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Autore: Lily_90    19/05/2008    11 recensioni
Fu nel 1968 che per la prima volta il nerbo di un movimento di trasformazione radicale fu costituito da un ceto intellettuale per antonomasia: gli studenti.
Il Sessantotto fu l'anno della “contestazione globale” , della rimessa in discussione del rapporto genitori-figli, docenti-studenti, rapporti basati fondamentalmente sul principio d'autorità. Questa coscienza autocritica nei confronti di chi deteneva da sempre il potere si manifestò con cortei studenteschi di piazza, occupazioni delle sedi universitarie, in cui a parlare per la prima volta furono i giovani, che si volsero al futuro come protagonisti coscienti della propria vita.
Il 1968 fu anche e soprattutto l'anno dell'emancipazione femminile.
“- Io non voglio finire come mia madre - mormorò d'un tratto Temari, il capo chino. - La donna è un altro essere rispetto all'uomo, e la sua coscienza non può essere definita in base alle decisioni dell'altro. Io voglio essere libera di pensare, agire, di essere ciò che sono, senza che mio padre, i miei fratelli o mio marito m'impongano le proprie scelte. Io voglio essere libera di decidere per me. Compreso essere libera di sbagliare. Sono stanca di dover sottostare al potere decisionale di mio padre, e so che se mi sposerò dovrò sottostare a quello di mio marito. Non sono una povera femminuccia impaurita incapace d’intendere e di volere! Io voglio avvalorarmi nel lavoro, desidero autonomia. Per una donna non esistono solo pentole e figli, anche se immagino che questo è un concetto difficile da accettare per un misogino come te – impervase con fervore, senza più fiato, gli occhi sfavillanti come due fiaccole. “
Una ff ambientata durante l’Italia del ’68.
TERZA CLASSIFICATA a parimerito con Kaho_chan al concorso ShikaTema indetto da bambi88 e arwen5786
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Temari, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte Seconda

Just as long as you stand by me, my darlin'


Il giorno era calato, e sotto a Ponte Garibaldi il Tevere scorreva giallognolo a causa dei rifiuti.
I raggi del tramonto imporporavano i massi sul fondo e l'Isola Tiberina, che si ergeva su un tratto del fiume, vicino al Campidoglio. Le chiome rigogliose delle querce spiovevano sul largo muraglione del lungotevere; uno stormo di rondini dalla coda ampia e biforcuta macchiò d'un tratto il manto azzurro della città, cinguettando squillante.
- Quanti volantini hai distribuito? - s'informò Temari, rizzandosi a sedere sul muraglione del lungotevere.
- Tutti - strascicò Shikamaru, massaggiandosi le tempie dolenti.
- Hai ancora mal di testa? - domandò Temari, sfoderando un ghigno di compiacimento.
- Sì, quindi smettila di rompere le palle - tagliò corto Shikamaru, stranito.
Non aveva né la forza né la voglia di discutere con lei.
La bionda, sorridendo indispettita, lo agguantò per un lembo della camicia e lo costrinse a mettersi davanti a lei. Gli avvinghiò le gambe intorno ai fianchi, mentre le mani andarono a fasciargli il bacino.
Shikamaru per tutta risposta rimase fermo, sbadigliando sonoramente.
Era stanco di dover subordinare sempre i loro momenti passionali al suo umore.
Temari non se la prese. Anzi, quell'atteggiamento indifferente sembrò intrigarla ancora di più.
Le sue mani scesero sul bacino, maliziose.
- Aspetta un momento ... che diamine ... ? - fece Temari, la fronte aggrottata.
Shikamaru sbuffò, preparandosi psicologicamente a una sfuriata, perché lui sapeva che cosa avevano trovato le sue mani.
La bionda tirò fuori dalla tasca dei calzoni una rivoltella.
Lo guardò truce, gli angoli della bocca che si sollevavano rabbiosi.
- Shikamaru, che diavolo ci fai con una pistola in tasca? - tuonò Temari, furiosa.
- Me l'ha data Naruto. Ha detto che può servirci per le manifestazioni in piazza o durante le occupazioni per difenderci dai poliziotti - strascicò lui, senza dare peso alla questione.
Temari scosse il capo, in segno di rimprovero. - Quel teppista di Naruto ... E tu che gli dai pure retta! È pericoloso girare con questa roba in tasca ... Hai pensato se ti arrestassero con questo ferro addosso? Vuoi farti qualche mese a Regina Coeli? Sei un incosciente, un immaturo ... - .
La ragazza s'interruppe, ammonendo il moro con lo sguardo.
- Che cos'hai da ghignare? - sbottò, acida.
Le labbra di Shikamaru s'incresparono in un sorriso sornione.
- Sei preoccupata per me, Temari? - fece furbo, la testa scura reclina su una spalla.
- Assolutamente no! - ringhiò la bionda, la voce piena di stizza. - Semplicemente non voglio finire in mezzo ai guai per colpa di una testa calda - sbottò, lanciando l'arma nel Tevere.
La rivoltella finì sul fondo del fiume con un tonfo sonoro che provocò lo zampillio dell'acqua.
Seguì una breve pausa, in cui l'unico rumore era il rombo delle vetture che sfrecciavano sul selciato, attraversando Ponte Garibaldi.
- Sarebbe così assurdo per una femminista innamorarsi, Temari? - disse a un tratto la voce profonda di Shikamaru.
Lei sussultò appena.
- Io non ho bisogno di un uomo. Io non ho bisogno di essere amata. Mi basto da sola - sibilò, sciogliendo le gambe dai fianchi di lui e spintonandolo via con fare brusco.
- Il femminismo estremista genera solitudine, Temari - replicò pacato Shikamaru, puntando i gomiti sul parapetto e volgendo lo sguardo al fiume, che scorreva con sonori guizzi sotto di loro.
- Io non voglio finire come mia madre - mormorò d'un tratto Temari, il capo chino. - La donna è un altro essere rispetto all'uomo, e la sua coscienza non può essere definita in base alle decisioni dell'altro. Io voglio essere libera di pensare, agire, di essere ciò che sono, senza che mio padre, i miei fratelli o mio marito m'impongano le proprie scelte. Io voglio essere libera di decidere per me. Compreso essere libera di sbagliare. Sono stanca di dover sottostare al potere decisionale di mio padre, e so che se mi sposerò dovrò sottostare a quello di mio marito. Non sono una povera femminuccia impaurita incapace d’intendere e di volere! Io voglio avvalorarmi nel lavoro, desidero autonomia. Per una donna non esistono solo pentole e figli, anche se immagino che questo è un concetto difficile da accettare per un misogino come te – impervase con fervore, senza più fiato, gli occhi sfavillanti come due fiaccole.
Shikamaru sorrise, il volto imporporato dal sole rosso come il tuorlo di un uovo.
- Io non sono un misogino. Dico che le donne sono seccature, ma non ho mai detto che un uomo può fare a meno di una donna - disse, voltandosi a guardarla con espressione seria. - La penso come te sulla questione femminile, altrimenti non ti aiuterei nella tua lotta insieme agli altri ragazzi o a nascondere le tue minigonne nei miei cassetti, anche se ti confesso che si sta rivelando abbastanza stancante - .
Temari proruppe in una squillante risata.
Shikamaru levò lo sguardo su di lei, i capelli corvini lambiti dalla leggera brezza della sera.
- Un uomo non è niente senza una donna, e se non fosse per voi non ci saremmo neanche noi. Io, come uomo, ho bisogno della tua presenza, non della tua libertà. E se t'interessa saperlo, se diventassi mia moglie avrei rispetto dei tuoi pensieri, delle tue decisioni - .
Sulle labbra di Temari affiorò un mezzo sorriso.
Le gambe avvolte negli autoreggenti neri penzolavano allegre dal parapetto e i capelli le si illuminavano di una luce tutta nuova con i raggi fiammeggianti, che cadevano tremuli a picco nell'acqua del Tevere, sul quale si protendeva in avanti l’ombra delle arcate del ponte.
Shikamaru ghignò di rimando, lo sguardo indirizzato all'orizzonte, che andava ad assumere via via toni sempre più fiochi.
Dio volle che proprio in quel momento l'austero Signor Sabaku passasse di lì.
Temari ebbe giusto il tempo di vedere l'espressione irosa di suo padre, che l'attimo dopo si ritrovò imprigionato un polso nella sua mano dalla morsa forte e impetuosa. Con uno strattone il Signor Sabaku la fece scendere dal muraglione, cogliendo di sorpresa Shikamaru.
- Ti diverti a imbarazzare la nostra famiglia? - gridò il vecchio uomo, la voce vibrante per la collera. - Come ti permetti di disonorare il nostro nome andando in giro come una poco di buono? - si adirò, squadrando allibito la figlia.
A stento riconosceva la giovane adolescente con il rosario sul petto che la domenica mattina usciva di casa per recarsi a Santa Maria in Trastevere a pregare e confessarsi.
- Disgraziata, puoi dimenticarti l'università ... Ecco cosa succede alle donne quando mettono il naso a un centimetro fuori dalla cucina: cominciano a credere di saper tutto e invece non sanno niente - sentenziò l'uomo, gli occhi iniettati di sangue.
- No, semplicemente cominciano a pensare - ribatté Temari, digrignando i denti.
Il Signor Sabaku la strattonò violentemente, ma Temari si divincolò.
Al solo pensiero di trascorrere una vita dietro a un paio di fornelli, le saliva la bile al cervello.
Era intelligente, probabilmente anche più di suo fratello Kankuro, eppure non contavano i suoi voti alti alla facoltà di architettura, contavano soltanto i valori tradizionali del sistema borghese.
Lei, impulsiva per natura, non poteva tacere, non poteva accettare passivamente.
- Non ci torno a casa – sbottò Temari, tenace.
Stavolta si sarebbe opposta con tutte le sue forze.
- Se non torni a casa non sei più mia figlia - ribatté a tono il padre, crucciato per quell'improvvisa ribellione ai valori tradizionali della famiglia.
Temari alzò presuntuosa lo sguardo su di lui.
- Bene, allora non sono più tua figlia - affermò, in un sibilo velenoso.
Il padre, con inumana severità, le mollò due schiaffi che la colpirono in pieno viso. E ora gli occhi le lacrimavano di riflesso, la guancia destra livida.
Temari si sentì agguantare per la vita.
Si voltò, stordita: era Shikamaru che si era fatto avanti, e la sua espressione non lasciava presagire niente di buono.
Shikamaru cinse Temari per un fianco, stringendola a sé.
- Le chieda scusa - intimò al Signor Sabaku, la voce inflessibile.
- Fila a casa, ragazzino, invece di divertiti ad approfittare di mia figlia. Sta' disgraziata ... invece di aiutare sua madre in cucina, si diverte a fare la puttana. Ma appena torniamo a casa facciamo i conti a modo mio - minacciò l'uomo, a denti stretti.
A Shikamaru che il Signor Sabaku fosse il capofamiglia e per questo potesse prendere Temari a schiaffi, non gliene importava un bel niente. Non era nella sua pragmatica arrabbiarsi, e anche in situazioni del genere manteneva la sua indole calma. Ma Temari non gliela doveva toccare nessuno, e soprattutto non si toccavano le donne e basta.
Shikamaru fece indietreggiare Temari, strinse la mano in un pugno e mollò un cazzotto in pieno viso al Signor Sabaku, colpendolo con le nocche. Una striscia di sangue sprizzò dal naso dell'uomo, che cadde a terra, frastornato.
- Ma guarda te sto' stronzo - borbottò Shikamaru, tastandosi le nocche pulsanti.
- Shikamaru - lo chiamò Temari, in un mormorio spaventato.
Shikamaru si voltò a guardarla: stava piangendo.
- Andiamo via ... Ti prego, andiamo via ... prima che arrivi la polizia ... Ti prego ... - .
E lui non se lo fece ripetere due volte.
Alla sua richiesta, tirò fuori dalla tasca le chiavi della Lambretta parcheggiata lì, sul marciapiede. Aiutò Temari a salire dietro di lui e mise in moto, percorrendo velocemente tutto Viale Trastevere.


***

Serpeggiando fra i vicoli ormai invasi dal buio, la Lambretta bianca era giunta in cima al Gianicolo.
Shikamaru aveva imparato che Temari Villa Borghese la sceglieva quando era incline al comando, il Gianicolo quando era quasi dolce e predisposta a un po' di romanticismo.
Probabilmente quella notte doveva trovarsi in quello stato d'animo, e lui fu felice per una volta di non dover vedere quei sogghigni che a Villa Borghese gli rivolgeva mentre lo baciava.
Il Gianicolo era rischiarato dalla vasta luce bianca della luna. Sui busti, che adornavano gli orli delle aiuole, piovevano di striscio esili raggi argentei. Shikamaru e Temari trovarono ristoro sotto a un groviglio di querce, dietro al recinto di siepi, nello stesso punto dove andavano la domenica mattina.
Temari non gliel'aveva mai detto, ma le piaceva fare l'amore lì con lui.
Si sdraiarono sull'erba, su cui frusciava appena la brezza in parte ostruita dalla recinzione di siepi.
Temari si rivoltò su un fianco, la testa bionda poggiata contro le mani intrecciate; Shikamaru, invece, si mise a pancia in giù.
Temari rimase a fissare a lungo i suoi cappelli neri lucenti come l'ala di un corvo, le sue palpebre socchiuse, i fili d'erba reclinarsi al soffio caldo del suo respiro. All'inizio pensava che Shikamaru non se ne fosse accorto, ma poi lo vide passarle un braccio intorno a un morbido fianco. La strascinò contro di sé, senza mutare la sua posizione.
Si voltò a guardarla per la prima volta da quando erano arrivati lì.
- Ti fa male? - le chiese.
Lei si toccò lo zigomo lievemente livido, dove l'aveva colpita la severa mano del padre.
- Non più - rispose, in un bisbiglio.
Shikamaru le tolse la mano dalla guancia e vi schioccò un bacio, un altro e ancora.
- E lèvate ... Lasseme, lasseme! - gli intimò in dialetto Temari, con un tono tra il sorridente e l'irritato.
Gli mollò una leggera spallata per respingerlo.
Ma lui stavolta non aveva alcuna intenzione di obbedirle e non si arrestò, anche perché dal suo tono intuì che nemmeno lei voleva che smettesse.
Shikamaru rafforzò la presa attorno al suo fianco. La portò sotto di sé e, senza concederle un attimo di tregua, spostò la sua bocca dalla guancia alle labbra carnose, poi più giù, sulla curva del collo teso, così invitante sotto la luce lunare che le imperlava la pelle. Le sfiorò i fianchi pronunciati e risalì le linee sinuose del suo corpo, portandosi dietro la stoffa colorata della minigonna, scoprendole interamente le gambe tornite.
Le impresse un intrepido quanto lungo bacio.
Temari rimase stupita dalla sua determinazione.
Quel bacio aveva un sapore diverso dal sovente.
Era dolce, caldo, tuttavia conservava quell'irruenza famigliare.
Forse oltre ad essere passionale, quel bacio era pieno di sentimento, di amore.
Quello stesso amore che troppe volte aveva provato e che altrettante aveva, testarda com'era, rifiutato.
Si udiva dalla radura, dove i bambini il giorno andavano a giocare con il pallone, il verso sinfonico dei grilli e, in lontananza, un gruppo di giovani ubriachi fracidi cantare a squarciagola una vecchia canzone:

"Quanto sei bella Roma,
quanto sei bella a prima sera"

Shikamaru fuse la bocca alle sue cosce tese, mentre le mani sfilavano trepidanti un autoreggente, che finì abbandonato fra erba e arbusti. All'altro toccò presto la stessa sorte.
Le ridisegnò con le labbra la forma carnosa delle gambe, mentre una mano scivolava impetuosa nell'interno cosce.
Sentì sotto di lui le membra di lei irrigidirsi, frementi di desiderio.
- Fermati - sussurrò debolmente Temari, ma un gemito la tradì.
Era bello non dover costringere nessuno ad amarla.
Era bello che fosse lui a cercare spontaneamente un contatto con lei.
E le sue mani si limitarono ad aggrapparsi alle spalle di Shikamaru, stringendo vigorosamente il tessuto leggero della camicia.
A quel “Fermati” Shikamaru non aveva dato alcuno ascolto.
Proseguì per la sua strada, deciso, passionale, desideroso come mai prima.
Le dita andarono a stringere i bottoncini della maglietta di Temari. Li slacciò frettoloso e la sua bocca scese inesorabile dal collo al seno, ripercorrendo ogni centimetro della pelle.
Shikamaru, sorridendo sghembo, si scostò dal florido petto e poggiò la fronte contro quella accaldata della bionda, canticchiando in un sussurro ironico:
- Quanto sei bella Roma ... - .
Temari sbottò in una risatina.
- A moretto, sta' attento - rimbeccò, mollandogli un buffetto sulla fronte. - Ricorda: mai fidarsi di una trasteverina - .
E Shikamaru scoprì ben presto quanto potevano essere vere quelle parole.
Temari, sorridendo furba, ribaltò la situazione.
Gli salì sopra, a cavalcioni, sfilandosi la mini dal tessuto leggero.
Si piegò su di lui, sostenendosi con le mani ben piantate fra gli umidi ciuffi d'erba. Lo baciò, infilandogli le dita sottili fra i capelli scuri e attirandolo verso di sé. Le mani di lui scesero sui fianchi torniti, e quando fece scorrere l'elastico degli slip sulla pelle liscia delle anche lei non lo fermò.
Non era come quelle domeniche mattina a Villa Borghese dove lui si limitava a tirarsi giù la lampo, lei ad alzarsi il vestito, e poi se la sbatteva letteralmente contro il muro che delimitava i confini del parco.
Era romantico, dolce, lento ... ma i gesti conservavano quell'irruenza famigliare della passione fra due giovani che amavano per la prima volta, donandosi all'altro con tutto se stessi.
Shikamaru invertì di nuovo le posizioni, e prese a esplorare ogni millimetro del suo corpo con la bocca.
Sentì Temari sussultare ad ogni spasimo.
La stava facendo cedere lentamente, finché non fu Temari stessa a sussurrargli con una voce quasi dolce: - Voglio fare l'amore con te - .
Richiesto da una femminista estremista come Temari era appagante.
Ma Shikamaru lo sapeva già che lo amava, perché era stata Temari a scegliere lui, non suo padre.
Non si mostrò pigro a soddisfare la sua richiesta.
Shikamaru la portò sotto di sé, e stavolta lei non lo respinse.
Accucciò il mento sulla spalla nuda di Temari, ansimando contro il suo collo. La sentì tendersi ed emettere un grido che le sollevò tutto il corpo, mentre le mani accarezzavano con voluttà i suoi capelli neri che ricadevano sul viso.
Il resto della notte furono solo sospiri al chiaro di luna.

***

Temari era stesa sul prato verdeggiante, in contrasto con l'oro dei suoi capelli selvaggemente scompigliati a terra.
A svegliarla fu il monotono ronzio della matita sul foglio ruvido.
Si stropicciò gli occhi intorpiditi dal sonno e alzò il busto, sostenendosi sui gomiti. Si ritrovò acciambellata fra le gambe di Shikamaru, che si era già rimesso i pantaloni. Rovesciò la testolina bionda nel solco della sua spalla nuda. I capelli dorati erano adornati da gocce di rugiada a causa dell'erba umida e risplendevano sotto le prime luci dell'alba.
Shikamaru non si era accorto del suo risveglio e continuava a grattare tranquillo la matita.
Temari levò gli occhi sul foglio e, mezza irritata, sbottò:
- La smetti di ritrarmi nuda e quando meno me lo aspetto - e gli mollò una manata sul viso.
- È l'unico modo che ho. Se te lo dicessi prima, cominceresti a sbraitare e non staresti un attimo ferma - protestò Shikamaru, levandosi la sua delicata mano di dosso.
Riversò il foglio e la matita nello zaino.
Estrasse una nazionale dalla tasca dei pantaloni e prese a fumare.
Temari tossicchiò, scacciando indispettita il fluttuo di fumo. - Mi fa schifo la puzza del fumo di prima mattina - e fece per sottrargli la sigaretta, ma lui alzò il braccio in aria, dove lei non arrivava a prenderla.
- E famme fumà - brontolò apatico Shikamaru, scacciandole la mano.
Temari si esibì in una boccaccia, dopodiché afferrò maldestramente la camicia del ragazzo per coprirsi il seno.
- Non voglio più tornare a casa e anche se volessi non potrei. Stanotte non sono rientrata. Mio padre mi prende a schiaffi solo se ritardo mezz'ora, perché ho perso l'autobus - .
Shikamaru trasse un lungo tiro dalla sigaretta, lasciando che la cenere cadesse fra i ciuffi d'erba.
Affondò una mano fra i suoi capelli ancora intrisi di sudore e guardò le sue guance congestionate. Era una bellissima trasteverina, la più bella che avesse mai visto in tutta Trastevere ...
- Portami via - .
Un sussurro.
- Cosa? - fece Shikamaru, interdetto.
Temari strofinò la testa sul suo petto nudo.
- Portami via, Shikamaru - .
- Sicura di voler scappare con uomo? - ridacchiò Shikamaru, spegnendo la sigaretta e cingendola con le braccia.
- Voglio scappare con te - mormorò Temari, ridisegnando con i polpastrelli affusolati i lineamenti del suo torace virile.
- Fossi matto! Lo sai quanto faticherei a sopportarti tutta la vita?! E poi sentiamo, dov'è che vorresti andare? - .
- Francia - sospirò Temari. - Mi porti in Francia, Shikamaru? - disse, intrecciando le dita di una mano con quelle del ragazzo.
- Se fosse per me ti porterei pure dall'altra parte del mondo, ma in tasca non tengo nemmeno due lire, Temari - rispose Shikamaru, serio.
- Com'è la Torre Eiffel, Shika? - chiese Temari, alzando lo sguardo sulle folte chiome delle querce sopra di loro.
- Eccitante ... come la tua minigonna e i tuoi autoreggenti - .
- Scemo - ridacchiò Temari, prendendo una sua mano e premendosela sul collo. - E fa freddo? - .
- D'inverno sì, ma d'estate si sta bene ... il clima in quel periodo è abbastanza mite - .
- Però d'estate io preferisco l'Italia con il sole, il caldo, il mare ... - sussurrò Temari, portandosi la mano di lui sul petto.
- Allora in estate torniamo in Italia e ti porto a fare il bagno a Ostia - rise spensierato Shikamaru.
- Allora, ci stai a scappare via con me? - incalzò Temari, gli occhi acquamarina brillanti.
A Shikamaru si strinse il cuore.
- Non lo so, my darlin' - bisbigliò, poggiando il mento sulla sua testa bionda e pronunciando quel soprannome non con voce sarcastica ma carezzevole.
Temari s'imbronciò.
- Non te ammusà! - cercò di farla sorridere Shikamaru, mollandole un buffetto sulla fronte accaldata.
Temari si sciolse dal suo abbraccio e si alzò, tenendosi stretta la camicia al petto. Frugò nello zaino e ne estrasse il suo vestitino bianco. Lo indossò, lasciando slacciati i primi bottoni. Il seno prosperoso rimaneva un po' scoperto e, indossato in quel modo, il vestito non aveva proprio più niente di casto.
- Prima di riportarmi a casa, passiamo da una parte? - disse Temari, sottovoce, voltata di spalle.
Shikamaru annuì, ombrato.
S'infilò la camicia con cui lei fin ad allora si era coperta e, preso lo zaino, trasse a sé Temari, avvolgendole un braccio dietro la nuca, e cominciarono a discendere insieme, in silenzio, il Gianicolo.

***

Shikamaru fermò la Lambretta al Pantheon.
Era da ieri pomeriggio che guidava, e la notte scorsa non si era certo riposato con quella trasteverina tra le braccia.
Temari gli aveva ordinato di andare alla Fontana di Trevi.
La scenografia della fontana era dominata da un cocchio a forma di conchiglia trainato da cavallucci marini, a loro volta preceduti da tritoni. L'acqua nell'ampia vasca era calma e filtrata dalla luce lattiginosa del sole.
- Ce l'hai una monetina? - domandò Temari, scendendo dalla Lambretta.
- C'ho trenta lire - rispose Shikamaru, frugandosi nelle tasche.
- Vanno bene - annuì Temari, entusiasta.
- Ma che ci devi fare? - chiese Shikamaru, la fronte aggrottata.
Lei non rispose.
Prese la monetina fra le mani e incedette lentamente fin davanti alla suggestionante fontana.
Il vento accarezzava piano il suo vestito bianco.
Temari si mise di spalle rispetto alla fontana e strinse le trenta lire al petto.
Chiuse gli occhi e le tirò indietro. La monetina con un guizzo sonoro finì nell'acqua della vasca, attraversata dalla luce temperata, che dipingeva di un colore aureo l’atmosfera circostante.
Shikamaru, come tutti i buoni Romani, conosceva la storia sulla Fontana di Trevi.
A dire il vero ce n'erano diverse.
Una di queste diceva che lanciando di spalle una monetina nella fontana, si avverava un desiderio. E in quel momento per Shikamaru era fin troppo facile indovinare il desiderio di Temari.
Lei era seduta sul bordo della fontana a guardare le trenta lire risplendere sotto la luce lattiginosa, insieme alle altre numerose monetine.
Shikamaru non aveva cuore di lasciarla agli schiaffi severi del Signor Sabaku.
Scese dalla Lambretta e strinse dolcemente la mano di Temari nella sua, tirandola su di peso.
- Namo - fece Shikamaru, in dialetto.
- Dove? - chiese Temari, sbalordita.
- Ad esaudire il tuo desiderio - rispose lui. - Sto diventando matto - si compatì, a mezza voce.
- Che vuol dire? Aspetta, Shi ... - .
- Shh - la zittì Shikamaru, facendola salire dietro di lui e aiutandola a sistemare le balze del vestito. - Fidati di me - sussurrò, con un sorrisetto.
E Temari scoprì che Shikamaru invece di infilarsi nelle vie interne di Trastevere per raggiungere vicolo Bologna e riportarla a casa sua, deviò a destra, fino ad arrestare la Lambretta bianca sotto al portone del suo palazzo.
- Aspettami qui - disse a Temari, seduta ancora sulla sella della vespa.
Il ragazzo spiccò una corsa per le rampe delle scale del vecchio palazzo.
Con il fiatone raggiunse la porta d'ingresso del suo appartamento.
Bussò, impaziente.
Ad aprire fu sua madre.
- A quest'ora se torna? - sbottò Yoshino, un mestolo in mano.
Indosso aveva una vestaglia sbrindellata, che le avvolgeva mollemente il corpo, e alcuni ciuffi di capelli, sfuggiti dalla coda bassa, le ricadevano obliqui davanti al viso magro.
Shikamaru non le badò.
Passò per la cucina. Sul tavolo c'era un piatto di frittelle ancora fumanti.
Fece per prenderne una, ma il mestolo gli arrivò dritto sulla mano protesa.
- Nun magni! Così impari a tornà prima a sera - borbottò la donna, tutta scapigliata, legandosi la cintura rossa della vestaglia intorno all'esile vita.
- Non mi vuoi dà la colazione? E non me la dà! Basta che stai zitta - mandò in risposta Shikamaru, burbero.
- Ma che zitta e zitta! Disgraziato! Te possino ammazzate te e quer imbriacone de tu' padre! - sbottò acida Yoshino, la calata mezza napoletana.
Shikamaru si diresse in camera sua e riversò alcune camice nello zaino. Vi ficcò dentro anche gli autoreggenti e le mini di Temari nascoste sotto i boxer. E ora restava solo da prendere le lire necessarie per comprare due biglietti del treno, quel tanto per raggiungere il nord Italia. Poi da lì in autostop, come ormai facevano tutti i giovani dell'epoca e come aveva fatto lui stesso quando era andato l’estate scorsa a Parigi.
A passi felpati, entrò nella vecchia camera dei genitori.
Suo padre, il corpo avvolto nelle coperte, emetteva suoni rauchi dal collo.
Shikamaru aprì il cassetto del comodino, dove i suoi tenevano i risparmi.
Suo padre Shikaku era un operaio, non un ricco e grande industriale come il padre di Temari, e si spaccava ogni giorno la schiena per portare a casa quelle settanta mila lire mensili. Gli dispiaceva derubarlo in quel modo, ma non aveva altra scelta.
- Tiè vent'anni e manco na lira porta a casa - si udì borbottare sua madre, dalla cucina.
- Sta disgraziata! Sta sempre a baccajà! - grugnì Shikaku, impuntando i gomiti sul materasso sbrindellato.
Shikamaru sgranò gli occhi, le mani che stringevano un biglietto da cento mila lire.
Beccato in fragrante come un ladro.
- Ehm ... Ciao, papà ... - borbottò, rosso in viso.
Shikaku, il fiato che puzzava di vino di una trentina di taverne, scosse il capo con un lieve sorriso sulle labbra.
Si era accorto che il figlio era entrato in camera.
Aveva capito che stava prendendo dei soldi senza permesso.
Intuì che stava scappando come aveva fatto l'estate scorsa.
Gli disse di sedersi sul letto, affianco a lui, e Shikamaru ubbidì, ancora imbarazzato.
- Semo morti de fame, ma quel poco che te posso dà, te lo do volentieri. Io e tu’ madre ormai semo vecchi! Ma te e quella bella trasteverina che te sta' aspettà qua sotto ... Voi c'avete na vita davanti - disse Shikaku, paccandogli una spalla.
Shikamaru si ficcò le cento mila lire in tasca e fece per alzarsi.
- Shika, tiè pure questo - lo fermò il padre, mettendogli in mano un anellino d'oro.
- Ma è l'anello di mamma - fece Shikamaru, sbalordito.
- Tanto lei nun se lo mette ... Dice che è vecchia pe certe cose! E a te con na piotta l'anello pe la trasteverina nun te ce scappa mica! - ridacchiò l'uomo.
Shikamaru si rigirò l'anello fra le dita.
Temari avrebbe detto che sarebbe stata patetica per certe cose.
Ma forse, un giorno, le avrebbe chiesto di sposarlo.

- Papà, ti ricordi quando ti ho chiesto perché hai sposato la mamma e tu mi hai risposto “Perché a volte sa sorridere” ? - disse a un tratto Shikamaru, gingillando con la fede.
Shikaku annuì.
- Beh, allora ero un ragazzino, ma adesso credo di aver capito cosa significava - disse Shikamaru, ricordando il sorriso dolce di Temari.
Sorriso dolce che le aveva visto la notte scorsa al Gianicolo, e che poche volte, purtroppo, avrebbe sostituito i suoi irritanti sogghigni.
- Ora vado. A Temari non piace aspettare - aggiunse, avviandosi verso la porta.
- A nessuna donna piace aspettà, ma chi vive senza de loro! - ammiccò Shikaku, ributtandosi sotto le coperte.
- A Shikaku, arzate! Bisogna andà a comprà er latte! - gridò inviperita Yoshino, dalla cucina.
- Forza, va' ! A tu madre jelo dico io. Te nun t'azzardà a dije niente che a quella de prima mattina già je rode! - borbottò Shikaku, alzandosi malvolentieri e infilandosi un paio di pantaloni marroni.
Shikamaru ridacchiò e, di soppiatto, attraversò il corridoio.
Uscì dall'appartamento, chiudendosi con circospezione la porta alle spalle.
Scese con il batticuore gli scalini diroccati e tornò da Temari, che attendeva impaziente poggiata contro la sella della vespa.
Shikamaru la portò alla stazione Trastevere, e abbandonò lì fuori quella Lambretta bianca testimone della loro notte passata a fare l'amore.
Prese la ragazza per mano e ( per la prima volta in vista sua ) spiccò una corsa verso la biglietteria.
- Aspetta, Shika ... Fermati un attimo - proruppe Temari, bloccandolo per un braccio.
- E adesso che problema hai, seccatura? - domandò in un grugnito Shikamaru, voltandosi a guardarla.
Nemmeno quando si faceva come diceva lei andava bene, adesso?
- Stiamo fuggendo davvero ... Mi stai portando sul serio a Parigi? - chiese Temari, speranzosa, aggrappandosi al colletto della sua camicia ed ergendosi sulle punte dei piedi per raggiungere la sua altezza.
- Non dirmi che dopo tutta la fatica che ho fatto non ti va più bene - brontolò Shikamaru, abbassando lo sguardo su di lei.
- Lo sai amore, mi spaventi e mi piaci insieme così matto! - ridacchiò la bionda, schioccandogli un dolce bacio sulle labbra. - Ma per quanto tempo durerà questa follia? - sussurrò con voce tremula, distaccandosi di alcuni millimetri dalla sua bocca, gli occhi socchiusi.
Shikamaru si frugò nelle tasche alla ricerca dell’anellino d’oro di sua madre. Passò le braccia intorno ai bei fianchi torniti di Temari e la prese in braccio.
Con un polpastrello le accarezzò il labbro inferiore, per poi prenderle il mento e riavvicinare le loro bocche.
Le pose la fede al dito.
- Finché starai con me, my darlin' - .



***


Salve a tutti!! Come una baka ho inserito le note dell'autore nel capitolo scorso, rivelando anche particolari di questa seconda parte!! Va bè ... lasciamo stare che è meglio!
Questa è la seconda e ultima parte della storia, spero vi sia piaciuta. E' più veloce rispetto alla prima parte perché bisogna ricordare che originariamente era una one-shot.
Mi ha fatto molto piacere partecipare a questo concorso sia perché c'erano autrici davvero brave con cui confrontarsi sia perché la Shika/Tem è la coppia che amo in assoluto. E' il primo concorso che ho fatto e sono davvero sodddisfatta del risultato ^^ !! Mi sono divertita parecchio a scrivere questa storia e poi è stato un imput per approfondire un periodo storico che mi ha sempre affascinato. Leggendo i vostri commenti ho notato che alcuni di voi sono rimasti colpiti per i dettagli. Questa è una cosa che mi ha fatto molto piacere e non vi nego che per trovare tutte quelle informazioni ho faticato parecchio^^!! Ringrazio di cuore ancora i giudici e tutti quelli che hanno rilasciato i loro emozionanti commenti!

Un abbraccio a: arwen5786, shikatema, Shikatema76, Tem_93, _ayachan_ , Talpina Pensierosa, valy88, Mokkori, Kaho_chan, Stellina, stefy90, Snow White, Gossip Girl, Chimera in blue jeans (ricevere la tua e-mail mi ha fatto molto piacere, soprattutto le tue parole, troppo buona!).

  
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