“Avverto
una grande rabbia, in questa sala” esordì Harry “e non ne conosco i motivi. Forse,
anche conoscendoli, non riuscirei a capirli a fondo: troppi anni, troppe
esperienze ci separano. Ma la rabbia, quella sì, la conosco: conosco quella
sensazione di vuoto, di ingiustizia, di risentimento, di rivalsa, di desiderio
d’azione, tutto insieme, tutto in una volta, che non ti permette di pensare ad
altro, che non ti fa dormire, che ti brucia. Questa rabbia l’ho sperimentata
quando avevo l’età di molti di voi, è stata una esperienza che non rimpiango,
ma in fondo è stata utile: avendo vissuto quel sentimento, mi era possibile
vederlo anche negli altri, nelle persone con cui vivevo e anche in quelle che
avevo conosciuto e non c’erano più, e così mi diventava più facile capirle,
giudicarle meglio, essere più giusto nelle mie opinioni.
“Un
furore simile a quello che ho provato io doveva animare, molti anni prima che
nascessero i vostri nonni, un giovane mago che arrivò a Hogwarts
da un orfanotrofio. Il suo nome era Tom Marvolo Riddle, ed era un mago dalle capacità prodigiose.
Purtroppo, non riuscì mai a liberarsi di quel demone che lo consumava
dall’interno, e sin da giovanissimo si ostinò a usare il suo talento nella
magia per infliggere sofferenze agli altri, finché non arrivò a creare una
visione del mondo basata sull’oppressione di una elite superiore su tutti gli
altri: se conoscevate questo nome sapete di chi parlo, ma anche chi non lo
conosceva a questo punto avrà ormai capito che si trattava di Lord Voldemort.”
Il
silenzio che aveva accompagnato tutto il discorso di Harry non poteva essere
più assoluto, eppure alla menzione di quel nome sembrò accentuarsi
ulteriormente.
“Voldemort ha ucciso i miei genitori. Quando riapparve dopo
il suo lungo esilio spettrale, a lungo fui combattuto tra il desiderio di
vendetta e la speranza che sparisse dalla mia vita, che non mi costringesse a
fronteggiare un pericolo che non avevo creato né cercato. Per Voldemort provavo solo odio; ma più tardi, dopo la
battaglia di Hogwarts, quando tutto fu finito,
iniziai a riflettere, e a pormi delle domande. Odiare Voldemort
era giusto, perché era un concentrato di nequizia e malvagità come raramente se
ne sono visti nel mondo magico; ma era sempre stato così? Era nato malvagio o
c’erano responsabilità nella famiglia che lo aveva abbandonato, o nelle persone
che lo avevano ospitato in orfanotrofio? O forse non c’erano colpevoli, c’era
solo un bambino che sapeva di avere grandi poteri senza che nessuno gli
insegnasse i limiti della magia, e così Tom Riddle
aveva sviluppato un desiderio inesauribile di potere e conoscenza, che ha
cercato di soddisfare con i metodi più veloci, e cioè ignorando le conseguenze
negative dei propri gesti: questo fu l’inizio del percorso che portò alla
nascita di Voldemort. Mi sono chiesto se sarebbe
stato possibile evitarlo: se Tom avesse trovato qualcuno in grado di mettere un
freno alla sua sete smodata, se avesse potuto calmare la sua rabbia, se avesse
avuto degli affetti che lo distogliessero dalla sua ossessione…
magari mi direte che non ha senso perdere tempo a fare congetture impossibili
sul passato; eppure è così che possiamo trarre insegnamenti da esso, ed evitare
che le tragedie si ripetano.
“Certo,
se oggi posso parlare in questi termini di Voldemort
è perché è morto, perché lo abbiamo sconfitto. Non voglio esagerare i miei
meriti in questo risultato, perché è stata un’impresa collettiva: senza Hermione e Ron non sarei andato da nessuna parte, così come
è stato determinante l’apporto dell’Ordine della Fenice, e l’Esercito di Dumbledore è stato un nucleo di resistenza fondamentale
nella battaglia di Hogwarts, e non solo. Tante persone
che hanno lavorato insieme per un obbiettivo comune, nonostante tra noi ci
fossero diversità, perché credevamo tutti in un principio: che quelle diversità
potevano convivere. I mangiamorte facevano gerarchie
tra maghi e babbani, e tra i maghi di origine diversa,
e si erano posti al vertice di quel loro sistema; noi li combattevamo perché
non accettavamo simili divisioni, ed è per questo che tra noi c’erano
mezzosangue e purosangue, maghinò e nati babbani. Questo era lo spirito, per cui chi oggi cerca di porsi
come l’erede di quella lotta, e vede nei purosangue un nemico, sta commettendo
un grosso errore. E questo vi è stato già detto. Ma anche in questo caso, devo
essere io stesso ad evitare di sbagliare e lasciarmi andare a giudizi
frettolosi. L’importante è capire, ma per capire bisogna essere in grado di
mettere in dubbio le proprie convinzioni, di farsi delle domande; e, per
cercare risposte, parlare con gli altri, confrontarsi, discutere, se necessario
litigare; ma con le parole, non con bacchette o armi. Questo vale per me, vale per professori e
studenti, vale per maghi e per babbani. Quindi mi
auguro che anche voi ci pensiate: saper combattere è importante, ma sapere come
si può evitare di dover combattere lo è ancora di più. Quindi quella rabbia che
circola qui dentro… interrogatela: cercatene le
cause, chiedetevi se ne vale la pena, se i metodi e le idee che avete scelto
per sfogarla sono quelli giusti, se non potete ottenere di meglio cercando
altre strade. Luna, prima, vi ha suggerito un modo, ma ce ne sono tanti altri,
e sta a voi trovarli. I professori di Hogwarts
possono aiutarvi in questo, ma non abbiate paura di fare e farvi domande anche
su di loro: nessuno è intoccabile, ma tutti meritano rispetto.
“Questo
può sembrare il discorso noioso di un signore di mezza età che non vuole vedere
ragazzini litigare fra di loro. In effetti lo è. Ma tutti i reduci della
battaglia di Hogwarts sanno che la cosa più
importante è che nulla di simile si ripeta nella comunità magica. Questo è
l’impegno a cui ci siamo votati quando abbiamo iniziato a costruire la pace,
per donarla ad una nuova generazione. Quella generazione siete voi, e potete
mostrarci se questo dono vi piace, se cercherete di mantenerlo come lo avete
trovato, o se invece pensate che non è poi così importante e tanto vale
disfarsene. Grazie.”
Harry
si sedette. Per un istante ci fu silenzio, e l’intera sala parve congelata. Poi
si sentirono due mani battere, poi altre, e altre ancora, finché un applauso
fortissimo, come nessuno di quelli che lo avevano preceduto, si alzò dalle
tavolate degli studenti.
“Non
li hai convinti tutti, ma parecchi sì” disse Neville quando gli studenti si
furono ritirati nei propri dormitori “o almeno, hai seminato un po’ di dubbio
tra chi va dietro ai fanatici. Sono soddisfatto.”
“Dici?”
“Dico.
Mentre parlava ciascuno di voi tenevo d’occhio i gruppi di studenti che so
essere simpatizzanti del movimento, e il tuo discorso è stato quello che è
riuscito ad ottenere, anche tra loro, le reazioni migliori. Chi non ha applaudito
guardava sconcertato i compagni che lo facevano.”
“Allora
farai meglio a far tenere d’occhio i dormitori, stanotte” avvertì Ginny “Gli studenti che oggi sono divisi potrebbero
litigare, una volta da soli.”
“Hai
ragione, vado subito ad avvertire i prefetti” approvò Neville, alzandosi.
“Aspettatemi, dopo farò portare un po’ di vino.”
“Grazie,
Neville, ma si è fatto tardi, forse è il caso di tornare alla locanda” disse
Harry. Ginny si mostrò d’accordo.
“Davvero?
Peccato. Hermione, Ron?”
I
due erano rimasti in silenzio dalla fine degli interventi, e ancora più cupi di
prima. Ron disse solo: “Anche noi preferiamo ritirarci.”
“Va
bene, allora, vi farò accompagnare ai cancelli esterni, lì potrete
smaterializzarvi senza problemi.”
“Io
resto” dichiarò Luna “Giacché sono qui, andrò a consultare dei tomi in
biblioteca.”
“Di
notte?” chiese Hermione,
acida.
“Sì,
ci sono dei libri nottambuli che non si fanno leggere se non dopo il tramonto.”
“Mai
sentiti” disse Harry.
“Questo
perché nemmeno tu viaggi abbastanza, Harry. Guarda, stai anche mettendo su
pancia.”
“Vero?”
disse Ginny “Glie lo dico sempre anche io che si è
impigrito, ma lui niente…”
“Ok,
basta così!” sbuffò Harry. Neville sorrise, e li salutò uno per uno con
abbracci e strette di mano.
Rufus li guidò sino
ai cancelli, sebbene tutti e quattro ricordassero a memoria la strada. Fu una
passeggiata silenziosa e opprimente, Hermione e Ron
erano visibilmente prostrati e desiderosi di stare da soli, e né Ginny né Harry sapevano cosa dire per tirarli su di morale.
Una
volta usciti dai cancelli si scambiarono dei saluti imbarazzati.
“Ci
vediamo a cena da mamma per l’anniversario, sì?” chiese Ginny.
“Certo”
mugugnò Ron.
“Mi
raccomando, statemi bene…”
“Tranquillo,
Harry. Complimenti per il tuo discorso di stasera.”
“Ma
dai, basta parlare di…”
“No,
no. È stato uno splendido discorso, signor Potter.”
A
quella voce tutti si voltarono di scatto. A parlare era stata una giovane
donna, apparsa silenziosamente a pochi passi da loro. Aveva lunghi capelli
rossi.
“Rose!”
esclamò Hermione con voce strozzata.
“Ciao,
mamma” disse la nuova arrivata con tono indifferente.
Harry
la guardò con stupore e curiosità: non la vedeva da quando era poco più di una
bambini, e non l’avrebbe riconosciuta. Colore dei capelli a parte, non sembrava
avere nulla né dei Weasley né di Hermione,
i lineamenti del volto erano magri e duri, le labbra sottili, e in quel momento
piegate in un sorriso ambiguo.
“Devo
farle i complimenti, signor Potter” disse Rose “Con il suo intervento di oggi
ha vanificato parecchi risultati raggiunti sinora dal movimento. Dovremo
lavorare parecchio per recuperare.”
“Come
fai a sapere del mio discorso?”
“Diciamo
che i miei sostenitori più fidati mi aggiornano in tempo reale su ciò che
avviene dentro Hogwarts.”
“Ma
pensa. E sei venuta qui solo per riconoscere la sconfitta?” chiese Ginny, sarcastica.
“Nessuna
sconfitta, zia carissima. Solo un rallentamento, ma qui non sono io che sto
facendo una battaglia contro i purosangue, siete voi che state combattendo
contro l’inevitabile.”
“Che
intendi dire?”
“Intendo
che la fine dei purosangue è scritta nella storia. Noi acceleriamo il processo,
ma quello andrebbe avanti a prescindere. Voi invece volete fermarlo, ma ci sono
cose che nemmeno i maghi più potenti possono fare.”
“Sì,
e far diventare intelligenti gli stupidi è la prima della lista.”
“Le
battute non cambieranno la realtà, zia.”
“E
allora perché sei venuta qui, Rose?” chiese Harry, spazientito.
“Bravo,
signor Potter, arriviamo al punto.”
“E
basta con questo signor Potter, sono tuo zio!”
“Non
sono degna di cotanta parentela. Lei può essere un simbolo per la lotta sangue
sporco, signor Potter. Perché vuole
stare dalla parte sbagliata della storia? Il suo passato merita di meglio.”
“Mi
chiedo se tu abbia davvero ascoltato il mio discorso…”
“E
io mi chiede se davvero lei crede che basti la rabbia adolescenziale a spiegare
tutto. La rabbia adolescenziale, ah! Un concetto babbano,
vede? Anche lei sa che quella è la nostra cultura, non quella dei purosangue.
Ma non mi illudo di convincerla stasera. Mi basta che si chieda ‘e se avessi
torto?’ Non può non farlo. Lo ha detto lei stesso che è bene porsi dubbi, farsi
domande, no? Nel suo splendido discorso.”
Pronunciate
quelle parole, Rose si smaterializzò.
“No,
aspetta!” gridò Hermione correndo verso di lei.
Scivolò sull’erba umida e cadde in ginocchio di fronte al punte dove sino a un
attimo prima c’era la figlia, e ora più nulla. Iniziò a piangere.
Senza
dire nulla, Ron si chinò vicino a Hermione, e la
abbracciò, accarezzandole le spalle scosse dai singhiozzi con mani anch’esse
tremanti. Ginny strinse forte il braccio di Harry.
Rimasero così per un po’, nel silenzio della notte rotto solo dalle lacrime.