovrei chiamarti: Lisa?-


Sbiancai, avevo usato quel nick-name solo in quelle occasioni e perché non mi piaceva utilizzare il mio vero nome, come poteva lui saperlo?

Mi spostai lentamente mettendomi proprio davanti a lui, con un leggero tremore alle gambe; lo fissai e tentai di distinguere i tratti di quel volto nascosto dalle ombre per leggerne i pensieri.

Vi riuscii solo in parte, metà viso, il lato sinistro, era completamente nascosto, ma l'altra metà denotava un ragazzo di bell'aspetto; sicuramente, se non si fosse nascosto così tanto, avrebbe avuto molte ragazze che tentavano di conquistarlo.

Perché era così schivo?


-Cosa significa tutto questo?- con un gesto mi indicò una poltrona, subito dietro di me, su cui sedermi; lo assecondai, credevo che le mie ginocchia avrebbero ceduto da un momento all'altro.


-So che probabilmente non ti interesserà, ma è legato a tutto questo e su Antony torneremo tra un po'.- Inspirò profondamente ed io rimasi in attesa. -Il mio desiderio di conoscerti era diventato insostenibile. Con la fine dell'università non avevo più occasioni per incontrarti e la mia dipendenza mi scalpitava dentro nonostante il mio trasferimento qui. Credevo di impazzire, volevo escogitare un modo...

Anche se mi sembrava di rubarti qualcosa ogni volta che scarabocchiavo qualcosa, la mia mente cercava di trovare una soluzione. Poi pensai a Jasper...-


-Ecco perché...- stavo iniziando ad avere qualche risposta alle mie tacite domande, lui annuì, il suo occhio destro si illuminò ed il verde sembrò liquefarsi.


-Già, anche se non lo conoscevo personalmente, ne avevo sentito parlare negli ambiti artistici, così lo contattai e feci in modo che la sua ragazza si occupasse della campagna pubblicitaria. Ne saresti stata coinvolta in qualche modo, visto che tutti e due i tuoi coinquilini stavano lavorando per me: contavo su questo e sull'inserimento di quel quadro in particolare...- sospirò -è uno dei miei preferiti e non sarà in vendita, verrà soltanto esposto!-


-E' veramente molto bello!- constatai e lo pensavo davvero, il fatto che fossi io il soggetto principale non poteva farmi negare l'evidenza dei fatti. Era fantastico, bilanciato, sia da un punto di vista strutturale che cromatico: di trasportava in mondo parallelo e bellissimo.


-Grazie... lo pensi veramente?- sembrava ansioso ed insicuro.


-Certo, perché dovrei mentirti!- l'aria uscì dai suoi polmoni come se l'avesse trattenuta un tempo infinito e si rilassò impercettibilmente.


-Pensavo che ti saresti arrabbiata molto di più. Credevo che l'avresti denigrato...-


-Non potrei mai farlo. Questo non toglie che io sia ancora arrabbiata!!-


-Già...- il suo occhio destro si fissò nei miei. Un brivido mi corse lungo la schiena, era come se riuscisse a scrutarmi fin dentro le ossa.


Osservavo le sue palpebre chiudersi, le ciglia intrecciarsi tra loro e non mi rendevo conto dei minuti che scorrevano. Quell'uomo aveva un che di magnetico, il suo volto seminascosto, il suo modo di muoversi, persino le sue insicurezze mi attraevano in un modo che non riuscivo a giustificare.

Mi piegai nella sua direzione, dovevo assecondare questa forza che mi spingeva verso di lui.

Sospirò, il suo respiro mi si infranse sul viso, sapeva di fresco, di dentifricio; mi morsi il labbro inferiore. Era come se ogni cellula del mio corpo volesse toccarlo per scoprire quanto era calda le sua pelle e che effetto faceva a contatto con la mia.

Inspirai nuovamente.

Il suo profumo mi inebriava, riusciva a cancellarmi dalla testa ogni altra ragione della mia presenza in quella casa che non fosse lui.

Come avevo fatto a non notarlo prima?

Mi sentivo improvvisamente ubriaca.


-E la tua musica?- cercai di tornare a parlare, dovevo uscire da quell'impasse.


-Ho lasciato la band!- mormorò.


-Cosa?- urlai sconvolta. -Stai scherzando!- lui scosse la testa. -Come puoi aver smesso di...-


-Amy e Jared se la caveranno certamente meglio di me. Anche se continuerò a scrivere le canzoni, se lo vorranno- un campanellino stava suonando nella mia testa, era come se mi stesse sfuggendo qualcosa che avevo proprio davanti agli occhi, ma non riuscivo a cogliere quello che mi stava eludendo.


-Quando li hai lasciati?-


-Un paio di settimane fa...- il fatto che avesse a mala pena sussurrato quelle parole, mi fece propendere ancora un altro po' verso di lui; adesso la distanza tra noi era veramente esigua.


-Perché?-


-E' stata una conseguenza logica.- sembrava come torturato mentre mi parlava. Anche se non lo conoscevo veramente, riusciva a farmi immedesimare completamente con se stesso. -Amy era la mia ragazza dal liceo. Ci amavamo, almeno sino all'incidente... lei era lì in quella macchina, quando è accaduto. Io guidavo, Sam era accanto a me e lei alle mie spalle. Un'auto ha bucato un semaforo ed ha preso in pieno la fiancata destra. Sam è morto sul colpo, io e lei abbiamo riportato qualche danno, ma la vista del nostro amico privo di vita non abbandona mai i nostri incubi.- potevo solo immaginare come ci si potesse sentire in situazioni del genere, una mia mano andò a sfiorargli il ginocchio per confortarlo, nessuna parola sarebbe stata efficace. Lo vidi irrigidirsi per qualche secondo, fissando il punto di quel lieve contatto. -La nostra relazione non era più la stessa da tempo ormai, era ingiusto la sciare ancora le cose come stavano, così ho preso quella decisione. Lei era d'accordo, probabilmente era stanca di dividere le mie attenzioni con la mia Ossessione. Amy mi voltò le spalle e sparì dalla mia vita ed io non ne sentivo la mancanza...-


-Amy...- Il mio cervello iniziava a fare strani collegamenti, i tempi, i nomi si stavano stranamente incastrando in un modo alquanto imprevedibile. -Quel nome...- mi sfuggiva, eppure era lì davanti hai miei occhi era... -Antony... !!!- gli vidi immediatamente abbassare la testa.


-Il mio nome completo è: Edward Antony Cullen.-


-Sei tu? Sei sempre stato TU?!- improvvisamente quella persona che avevo davanti non era più uno sconosciuto, era qualcuno con cui avevo parlato per molto tempo, col quale mi ero confidata, di cui aspettavo ansiosamente notizie da giorni. -Perché sei scomparso nel nulla?-


-Non volevo più alimentare quella farsa. Speravo di conoscerti veramente e di rimandare Antony lì da dove era venuto.- sospirò -Lui sembrava perfetto, riusciva dove io miseramente fallivo. Comunicava con te senza paure e tu ti aprivi e gli raccontavi istantanee della tua vita, i tuoi sentimenti le tue interazioni con gli amici... lui era quello che io non potevo essere, ma sapevo che era sbagliato, che stavo tradendo ancora la tua fiducia, che dovevo trovare un modo per parlarti direttamente. Così lui è scomparso ed io sono apparso, come tuo vicino e spero come amico...

Anche se non credo la prima impressione sia stata buona!-


Lo osservavo e lo vedevo torcersi le lunghe dita da pianista a causa del nervoso e sapevo, dentro di me, che sarei dovuta essere arrabbiata, offesa e confusa da questa nuova intrusione della mia privacy, ma non mi sentivo così.

Mi sentivo lusingata.

Mi sentivo ammaliata da questo strano ragazzo così solo.

E sentivo forte quest'attrazione che mi legava a lui.

Sentivo il nostro respiro farsi irregolare.

I miei occhi erano fissi nei suoi, per quanto mi era possibile. Le sue pupille erano dilatate e da verdi adesso sembravano quasi neri.

Sospirò un'altra volta ed il suo respiro si infranse sulla mia bocca, spostai il mio sguardo sulle sue labbra: erano rosse, sembravano morbide e gustose.

Non ho ben chiaro cosa scattò nella mia testa, ma mi avvicinai tanto da far sfiorare la mia bocca con la sua.

Un brivido corse lungo la mia schiena e, credo, anche lungo la sua, lo sentivo tremare; il suo ginocchio, sotto la mia mano, aveva iniziato a vibrare. Sentivo il suo respiro infrangersi sulla mia guancia. La mia mano destra corse sul suo petto salendo sul collo sino alla sua guancia. Fu esattamente nell'istante in cui i miei polpastrelli sfiorarono quella pelle che lui scattò come una molla e si ritrasse rapidamente da me.

I miei occhi si aprirono e trovarono i suoi spaventati, il suo busto appoggiato allo schienale del divano: la maggiore distanza concessagli.

Ripassai quello che era accaduto per averlo terrorizzato così.

Il bacio era stato sin troppo casto per averlo sconvolto così tanto.

La mia mente tornò a quel breve contatto sul suo viso, la sensazione che avevo provato non era quella che mi ero aspettata.

Qualcosa stonava, era ruvida, ma non per la barba che stava rispuntando era... diversa.

Lo osservai meglio.

Una fiamma d'inchiostro nero correva sulla sua pelle spuntando dal collo della maglietta e puntava verso l'orecchio: un tatuaggio.

Cosa nascondeva ancora?

Perché continuavo a sentire quest'attrazione per lui?

Le dita prudevano alla ricerca di un nuovo contatto chiarificatore.

Poi capii...

Una cicatrice, ecco cosa nascondeva così tenacemente: una cicatrice!

Mi allungai per togliergli il cappuccio, ma lui scattò nuovamente, si divincolò, si alzò e iniziò a camminare nervosamente per la stanza.

La mia mano era rimasta a mezz'aria.


-NO...- il terrore avvolgeva quell'unica sillaba, ne veniva quasi soffocato.


-Credi che potresti spaventarmi?- mi credeva così superficiale?


-Non puoi dirlo... TU non mi conosci! Sono solo un'ombra nella tua esistenza, niente di più. Quel bacio cosa significava per te? Carità? IO non la voglio! Non la voglio...- il tormento avvolgeva ogni sua parola ed ogni suo gesto.


-Io non ti conosco, è vero, ma nemmeno tu! Io non provo “carità” per te, ma ammirazione e qualcosa che non ti so descrivere. Tu mi hai osservato, ma hai visto solo la scorza esterna, poco del mio vero IO ti è noto; forse solo da qualche confidenza che ho fatto ad Antony...

Non puoi giudicarmi!

Non TU!- la collera ci aveva sconvolti. Il mio respiro si stava facendo affannato e sentivo il bisogno di andarmene da lì, ma sapevo, inconsciamente, che non dovevo farlo perché, in quel caso, qualcosa si sarebbe rotta definitivamente.


Lui abbassò la testa, forse si sentiva sconfitto o era semplicemente stanco di tutto quello che aveva dovuto sopportare e di questa strana conversazione. Mi alzai ed andai nella sua direzione. Ero alla sue spalle, percepivo il calore del suo corpo, tanta era la nostra vicinanza.

Vedevo le sue spalle che venivano scosse da un tremito interiore. Vi appoggiai una mano sopra e lentamente lo feci girare verso di me.

Ci fissammo per un attimo infinito, poi gradualmente feci correre la mia mano lungo il suo braccio sinistro, volevo capisse cosa sarebbe accaduto, sulla spalla ed, ancora sul collo. A quel punto si immobilizzò, smise anche di respirare.

Con un gesto calmo presi il cappuccio e lo spinsi indietro.

Il suo viso venne illuminato nella sua interezza ed era bellissimo.

La forma squadrata della mandibola, il naso dritto, i due meravigliosi occhi verdi, che in questo istante sembravano più scuri di poco fa, e quei capelli color bronzo, così straordinariamente scompigliati ad arte. Tutto in lui avrebbe glissato la cicatrice che segnava la sua guancia sinistra dallo zigomo alla base dell'orecchio, lingue d'inchiostro correvano da quel punto giù lungo il collo per poi sparire sotto la sua maglietta.

Lui continuava a restare bloccato in quella posizione, troppo teso anche solo per respirare, soltanto le sue palpebre battevano velocemente e le iridi schizzavano in ogni direzione indicando in suo imbarazzo.

Mi allungai e dolcemente baciai quella guancia martoriata.

Sentii un suo sospiro sfiorare il mio orecchio e fondersi tra i miei capelli.


-Non mi importa!- sussurrai – non c'è niente in te che non meriti essere visto...- così dicendo cominciai ad abbassare la zip della felpa.


Tolta quella mi occupai della maglietta; il suo respiro si fece irregolare, proprio come il mio.


-Non sei... obbligata... a dimostrare niente...- balbettò tra un ansito e l'altro.


-Ti sembra che lo stia facendo controvoglia?- sorrisi, non ero mai stata più sicura di una cosa come in quel momento e non vedevo l'ora di arrivare al dunque.


Poi le mie mani iniziarono a correre sulla sua pelle, le nostre bocche si fusero ed i mugolii presero il posto delle parole. Mi aggrappai a lui, i nostri corpi a contatto erano come fuoco, sentivo la sua eccitazione premere sul mio ventre e tutto intorno a noi perse ogni contorno.

L'istinto ed il piacere vinsero su qualunque imbarazzo ed insicurezza.

Fu fantastico e gratificante, un'incoscienza che non avrei, di certo, mai rimpianto; sembrava che fossimo fatti per colmarci a vicenda.



Un raggio di luce fugace mi svegliò, il mattino successivo.

Era l'alba.

Per qualche minuto osservai quello che mi circondava: mi trovavo in una stanza che non riconoscevo, il braccio di un uomo, alle mie spalle, mi teneva stretta, ma non mi sentivo minacciata, anzi...

Il profumo di mughetto era mischiato col mio e questo mi piaceva oltre ogni dire.

Sapevo dove mi trovavo, da Edward, era lì che avevo trascorso la notte.

Non avevo ben chiaro “quando” ci eravamo spostati in camera, ma anche questo non mi disturbava affatto.

Mi mossi lentamente per non svegliarlo.

Raccolsi una sua maglietta da terra e la indossai, era un po' lunga, ma comoda.

Silenziosamente mi avviai alla finestra e scostai la tenda: la luce violacea avvolgeva delicatamente la mia casa poco distante. Le luci erano ancora tutte spente, chissà cosa avevano pensato i miei coinquilini del mio mancato rientro: la cosa strana era che, in realtà, non mi importava, mi sentivo bene dov'ero e non avevo voglia di dare spiegazioni a nessuno.

Voltandomi verso il letto lo vidi.

La sua guancia sinistra appoggiata al cuscino, il volto rilassato e perso nel sonno, le fiamme del suo tatuaggio che si correvano lungo il petto, sull'addome per poi sparire sotto le lenzuola che gli nascondevano l'inguine. Erano lingue d'inchiostro che si inseguivano all'infinito e che nascondevano, in esse, altre piccole cicatrici.

Le lunghe ciglia si appoggiavano delicatamente sugli zigomi, poi il mio sguardo si perse sulla bocca.

Ebbi un fremito.

La mia mente rievocò quello che mi aveva fatto provare solo poche ore prima.

La ricordavo sulle mie labbra, perse in baci appassionati mentre iniziavamo a conoscerci per poi lasciarci travolgere da una passione incontrollabile.

La ricordavo sul collo, che scendeva inesorabilmente sui miei seni, tesi per il desiderio e mentre la sua lingua lasciava scie di fuoco sulla mia pelle sentivo il nostro piacere crescere esplodere quasi contemporaneamente.


Una fitta nel basso ventre mi riportò al presente.

Sfiorai il suo viso con la punta di un polpastrello ed una scarica elettrica corse veloce lungo la schiena facendomi venire la pelle d'oca.

Era potente, qualunque cosa ci unisse era una forza incontenibile.

Lo fissai ancora per qualche secondo.

All'improvviso mi resi conto che non sarebbe stata una storia di soltanto una notte; qualcosa si era risvegliato in me ed avevo tutta l'intenzione di scoprire cos'era.



FINE




Note:


Eccoci qua, è finita!!!

Spero che vi sia piaciuta perché ho scoperto che scrivere una OS non è facile come sembra. E' stata la prima che ho scritto e, per me, infatti è stata complicatissimo e spero di essere riuscita a esprimere bene i sentimenti e a delineare bene i personaggi.

Vorrei, comunque, ringraziare chi ha indetto questo contest che mi ha permesso di cimentarmi in questa nuova avventura, anche se non credo si ripeterà....


Poi voglio ringraziare tutte voi che avete letto e commentato questa brevissima storia.

Un abbraccio a tutte, sperando di continuare a leggere i vostri commenti anche sulle altre mie storie.


GRAZIE ancora e a PRESTO!!!


Uvetta



PS: AUGURI DI UN BUON NETALE E FELICE ANNO NUOVO!!!!!!

   
 
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