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Autore: Morganna    22/12/2013    0 recensioni
[IN PAUSA]
Il Brothers Bright è un edificio imponente, ideato per spalancare le sue braccia di nosocomio in epoca vittoriana, e conserva in parte una struttura romantica e decadente. Si potrebbe dire, e forse a ragione, che sia abitato ancora quando ogni luce sembra affievolirsi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Lucky Florio. Reduce da una vittoria. Spegne il cercapersone, il turno è finito. L’obitorio si è ormai chiuso alle sue spalle. O almeno per oggi.
Solleva la mano verso l’usciere e gli regala un breve saluto. Si è fatta di quell’uomo un’impressione come quella di una brava persona, e soprattutto una persona rispettosa di un lavoro così strano e delicato insieme. Così gli affida Viola, la sua collega piccola anche se soltanto di un anno, ma prima le strapazza i capelli mentre le rovescia in braccio i quaderni delle consegne.
Siccome lei è l’unica entrata del suo anno la chiamano collega unica. Ed un po’ le dispiace, che Viola non abbia un suo Mimi con cui scherzare.
Il caso delle gemelle è stato relativamente semplice da svolgere, mancano ancora le conferme del laboratorio di tossicologia, ma la perizia è quasi fatta. Lucky è serena, soddisfatta di quel che è riuscita ad ottenere senza doversi appellare all’aiuto di nessuno.
Ha avuto modo di lavorare al caso, di metterci mano come si dice nel gergo, durante i due giorni precedenti. Manca solo il parere di Elsker.
Gli amici delle gemelle Hobbs hanno raccontato di una festa con set fotografico e di una dose eccessiva di sballo. Troppo, troppo semplice.
Alcuni dei presenti sono ancora ricoverati sotto shock alla psico e saranno presto convocati dalla polizia in quanto testimoni oculari del dramma.
Resta soltanto ad aleggiare nell’aria il perché di quella droga così concentrata, quella stessa droga che ben tagliata e venduta sarebbe bastata per un altro centinaio di feste. E il perché Harmony e Dawn ne abbiano presa così tanta ed insieme.
C’è il velo della parola più vietata da qualsiasi storia medica. Così intirizzita da non poterla neanche pronunciare come ipotesi.
La madre delle ragazze nega con tutta la sua forza che le sue piccole stelle non abbiano amato che la vita e la vita soltanto, e non avrebbero mai pensato di togliersela. In quel modo poi, a distanza di solo una settimana dal concorso scolastico che le avrebbe lanciate vittoriosamente verso una carriera nel mondo della moda. Avrebbero trovato lì la loro strada, di sicuro, in quell’apparire spudorato offerto dalle riviste patinate.
Lucky Florio ha la sua cartelletta da completare ed i suoi appunti presi ordinatamente con una scrittura minuta e fitta.
Ha costretto i suoi ricci in una acconciatura ordinata che le si posa sul capo grazie ad un intricato sistema di forcine di cui si è però stufano in fretta sino ad infilarvi anche le matite mezze mangiucchiate e le bacchette del ristorante cinese che è il suo take away preferito.
Si è separata dalle sue mollettone tutte allineate lungo le tempie e dalle immancabili occhiaie per un filo di trucco, prima di uscire.
Ombretto color pesca ed un lucidalabbra degno di una adolescente al primo appuntamento. Non sa perché lo ha fatto.
E’ diretta al padiglione distaccato, lì dove il nome “ospedale” non è neanche indicato nell’insegna a favore del più laconico “Casa di cura - Brothers Bright – Emergenze, Lungodegenza ”.
Si chiede se suo padre sarebbe orgoglioso di vedere il suo nome, e finalmente da solo, dato alle stampe locali come segno di successo accanto a quello della più famosa famiglia della zona seppure in una occasione funesta.
I giornalisti la intervisteranno presto e lei si chiede se riuscirà a strappare a quel genitore eccellente in tutto almeno un sorriso di approvazione, ed il perdono per non aver seguito le sue tracce.
I cadaveri erano il suo sogno fin da quando ne aveva visto uno per la prima volta, da bambina, immacolato nel suo aspetto di cera e per nulla inquietante, nello stesso museo dove ora è di casa. Era ricoperto di farfalle blu come un’opera d’arte.
Ci avrebbe impiegato anni a capire che era soltanto una dimostrazione simbolica di quella che si chiama entomologia legale. Tanatologia.
Dopo aver conseguito il diploma superiore con risultati eccellenti avrebbe potuto scegliere qualsiasi facoltà ma lei si è gettata con diligenza contro quelle materie che le venivano imposte e che si interponevano fra lei e la sua ambizione.
Lontana da casa si è impegnata ad inanellare una prova impeccabile dietro l’altra. E’ stata umile con i suoi responsabili, dedicandosi alle cose più infime anche quando poteva dedicarsi soltanto a se stessa. Ha rimboccato coperte, ascoltato vecchietti, rincorso cuori battenti di bambini.
Custodendo fra le dita la fialetta calda del sangue di qualcuno ha pensato così tante volte al miracolo.
L’attenzione per qualsiasi materia, in esami in cui non è mai stata zitta neanche davanti alla domanda più ostica (un'unica eccezione: pediatria) le sono valse il voto più alto, la menzione e l’applauso scrosciante. Ma non le congratulazioni di un padre perfetto.
Forse dovrebbe parlarne con Elsker, raccontargli qualcosa di come a volte si sente.
In fondo è questo che immagina facciano gli strizzacervelli: custodiscono quello che noi ci impuntiamo di non voler vedere.
Nel suo tragitto sceglie di passare dalla Chirurgia. C’è un intervento in corso. Vuole vedere come si salva una vita. E’ una questione di tecnica.
Preme il viso contro il vetro che la divide dalla sala operatoria e solleva una mano a fare un gesto di saluto alla ferrista che sta appesa alla lampada come una scimmia tropicale.
I chirurghi nelle loro divise verdi, tutti uguali con gli occhi ad emergere dal bordo bianco della mascherina, l’hanno sempre affascinata.
Il fatto che non riescano a far nulla da soli, neanche a vestirsi o affibbiarsi gli infidi fiocchettini che bloccano la stoffa sulla schiena, la commuove.
Devono per forza sostenersi nel passarsi i ferri, nel tenere aperta la loro ferita – il genere di ferita che sanguina ancora di rosso vivo- ed aiutarsi a vicenda. Quando l’ultimo arrivato arriva nei pressi del tavolo di lavoro con le mani rivolte verso l’alto (serve a che l’eventuale sporco residuato dal quadruplo lavaggio scivoli verso i gomiti) sembra che stia pregando.
L’infermiera lo soccorre porgendogli i guanti impolverati ed incartati singolarmente che ha aperto soltanto con la punta delle dita, e china un po’ la testa coperta dalla cuffia, come un cavaliere che si inchini ad una scintilla di divino. Nell’aria oscilla una sonata di Chopin.
Anche Lucky mette su dei dischi, quando lavora a qualche corpo, ma preferisce gli ultimi successi del rock alla musica classica.
E tuttavia Chopin le sembra molto appropriato per quella sala operatoria e per quel male oscuro che quei colleghi si stanno affrettando a rimuovere.
Oltrepassa gli altri reparti, leggendo tutte le targhe ed oscillando sul fermarsi o no a salutare questo o quel conoscente.
La psichiatria è barricata dietro una porta sigillata, unica eccezione al Brothers Bright dove per poter entrare occorre avere un permesso scritto, anche se sei un impiegato dello stesso ospedale.
Il tempo che passa fra il momento in cui suona il campanello sgangherato e l’attimo in cui il pesante battente si apre sembra essere infinito.
Il personale di servizio è stanco e stralunato come tutti gli altri lì dentro, una sorta di pattumiera dove vengono confinati i lavoratori troppo usurati, malati o vecchi per poter continuare a sorridere ai prestigiosi pazienti del BBH.
Non ci sono finestre che si possano aprire, e la poca aria che passa nella zona comunitaria è confinata in una fitta rete di sbarre.
Corridoi lunghi dove si aprono numerose porte, ed una seggiola alla fine, per poter tenere d’occhio tutti quanti. Ecco lo scarno quadretto.
E’ il dipartimento dei fantasmi, quello, e certe notti li si sente piangere ed urlare nel buio. Altre volte ci sono risa troppo sguaiate.
Quei pazienti si muovono al confine più lontano delle esistenze, così come l’uomo che piega la testa sulle braccia nel grande disegno di tinte fosche che qualcuno particolarmente ironico ha voluto tracciare sulla parete che da subito sulla sinistra.
Una riproduzione di una famosa stampa del pittore spagnolo Goya, non proprio riuscita per l’infantilità del tratto con cui è stata tracciata.
La scritta che campeggia in un angolo, insediata da uccelli e pipistrelli, è però la stessa.
El sueno della razòn produce monstruos.
- Immagino che sia qui per il dottor Elsker
Ingiunge un infermiere pesantemente strabico, distogliendola dai suoi pensieri. Non ha il tempo di annuire che è già partito.
- Prego, si accomodi, le faccio strada
Lucky si deve mettere a trottare per stargli dietro, da una porta socchiusa emergono due donne in pigiama; sono avanti con gli anni ma sembrano bambine per come si tengono per mano e portano le trecce sui capelli grigi. Le sorridono di un sorriso dolcissimo.
Più avanti c’è un’altra donna che si dondola incessantemente su un letto grigio, abbracciandosi tutto il corpo scheletrito.
In una stanza più grande una figura completamente nuda, raccolta in un ammasso di lenzuola che la tiene prigioniera, geme.
- Non guardi nelle stanze, se le da fastidio
La avvisano. Ma è troppo tardi. Alcuni dei degenti si sono già accorti della sua presenza e si affacciano curiosi dalle loro stanze, alcuni le vanno dietro cercando di toccarle il camice o attirarne l’attenzione. Un uomo con grossi grumi di saliva sul mento si spinge fino a prenderle un bastoncino del cinese dai capelli facendole ricadere un ricciolo sul collo.
L’infermiere si volta, aggrotta le sopracciglia ed il degente fa subito ricadere il furtarello dalle mani. Il legno tintinna sul pavimento.
- Prendila! Restituisci quella cosa alla dottoressa
Lucky si china, raccoglie lei stessa la bacchetta e si sfila la gemella dai capelli per porgerla all’uomo che le afferra per scappare via.
- No, va bene, può tenerle
- Non dovresti viziarli, dottoressa Florio
Elsker è sulla soglia della sua stanza, ancor più alto di quanto Lucky ricordi.
Dentro l’ambiente è accogliente, esplode di colori così dissonanti rispetto ai grigi ed agli azzurri del corridoio precedente.
C’è una scrivania con due ampie sedie davanti, tende alle finestre e librerie stracolme di volumi. Ci sono due poltrone gemelle, una davanti all’altra nel destino di guardarsi, ed infine il luogo comune immancabile a quelle occasioni; un divanetto coperto da una coperta patchwork.
Sembra completamente un altro luogo con quei quadri alle pareti e le foto incorniciate.
Una di esse mostra un ragazzo ed una ragazza separati soltanto da una colonna ricoperta d’edera. C’è una dedica sotto, iscritta in un cuore.
La foto è proprio davanti alla sedia dove si siede in fretta per evitare il pensiero di dover occupare una delle poltrone o addirittura il divano.
“Sta sempre attento al lupo. E torna da me. Lèa”
Il ragazzo è indubbiamente un Elsker più giovane e senza barba, con gli occhi non più arrossati ma vividi. Sembra felice.
- E’ sua moglie?
Chiede Lucky.
Il dottore sembra contrariato da quella domanda.
- Lèa è mia sorella
Elsker si siede direttamente sulla scrivania incrociando le braccia sotto lo sterno. Alla caviglia sinistra l’orlo del pantalone stirato con la riga si solleva sino a rivelare uno scorcio di calzino rosso.
- Dunque?
Mugugna verso la ragazza.
Lucky tira fuori la sua carpetta e la liscia con entrambe le mani sulla scrivania. Sorride al pensiero di quanto sia stata sciocca quell’idea di volergli parlare,e volergli parlare di qualcosa di personale. Ed ancor più a ripensare alle parole di Mimi.
Di certo potrà dirgli che la foto che lui si tiene accanto è semplicemente di sua sorella, e che c’è ancora speranza.
Guardandolo di sottecchi Lucky si accorge che in qualche modo, se solo di levasse di dosso quell’aria afflitta che oggi sembra avvolgerlo, il dottor Llewellyn Elsker potrebbe essere un tipo davvero interessante. Ma adesso è soltanto un uomo che le torreggia addosso, guardandola dall’alto verso il basso. Le porge dei fogli scritti in maniera assolutamente caotica su fogli a quadretti, con i buchi per infilarli in un raccoglitore.
- Questa è la mia relazione
Ingiunge porgendogli quel mucchio penoso come se potesse anche minimamente essere qualcosa di presentabile alla Prof o ad una autorità.
Eppure Mimi le ha detto che Elsker lavorava alla polizia giudiziaria, forse ha dato di matto per davvero.
Ma leggendo anche solo le prime righe è chiara la dovizia di particolari e la cura che è stata impiegata per compilare il dossier.
A Lucky si incrociano gli occhi nel guardare le parole così allineate, eppure non vuole andare via, riaffrontare i corridoi con tutta quella gente che sembra essere stata svuotata, o anche solo infilare una consulenza nella cartelletta, senza capirci niente.
Solleva gli occhi sul viso di Elsker, la pettinatura prima composta ormai parzialmente sfatta con i ricchi a sfuggire ovunque.
- Può … può spiegarmi?
Elsker annuisce, preme il bottone di un bollitore elettrico nei paraggi ed infine scivola a prendere due tazze – tazze vere di porcellana e non bicchieri di plastica – da uno stipetto.
Nell’avvicinarsi a Lucky le sorride sottilmente, con gli angoli delle labbra che si piegano fino a nascondersi nella folta barba.
- Earl Grey o Darjeerling?
  
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