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Autore: Lady_Saturn    29/12/2013    2 recensioni
Questa è la storia del periodo più brutto della mia vita...Da cui ne sono uscita grazie a persone speciali che mi hanno fatto credere nuovamente in qualcosa...Questa storia la dedico a me stessa, ma anche e soprattutto a loro!
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno.
 
L’ansia è da sempre la maggiore causa di stress. In quel momento la sentivo premere con forza contro lo stomaco. Controllavo il telefono ogni minuto, ma il display continuava a non dare segni di vita. Controllai per l’ennesima volta che la suoneria e la vibrazione fossero attive, così da sentire anche il minimo squillo.
La mia attenzione cadde sui messaggi, ne avevo inviati tre, tutti uguali, alla stessa persona, ma non avevo ricevuto risposta. La parte innamorata di me si diceva: “Starà dormendo!”. La parte peggiore di me, invece, in quel momento gridava di assillarlo di telefonate per mandarlo al diavolo. Poi c’era la terza opzione, la razionalità, lei sussurrava di stare calma e fottersene, perché in quel momento c’era qualcosa di più importante a cui pensare.
Finalmente il telefono suonò e quasi mi cadde dalle mani. Il numero però non lo riconoscevo, solitamente non rispondevo ai numeri non segnati in rubrica, ma quella era una situazione di emergenza.
 
-“Pronto?”-

Mi tremava la voce, cercai di calmare il battito accelerato del cuore, ma lui continuava a correre, seguendo la scia dei miei pensieri.
 
-“Tesoro sono zio… Mamma rimarrà in ospedale… Abbiamo preso noi tuo fratello, è da nonna… Potresti prendere il cambio? Ti veniamo a prendere tra poco.”-
 
La mia risposta fu calma e coincisa, la voce non tremava più. Chiusi la telefonata e rimasi a guardare il display del cellulare, mentre si spegneva lentamente. Nulla, tutti i pensieri di prima spariti. Mi alzai dal letto, diretta in camera da letto, presi la prima valigia disponibile e la comincia a riempire di ciò che serviva. Mentre sistemavo ordinatamente le cose, suonano alla porta. La mia vicina propone di aiutarmi… Sicuramente mandata da mia madre. Poche parole, una pacca sulla spalla. Lei mi guardava con fare amorevole, mi ha visto crescere, mi dico, è normale. Poi, ecco tornare il lato peggiore. Cacciala, è venuta solo per farsi i cavoli tuoi. Ma non reagivo, compivo azioni in automatico. Finito di sistemare la valigia la porto in salone. La mia vicina mi chiede se avevo mangiato, io la guardo persa, poi guardo l’ora. Erano quasi le quattro… I miei erano usciti poco dopo le dieci e io da quel momento non aveva toccato cibo, ma poco importava. Non avevo fame. Annuisco, più per compiacerla, che per altro. Suonano di nuovo, io mi alzo. I miei zii mi aspettano giù. Ringrazio la vicina e esco. Stringo fra le braccia la valigia, con me ho solo lei e le chiavi di casa.
Non aspetto nemmeno l’ascensore, scendo le scale due a due.
In quel momento qualcosa nel mio cervello si accende. Quando afferro la maniglia del portone, qualcosa in me si muove: la paura. Realizzo solo in quel momento che mia madre verrà ricoverata in ospedale. Chiudo gli occhi.

-“Saranno solo controlli…”-
 
Quella frase non mi calma affatto. Esco dal portone e percorro i pochi metri che mi separano dalle macchine. Mio zio è li, che mi aspetta. In quel momento la paura prende il posto dell’ansia. Mio zio mi abbraccia, cosa che non fa mai. Tutta l’ansia trattenuta e la paura lasciata sotto la superficie esplodono come una bolla di sapone, con quel contatto fisico.
 
-“Mamma non sta bene… Andrà tutto bene piccola, sta tranquilla…”-

Anche la sua voce tremava, quando alzo lo sguardo su di lui capisco che nemmeno lui credeva in quelle parole. La situazione era critica, mia madre aveva rischiato di morire… In macchina, diretti verso l’ospedale mi dicono solo questo.
Non smetto di piangere durante tutti i quindici minuti del viaggio. Quando, poi, arriviamo in ospedale smetto di piangere. Mia madre non doveva vedermi così. Cerco di sembrava il più tranquilla possibile, dovevo essere forte per lei. Mi indicano il reparto e salgo al piano, stringendo la borsa come farebbe un naufrago con il suo salvagente.
Nella stanza con mia madre c’era mio padre e i miei nonni. Quando la vedo il mio intento di sembrare tranquilla va a puttane. Aveva le flebo e il sondino per l’ossigeno al naso. Lancio la borsa da una parte e corro verso di lei ad abbracciarla. Mia madre piange con me e cerca di rassicurarmi. Dopo un tempo che sembra infinito riesco a staccarmi da lei. Vederla così mi uccideva.
Mia nonna mi sorride cercando di calmarmi. Ora mamma era in ospedale e li non le sarebbe successo nulla.
Mio padre prende a sistemare le cose nello spazio disponibile, mentre mia nonna fa il calcolo delle cose da comprare, poiché mancanti. In quel momento il mio telefono squilla, e io sobbalzo. Nemmeno ricordavo di averlo messo in tasca. Esco fuori dalla stanza, diretta verso il balconcino. In ospedale il telefono non prende bene. Quando lo tiro fuori e guardo il display scoppio di nuovo a piangere. Era Lui.
 
-“Mamma è in ospedale, ha rischiato di morire…Ti prego, vieni ho bisogno di te…”-

In sottofondo sento un casino assordante e la sua voce che sussurra a qualcuno di smettere di ridere.
 
-“Mi dispiace…Ma non posso proprio venire ora, sai che ho il trasloco. Vengo stasera ok?”-
 
Allibita non riesco a dirgli nulla. Mia madre aveva appena rischiato di morire e lui pensava al suo fottuto trasloco? Ero la sua ragazza da due anni, potevo benissimo venir prima di una scemenza simile. Accetto la cosa e chiudo la telefonata, non ero in grado di farmi valere e non ero nemmeno in condizioni per litigare. Presa dalla rabbia scaglio il telefono a terra che si apre. La batteria vola lontano, seguita dallo sportello. Presa dal rimorso corro a sistemare il danno. Il telefono funzionava ancora. Attendo qualche minuto e poi scorro la rubrica. Erano poche le persone che potevo chiamare in un momento simile. Il mio sguardo cade su qualche nome, persone che mi avevano abbandonata giorni prima, rinfacciandomi cose che avevano sentito dire da voci e non avevano avuto il buon gusto di fare smentire da me. D’altronde è più facile credere alle bugie che affrontare la verità.
Il telefono squilla quando compongo il numero.
 
-“Ehy come mai hai chiamato? In genere non lo fai mai…”-

Mi mordo il labbro, mi sentivo una stronza a cercarlo solo perché avevo bisogno di qualcuno che mi stesse vicino. Mi era appena crollato il mondo addosso.
 
-“Io volevo solo chiederti se potevi venire in ospedale…Mia mamma si è sentita male e… Si insomma…”-
 
Non mi fa nemmeno finire la frase, sarà lì a breve. Mentalmente lo ringrazio per quello che stava facendo. Dopo mezz’ora infatti eccolo lì che cammina verso l’entrata del reparto. Il mio sguardo vuoto e triste gli fanno accelerare il passo e dopo poco mi stringe forte a lui. Di nuovo piango, aggrappandomi a lui.
 
-“E Lui?”-
 
Dopo una cioccolata calda, ecco arrivare la fatidica domanda. Sospiro e lui sembra capire. Scuote la testa sussurrando insulti, per quello che era il mio ragazzo, quando apro la bocca per giustificarlo lui mi lancia un occhiataccia. Rimango in silenzio e lui se ne va, dopo avermi promesso che mi sarebbe rimasto vicino.
Quando torno da mia madre tutti, compresa io, sembriamo essere più calmi. L’orario di visita finisce e veniamo cacciati da una delle infermiere.
I giorni seguenti sono un susseguirsi di visite a mia madre e prendersi cura della casa.
Avevo da poco iniziato le lezioni del secondo semestre all’università, ma decido di mollare tutto, almeno finché non si sono sistemate le cose. Mia madre era più importante.
Si dice che se una persona rimane con te nei momenti brutti, merita di rimanervi anche nei momenti belli…Ecco questo periodo mi è servito per capire chi erano i veri amici e chi, invece, dovevo allontanare. I rami secchi vanno tagliati, altrimenti danneggiano l’albero.
 
 
 
 
  
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