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Autore: umavez    21/12/2013    2 recensioni
Alle amiche, quando ricordavano tutte insieme i tempi passati – che per loro arrivavano a malapena a tre anni addietro -, propinava come scusa che era piccola quando l’amore l’aveva colta, e l’aveva colta totalmente impreparata, e che a quindici anni ci si innamora un po’ di tutto e di tutti, e che, comunque, ogni singola ragazza di Konoha attraversava la fase “Sasuke”, e che quindi non aveva nessun motivo per vergognarsene.
(…)
Del resto Sasuke, nonostante i due anni trascorsi, continuava a significare tutto per lei. Ma quella volta si era premurata di nasconderlo bene a tutti. Anche a lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Premessa fondamentale: io non odio il personaggio di Karin.
Buona lettura!
 

 
 
Akamaru il Demonio
 
 
 
Sakura sapeva che spesso le cose accadevano senza un motivo ben preciso e senza una causa giustificabile, o altre volte per delle motivazioni accumulatesi per così tanto tempo da essersi stratificate così pesantemente le une sulle altre da non riuscire più a distinguerle. Ma sapeva con altrettanta certezza che in quasi tutte le lingue del mondo – per non dire tutte, anche se probabilmente sarebbe stato più corretto – esisteva un modo per dire colpevole ed uno per dire innocente, o per lo meno per trasmettere il concetto di colpevolezza e di innocenza. Che poi i segni usati dal linguaggio umano fossero arbitrari e del tutto convenzionali, quello non importava. Per quanto la riguardava, colpevole poteva anche dirsi astrig in un’altra lingua, o magari eloveploc, ma era indubbio che il termine esisteva. Il concetto era ben chiaro nella mente di tutti, e Sakura non se la sentì proprio di ignorarlo in quel momento.

C’era lui, davanti a lei, il colpevole consapevole di quei dolori lancinanti che sentiva imperversare per tutto il corpo, concentrati soprattutto nella parte alta dell’addome che, se fosse stata più lucida, avrebbe chiamato crampi allo stomaco. Lui la guardava, tranquillo, seduto per terra senza dare a vedere la scomodità del pavimento, e ad ogni piegamento della testa che faceva le sue orecchie penzolavano a destra e sinistra.
 
Sakura era seduta di fronte a lui, e teneva stretto il guinzaglio che aveva tra le mani senza rendersi conto che in realtà avrebbe voluto che il cuoio marrone di questo fosse stato in realtà in collo pulcioso, come diceva Naruto, di Akamaru.
 
Di Akamaru Il Colpevole.
 
Sakura se lo ripeteva nella sua testa da almeno dieci minuti buoni che era tutta colpa di Akamaru se il cibo era andato a farsi benedire, sin da quando Kiba era sparito in bagno lasciandole il gravoso compito di dare un’occhiata al suo innocuo e docile animale domestico, che di domestico aveva solo l’aspetto e che già i canini appuntiti che si scorgevano spuntar fuori dalle arcate superiore e inferiori di denti rovinavano.  
 
Sakura avrebbe voluto dire che se fosse stato davvero così innocuo, allora Genma non avrebbe preteso che venisse tenuto al guinzaglio, e che un animale docile non si sa aizzare contro nessuno, e che un padrone ragionevole non insegnerebbe mai al suo cane ad aizzarsi contro qualcuno, ma per il bene della noiosissima serata di Ino, aveva taciuto.
 
Akamaru Il Colpevole la guardava, la scrutava da cima a fondo, mostrandole fieramente il suo compassionevole muso da cane.
 
Sakura sapeva anche che Akamaru Il Colpevole suonava troppo come Ivan Il Terribile, o Pietro Il Grande, o Alessandro Magno o Pipino il Breve, ma se il cibo fosse stato ancora disponibile e non pieno di schegge di vetro potenzialmente mortali, forse sarebbe potuta essere in una disposizione d’animo che le avrebbe concesso anche un paio di carezze e grattatine, e non un epiteto da libri di storia.
 
Akamaru il Colpevole si alzò su tutte e quattro le zampe e guaì, annoiato e sconfortato, facendo poi un giro su se stesso mordendo il guinzaglio.
 
« Non ci provare, Akamaru il Colpevole, non mi fai pena per niente. »
 
« Ah, grazie Sakura! »
 
Alzò lo sguardo giusto in tempo per vedersi sfilare di mano il guinzaglio da Kiba, ricomparso dopo un tempo pressappoco insolito dal bagno degli uomini. Sakura si alzò dalla sedia e gli fece un cenno con la testa accompagnato da un flebile “di nulla” per poi voltarsi nella direzione che tutti, da almeno un quarto d’ora, stavano fissando.
 
Le scale dove poco tempo prima Naruto l’aveva travolta e su cui aveva avuto il piacere di cadere erano nell’occhio del ciclone, un ciclone di persone affamate, private ingiustamente del cibo e tremendamente vogliose di grassi. Sapeva di essere la prima della fila, e sapeva che se fosse esistito un apparecchio in grado di far vedere sulla pelle quello che effettivamente si sta pensando, tutti avrebbero potuto notare della bava agli angoli della sua bocca, e i suoi occhi dilatati e frementi, le unghie completamente morsicate nell’agonia dell’attesa.
 
Ma si stava controllando, Sakura, perché i suoi pantaloni, purtroppo, erano bianchi e puliti, e sporcarli a fine serata sarebbe stato un obbrobrio ancora peggiore dello sporcarli appena entrata nel locale, e ciò rendeva praticamente impossibile la corsa che si era ripromessa di fare verso la torta, una volta portata all’interno della sala.
 
Tolse per un attimo i piedi dalle scarpe per fargli prendere un po’ d’aria. Erano più rossi dei pomodori sulle bruschette, e di poco meno rossi del sangue. Mosse ad una ad una le dita partendo dall’alluce, facendole scrocchiare. Tirò un sospiro di sollievo notando quanto il dolore fosse diminuito.
 
In quel momento le luci si spensero.
 
Sakura cercò di riallungare le mani verso le scarpe per rinfilarsele di colpo per non perdersi il momento cruciale, il momento più atteso della serata, il momento trionfale del suo stomaco che, una volta pieno di panna, crema, pan di spagna e lordure varie, avrebbe smesso di brontolare, beandosi della propria sazietà.
 
Afferrò la prima scarpa che trovò a portata di mano, sbagliando inizialmente piede e aumentando così il dolore alle dita, contorte ancor più innaturalmente. Tolse la scarpa e se la infilò nel piede giusto, e la cosa non fu meno dolorosa della precedente. Si allungò verso il basso per cercare l’altra, ma la sua mano fu inaspettatamente accolta dal pavimento. Vagò a destra e a sinistra con le dita, gli occhi sbarrati che cercavano, invano, di captare l’immagine di qualcosa nel buio.
 
Si alzò in piedi ed altrettanto inutilmente si guardò attorno.
 
« Ino, hai visto la mia scarpa? » chiese alla ragazza poco distante da lei. In risposta ricevette un urlare indistinto di voci e un mezzo applauso, bloccato poi dalla voce di Genma che imprecava contro un tavolino. Sakura si voltò come per chiedere “Ma che risposta è? Vi ho chiesto se avevate visto la mia scarpa!”, ma guardando attentamente, Sakura notò quale era stata la vera causa di tutto quell’entusiasmo.
 
Era arrivata, e Akamaru il Colpevole aveva reso l’attesa così lunga e così estenuante, che il suo arrivo le sembrò un evento celeste dalla portata disumana, come lo erano, del resto, le sue dimensioni.
 
Era – o almeno così le sembrava alla luce delle diciassette candeline – bianca, totalmente e meravigliosamente bianca, ricoperta di candida panna che formava ghirigori che ancora non riusciva a scorgere bene. Sakura sentì tutto il suo apparato digerente muoversi al ritmo forsennato della rumba quando l’odore inconfondibile di dolcezza le entrò prepotentemente nelle narici. Dimentica della scarpa e del dolore ai piedi, lasciò perdere la ricerca e ammirò ammaliata l’arrivo di quel ben di Dio sul tavolino.
 
Era vicina, era quasi a portata di braccio, quando qualcuno – non Akamaru il Colpevole stavolta, ma solo perché privo della facoltà di parola – rovinò tutto.
 
« Perché non la portiamo dietro al bancone? Facciamo le foto là dietro! »
 
Sakura guardò in mezzo alla folla per identificare colui che, per sempre e ancor di più, sarebbe rimasto impresso nella sua mente come l’uomo più spregevole del mondo, un Akamaru 2 in versione essere umano, una calamità naturale.
 
Akamaru II il Gustafeste era lì, non molto lontano da lei, e aveva un nome familiare e odioso che non avrebbe più pronunciato, limitandosi a chiamarlo con il suo nuovo onorifico.
 
Kiba Inuzuka.
 
La sua testa sarebbe anche potuta esplodere dalla rabbia, ma Sakura aveva delle priorità nella vita, e sapeva scegliere bene. Il cibo, in quel momento, veniva prima di tutto. Vide la torta che veniva posata sul bancone e un’orda ragguardevolmente numerosa di persone andare nella sua direzione, salire lo scalino, e intrufolarsi ad uno ad uno per incastrarsi bene e per far entrare tutti. Quando si rese conto che non avrebbe più trovato posto se fosse rimasta lì imbambolata, mosse subito un passo verso la torta, e poi un altro, e poi un altro ancora. Era praticamente uscita dal dedalo di tavoli e sedie che qualcuno la bloccò per un braccio.
 
« Ma che fai? »
 
Sasuke le arrivò accanto a passo svelto e la fece salire sulle sue scarpe.
 
« È ancora pieno di frammenti di vetro, qui. »
 
Sakura, come già detto, aveva delle priorità, e sapeva anche sceglierle bene quelle volte che riusciva a ragionare lucidamente, ma in quel momento era il suo cuore che andava al galoppo che prese il sopravvento su tutto il resto, perfino sulla torta. Lo guardò un attimo stralunata, conscia che sì, c’erano i vetri per terra, ma non ancora molto consapevole di cosa fosse accaduto in quel secondo e mezzo di caos, e come fosse potuto succedere di stare lì, sulle scarpe di Sasuke per non toccare il pavimento. Sakura si ricordava di essere salita sulle scarpe di suo padre un milione di volte da piccola, e di aver camminato con lui da una parte all’altra di Konoha fino allo sfinimento, ma non era la stessa cosa. « Ah, è vero. » disse solamente, aggrappandosi alle sue spalle e voltandosi un poco a guardare il pavimento. Sotto la luce del lampadario si vedevano bene le schegge di vetro ancora presenti. 
 
« Sakura-chan ma che ci fai lì? »
 
Naruto passò loro accanto con un vassoio pieno di bicchieri da vino dopo aver sceso le scale, di ritorno dal cortile esterno. Appena li ebbe sorpassati si voltò di scatto e troppo velocemente a guardarli, come attirato da un particolare notato all’ultimo secondo.
 
« E perché sei scalza, Sakur-»
 
Il rumore che tutti sentirono quando i bicchieri caddero a terra fu dieci volte più stridente del precedente. Sakura si strinse ancor di più a Sasuke quando vide una miriade di vetri sparpagliarsi su tutto il pavimento.
 
L’atmosfera si congelò per un lunghissimo istante. Naruto guardava le sue mani reggere il vassoio ormai vuoto; Sasuke guardava accigliato Naruto; Sakura faceva avanti e indietro tra Naruto, Sasuke, il pavimento, Genma, Ino, gli invitati. Allentò di un poco la presa sulle spalle di Sasuke ma se ne rimase ferma e buona al suo posto, senza osare muovere un passo, sia per colpa dei vetri, sia perché l’unica volta che era stata così vicina a Sasuke era stata in campeggio, l’estate scorsa, e solo per scarsità di spazio nella tenda che Naruto aveva portato e per cui aveva garantito, dicendo “Non vi preoccupate ragazzi, è una tenda da quattro!”, e temeva che non sarebbe più successo, visto che Sasuke si era attrezzato con una canadese tutta per sé subito dopo essere tornati dalla vacanza.
 
« Naruto! » sbottò Genma da dietro il bancone, imprigionato dalla miriade di adolescenti che gli impedivano l’uscita, « È la terza volta che faccio cambiare il parquet! La terza! Vuoi che arrivi a quattro?! »
 
« Scusa Genma, non succederà più, lo giuro! »
 
« Questo lo hai detto anche il tuo primo giorno di lavoro! »
 
« Ma stavolta è vero! Lo prometto! »
 
Sakura si lasciò andare ad un sospiro sconsolato e abbandonò la mente al ricordo della bellissima sensazione del masticare. Lasciò perdere la scena pietosa in cui Naruto supplicava ancora una volta Genma di non licenziarlo, promettendogli prestazioni magnifiche e straordinari non retribuiti, e vagò con lo sguardo oltre la spalla di Sasuke, verso i tavolini ricoperti di cappotti, sciarpe e borsette. Fu la sua scarpa che si muoveva tra le sedie che la destò.
 
« Akamaru! » urlò, indicandolo a braccio teso.
« Akamaru il Colp- »
 
Sakura si fermò giusto in tempo per non dover spiegare come mai lo considerasse colpevole di qualcosa, e perché, più in generale, gi avesse dato quel nome. Scorse con la coda dell’occhio Sasuke guardarla in modo strano.
 
« Ha la mia scarpa. » spiegò poi, voltandosi a guardare tutti gli altri.
 
Genma, esasperato e ancor più incastrato di prima, si rivolse a Kiba.
 
« Non ti avevo detto di tenerlo al guinzaglio? »
 
« Mi hai detto di mettergli il guinzaglio, e non è la stessa cosa! »
 
Akamaru fece cadere la suddetta scarpa, probabilmente sbavata e rosicchiata, per terra, e vi si accucciò di fronte, apparentemente tranquillo.
 
« Valle a prendere la scarpa. » disse Sasuke a Naruto, ancora fermo col vassoio in mano.
 
« E tu chi sei per darmi ordini? »
 
« Naruto, valle a prendere quella maledetta scarpa! » gridò Genma.
 
Sakura incrociò gli occhi azzurri dell’amico guardare sgarbatamente quelli di Sasuke.
 
Poi sentirono Akamaru ringhiare e Naruto chiedere aiuto, e tutti capirono che il momento delle foto avrebbe dovuto attendere.
 
 
 
°°°
 
 
 
« Non so se avete notato, » disse Naruto mentre faceva scorrere le foto sullo schermo della macchina fotografica digitale che Ino si era ostinata a comprare l’anno precedente e che poi, come Sakura aveva sempre sospettato, se ne era rimasta per i restanti undici mesi sepolta dentro il comò, coperta da scartoffie, bollette, fogli dell’assicurazione e vicina  alla videocamera che, sempre Ino, aveva costretto i suoi genitori a comprare, anche quella praticamente nuova.
 
Naruto si fermò su una foto e la mostrò prima a lei, intenta a mangiare la seconda fetta di torta, e poi a Sasuke, che più che mangiarla si limitava a tenerla in mano e a spezzettarla con il cucchiaino.
 
« Non so se avete notato, ma sono più le volte che Sakura-chan guarda la torta che quelle in cui guarda l’obiettivo. »
 
« Ma che diamine- »
 
Gli strappò la macchinetta dalle mani e si andò a cercare tra la marea di volti bianchi con gli occhi rossi, ma nonostante il colore rosa dai capelli, non si trovò. La torta era talmente grande e così ben visibile che Sakura non riuscì a staccarle gli occhi di dosso nemmeno per un secondo nonostante fosse semplicemente una fotografia intangibile. Si diede uno schiaffo mentale realizzando che così facendo non aveva fatto altro che confermare l’idea di Naruto.
 
Gliela restituì, indispettita, dandogli le spalle e gettandosi con più foga sulla fetta di torta.
 
Parlando sempre di priorità, Sakura sapeva bene che l’alimentazione sana le avrebbe portato vantaggi ben visibili, come una forma smagliante, una buona salute, un fisico invidiabile, e quindi, facendo una lista dei pro e dei contro, la scelta dell’alimentazione sana sarebbe sembrata irrifiutabile. Ma il mondo aveva prodotto i fast food, e la mente umana aveva progettato le pasticcerie, e Sakura credeva che sarebbe stato davvero un peccato gettare sul lastrico le migliaia di persone che combattevano ferocemente l’alimentazione sana. Del resto bisognava voler bene un po’ a tutti, e qualcuno doveva pur fare il sacrificio di ingozzarsi di torta. Sakura aveva deciso di immolarsi per questa causa all’età di cinque anni, quando sua nonna, complice di marachelle, le aveva per la prima volta fatto vedere un’innocua caramella gommosa che i suoi genitori si erano precedentemente rifiutati di farle mangiare. Quando la mise in bocca, i suoi denti da latte sembrarono sciogliersi per tutta quella dolcezza che le aveva agguantato la lingua.
 
Il dolce, i dolcetti, gli zuccherini, le caramelle, le merendine: per molti sarebbe stato sinonimo di ingordigia e opulenza, di scarso rispetto per il proprio organismo e per la propria salute, ma per Sakura era semplicemente il modo più delizioso di passare il tempo.
 
Dai cinque ai tredici anni dunque, aveva deciso che mangiare sarebbe stata la sua priorità, la sua unica ragione di vita perché, difatti, senza mangiare non si va da nessuna parte.
 
Poi sua madre le aveva detto “cicciona” una volta, quasi per sbaglio, e suo padre, di indole docile e incapace di mentire, aveva teso le labbra per non dire “Ha ragione mamma, Sakura” e aveva inarcato le sopracciglia. Allora aveva capito che era arrivato il momento di darsi una regolata. Anche Ino a scuola non mancava di farle presente che la sua pancia non era proprio ciò che si sarebbe potuto definire piatta, e l’aveva avvisata sul fatto che i ragazzi vogliono solo le ragazze magre.
 
Quel giorno Sakura aveva deciso di iniziare una campagna di sensibilizzazione per gli uomini per avvicinarli alle ragazze che non erano anoressiche, perché Ino era una scema se pensava solo al fisico, e a lei la sua pancia piaceva: era morbida.
 
Ma l’avvento dell’adolescenza aveva portato a radicali cambiamenti caratteriali, e a nuove, nuovissime paranoie. Il momento più terrificante della sua vita, avrebbe detto Sakura, gli anni in cui si era volontariamente privata della dolcezza e in cui aveva iniziato l’attività sportiva.
 
I complessi sul suo fisico l’avevano portata a correre. Sakura correva spesso, da sola o in compagnia, e i dolci a casa sua erano proibiti. Perché la sua nuova fissa per un fisico al top – che era peggiorata a quindici anni, la prima volta che capì che avrebbe voluto piacere anche a qualcun altro, e non solo a se stessa – doveva combattere con una fissa dalle origini ancestrali e divine, una fissa che non l’avrebbe mai abbandonata del tutto e che l’avrebbe tentata ogniqualvolta che sarebbe stato possibile, il suo noto e risaputo peccato capitale preferito: la gola.
 
Sakura addentò un altro boccone di torta, facendo finta di non aver udito nemmeno una delle parole che Naruto le aveva rivolto in quei cinque minuti in cui lei aveva rivangato il suo passato da buon gustaia, dicendosi che due fette di torta, dopo mesi in cui non aveva nemmeno osato guardare le vetrine dei bar, non l’avrebbero fatta ingrassare nemmeno di 20 calorie e che anzi, si sarebbe potuta permettere anche una terza fetta. Ma poi l’occhio le cadde sulle sue cosce, e dalla sua scarsa altezza le sembrarono giganti.
 
Lo stesso boccone che prima le era sembrato gustoso divenne improvvisamente e amaro, e lo mandò giù a fatica, solo per evitare di risputarlo nel piatto davanti a tutti. A malincuore si avviò verso il secchio e gettò il piatto di plastica con ancora sopra un’abbondante porzione di torta.
 
« Contento adesso? » disse a Naruto quando lo ebbe raggiunto di nuovo.
 
Sasuke, accanto a lui, scosse la testa divertito.
 
« Non ti volevo offendere, Sakura-chan! » Naruto finì di ripulire il piattino dalla panna prima di andarlo a buttare, « Lo dici anche tu che ti ci vorresti ingozzare per un mese, con tutta quella torta! »
 
Aprì bocca per controbattere, ma il sorriso divertito che fece Sasuke in quel momento, dopo la frecciatina di Naruto, la mortificò più della vista delle sue cosce. Se le guardò di nuovo, chiedendosi se non fosse lo specchio di casa sua a smagrirla troppo, e che magari agli occhi degli altri – agli occhi di Sasuke e del suo sorriso sarcastico che stava a significare “Sakura, sei cicciona davvero, non è uno scherzo” - risultava ancora un poco in sovrappeso. Eppure sua madre le diceva di mangiare di più, e il personal trainer che la seguiva in palestra le aveva detto che non c’era nemmeno più bisogno di una vera e propria corsa, perché una semplice camminata veloce sarebbe bastata.
 
Si imbronciò ancora di più e si avviò verso il bagno senza replicare.
 
 
 
°°°
 
 
 
Era seduta sulla tavoletta chiusa del bagno da almeno un quarto d’ora, domandandosi chi glielo avesse fatto fare di mettersi i pantaloni bianchi, quella sera. Era risaputo che vestire di bianco non era cosa da tutti, visto che, a differenza del nero, quella di sfinare non era proprio la sua caratteristica. Cercò di ricoprire la circonferenza della sua coscia con le mani, scoprendo che i due mignoli non arrivavano a toccarsi. Sospirò, poggiando la schiena al muro e scaricando per sbaglio.
 
Si alzò di scatto spaventata dal rumore.
 
Uscì dal gabinetto più mortificata di prima e si ritrovò davanti ai lavandini e davanti allo specchio. Gli occhi cominciavano a stancarsi e avvicinandosi al suo riflesso vide qualche venatura rossa far capolino sul bianco, e il trucco cedere sempre di più. Prese un foglio di carta assorbente, e dopo averlo bagnato un poco se lo strusciò con forza sul viso. Lo vide diventare rosato, segno che il fondotinta se ne stava a poco a poco andando via. Ne prese un altro e fece la stessa identica cosa, passandolo poi anche sugli occhi.
 
Il suo volto tornò ad essere incredibilmente pallido.
 
Decise che per il resto della serata avrebbe fatto bene a non muoversi da lì. Avrebbe atteso che la disidratazione e la mancanza di cibo le causassero un dimagrimento formidabile prima di ripresentarsi agli occhi di tutti. Poi d’un tratto sentì qualcuno raschiare alla porta.
 
Vi si avviò con cautela, e appena ne ebbe aperta uno spiraglio vide Akamaru il Colpevole sgusciare dentro al bagno in fretta e furia, portandosi dietro il guinzaglio per cui nessuno lo teneva. Sakura richiuse la porta.
 
Nonostante il suo primo pensiero fosse stato quello di ucciderlo, perché l’occasione si presentava perfetta e in mancanza di testimoni oculari, Akamaru non sembrava su di giri, come poco prima, e non sembrava avere nessuna intenzione di rubarle le scarpe.
 
Decise dunque che era giunto il momento di far cessare le ostilità. Scelse un punto del pavimento su cui sedersi, un punto dove non avrebbe dato fastidio a nessuno, e vi si mise. Akamaru, vedendola alla sua altezza, le si avvicinò scodinzolando. Si tolse il golf e lo poggiò sulle gambe, e il cagnolino, senza farselo ripetere, ci si accoccolò sopra.
 
« Lo sai che sei più zozzo tu del pavimento? » gli disse, forse per vendicarsi del furto della scarpa, ma Akamaru, tremendamente simile a Kiba in quello, già dormiva di gusto. Sakura poggiò la testa al muro, sconsolata. Decise di perdonare Akamaru, e lo ribattezzò Akamaru il Cane. Era quello che era, del resto, un semplice cane, così come lei era una cicciona.
 
Ino fece irruzione nel bagno anticipata dal rumore dei tacchi. Spalancò poco elegantemente la porta richiudendola sempre con poca grazia, e appena la vide seduta per terra si fermò di colpo, posando come di consueto le mani sui suoi minuscoli fianchi da capogiro.
 
« Cosa ci fai per terra? »
 
Sakura alzò gli occhi umidi su di lei, immaginando di avere, in quel momento, lo stesso sguardo languido di un cocker.
 
« Naruto mi ha detto che sono cicciona. »
 
Tirò su con il naso quasi senza accorgersene, perché difatti non si era resa conto di essersi quasi messa a piangere. Ino alzò gli occhi al cielo e si decise a sedersi accanto a lei, incrociando le gambe e tirando un po’ più giù la gonna risalita più su di quel che il pubblico decoro avrebbe tollerato.
 
« Sono sicura che non ha detto questo. »
 
« Beh, ma lo intendeva. »
 
« Sakura... » disse consolatoria. Ma Ino le diede uno scappellotto a tradimento con la mano che pensava si stesse avvicinando al suo volto per una semplice carezza. Sakura fece una smorfia di dolore senza nessuna esclamazione udibile ad orecchio umano.


« Sei alta un metro e sessantatre centimetri, e sei una tisica di quarantasette stupidissimi chili. »
 
« Beh, peso così poco solo perché il mio seno è inesistente! »
 
« Sakura! » Ino le diede un altro scappellotto.
 
« Mi fai male! »
 
« Ti sta bene! L’unica cosa piena di lardo che hai è il cervello. »
 
Sakura si massaggiò la testa continuando a carezzare il cane con l’altra mano.
 
« Credi che il bianco mi stia bene, Ino-chan? »
 
« Mi pare di averteli consigliati io quei pantaloni, fronte spaziosa. »
 
Sakura sospirò di nuovo, facendo un sorriso tirato per smorzare l’atmosfera.
 
« Hai ragione. »
 
« Lo so. » rispose Ino, alzandosi e chiudendosi dentro ad un gabinetto. Se ne riuscì poco dopo e si lavò le mani. Gliele scrollò addosso, e vide Akamaru infastidirsi al sentire le gocce d’acqua sul pelo, ma non provare nemmeno ad alzarsi.
 
« Appena ti sarai stufata di fare la dog sitter vieni di là. »
 
« Sì, certo. »
 
Ino richiuse la porta del bagno.
 
« Se mi stufo. »
 
 
 
°°°
 
 
 
Il pavimento del bagno era pulitissimo, su quello non ci sarebbe stato nulla da ridire, ma le mattonelle gelide avevano cominciato a farla congelare ad un tratto, e aveva dovuto, volente o nolente, alzarsi e svegliare Akamaru. Lo aveva preso al guinzaglio dopo avergli carezzato la testa, e se ne era tornata di là, struccata e non ancora del tutto convinta di non essere una cicciona.
 
Naruto era tutto indaffarato dietro al bancone, a ripulire piani da lavoro e sistemare gli ultimi bicchieri nella lavastoviglie, e fu grata a Genma per averlo messo sotto torchio. Sasuke stava ripulendo il pavimento dagli ultimi frammenti di vetro, e di certo non sarebbe andata lì a disturbarlo.
 
Si avviò quindi da Ino dopo aver lasciato carta bianca ad Akamaru il Cane, di nuovo libero di scorrazzare in piena autonomia.
 
« Ah, ti sei decisa. » le disse, porgendole un bicchiere di vino poggiato al bancone e che aspettava solo lei. Sakura lo prese senza perdere tempo a chiedere che vino fosse, perché comunque non ci capiva nulla di enologia, e non che un vino tirasse l’altro, ma le sfumature di gusto, per un’ingorda come lei, non facevano poi molta differenza. Ne mandò giù un sorso consistente, poggiandosi al bancone e decidendo che avrebbe preso, seppur controvoglia, parte alla conversazione che era in via di svolgimento.
 
Solo in quel momento si accorse che accanto ad Ino c’era Karin.
 
Arrivata con un ritardo che ammontava alle sei ore, Karin si doveva essere fatta viva mentre lei se ne stava al bagno con Akamaru e fingeva di non notare gli sguardi straniti delle ragazze che entravano e uscivano, squadrandola come se fosse stata parte integrante dell’arredamento, come un sanitario fuori uso.
 
Aveva un non so che di non trascurabile, Karin, qualcosa che saltava agli occhi di chiunque passasse per strada che era davvero impossibile da non notare: spesso aveva creduto che fossero i capelli rosso fuoco a renderla terribilmente appariscente, o i tacchi alti su cui si destreggiava abilmente anche sulle lunghe distanze, o magari le sue labbra enormi e incredibilmente naturali, o ancor di più gli occhiali da gatta che portava che donavano al suo volto un’aria accattivante. Per tutti quei motivi, a cui sarebbero dovuti essere allegati almeno un altro migliaio di particolari che sul momento a Sakura sfuggivano, l’aveva odiata sin dall’età di quattordici anni, quando Karin, sedicenne, sembrava avere il mondo ai suoi piedi mentre lei, ancora con l’apparecchio ortodontico, non riusciva ad ottenere rispetto nemmeno dal suo gatto ruffiano.
 
Con il passare del tempo e con il diminuire sempre maggiore della sua autostima, Sakura aveva smesso di odiare Karin. Non aveva abbastanza energie per farlo – del resto la quantità di zuccheri nel sangue era diminuita vertiginosamente durante il periodo di dieta forzata -, ed era completamente inutile. Le labbra di lei rimanevano carnose, i tacchi crescevano in altezza - e mai una volta che l’avesse vista cadere per terra -, e Karin non era andata incontro ad un invecchiamento precoce da portarla ad avere i capelli bianchi. E Sakura aveva ammesso a se stessa che Karin era una ragazza appariscente semplicemente perché era bellissima.  
 
L’aveva vista centinaia di volte in pigiama, o senza trucco, senza scarpe col tacco ma in scarpe da ginnastica. L’aveva vista con i capelli legati e con maglioni larghi da coprire perfettamente la sua quarta di seno, e tutte quelle volte il senso di inferiorità era rimasto lì, attanagliato alle sue ossa senza smuoversi.
 
Karin aveva un carattere scontroso e terribilmente dominante, cosa che l’aveva resa pappa e ciccia con Ino, con cui andava a nozze dall’età di dieci anni. Aveva l’età di Sasuke e di Naruto, e anche lei aveva attraversato la sua stessa fase, la fase d’innamoramento senza rimedi per Sasuke, senza arrivare – unica cosa che la consolava - da nessuna parte.
 
« Ciao Sakura. » le disse con non troppo entusiasmo, ma cordiale.
 
Le sorrise alzando la mano a mo di saluto.
 
Troppo bella.
 
 
 
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Sasuke, finito di pulire minuziosamente per terra, si era presentato dietro al bancone per aiutare Naruto. Sakura aveva seguito attentamente i suoi occhi chiedendosi in quali migliaia di direzioni si fossero voltati senza riuscire mai ad incontrare i propri. Karin comunque lo vide e lo salutò. Sakura notò che il tono della sua voce si era alzato di almeno un’ottava rispetto a quello che aveva utilizzato per salutare lei. Sasuke rispose con un “Ciao Karin” sopraffatto dalla stanchezza, ma anche lui cordialissimo.
 
Fecero, davanti ai suoi occhi verdi, invidiosi e rassegnati, una di quelle conversazioni tipiche che fanno le persone che non si vedono da un po’ di tempo, ma non abbastanza da giustificare un interessamento eccessivo. Le frasi erano piene di “come stai?”, “cosa hai fatto ultimamente?”, e qualche “Ah, interessante”, e Sakura avrebbe voluto interrompere tutto quello scambio di informazioni immediatamente, magari rovesciando il vino che aveva in mano. Invece decise di berne un altro lungo sorso e cercare di ignorare le voci che sentiva.
 
Poi Karin si decise a fare ciò che faceva ogni tre o quattro mesi da quando aveva quattordici anni, età che le era sembrata adeguata per cominciare a portare acqua al suo mulino.
 
« Sei ancora single ma troppo disinteressato oppure posso avere una chance? »
 
Come già detto, Sakura aveva giustificato un sacco di volte tutto l’odio che provava per Karin dicendosi che era davvero troppo sfacciata e troppo sicura di sé. Ma sentendo quella frase così sfrontata essere buttata lì in una conversazione, Sakura ammise che non era di certo sfacciataggine quella di Karin, ma coraggio di mettersi in gioco. Ed era ormai ovvio ai suoi occhi che avrebbe voluto essere esattamente come lei.
 
 
 
°°°
 
 
 
Sakura bevve con più foga il vino che le era rimasto nel bicchiere per cercare di distaccarsi totalmente dal mondo. Sasuke era rimasto in silenzio, e Naruto, accanto a lui, il suo salvatore personale, aveva iniziato a blaterare di stupidaggini per riempire gli spazi vuoti. Sakura posò il bicchiere vuoto sul bancone. Tornò a pensare alle sua gambe da cicciona, perché pensare alla risposta che avrebbe potuto dare Sasuke alla domanda di Karin la angosciava.
 
« Sì Naruto, okay. » disse Karin per farlo stare zitto, « Ma Sas’ke-kun non mi ha risposto. »
 
Sakura cominciò a sentire caldo tanta era l’ansia.
 
« Ino, credo che andrò a casa, non mi sento bene. » le sussurrò all’orecchio. Ino crucciò le sopracciglia e poi annuì preoccupata, posandole una mano sulla guancia per misurarle ad occhio e croce la temperatura.
 
« È tutto okay? »
 
« Sì, ma inizia a girarmi la testa. » Sakura guardò di sfuggita l’orologio attaccato al muro, « E sono già le tre e mezza. »
 
« Eh no, Karin! » urlò Naruto. Sakura non ci badò nemmeno. Abbracciò Ino e le sussurrò un ultimo tanti auguri.
 
« Sas’ke sta con Sakura-chan adesso! »
 
 
 
°°°
 
 
 
Sakura aveva mosso giusto i primi due passi verso il tavolino su cui aveva lasciato il suo giacchetto e la sua borsa che Ino le riprese la mano e la trascinò di nuovo nel bel mezzo della conversazione che aveva cercato di evitare.
 
Guardò Ino stranita, aspettandosi almeno una giustificazione, ma incontrò gli occhi un po’ perplessi di tutti. Sakura si chiese se non fosse per le sue cosce da taglia forte che tutti se ne stavano zitti e con gli occhi sbarrati, e quasi istintivamente, e ancora senza sapere bene il motivo di tanto sgomento, arrossì. Avvicinò una mano alla bocca per mangiarsi il resto delle unghie, non badando allo smalto che ci aveva messo proprio per non ricascarci, ma sempre Ino le riafferrò il polso e le riportò la mano lungo il fianco.
 
Sakura iniziò a chiedersi se non ci fosse stato un potente allucinogeno nell’ultimo bicchiere di vino bevuto, o se forse non fosse stato semplicemente un bicchiere di troppo a farle quell’effetto.
 
Naruto rise divertito, e Sakura notò che era l’unico, l’unico ad essere tremendamente soddisfatto di qualcosa.
 
Ma cosa?
 
« Cosa succede? »
 
« Suvvia Sakura-chan, » Naruto sgusciò fuori dal bancone saltando con grande entusiasmo lo scalino maledetto e le arrivò affianco, circondò le sue spalle con un braccio, e come una debuttante che sta per essere presentata al mondo, la fece volgere verso tutti gli altri, - o almeno verso quel gruppetto di tre o quattro persone che la stavano guardando, cioè Karin, Ino e Sasuke, con Genma nelle retrovie che fingeva di asciugare bicchieri da vino ma che in realtà origliava – e la scosse un poco.


« non vergognarti, diglielo anche tu. »
 
Sakura sapeva di essere complice inconsapevole di qualche brutto scherzo, lo aveva capito dalla faccia di Naruto, quella di chi ha avuto un’idea geniale ancora non del tutto elaborata finemente e che agli inizi risulta più stramba che, appunto, geniale, ma lei, a differenza di ciò che diceva la sua professoressa di scrittura creativa, non aveva grandi abilità immaginative, o meglio, queste si limitavano all’elaborazione mentale di nuovi dolciumi e nuove sostanze con alte dosi di zuccheri capaci di dare assuefazione. Ma quando non si trattava di cibo o di temi scolastici, la vita reale le risultava abbastanza sconveniente, e difficile, molto difficile da prevedere.
 
« Io...»
 
Non che non volesse essere complice. Sarebbe stata complice anche di un omicidio se fosse stato Sasuke a commetterlo, anche se la vittima fosse stata lei stessa, ma davvero, nonostante gli sforzi del suo cervello, non ci stava capendo molto.
 
Si alzò sulle punte e bisbigliò a denti stretti un “Cosa devo dire?” all’orecchio di Naruto. Lui, nonostante la goffaggine abituale, nascose il suo suggerimento dietro ad un innocuo bacio sulla guancia.
 
« Stai con Sas’ke adesso. » le rispose.
 
Sakura guardò fissa davanti a sé ancora per un po’ prima di annuire gravemente senza ancora aver realizzato bene cosa fosse accaduto. Lei stava con Sas’ke-kun adesso, si disse.
 
Naruto la strattonò ancora per le spalle.
 
« Su Sakura-chan, dillo. »
 
Ino le lanciò uno sguardo interrogativo.
 
« Io...» si prese a torturare le dita, e cominciò a spuntare le unghie rimaste su una mano con le unghie superstiti dell’altra, guardandosi i piedi e dicendo a se stessa che il dolore dato dalle scarpe le era sembrato una punizione già sufficiente di per sé, e che magari mangiare tutta quella torta non era stata una cosa salutare, vero, ma non si meritava di certo una sciagura come quella.
 
L’aria grave che le si era stampata automaticamente in faccia nel momento stesso in cui si era sentita chiamata in causa non le sembrò nemmeno lontanamente quella adatta per dichiarare al mondo una sua finta relazione che, si presumeva, avrebbe dovuto renderla felice.
 
Quindi azzardò un sorriso spiazzante da quanto appariva forzato, e decise di fingere.
 
« Sì, io e Sas’ke-kun stiamo insieme. »
 
Il silenzio continuò imperterrito nei due metri quadrati che li racchiudevano, e
 
Sakura si chiese se la sua interpretazione non fosse stata così pessima da non sembrare per niente credibile o se la notizia in sé e per sé fosse stata fuori discussione a prescindere. Sakura Haruno che sta con Sasuke Uchiha doveva sembrare, alle orecchie del mondo intero, come il miracolo dei pani e dei pesci, o come la barzelletta più brutta raccontata da uno che di barzellette non ci capisce nulla. Decise di buttarsi del tutto e di rendersi più convincente.
 
« Insomma, noi...noi stiamo insieme. Da un po’. Non molto, comunque, se ti può consolare. Non che io voglia consolarti! Cioè, io...»
 
« Pazzesco, eh! » disse Naruto interrompendola e dandole un’altra scarica di scosse. Sakura gli fu grata giusto il tempo di realizzare che era stata tutta colpa sua se quel macello aveva avuto inizio, e che si era addirittura permesso di interromperla, lui, che di eloquenza ne sapeva meno di zero. Comunque non trovò che il momento fosse appropriato per dare spettacolo con la sua parlantina contro Naruto.
 
« Pazzesco. » rispose Karin. La guardava come si guarda il bambino che ha appena avuto l’ardire di buttare per terra il cibo appena messo in tavola, in un modo che preannuncia vendetta, ma una vendetta che non prevede le botte, né un attacco frontale nell’immediato.
 
Karin ordinò un bicchiere di vino, guardando attentamente Sasuke mentre questo glielo versava nel bicchiere, forse per leggergli in volto una qualche nota stonata che avesse lasciato intravedere la menzogna. Lo guardò anche lei: sembrava estremamente tranquillo. Quando lui alzò lo sguardo e la vide, si concentrò nuovamente sulle scarpe. Per un attimo avevano anche smesso di farle male.
 
Karin ringraziò per il vino, e si diresse con Ino verso un tavolo. La ragazza bionda le diede una gomitata quando le passò accanto, facendole l’occhiolino. Sakura fece una smorfia da “non c’è niente da ridere”, ma prima di potersi voltare verso Naruto e urlargli in faccia che non avrebbe dovuto mai più rivolgerle la parola, si sentì un ormai comune rumore di vetri rotti.
 
 
 
°°°
 
 
 
« Sì, ciao. Ciao, mi dispiace, ma è ora. Eh lo so, mi dispiace. »
 
Questo era ciò che Genma stava dicendo ad ogni persona che, diligentemente, stava abbandonando il locale in fila indiana dopo l’ennesimo sperpero di denaro finito in bicchieri frantumati. Sakura era ancora lì, vicina al bancone con Sasuke che, di tanto in tanto, la guardava, spostandosi poi su Naruto, ancora soddisfatto e felice di non essere stato la causa della rottura dei bicchieri.
 
Quello era stato Akamaru, di nuovo. Ma quella volta Sakura non se la sentì di attribuirgli una vera e propria colpa. Difatti, grazie all’ennesimo macello, Genma si era convinto ad assumere l’atteggiamento meno cordiale del mondo e di cacciare, pian piano, tutti i clienti ancora presenti. Se la serata era arrivata davvero agli sgoccioli, quindi, era merito suo. Sakura lo ribattezzò teatralmente Akamaru il Giusto.
 
Si voltò verso Naruto appena il trambusto si placò, e posandogli una mano sulla spalla lo spinse. Non si mosse nemmeno di un passo, e la spalla lo fece a malapena.
 
« Sakura-chan, ho dovuto farlo! » le disse ancor prima di sentirla gridare, « ti ricordi quando Sasuke mi picchiò, tre mesi fa? Beh, lo so che ti ho detto che era successo perché avevo rotto un intero set di calici flute dando la colpa a lui, ma in realtà è stato perché Karin gli aveva chiesto di uscire, e io mi ero inventato la storia che era omosessuale! Sasuke mi ha proibito di raccontarlo ad anima viva. Non volevo prendere altre botte, ho dovuto inventarmi qualcosa di credibile! »
 
Ripensando alla storia dei bicchieri flute, Sakura si ricordò perfettamente il momento in cui Naruto si era presentato a casa sua con un occhio nero e con un dolore al costato che non voleva saperne di diminuire, e si rese conto che se quelle erano le conseguenze della rabbia di Sasuke, allora Naruto aveva fatto decisamente bene a cercare una via di fuga che non fosse l’omosessualità dell’altro, e si sentì male ed anche un po’ in colpa per essersi arrabbiata con lui, sentendo che le sue ragioni erano molto più che comprensibili. Non aveva comunque nessuna intenzione di stare dalla sua parte.
 
« E questo ti sembra credibile? » disse indicando prima se stessa e poi Sasuke un paio di volte, « Nessuno ci crederebbe mai! »
 
Genma richiuse in quel momento la porta con forza e li guardò. Tutti e tre si resero conto di essere gli unici rimasti nel locale.
 
« Dove sono tutti? »
 
« Li ho cacciati. E adesso è il tuo turno, Sakura. »
 
Non aveva fatto altro che aspettare di ascoltare quelle parole per tutta la serata, ma come ogni cosa nella sua vita, erano giunte al momento sbagliato, come le mestruazioni a tredici anni che l’avevano colta durante un picnic ad una decina di chilometri da Konoha, in uno di quei posti vagamente selvaggi dove sai non passerà nessuno a venderti assorbenti.
 
« Genma, aspetta un attimo, io devo- »
 
« E da quando stai con Sasuke, tu? »
 
Sakura riprese, grazie a quella domanda, il filo dei suoi veri pensieri.
 
« Infatti! » disse infastidita, puntando i piedi ed incrociando le braccia al petto, guardando Naruto, perché di guardare Sasuke proprio non se ne parlava « Da quando sto con Sasuke, io? »
 
Nei tuoi sogni, da tutta una vita, disse a se stessa, senza far cedere però la maschera di rabbia.
 
« Sakura-chan, può funzionare! » Naruto le mise le mani sulle spalle e la scosse. « Vero Sas’ke? » chiese subito dopo.
 
Entrambi – tutti e tre, considerando Genma – guardarono il diretto interessato.
 
Naruto probabilmente stava pensando alle conseguenze di un nuovo pestaggio di Sasuke, e i ricordi abbastanza recenti non dovevano rassicurarlo molto. Genma aveva un bar, e quello lo rendeva un po’ impiccione di natura, proprio come suo zio. E lei invece, lei non aspettava altro che vedere se per Sasuke una loro possibile quanto campata per aria relazione sarebbe potuta sembrare reale agli occhi di qualcuno, o se magari era solo lei che continuava ad immaginarsela.
 
Sasuke fece spallucce.
 
« Finché Karin non si convince...» disse poi, guardandoli a turno.
 
Sakura si sentì catapultata nel bel mezzo di un film di cui non riusciva a prevedere il finale.
 
 
 
°°°
 
 
 
« A quanto pare ci sei anche tu. »
 
Sakura si accucciò e prese al volo il guinzaglio che Akamaru si trascinava dietro. Lo aveva trovato subito fuori dal Caldo, che vagava solitario ma non per questo meno baldanzoso.
 
« Andiamo, Kiba ti starà cercando come un disperato. »
 
Si rimise in piedi, e quello fu il momento in cui la sua serata, già sottoposta a stress inverosimili e che pensava essersi conclusa con un colpo di scena capace di privarla della voglia di uscire per interi mesi, si concluse davvero.
 
Akamaru il Giusto era troppo, troppo felice per aver trovato un volto amico su cui contare. Si era alzato sulle due zampette posteriori, ed era successo.
 
I suoi pantaloni bianchi si ritrovarono una quantità spropositata di zozzo addosso, con la forma inconfondibile di due zampe di cane.
 
« Ah, grazie Sakura! Ce lo avevi tu! »
 
Kiba arrivò correndo, le prese il guinzaglio dalle mani, e senza nemmeno riprendere fiato ripartì verso casa.
 
Sakura rimase immobile a guardarlo per moltissimo tempo prima di ritornare ad osservare le chiazze nerastre sui suoi pantaloni.
 
« Che tu sia maledetto, Akamaru il...il...» pensò ad un nuovo epiteto, perché il Giusto doveva essere messo ragionevolmente da parte.
 
Pensò alla bruschetta, al cibo sprecato, alla scarpa mangiucchiata e alla torta buttata. Pensò alle sue cosce giganti e alla serata che avrebbe anche potuto evitare. Pensò per lo più a Sasuke, al fatto che era diventata, per lui, una ragazza facciata, o meglio, ciò che si chiama “copertura”.
 
Pensò ai suoi magnifici pantaloni bianchi sporcati all’ultimo minuto.
 
« il Demonio! »
 
 
 




 
 
 
 
Non so fino a quanto i tempi di aggiornamento possano considerarsi decenti, ma non credo di essere stata molto all’altezza con il mio primo aggiornamento! Quindi chiedo scusa a tutti per l’attesa, e uno scusa preventivo in caso il capitolo non vi fosse piaciuto.
 
Volevo semplicemente dire che probabilmente, ma forse anche sicuramente, la storia non è delle più originali, e che la storiella del finto fidanzamento con Karin che fa la parte della cattiva è una cosa vista e rivista. Ma vorrei specificare che Karin non fa la cattiva da nessuna parte a parer mio, e che proverò, nel corso della storia, a modificare l’immagine che molti hanno di lei come mostro per eccellenza. È una tipa un po’ strana del resto, ma nel mondo di Naruto chi non lo è?
 
Quindi, concludo ripetendo che sto scrivendo questa storia quasi per rilassarmi, e che nonostante non sia, almeno fino ad ora, la fic più originale del mondo, cercherò di renderla almeno piacevole e particolare con i capitoli che seguiranno, in qualche modo. Spero. D:

 
Grazie a tutti quelli che hanno letto, spero di sentire cosa ne pensate! J
 
Baci a tutti,
 
umavez
 
 
 
 
 
 
 
  
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