Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Tra I Fiori Il Ciliegio    19/12/2013    1 recensioni
[Larry]
Sente ancora le impronte delle sue dita sul corpo, se si concentra. Gli basta ascoltare la sua voce intonare una qualsiasi canzone, che fosse loro o di qualcun altro, registrata o dal vivo, che sente i suoi polpastrelli scorrergli sulla schiena, tracciare le forme dei tatuaggi sulle braccia, passare tra i suoi capelli.
Ricorda la consistenza della sua pelle, le sfumature dei suoi colori, il rumore delle sue ossa sotto le dita: le costole che scricchiolavano sotto al cuore, le ginocchia che sbattevano contro il divano, le vertebre che strusciavano sull'aria.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Epilogo

a

A Sole, perché tutto è iniziato con lei.
A R, perché mi ha convinto.
A Elia, perché mi asseconda.
Grazie. 

A Glasgow quel giorno nevica. Come non ha mai fatto da quando Harry si è trasferito. È seduto accanto alla finestra, su una poltrona un po’ logora e beve tè caldo, mentre un vecchio album dei Bastille risuona nella stanza.
Ha sempre amato la neve, da quando era piccolo e aspettava con Gemma i primi fiocchi, con il naso contro la finestra del salotto e la madre che preparava il suo gusto di tè preferito, guardandoli con un sorriso sulle labbra.
E poi quando iniziava, e il vialetto si colorava di bianco, non esitavano un attimo a uscire e creare pupazzi di neve fangosa e a giocare con lo slittino che grattava ancora il pavimento.
Non era Natale senza neve.
E non lo era neanche senza Louis, Natale. E la neve, non era neve, da quando non avevano più passato le giornate sul divano a guardare la televisione o riscaldarsi a modo loro, senza pensieri né tour promozionali o persone con cui farsi vedere per strada. Solo i loro baci e le loro pelli, piccoli sorrisi timidi e l’ironia di Louis e la dolcezza di Harry.
Sono passate due settimane, dal matrimonio di Zayn. Harry ha aspettato, ogni giorno, che almeno il suo telefono squillasse. Che gli arrivasse un messaggio, una chiamata, qualsiasi cosa. Anche solo una parola che avrebbe messo fine alla sua speranza, a quell’attesa che gli toglieva l’appetito.
Ma il telefono non ha squillato, se non per quelle che ormai sono diventate le chiacchierate di rito giornaliere con Zayn, le raccomandazioni paterne di Liam, le battute di Niall. A turno, la sera, prima di mettersi a cena, sa che chiameranno loro, che lo distrarranno per qualche minuto e poi torneranno alle loro vite, lontane dalla sua.
Zayn gli ha chiesto di tornare a Londra. Con timidezza, un tono di voce più basso del normale e lui se l’era immaginato bagnarsi le labbra con la lingua, un po’ in difficoltà, come quando non ricordava le parole delle canzoni durante un live, lui che ci metteva sempre una vita a impararle tutte.
A Harry aveva fatto tenerezza e aveva risposto che ci avrebbe pensato. E ci sta pensando, anche in quel momento, di impacchettare tutto e tornare a casa. Dire addio alla Scozia e riprendere a fare qualcosa che gli piaccia veramente, magari anche a cantare o almeno a rivedere i suoi vecchi amici.
Un film con Liam il mercoledì, due chiacchiere con Zayn il giovedì. O ritrovarsi nel salotto bianco e nero di Niall, con Josh che suona la batteria in un angolo e loro sul divano a prendersi in giro o a ballare come idioti una canzone trash degli anni ’90.
D’altronde gli piacerebbe. Che tutto fosse normale, ricordarsi come si sorride, il profumo di Londra a gennaio, il rumore nei tunnel della Tube. Però poi pensa che sono tutte cose che ha sempre associato a Louis, e che se deve aspettare o se deve dimenticare, preferisce farlo lontano da lui, in quel luogo che ancora una volta è zona franca, non macchiata dal ricordo di un amore soffocato dalle bugie e dalle lunghe attese.
Attese eterne, pensa, mentre guarda il grande orologio sulla parete. Sono passate due settimane e Louis non ha chiamato, non ha detto una parola e lui sta perdendo ogni speranza di sentirlo. Non servirebbe tanto, solo un messaggio, solo una parola. Torna, basterebbe quello, e lui impacchetterebbe ogni cosa, in quel preciso istante, e salirebbe sul primo volo, e in meno di due ore sarebbe sulla porta di casa loro, valigia alla mano e la gioia di nuovo negli occhi. Basterebbe solo quello, a Harry, mentre il telefono resta ancora muto.

 

Quando Louis si trova davanti alla porta dell’appartamento che cerca da ore, indossa una giacca troppo leggera e un cappello di lana che gli scivola sugli occhi. Il viaggio fino a lì è stata un’odissea e sembrava non finire mai, come se ogni congiunzione astrale avesse messo il suo zampino per far sì che non arrivasse in tempo.
Si è innervosito per ogni minuto di ritardo dell’aereo, per il tassista indiano che non riusciva a capire il suo accento e per le strade bloccate dal traffico pomeridiano.
Se per tutto quel tempo non ha voluto altro che arrivare e citofonare, ora che è davanti a quella porta vorrebbe aspettare ancora, pensare bene a cosa dire, cosa fare, come comportarsi se Harry non fosse stato lì o se, peggio, avesse avuto compagnia.
Alla fine lo suona, quel campanello che gli fa tanta paura. Esce un suono strano, acuto, ma anche cupo, come smorzato da qualcosa. Forse è vecchio, si immagina Harry imprecare contro di lui una volta al giorno, ma poi scordarsi sempre di chiamare qualcuno che lo cambi. Sempre con la testa da un’altra parte, si dice, e un tempo c’era lui, nella sua testa, ogni giorno.
“Chi è?”
Louis fa fatica a trovare la voce per parlare. È bagnato a causa della neve che ha preso a scendere più forte, stanco e nervoso. Vorrebbe solo che aprisse, per potersi rifugiare tra le sue braccia e dimenticare ogni cosa.
“Chi è?” Harry ripete la domanda e Louis stavolta si fa coraggio.
“Io…” dice e basta, convinto che Harry sia l’unico a poter riconoscere la sua voce anche tra milioni, anche attraverso una porta, anche se Louis è raffreddato e Harry fosse sordo.
C’è un attimo di silenzio che profuma di aspettativa e paura, un attimo diluito nel tempo, e Louis non è convinto di aver fatto la cosa giusta. Forse avrebbe dovuto chiamare, prima di piombare lì così, ma poi la porta si apre, piano, accompagnata da un cigolio sinistro e i ricci di Harry compaiono nello spazio lasciato aperto. Esiguo, stretto, confuso, come se Harry volesse prima accertarsi che sia davvero lui e non il frutto della sua immaginazione.
Louis accenna un sorriso nervoso e si passa una mano sul cappello bagnato, senza sapere cosa dire.
“Lou…”
Annuisce e basta, come per confermare di essere lì, a Harry, a se stesso, a quella voce che ancora prova a dirgli che non è pronto, non è giusto, che ha bisogno di tempo. Ma di tempo ne ha perso troppo, Louis, e ora vuole solo oltrepassare quell’uscio ed entrare nella vita di Harry, ancora una volta, in quella vita da cui si è escluso troppo a lungo. Conoscere ogni dettaglio della sua nuova casa, delle sue giornate in Scozia, dei cambiamenti cromatici dei suoi occhi con il tempo di lì.
Ma Harry non sembra intenzionato a lasciarlo passare, lo guarda fisso, e Louis non capisce se è sorpreso, o arrabbiato, o felice.
“Posso entrare?”
Non si è mai sentito così insicuro, Louis, così esposto. Neanche la prima volta che lo aveva baciato, neanche allora; aveva sempre saputo, dentro di sé, che Harry ricambiava. Ora non ha dubbi sui sentimenti di Harry, ma ha paura che sia troppo tardi.
L’altro sembra risvegliarsi di colpo e si sposta senza una parola, per farlo passare. Louis fa due passi, lenti e calcolati, e rimane sull’uscio un istante, prima di entrare del tutto.
Viene colpito immediatamente da odore di cannella e arancia, il suo tè preferito; una canzone dei Bastille che ricorda di aver già sentito risuona nell’aria, gracchiando leggermente ogni tanto, come se fosse stata ascoltata troppe volte. C’è un divano enorme davanti a un vecchio giradischi, la televisione è spenta e impolverata. La parete accanto è piena di libri incastonati in una libreria a muro che a Louis ricorda quella che avevano fatto fare a casa loro. Cd, magliette, bandane, ogni tipo di oggetto che lui ha sempre associato a Harry sono sparsi per tutto il salotto, accatastati in disordine negli angoli più disparati.
Harry accanto a lui è nervoso, lo percepisce anche senza guardarlo. Lo sente muovere i piedi avanti e indietro, disegnare cerchi immaginari sul parquet scuro; se lo conosce bene come pensa, non riesce a guardarlo, in quel momento, ma sposta lo sguardo su ogni dettaglio della casa anche lui, senza mai soffermarsi su niente in particolare. Forse addirittura si sta rimproverando per non aver messo a posto.
“Come stai?”
È una domanda stupida, Louis lo sa. Sa che non dovrebbe tergiversare né aspettare che Harry dica qualcosa, che non può permettersi di essere lo stesso codardo Louis di sempre.
“Normale… Tu?”
“Bene,” annuisce, Louis, come se non fosse in grado di fare altro. Poi si gira a guardarlo, per cercare i suoi occhi. Li trova a metà strada tra la preoccupazione e la paura di quello che gli aspetta, tra lo smarrimento di vederlo dentro quello che probabilmente è stato il suo rifugio per anni, unico luogo non contaminato dai ricordi di lui.
“È un bel posto,” dice scioccamente, con la bocca secca e la paura di dire qualcosa di sbagliato.
“Louis…” sembra stanco, Harry, e forse lo è tanto quanto lui, di questo stare lontani, di questo prendere e lasciarsi e aspettare il momento giusto, e aspettare sempre che ci sia tempo per loro. “Cosa ci fai qui?”
“Volevo parlarti…”
“Potevi chiamare,” ribatte svelto, forse ferito dal silenzio delle ultime settimane. Una chiamata, anche solo per chiacchierare, sapere come stava, com’era il tempo a Glasgow, se aveva già nevicato, se beveva ancora il tè a occhi chiusi ascoltando una vecchia canzone dei Bastille.
“Era più giusto parlarne a voce,” dice Louis, a labbra strette, nervoso. Forse, nonostante le sue paure, si era aspettato un Harry accomodante, non qualcuno pronto a litigare, non un Harry ferito pronto a tirare fuori le unghie. Ma c’è qualcosa che non va nel suo tono di voce, perché Harry sembra accusare il colpo e fa un passo indietro.
“Hai scelto.”
Louis annuisce, senza capire il suo tono di voce glaciale, il suo spostare lo sguardo e posarlo su tutto, ma non su di lui.
“Harry,” inizia, ma l’altro lo interrompe.
“Non c’era bisogno che venissi fino a qua per dirmelo.”
Louis è sinceramente confuso, sbarra gli occhi e si avvicina d’istinto, preoccupato di aver fatto di nuovo qualcosa di sbagliato. E non gli interessa se perderà ogni cosa, se cambierà tutto, non gli interessa nulla, quando si accorge che forse l’ha perso davvero. Nulla, se non fare ogni cosa per farsi perdonare, se non riaverlo con sé, in qualsiasi parte del mondo lui voglia, in qualsiasi modo lui voglia, per tutto il resto della loro vita.
“Harry, ti prego…” Gli trema la voce, quando parla, e non si preoccupa di nasconderlo. Non vuole più nascondere nulla, non i suoi sentimenti, non le sue paure, non se stesso. Mai più dietro quel velo di insolenza e menefreghismo che l’ha sempre contraddistinto: non con Harry.
Fa un passo verso di lui e gli prende una mano, con fermezza, la stessa che manca alla sua voce in quel momento, ma non a lui. Non avrebbe dovuto avere alcun dubbio, su quale fosse la scelta giusta. Harry non si sposta, ma non vuole guardarlo.
“L’ho lasciata Harry.”
Lo dice e basta, lo sputa quasi tra i denti, come se non ci fosse bisogno di dire altro. Harry prima chiude gli occhi e poi lo guarda e forse sta per piangere, o per ridere, o per picchiarlo. Non capisce cosa stia pensando, se c’è davvero bisogno di parlare, se deve ammettere di essere stato un idiota, se deve chiedergli ancora scusa, se deve spiegargli perché l’ha fatto e dirgli che ora è pronto. Con lui è pronto a tutto.
“Davvero?”
Non fa in tempo ad annuire, Louis, perché Harry ride, e piange, e gli da un pugno sul braccio. Non fa male. È solo bello il suono della sua risata, il suo confondersi con le note di Get Home dei Bastille, il suo profumo mescolato alla cannella del tè e i suoi ricci che sfidano la gravità e vorrebbero toccare il soffitto, e il suo sorriso, le fossette, i tatuaggi.
Quando Harry gli toglie il cappello e infila le mani tra i suoi capelli e li scompiglia, stringendoli forte dietro la nuca, con la paura di vederlo andare via ancora una volta, Louis lo bacia.
Ed è allora che sembra più semplice respirare.

 

 

Note.

E siamo giunti alla fineeee! Ok, il capitolo è corto, ma non c'era altro da dire :) Louis e Harry hanno avuto il loro finale e non c'era motivo di allungare il brodo, dato che si amano e si ameranno per sempre u__ù
Non ho molto da dire, a riguardo, se non che ho in mente vari progetti - alcuni dei quali con altre due manine speciali ♥ - e che forse vedranno la luce presto, quindi non vi libererete presto di me.
Per ora però addio ai cucciolini, torno a scrivere le mie originali. O almeno ci provo, dato che da qua a inizio gennaio la mia vita sarà un casino!
Volevo ringraziare tantissimo le 17 persone che hanno messo questa storia tra le preferite, le 7 che l'hanno ricordata e le 38 (TRENTOTTO O_O) che l'hanno seguita!
Un grazie speciale a _Fate, tagliarsi_con_gli_origami, Hxarry, aleturchese, xSamy1Dx,YouFoundMe_J e _abgio per le recensioni da me molto amate a cui - giuro! - risponderò appena potrò :)
E' stato un piacere scrivere per voi, a presto,

Eva

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Tra I Fiori Il Ciliegio