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Autore: DarkSide_of_Gemini    19/12/2013    2 recensioni
"-Io posso venire quando voglio qui. Domani torni?-
-No-
Aveva usato un tono perentorio, non adatto ad un bambino della sua età.
Sembrava abituato a farsi obbedire ad un minimo cenno, aveva assunto una vaga espressione di minaccia.
Kendeas ci rimase male, ma non si perse d’animo.
-E dopodomani?-
-No. Mai più. Mai più fino a quando non avrò terminato il mio addestramento-"
Due bambini, un lungo periodo di attesa, una promessa da mantenere.
E' così che inizia la storia di Saga e Kendeas, il primo Gold Saint dei Gemelli, l'altro un ragazzo comune, come tanti.
La storia di un amore nato per caso e capace di durare tutta la vita e oltre la morte, attraverso difficoltà, tradimenti, bugie.
Attraverso gli anni.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anàmesa Étoi – Across the Years

 

3 – Obbligo o Verità?

 

-Da quanto sei qui?-

 

Kendeas abbassò lo sguardo dal ramo sul quale era stravaccato: Saga aveva lo sguardo sollevato per riuscire a guardarlo, in attesa di una risposta.

Il ragazzo sollevò una buccia di fico per mostrarla all’altro.

 

-Vuoi sapere se te ne ho lasciati?-

 

Dal basso Saga sorrise –Mi hai scoperto-

 

-Ma certo- Kendeas staccò un frutto ben maturo da un ramo vicino e lo fece cadere. Saga lo afferrò al volo con una mano –non vorrei mai essere il responsabile della tua morte per astinenza da fichi-

 

-E allora lanciamene un altro, no?-

 

Kendeas gli rivolse un mezzo ghigno cospiratore.

Si sporse appena dal ramo simulando un’aria di superiorità.

 

-Chiedimelo con gentilezza-

 

Vide Saga mettere su un finto broncio per soffocare un sorriso sul nascere.

Il Cavaliere dei Gemelli sollevò le mani come per confermare una resa e gli rivolse uno sguardo implorante.

 

-Ti prego, Divino manifatturiero, posso avere l’onore di ricevere un frutto dalle tue eteree mani?-

 

Non riuscendo a mantenere l’espressione composta da vera Divinità Kendeas si concedette una spontanea risata; staccò due fichi dall’albero scegliendoli con la massima cura e li consegnò al Saint.

Saga li soppesò tra le mani, fingendosi sorpreso.

 

-Addirittura due? Sono stato graziato-

 

Kendeas si sedette sul ramo, stirandosi i muscoli: il legno era un divano piuttosto scomodo.

Staccò una foglia che gli pendeva appena sopra la testa e si mise a giocarci rigirandosela tra il pollice e l’indice in attesa che Saga finisse in pace i suoi meritati frutti.

Si era diretto verso l’albero dell’appuntamento un po’ prima del previsto ed era rimasto in attesa di Saga, immerso nella pace del campo, a riflettere sugli ultimi giorni trascorsi.

A riflettere su come si era sentito qualche giorno addietro, quando aveva pensato che Saga lo stesse accusando di sottrargli il tempo libero a disposizione, anche se dal tono del Cavaliere si intendeva bene che quelle parole non volevano essere un’accusa di nessun genere.

E a riflettere su come, subito dopo, quando Saga gli aveva detto in modo non tanto esplicito di voler stare con lui, si era sentito liberato dal peso che la prima affermazione gli aveva fatto crollare addosso.

A riflettere su cosa significasse tutto quello.

Si sentiva incredibilmente stupido solo a ripensarci.

Perché si fosse tanto arrabbiato per un’esclamazione del tutto innocente.

Perché, ogni volta che si trovava con Saga, qualsiasi cosa facesse gli sembrasse così fuori luogo e poco adatta alla situazione.

Ed ogni volta, dopo tutte quelle domande, si chiedeva se Saga provasse le stesse cose o se le sue erano solo inutili paranoie.

 

-Terra chiama Kendeas!-

 

Riabbassò lo sguardo: Saga giocherellava con le bucce dei fichi diventate un'unica pallina appiccicosa.

I suoi occhi verde-blu lo squadravano in attesa di risposta.

 

-Cosa?-

 

-Ti ho chiesto se hai intenzione di scendere da lì o se hai messo le radici come Daphne-

 

-Potrei anche offendermi: ti sembro una ninfa?-

 

E Saga gli sorrise ancora –Dammene la prova. Sicuro di non volere aiuto?-

 

-Lo so, lo so- Kendeas annuì come ad una raccomandazione ricevuta già dieci volte –se cado mi faccio male. Me lo hai detto già la prima volta. Ce la faccio, davvero-

 

Forse per uno strano scherzo del destino, forse perché l’equilibrio di Kendeas era peggiorato nel corso degli anni, proprio come la prima volta i due finirono l’uno sull’altro in uno strano ricordo del loro primo incontro.

Ecco: adesso Kendeas aveva un buon motivo per sentirsi un perfetto stupido.

Si sollevò sui gomiti per permettere a Saga, sgraziatamente schiacciato sotto di lui, di respirare.

 

-Oh, diamine!- protestò il ragazzo –E questa è la seconda volta che ti cado addosso! Si può essere più imbranati…?-

 

Sentendosi come se gli avessero dato fuoco alla faccia Kendeas si arrischiò a sollevare lo sguardo per fronteggiare la sicura ira di un Gold Saint atterrato in meno di un minuto da qualcuno disarmato, tra l’altro senza la minima intenzione di metterlo al tappeto.

Si aspettava che Saga gli dicesse qualcosa, da un gentile “Levati di dosso” ad un diretto “Preparati a morire”.

Invece non gli arrivò una sola parola.

Saga lo guardava, non meno sorpreso ed imbarazzato di lui, con un misto di stupore e perplessità negli occhi illuminati appena dalla luce filtrante dalle foglie sopra di loro.

A quel punto Kendeas avrebbe dovuto scusarsi ed alzarsi sparendo dalla circolazione in meno di un nanosecondo.

Invece rimase lì per quella che gli sembrava un’eternità, a guardare da ogni singola angolazione il viso a pochi centimetri dal suo, e studiare con nuovo interesse gli occhi, la loro forma, l’azzurro ed il verde che si mescolavano attorno alla pupilla nero inchiostro, gli zigomi seminascosti da ciocche ribelli, la curva scolpita del mento fino a soffermarsi più del dovuto sulle labbra.

Cercò di  nuovo gli occhi di Saga e vide che anche lui lo studiava con insolito interesse seguendo il suo esempio.

I loro sguardi si incrociarono per un solo istante.

Qualcosa, nella sua testa, gli diceva di fermarsi e non fare pazzie, alzarsi ed andare a sotterrarsi da qualche parte.

Non aveva la minima idea di quello che stava facendo.

Almeno, non fino a quando la sua bocca non incontrò quella di Saga a metà strada, ed anche allora non seppe dire se lui si fosse spinto troppo avanti o Saga avesse messo del suo avanzando a sua volta.

Ma era mai possibile?

“Staccati” Kendeas sentì una vocina dentro di sé “cosa diavolo stai facendo?”.

Avrebbe voluto allontanarsi.

Davvero.

Magari tra un altro po’, si ripeteva, solo un altro secondo, un altro e basta, e poi si sarebbe alzato ed avrebbe pregato la terra di inghiottirlo.

Ma quel momento non arrivava.

Il momento in cui avrebbe dovuto rimettersi in piedi e sfrecciare via scomparendo per sempre alla vista del Saint dei Gemelli si faceva sempre più lontano, si perdeva nella sensazione e nei brividi che le labbra di Saga gli provocavano, ogni volta in cui si schiudevano tra le sue, ad ogni respiro sul viso, rimandava l’azione ad un “dopo” non meglio specificato, un puntino appena visibile nelle sue priorità.

La bocca del Saint di Gemini era l’unica, vera cosa reale di quel momento, le sue labbra lisce, zuccherate a causa dei frutti mangiati poco prima, e non sapeva se calde per natura o per le stesse emozioni che adesso affollavano l’animo di Kendeas in un continuo turbine di incertezze e nuove responsabilità.

Mai, neanche nei sogni, il ragazzo era riuscito a provare una tale quantità di sensazioni tutte diverse, contrastanti, alle quali seguivano pensieri contraddittori che non facevano altro se non aumentare la sua confusione.

Sentiva una mano di Saga tra i capelli.

Un sospiro, o forse il Saint che pronunciava il suo nome.

Kendeas si allontanò di scatto, avvertendo quel suono come un rimprovero, un invito ad allontanarsi, smetterla, rispettare i loro ruoli.

Mentre riprendeva fiato studiò il viso di Saga: non sembrava arrabbiato o contrariato, più che altro sorpreso, sembrava cercare qualcosa da dire.

Non gliene diede il tempo.

Si alzò con un unico movimento rischiando di perdere l’equilibrio e cadere di nuovo e fece alcuni passi indietro passandosi d’istinto una mano sulle labbra.

Saga si alzò a sua volta.

Aprì la bocca per parlare, ma non ne ebbe il tempo.

Kendeas gli voltò le spalle e corse via senza più guardarlo.

***

Amore.

L’amore è un sentimento di profondo affetto, complicità a rispetto che viene a formarsi tra due persone.

È un vero e proprio impulso a cui tutti i sensi rispondono, attirandoci verso qualcuno.

Stimola complicità, passione fisica, a volte persino dolore, tutto d’un tratto, tutto insieme, sorprendendoti quando meno te l’aspetti.

Questo ed altro Kendeas aveva appreso sull’amore, questo ed altro gli veniva in mente da quando, due giorni prima, si era lasciato Saga alle spalle convinto di aver osato troppo, di essersi preso una libertà preclusa a qualcuno come lui; da quando, quella notte, si era svegliato più di una volta perché il sogno di quel bacio azzardato dato al Saint d’Oro si era fatto fin troppo vivido e dettagliato, tanto da fargli credere di essere ancora nel frutteto, ancora sopra Saga, ancora una volta combattuto tra la vergogna che quel suo gesto gli provocava ed il piacere che gli veniva reso in cambio.

A questo, poi seguivano altri sogni, strani, impossibili, da non seguire o ricordare una volta sveglio.

In ognuno di questi, Saga lo chiamava.

Non con rabbia.

Non con rimprovero.

Era solo la sua voce, il più delle volte, la sua voce profonda, solo un sussurro, spensierato, forse addrittura… dolce?

“Kendeas…”.

 

-Kendeas!-

 

La voce di sua nonna lo strappò via dalle braccia di Saga regalandogli un brusco risveglio.

Kendeas rispose qualcosa di incomprensibile da sotto le coperte, rigirandosi su un fianco per dare le spalle alla finestra, sgradita fonte di luce.

 

-Santo Cielo, che ti prende, ragazzo? Sono già le dieci e tu non sei in piedi. Stai male?-

 

Lui si arrischiò a sollevare un braccio per scrutare la donna in piedi di fronte al letto: di piccola statura, gracile ma con una forza insospettabile, il viso spigoloso; indossava un vestito color indaco e sopra un grembiule bianco.

Scosse la testa rimanendo però sommerso dalle coperte, sperando che la nonna non partisse con uno dei suoi interrogatori.

 

-Hai dormito di nuovo con la finestra aperta, non è vero?- ecco, era tardi –Certo che poi stai male-

 

La donna avanzò e chiuse le imposte.

Kendeas voleva dirle che la finestra non c’entrava nulla, anzi, quella era l’ultimo dei suoi problemi, ma poi avrebbe dovuto dire troppe cose.

Come si giustificava?

“Ho baciato uno dei Sacri Guerrieri di Athena ed ora aspetto che una folgore punitrice mi colpisca”?.

No, era meglio far credere alla nonna di stare male, almeno fino a quando non avesse trovato una scusa più credibile per quella sua improvvisa fiacchezza.

 

-Io e tuo zio andiamo in città questo pomeriggio- lo informò lei –ma se non ti senti bene potrei restare con te-

 

Le vendite in città rendevano molto di più, per questo motivo Ifighéneia e Kostas vi si recavano almeno una volta al mese.

Kendeas rimaneva al villaggio perché qualcuno doveva pur badare alla casa ed al lavoro al tempo stesso, ed i parenti non avevano più la vitalità di una volta.

 

-No- si degnò di riemergere da sotto il lenzuolo –sto bene. Andate pure-

 

-Sei sicuro?-

 

-Assolutamente-

 

La nonna lo studiò a lungo, pensierosa, ma infine annuì e lasciò la stanza.

Kendeas gettò le coperte da un lato e rimase disteso a fissare il soffitto a lungo, perso negli ultimi residui di un sogno ormai non troppo chiaro.

L’unico dettaglio rimaneva lui.

Saga.

Amore.

L’amore romantico ha un significato differente dal profondo affetto verso di una famiglia o un oggetto.

L’amore romantico è quello che lega due persone attraverso un profondo senso di passione e fedeltà, indissolubile anche a distanza di anni.

Pothos, era il termine esatto.

Ciò che si desidera.

Ciò che si sogna.

E lui sognava Saga.

E, aveva paura di ammetterlo, anche solo di pensarlo, ma lo desiderava.

Lo desiderava da quando aveva poggiato le lebbra sulle sue, anzi, da molto prima, da quando le loro mani si erano sfiorate l’un l’altra ed aveva avvertito quella strana scossa interiore alla quale non aveva fatto caso se non in quel momento.

In pochi giorni la sua vita era stata scandita da una serie di termini fondamentali, pochi ma concisi.

Saga.

Amore.

Pothos.

Desiderio.

Era assurdo.

Saga non avrebbe voluto neanche più vederlo dopo ciò che era successo.

Perché continuare ad illudersi o giustificarsi attraverso lo studio della lingua?

Kendeas si alzò di malavoglia, si vestì, non pensò neanche di mangiare qualcosa e si chiuse nel laboratorio dello zio.

Prese un nuovo blocco di argilla, non potendo fare a meno di guardare la scultura di Saga, quella che rappresentava Athena, ricordando quando il Saint gli aveva detto di tenerla, e scherzando lo aveva sfidato a venderla a qualcuno.

Si sedette, guardando il grigio monotono del materiale tra le sue mani.

Lavorare l’aveva sempre distratto.

Alzò un piccolo scalpello, ed incise la prima linea.

Rimase lì a lungo, incideva in automatico e quasi non vedeva ciò che le sue mani andavano via via creando, rincorrendo pensieri lontani e diversi nel tentativo di distrarsi.

Prese una decisione: già il giorno prima non si era diretto verso l’albero dei fichi, e si era ripromesso di non farlo mai più.

Non voleva affrontare Saga, neanche dopo diversi giorni dall’accaduto, ed in fondo non credeva neanche che il Saint l’avrebbe più cercato.

Erano pari.

Era stato un incontro come gli altri, un’amicizia che da quel momento in poi sarebbe durata a distanza o si sarebbe spenta con il passare del tempo.

Fine.

Lavò la nuova scultura quando ormai era quasi ora di pranzo, ed alla fine le diede la prima, vera occhiata.

Quella che si trovava tra le mani era la statua in miniatura di un ragazzo dal fisico perfetto, eretto in piedi, il peso poggiato su una gamba come uso degli efebi di Policleto.

Quel ragazzo aveva i capelli lunghi, sciolti sulla schiena, incredibilmente realistici.

E sorrideva.

Quella che si trovava tra le mani era una statua di Saga.

Era perfetta, molto più di qualsiasi lavoro fatto fino a quel momento, ed era incredibile constatare quanto fosse riuscita bene senza neanche un modello al quale fare riferimento.

Ma Kendeas non ne aveva bisogno.

Conosceva Saga alla perfezione nonostante si fossero frequentati per pochi giorni.

Sorrise alla statua.

Ed un pensiero non meno strano di quelli precedenti si fece avanti con incredibile spontaneità.

“Pothos. Saga, amore mio”.

***

Bussavano alla porta.

I suoi parenti se n’erano andati già dal pomeriggio prima, improbabile che Kostas fosse tornato dopo così poco tempo.

“No… per favore”.

 Kendeas si rotolò con fare pigro sul letto, chiedendosi chi mai potesse bussare alla sua porta a quell’ora di pomeriggio; di solito i negozianti si rinchiudevano nelle rispettive abitazione per riposarsi un po’ prima del lavoro pomeridiano.

Altri colpi, stavolta più decisi.

Kendeas si tirò in piedi sospirando, dirigendosi verso la porta.

“Spero che tu abbia un buon motivo per venire a disturbare la gente a quest’orario indecente!”.

Rimase per un po’ con la mano sulla maniglia, incerto se aprire o far finta che in casa non ci fosse nessuno.

Fu tentato dall’idea: se le persone prendevano l’abitudine di far visita a tutte le ore, addio tranquillità.

Ma poteva sempre essere un potenziale cliente a cui serviva un’ ordinazione urgente.

Si arrischiò ad aprire uno spiraglio necessario a vedere chi mai fosse il disturbatore e se valesse la pena di proporgli una ripetizione gratuita di come funzionasse l’orologio.

Quello davanti a lui non era un disturbatore qualsiasi, men che mai qualcuno che volesse commissionare qualche lavoro.

I suoi occhi cangianti lo scrutavano attraverso la porta semiaperta; sembravano preoccupati.

 

-Kendeas?-

 

-S-Saga… ma cosa…?!-

 

Il Saint scrutava ancora all’interno dell’abitazione quasi cercasse qualcuno nascosto nell’ombra.

Lo guardò perplesso, forse appena risentito.

 

-Scusa se sono venuto fin casa, però… volevo sapere come stavi-

 

-Come sto?- ripeté lui senza capire –Come dovrei stare?-

 

-Lo sai, no?- gli occhi di Saga gli chiedevano con insistenza il permesso di entrare –Non sei più venuto al nostro appuntamento. È da un paio di mattine che ti aspetto, e non ti sei fatto vivo. Pensavo stessi male, così sono venuto a controllare-

 

“Non prenderlo come un rimprovero per non esserti più fatto vivo”.

Si ammonì Kendeas cercando disperatamente qualcosa di valido con cui ribattere.

Nessuna scusa –forse proprio perché era una scusa e non corrispondeva alla realtà-, gli sembrava reggere più di tanto, e lo sguardo di Saga in attesa della sua risposta non facevano altro, anche se in modo involontario, se non aumentare la sua agitazione.

Amore.

L’amore era anche quello: rimanere impacciati e boccheggianti davanti alla persona desiderata.

Così, come spesso faceva in più occasioni, rinunciò alle menzogne e decise di dire la pura e semplice verità.

 

-Ho pensato fosse meglio sparire. Tutto qua-

 

-Sparire?-

 

Benché ormai al massimo dell’imbarazzo, Kendeas fece cenno al Cavaliere di entrare in casa: non era il caso che qualcuno li vedesse a complottare.

Si sedettero in cucina, uno di fronte all’altro, Kendeas teneva gli occhi puntati sul legno chiaro del tavolo ovale con un’ostinazione straordinaria.

 

-Che cosa vuol dire sparire?-

 

Chiese Saga rompendo il silenzio della stanza.

Lui alzò gli occhi indugiando tra le iridi acquamarina di fronte a lui e l’arredamento della sala.

Inspirò, trattenne l’aria e la rigettò via sotto forma di un lungo sospiro.

 

-Dopo quello che è successo. Al frutteto. Io… credevo fosse meglio così-

 

-Vuoi dire dopo il nostro bacio?-

 

L’essere Saint impediva l’uso di mezzi termini.

Kendeas si sentì avvampare.

 

-Già che sono qui, vorrei parlare anche di questo-

 

L’artigiano si strinse nelle spalle desiderando che il pavimento si aprisse per inghiottirlo e scaraventarlo nell’Ade, o in qualsiasi altro luogo lontano da lì.

Abbassò di nuovo la testa con un unico scatto deciso.

 

-Kendeas- si sentì sollevare il mento dalle dita di Saga in un tocco privo di rabbia o violenza. Era calmo, e questo lo faceva sperare in bene –voglio che mi guardi in faccia, quando ti parlo. Intesi?-

 

Titubò, annuì reprimendo di nuovo l’istinto di nascondersi a quello sguardo dolce e fiero allo stesso tempo.

 

-Ascolta… fin da quando sono arrivato al Grande Tempio sono stato addestrato per farmi valere in qualsiasi situazione e con qualsiasi avversario. Mi sono dimostrato da subito uno tra i combattenti più dotati da molti, troppi anni, e dal mio primo combattimento tutti hanno iniziato a rispettarmi, più del dovuto. Alcuni mi venerano addirittura. Mi chiamano Dio, Santo, la mia nomina di eroe si è diffusa persino nei villaggi più remoti. Sono sempre stato il Saint dei Gemelli, almeno fino a quando non sei arrivato tu. Tu sei l’unico che riesce a vedere il mio lato umano ed a trattarmi come tale, non una riverenza, non un timoroso rispetto reverenziale. Con te ho un rapporto normale, come lo potrebbero avere due comuni ragazzi della nostra età. Non fraintendere quello che sto dicendo, ma… vorrei che la mia reputazione di Cavaliere non rovini quello che c’è tra di noi. Mi hai sempre considerato un uomo comune e mi hai offerto quello che nessun’altro al mondo si sarebbe mai sognato di darmi: la tua amicizia, il tuo relazionarti con me non tenendo conto del mio ruolo. Questo mi fa sentire bene. Mi fa sentire come se potessi prendere parte anche io della tua vita normale, se posso definirla così. Per cui ti chiedo solo una cosa: non smettere di trattarmi così adesso. Mi ci sono appena abituato, e vorrei continuare a farlo-

 

Non c’era ombra di sarcasmo nella sua voce, né Kendeas ne trovò sul suo viso.

Bene.

Era il suo turno di dire qualcosa.

Se solo fosse riuscito a mettere in ordine le lettere dell’alfabeto in modo coinciso e coerente.

Era troppo quello che gli passava per la mente in quel momento: dalle sue parole Saga gli aveva fatto capire di volerlo ancora come amico, confidente, e non si era dimostrato affatto infastidito dal loro accidentale bacio nonostante non l’avesse detto in modo esplicito.

Allora, cos’avrebbe potuto rispondere, lui?

Cos’avrebbe potuto dire, di sensato, che rassicurasse Saga?

“Non si è arrabbiato, calma, già questo è un grande vantaggio”.

Ma lo era davvero?

Non poteva fare a meno di indugiare con lo sguardo sulle labbra del Saint senza che il desiderio di rifarle sue non si facesse avanti.

 

-Va bene- disse infine, quantomeno per far capire di aver inteso il senso del discorso –va bene, se è questo che vuoi lo farò-

 

Vide Saga annuire appena, sollevato.

Il Saint fece scivolare una mano sul tavolo e si mise a giocherellare intrecciando le sue dita a quelle del ragazzo.

Sembrava pensare a qualcosa mentre i suoi occhi alternavano brevi occhiate alle loro mani vicine e sguardi fugaci alla ricerca delle iridi verdi di Kendeas.

 

-Bene- sospirò infine. Un lieve sorriso amichevole gli era spuntato sulle labbra –cosa si fa il pomeriggio, da queste parti?-

 

-Non c’è molto da fare in realtà. E non credo tu abbia voglia di passare quattro ore in laboratorio-

 

-A creare altri mostri? No, grazie dell’offerta-

 

-Cosa ne dici di giocare ad obbligo o verità?-

 

E quella proposta da dove saltava fuori?

Era di gran lunga la più ridicola che Kendeas avesse mai fatto.

Saga si mostrò interessato: gli rivelò di non avere più fatto quel gioco da quando era arrivato al Tempio.

 

-D’accordo, comincia tu- gli disse Kendeas –cosa scegli?-

 

-Verità-

 

Quello era il momento giusto per porre un punto finale alla domanda che assillava il ragazzo da giorni, e non voleva lasciarselo scappare.

 

-E’ vero che non mi ucciderai per quel piccolo incidente del frutteto?-

 

Saga rise, sotto le onde dei capelli le spalle sussultavano dando vita a quel fiume azzurro –E’ tutto perdonato, fidati. Quante volte ancora devo ripetertelo?-

 

-Era per essere sicuri. Bene, ora tocca a me-

 

-Scegli pure-

 

Kendeas ci pensò su.

Obbligo o verità?

Cosa voleva che succedesse in seguito ad una delle due scelte?

La cosa bella di quel gioco era il fatto di poter approfittare delle circostanze per chiedere cose che nella vita normale non ti sogneresti neanche.

C’erano un’infinità di cose che Kendeas avrebbe potuto scoprire tramite semplici domande, ma non era nella sua natura giocare sporco.

E non scelse nessuna delle due ipotesi.

Si illuminò prima, ricordando all’improvviso qualcosa che aveva visto quella mattina su uno scaffale della sua stanza.

 

-Ho qualcosa per te-

 

Saga lo guardò incuriosito –Davvero?-

 

-Vieni-

 

Lo guidò lungo il corridoio ed aprì l’ultima porta a destra.

Entrò nella stanza e si rigirò nervoso la statua di Saga tra le dita, cercando di pensare a cosa lui avrebbe detto una volta che l’avesse avuta tra le mani.

Non sapeva neanche perché l’avesse conservata in camera sua.

Forse perché Kostas avrebbe potuto scambiarla per qualcosa da vendere, invece Kendeas aveva tutta l’intenzione di tenerla per sé.

O di darla al legittimo modello.

 

-Lo so, mi prenderai per matto- si sedette sul suo letto sempre guardando Saga osservare stupito la sua riproduzione in miniatura –chiamala se vuoi ispirazione Divina-

 

-E’… perfetta-

 

“Come te”.

Saga guardava la scultura con un sorriso quasi affettuoso, passava la punta delle dita sulla superficie levigata a regola d’arte come se accarezzasse qualcosa di unico e prezioso.

Kendeas avrebbe voluto trovarsi sotto quelle dita anche solo il tempo di un tocco.

 

-Puoi tenerla, se vuoi-

 

-Dici sul serio?-

 

Si accorse di sorridere –Ma certo-

 

-Allora la porterò con me quando vado via- e Saga la appoggiò con estrema delicatezza sulla mensola di prima –hai scelto?-

 

Kendeas aveva fatto la sua scelta subito dopo che si era alzato dalla sedia della cucina.

Aveva deciso di arrischiarsi nella parte più ignota del gioco e subirne le conseguenze a testa alta.

Cercò gli occhi di Saga per la prima volta dopo giorni interi passati a desiderare di vederli di nuovo.

 

-Obbligo-

 

Il Saint avanzò verso il letto riflettendo sulla scelta, il capo inclinato a destra.

Si sedette a sua volta vicino all’altro studiandolo da ogni singola angolazione, attento e pensieroso come mai Kendeas l’aveva visto.

Contro le costole il cuore del ragazzo cominciò a battere con più insistenza.

Quell’attesa era qualcosa di misterioso ed ignoto, nessuno avrebbe potuto dire cosa mai si celasse dietro il silenzio del Saint di Gemini.

Saga schiuse le labbra.

 

-Dammi un bacio-

 

Si era ripromesso di non farlo, eppure Kendeas non riuscì a trattenere un’esclamazione di stupore.

Ecco, quello che aveva pensato, forse sperato, sin dall’inizio in un misto di timore e trepidante attesa.

Una richiesta che pensava non sarebbe mai arrivata.

Saga non si scompose alla sua reazione.

 

-Mi hai sentito, no? Ti ho detto che non sono arrabbiato per quello che è già successo. Ed ora voglio che tu rispetti le regole del gioco-

 

Quella volta non c’era nessun ramo a giocare il ruolo principale per dare il via a tutto.

Una distanza molto più breve di quella della prima volta li separava, e questa volta fu il turno di Kendeas di avanzare per fare in modo di rendere la richiesta di Saga, quello che tante volte aveva visto nei suoi sogni, qualcosa di concreto e di nuovo tangibile.

Ogni fibra del suo corpo si tese.

Il contatto più dolce e volontario con le labbra di Saga non arrivò a scatenare di nuovo la paura dopo la raffica di emozioni iniziali, quella volta era tutto diverso, non era più una legge proibita che lui aveva violato, era stata una domanda, una semplice domanda.

“Me l’ha chiesto lui. E’ quello che vuole lui. E’ quello che voglio io”.

Saga gli poggiò una mano sul petto spingendolo con dolcezza fino a farlo distendere del tutto sul materasso, le sue dita scivolarono sotto la stoffa leggera della maglietta, sull’addome, a provocare lunghi brividi lungo i fianchi e la schiena.

L’indumento scivolò via ad un altro movimento del Cavaliere; Saga si staccò da lui il tempo necessario per sfilargli del tutto il tessuto di dosso.

Era inginocchiato su di lui, vicino come solo un’altra volta, i suoi capelli scivolavano sul viso e le braccia del compagno facendogli il solletico ad ogni minimo movimento.

 

-Allora, Kendeas? Obbligo o verità?-

 

Avrebbe dovuto essere lui a rispondere.

Saga aveva saltato un turno ben sapendo quello che faceva.

Voleva una risposta, un qualcosa che gli indicasse cosa fare arrivati a quel punto, voleva sapere se lui condivideva quel suo nuovo approccio o se voleva stroncarlo lì sul nascere.

 

-Verità-

 

-Vuoi che mi fermi?-

 

Pothos.

Era desiderio quella scintilla accesa negli occhi del Saint del Gemelli, desiderio puro e semplice.

Poteva sentilo fremere d’impaziente attesa, scalpitante come un cavallo in attesa di lanciarsi al galoppo.

E lui stesso non voleva tirarsi indietro.

 

-No-

 

Intravide un sorriso aleggiare sulle labbra di Saga; il Saint si chinò di nuovo su di lui, si liberarono dalle vesti gettandole alla rinfusa su tutto il pavimento della stanza.

Il tocco di Saga era leggero, delicato, incerto, le sue labbra tremavano appena nella serie di lenti baci e carezze sul viso, il collo ed il petto.

Sentirlo entrare in lui fu un’esperienza che Kendeas non avrebbe mai più dimenticato.

Le leggere spinte di Saga si facevano man mano più sicure, seguivano il ritmo scandito dai sospiri che avevano riempito la stanza, una cadenza via via sempre più conciata, dolce ma impaziente di trovare l’apice del loro desiderio comune.

Kendeas lo teneva stretto, le mani sulle sue spalle, il viso del compagno nascosto nell’incavo del suo collo.

Sentiva la sua pelle coperta da un leggero strato di sudore.

Continuò così per un indefinibile lasso di tempo fino a quando Kendeas non si rese conto di essere completamente inarcato, proteso verso Saga, le braccia intorno al suo collo, le ginocchia strette ai suoi fianchi.

Si lasciò di nuovo andare seguendo i movimenti di Saga con incredibile naturalezza, fino a quando entrambi, esausti, si strinsero l’uno nelle braccia dell’altro dopo un ultimo bacio.

***

Era di nuovo mattina.

Il tempo sembrava essere volato, dopo il pomeriggio precedente.

Kendeas aveva riaperto gli occhi e guardato subito la stanza quasi per accertarsi che ciò che era successo non fosse stato solo un sogno.

Accanto a lui Saga si mosse, rigirandosi verso di lui e rivolgendogli un sorriso assonnato.

Cercando di dissimulare l’imbarazzo, Kendeas si tirò il lenzuolo addosso quel tanto che bastava per coprirsi, prendendo alcuni profondi respiri, fissando ora i vestiti sparsi per terra, adesso cercando fugacemente lo sguardo di Saga per poi distoglierlo dopo solo pochi attimi.

Appoggiò la schiena al cuscino, fissando qualcosa di invisibile dritto davanti a sé.

 

-Saga…?-

 

Chiamò dopo aver preso coraggio.

Si sentì il suo sguardo addosso, era in attesa della domanda.

 

-Avevi… avevi mai…?-

 

-No-

 

Kendeas si sentì a disagio.

La risposta era stata immediata ma pacata e carca di spensieratezza.

Si voltò in cerca degli occhi del Saint.

 

-Abbiamo sbagliato….?-

 

Saga si sedette a sua volta tenendo fermo il lenzuolo con una mano per impedire al tessuto di scivolare del tutto via, riflettendo sulla domanda.

Incrociò gli occhi dell’artigiano quel tanto che bastava per poter leggere con chiarezza la sua incertezza.

 

-No- gli rispose con sincerità –non credo ci sia nulla di male nel provare dei sentimenti per qualcuno. E tu? Credi che abbiamo sbagliato?-

 

Kendeas sospirò.

Provare dei sentimenti aveva detto.

Amore.

Non c’era nulla di sbagliato nell’amare qualcuno.

Anche se quel qualcuno era un Saint di Athena.

Prima di essere un Cavaliere era un uomo, non doveva dimenticarlo, un uomo qualunque, e tutti gli uomini hanno bisogno d’amore.

 

-No, non credo-

 

-Promettimi che non te ne farai una colpa-

 

Era serio.

Kendeas non aveva alcuna intenzione di fare della situazione un dramma.

Non quella volta.

 

-Te lo prometto. E tu promettimi un’altra cosa, Saga-

 

Si strinse a lui, colto da un’improvvisa ansia ingiustificata; sentiva il bisogno di un contatto fisico più di ogni altra cosa, il bisogno di sentirlo lì, vicino a lui, reale e sicuro.

Le braccia del Cavaliere lo circondarono e Kendeas sentì le sue labbra sfiorargli la fronte.

Attendeva la sua richiesta senza forzarlo.

 

-Non lasciarmi- riuscì a dire. Sollevò gli occhi in cerca dell’azzurro di quelli di Saga –me lo prometti questo?-

 

Saga lo strinse ancora di più in una silenziosa rassicurazione –Te lo prometto-

 

Quell’improvvisa agitazione sembrò attenuarsi.

Kendeas chiuse gli occhi e restò in ascolto del battito regolare del cuore del compagno.

Sorrise, ripensando al suo desiderio di averlo ancora accanto, ringraziando ogni singolo Dio per aver esaudito le sue preghiere.

Ricordò ai suoi pensieri a riguardo, alla statua, a quello che era appena successo.

Guardò di nuovo Saga perché quelle parole bramavano per uscire già da troppo tempo.

 

-Saga, amore mio-

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Heilààà! Come va gente?

Dopo giorni e giorni sono riuscita a partorire anche questo capitolo, quasi non ci credo.

Le cose iniziano a movimentarsi, tocca a voi indovinare come procederà fino al prossimo aggiornamento ;)

 

Creamy_Lisa: Shhiaoo *-*

Succederà qualcosa, hai ragione, infatti è successo ^^ e questo è solo l’inizio…

Haha, povero Saga, abbiamo censurato le scena ma inizialmente ha cercato di far ingoiare il blocco di argilla al suo caro Kendeas xD

Spero ti sia piaciuto questo capitolo, al prossimo! J

 

 

  
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