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Autore: musicsafety    30/12/2013    6 recensioni
Ero sola. Completamente, unicamente sola. Con chi potevo parlare del mio problema?
Migliore amica? No, era in Italia.
Mamma? No, era morta.
Papà? No, lui non poteva sapere questa storia.
Fratellastro? Oh. No, era da escludere. Lui era il mio problema.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il buio non mi era mai sembrato così silenzioso, così opprimente. Niente mi era mai sembrato come tutto mi sembrava in quel momento. Niente, tutto. Chi ero io per classificare cos'era l'uno e cos'era l'altro?
Mi passai nervosamente la mano fra i capelli, alzandomi per poi poggiare la fronte sul vetro freddo della finestra, e sopirai, chiudendo gli occhi. La mia vita non era mai stata in discesa, mai. Nemmeno per sbaglio; ero sempre inciampata, caduta. Mi ero spiaccicata al suolo come il mio primo pesciolino rosso.
Mamma, se ci sei, da qualche parte, dimmi cosa devo fare. Ti prego.
Sorrisi ironicamente della mia stupidità, e aprii gli occhi, guardando verso il cielo. Lei era lì, da qualche parte. Ne ero certa.
Certo, avevo tutto quello che una ragazza potesse desiderare: una bella famiglia, degli amici meravigliosi, un ragazzo splendido e una migliore amica fuori di testa che, in quel momento, stava strisciando nella mia camera nemmeno fosse stata la reincarnazione di Steve Martin ne “La pantera rosa”.
«Carlotta, cosa ci fai qui?»
«Zitta lurida idiota, sono venuta qui a raccogliere i cocci che rimangono della mia Hope.»
Mi afferrò per le spalle e mi fece ridere contro la mia stessa volontà.
«Sono le quattro, tu non ti alzi mai a quest'ora. Non ti sei alzata nemmeno quando sono quasi collassata nel bagno della nostra camera a Roma.»
«
Ma quella volta stavi solamente per passare a miglior vita. Ora si tratta di tuo padre che ti ha scoperto mentre ti facevi amorevolmente il tuo fratellastro nel vostro soggiorno e, se permetti, è un'emergenza.»
Sbarrai gli occhi e, sedendomi sul davanzale dietro di me, fissai gli occhi azzurri, in qualche modo rassicuranti, della ragazza. La maggior parte delle persone avrebbero potuto dire che era una persona acida, stronza ed egoista ma lei era solo da scoprire. E quegli occhi così freddi, non chiari e non scuri, un po' in un modo e un po' in un altro erano il riflesso del suo carattere.
«Ehi, non ti ho mai vista così. Tira su quel bel faccino e guardami.»
Sospirai, eseguendo gli ordini della ragazza.
«No. Così non funziona. Quegli occhioni pieni di lacrime non voglio vederli.»
Si avvicinò, piegandosi verso di me e afferrando saldamente le mie mani.
«Andrà tutto bene.»
«Smettetemela di dirmelo! Non andrà tutto bene, non è così.»
«
No, forse non andrà tutto bene. Ma posso assicurarti che io sarò sempre con te, e sono certa che Harry la pensa esattamente allo stesso modo. Beh, io non sono un playboy famoso in tutto il mondo e non faccio parte di una super band, super famosa e super figa, però esisto anch'io. Ma non urlarmi contro, sai!»
«Scusami.»
Mormorai sommessamente, sorridendo. Lei non disse più una parola, si limitò a sdraiarsi sul mio letto facendomi segno di seguirla. E così, mi addormentai, accanto a quella ragazza che mi aveva portato in salvo troppe volte, per troppo tempo e in troppe occasioni.


«Hope, scendi immediatamente giù!»
Balzai dal letto, ritornando improvvisamente alla realtà. La ragazza al mio fianco schizzò, lanciandomi occhiate sanguinarie.
Senza rifletterci troppo m'infilai la tuta prendendo aria ed espirando subito dopo. Spalancai la porta e, indecisa se affrontare la situazione coraggiosamente oppure far notare il panico che in verità si era impossessato di me fin dalla sera prima, scesi i primi scalini, sentendo delle voci appena accennate ronzarmi nelle orecchie.
Come misi piede in cucina, sentii gli occhi di tutti i presenti trapassarmi da parte a parte ma nonostante questo, il mio sguardo cadde sul ragazzo seduto accanto al tavolo. Ricambiò lo sguardo, e forzò un sorriso. Immediatamente sentii il sangue gelarsi nelle vene, e il pavimento sembrò sparire sotto ai miei piedi.
«Hope, stasera hai un volo che ti aspetta alle nove. Prepara le valigie, e avverti Carlotta di fare lo stesso. Tornate in Italia.»
Spalancai gli occhi, cercando qualsiasi cosa fosse utile per sostenermi in piedi: ma l'unica cosa che sembrava darmi un minimo di appoggio era il viso sconsolato di Anne, che ascoltava le parole di mio padre senza poter intervenire. Una coltellata al fegato avrebbe fatto meno male.
«No. Papà, non puoi...»
«Non posso, Hope? Davvero credi che io non possa?»
«Non intendevo quello, tu non...non vuoi...»
Il suo sguardo vacuo e senza espressione mi piantò al muro e non ammetteva nessun tipo di replica.
«Harry...»
Mormorai, senza sapere esattamente cosa aggiungere dopo.
«Mi dispiace...»
Immediatamente dopo, sapevo benissimo che le lacrime stavano scorrendo sul mio viso.
«Io non vado proprio da nessuna parte!»
Urlai in faccia a quell'uomo contro cui non credevo avrei mai dovuto fare una scenata del genere.
«Io ci ho provato, tesoro..»
Mormorò Anne, posandomi una mano sulla spalla.
«Ma io lo amo, Anne!»
«Smettila di dirlo! Smettila!»
Sbraitò mio padre, afferrando sua moglie e portandola accanto a lui.
«Perché, papà? Cosa ti da tanto fastidio? Se non fosse il tuo figliastro, non ci sarebbero problemi, vero? Beh, cosa ci devo fare? Sicuramente non vi chiedo di divorziare, ma se...»
Sentii che non ce l'avrei più fatta. Mi guardai intorno un'ultima volta e mi precipitai fuori dalla stanza, senza sapere dove sarei andata. Ma il posto in cui sarei andata, era sicuramente lontano da quell'uomo.


Harry

Ogni lacrima della ragazza, era un colpo al cuore per me. E io non potevo fare niente.
Lei era lì, immobile, e mi guardava in un modo totalmente assente. In un modo che mi faceva più male che altro.
Improvvisamente, sparì. Così, senza preoccuparsi di niente e di nessuno.
Mi alzai di scatto, e subito venni fermato dalla mano di Erik.
«Lasciami.»
«Dove pensi di andare, ragazzino?»
«Ho detto, lasciami.»
Mi avvicinai al viso dell'uomo e fissai i suoi occhi, senza paura.
«Non ho più intenzione di sentire altre stronzate uscire dalla tua bocca. Ora, mollami.»
Con uno strattone riuscii a liberarmi, e sbattendo la porta di casa dietro di me iniziai a correre. Non sapevo da che parte fosse andata, non sapevo dove sarei potuto finire io, ma non m'importava. Dovevo trovarla, e subito.
«Cazzo.»
Digrignai fra i denti, accorgendomi che per la prima volta in tutta la mia vita, sul mio viso scorreva un qualcosa che somigliava vagamente ad una lacrima.
Non stavo pensando a niente, se non a quel 'noi' che avevamo messo su in pochissimo tempo, e che in altrettanto tempo si stava sgretolando. Me l'avrebbero portata via da un giorno all'altro, e io non avrei potuto fare niente.
Lei mi aveva fatto capire troppe cose, in troppo poco tempo. Prima ero Harry Styles, il cantante. Non me ne sarebbe mai fregato nulla, di nessuno. Mai. Poi, improvvisamente, mi ero ritrovato catapultato in un universo parallelo in cui avevo quattro amici idioti, una ragazza meravigliosa, e dei sentimenti veri. Proprio io.
La vidi. Seduta per terra, con le ginocchia al petto e scossa dai singhiozzi, i capelli sciolti lungo il viso nascosto dalle braccia.
M'inginocchiai davanti a lei, silenziosamente, poggiando mani sulle suo corpo tremante.
«Piccola..»
Neanche avessi paura di disturbarla, sussurrai, temendo di peggiorare tutto. Lei non alzò nemmeno la testa, pianse più forte, stringendosi ancora di più.
«Non ce la farò mai, Harry. Mi vogliono portare via.»
«Sh, amore, io sono qua.»
«Ora sei qua. Domani non ci sarai. Stasera, quando mi addormenterò, non ci sarai.»
I suoi occhi finalmente incrociarono i miei. Ma non erano i suoi occhi, quelli. Erano freddi, ghiacciati. Congelati dai ricordi del passato, dal terrore del presente e dalla rassegnazione del futuro. Ma aveva ragione. Io non ci sarei stato.
La presi e la cullai fra le mie braccia, sedendomi accanto a lei. Forse sembravamo due pazzi, forse lo eravamo.
«Ti amo, Hope. E non smetterò di farlo.»
«Mi aspetterai, vero?»
Si stava rilassando sotto il mio tocco, lo sentivo. Sorrisi malinconicamente, lasciandole un piccolo bacio sulle labbra, ancora salate e bagnate, come il suo viso rigato.
«Anche tutta la vita.»
«
Vogliono portarci via tutto. Vogliono vederci distrutti, Harry. E ci stanno riuscendo perfettamente.»
«Io ti prometto che ci rivedremo presto. Te lo prometto, non lascerò che tutto ci crolli addosso.»


Hope

“Ultima chiamata per il volo Londra-Roma, ultima chiamata.”
Sentii lo stomaco chiudersi, il fiato venir meno e la testa girare. Stava succedendo davvero?
Il moro mi guardava senza espressione, dietro le spalle di mio padre, che tentò di abbracciarmi.
«Ci vediamo, papà.»
Scansandomi da lui, mi parai davanti ad Anne, che mi sorrise dolcemente, regalandomi uno sguardo comprensivo.
«Mi dispiace, tesoro..»
Le diedi un piccolo bacio sulla guancia, stringendomi nelle spalle. Niente sarebbe stato in grado di farmi stare meglio. Niente.
Harry, non lo salutai. Presi il borsone poggiato per terra di fianco a me, e senza mai distaccare lo sguardo da lui, indietreggiai, fino a raggiungere la fila per l'imbarco, al fianco di Carlotta, che mi guardava senza dire una parola. Sapevo che ero in condizioni pessime, sapevo che dai miei occhi stavano uscendo solo lacrime, sapevo tutto. Ma volevo illudermi che niente fosse come pensavo.
Il respiro si faceva più affannoso ad ogni passo, e quando fu il momento di fare il check-in, sotto un non so quale impulso divino, lasciai cadere tutto quello che avevo in mano e mi voltai di scatto, sicura che il ragazzo non avesse mai distolto lo sguardo da me. E così era. Feci lo slalom tra le persone, corsi come non avevo mai fatto in vita mia ignorando il fatto di avere tutti gli occhi puntati su di me e allacciai le braccia dietro al collo di Harry ancora prima che lui capisse cosa stava succedendo. Sentii poco dopo le sue mani stringermi i fianchi, e la sua testa poggiarsi sulla mia spalla.
«Non piangere, smettila di piangere. Ti prego.»
La sua voce arrivava smorzata alle mie orecchie.
«Non posso andarmene. Non riesco a lasciarti qua.»
«Non aver paura, non è un addio. Ci rivedremo presto.»
«
Presto quando?»
Mi allontanai giusto quel poco per riuscire a vedere i suoi occhi verdi un'ultima volta e sorrisi tra le lacrime.
«Come posso lasciarti andare, Hope? Come?»
Presi un respiro profondo, e lo strinsi di nuovo a me.
«Qualunque cosa accadrà, ti amo Harry.»
Non gli diedi il tempo di replicare, e lasciai che la mia mano si separasse dalla sua, sotto lo sguardo pungente di mio padre.

Da quel momento, per i restanti quattro mesi, sarebbe stato l'inferno.


Roma, 22 dicembre.

Ricordavo ogni singolo dettaglio di quel giorno, per quanto volessi dimenticarmi di tutto e di tutti. Specialmente di lui. Lui che mi chiamava una volta o due a settimana, per dirmi anche semplicemente che cosa aveva mangiato a pranzo, oppure per dirmi che il tour era bellissimo e le fans fantastiche. Lui che non mi aveva mai più detto un 'ti amo' da quando l'avevo lasciato in quell'aeroporto, mesi prima. Lui che mi mancava da morire. Mi mancava il modo in cui le sue mani sfioravano la mia pelle, mi mancavano i suoi baci leggeri, i suoi occhi allegri dentro ai miei, la sua risata, il suo modo di farmi sentire speciale.
Mi sentivo morire, ogni giorno di più. E quel suo messaggio, quella sua chiamata alla settimana, erano l'unica cosa che mi manteneva in vita.
«Carlotta, mi ha chiamato mio padre. Vuole che torno a casa per Natale.»
Alzai la testa verso la ragazza appena entrata nella stanza, rimasta come pietrificata ai piedi del letto.
«Non posso entrare in quella casa come se niente fosse, non posso farlo. Ho lasciato troppi ricordi in quel posto.»
«Devi andare. Vai. Vai, tira fuori le palle, e affrontalo. Mordi, sei una leonessa.»
«Dove lo tiri fuori, tutto questo coraggio, tu?»
«
Oh, smettila. Preparati, ora. Manca poco.»
Le sorrisi. Lei era una leonessa, non io. Lei la era sempre stata, e sempre la sarebbe rimasta.


Londra, 25 dicembre.

«Odio vederti così, piccola mia.»
Mi voltai velocemente verso mio padre, nemmeno fossi davvero un animale selvatico pronto a tirare fuori gli artigli.
«Mi hai costretto ad essere così, papà. Mi hai tolto tutto.»
Non m'importava più. Forse ci sarebbe rimasto male, forse no. Ma lui si era preoccupato di questo, qualche mese prima?
«La bambina di prima, non esiste più, lo sai? Sono cresciuta, ed ero anche abbastanza cresciuta quando ho deciso che la mia felicità era in quel ragazzo. E tu cos'hai fatto? Me l'hai portato via. Con lui, finalmente, ero di nuovo felice, papà. E tu non l'hai capito. Mi dava tutto quello di cui avevo bisogno, e...mi dispiace, non ho scelto io che fosse il mio fratellastro.»
Mi alzai dal divano, correndo al piano di sopra e chiudendomi in camera. Ma non nella mia. No. In quella di Harry. Quella con tutti i suoi premi, le sue foto con i ragazzi, quella impregnata del suo profumo. Presi una sua maglia dal cassetto e sorrisi, infilandomela sopra i miei abiti. Mi sedetti sul letto, con le ginocchia al petto e la testa altrove. Mi persi a guardare la neve che scendeva soffice fuori dalla finestra, e ad immaginare come sarebbe stato se niente di tutto quello fosse successo.
-Mi manchi, Harry- MESSAGGIO INOLTRATO.
Era sempre impegnato, e sapevo che mi chiamava di rado solo per quello. Ma mi mancava, e non gliel'avevo mai detto.
I fiocchi di neve continuavano a cadere, la vita degli altri continuava ad andare avanti, il Mondo continuava a girare. Ma io ero ferma, immobile, congelata. Era quel dolore che non avrei mai saputo esprimere, quelli che ti lacerano dall'interno, che ti bruciano un organo dopo l'altro, che ti distaccano da tutto ciò che è concreto.
Il rumore di un auto che si fermava mi riscosse dai miei pensieri. Mi asciugai le lacrime e mi sporsi dal davanzale, per vedere un auto nera parcheggiare nel vialetto di casa mia e subito dopo un ragazzo scenderne. Strabuzzai gli occhi e poggiai le mani sul vetro, piangendo ancora più forte di poco prima.
«Non è possibile..»
Sussurrai a me stessa. Il moro alzò la testa e dopo quattro lunghi mesi tornai a vivere, incrociando i suoi occhi, che non erano cambiati per niente.
Dalla sua bocca uscii un soffocato “Hope..” che potei capire grazie al labiale, e capii anche che era sorpreso quanto me. Niente contava in quel momento, niente che non fosse noi. Mi sentivo la testa pesante, il cuore battere all'impazzata, tutto sembrava aspettare un nostro movimento. Un nostro minimo cenno, respiro.
Lasciai che tutto riprendesse a scorrere lentamente, mentre di scatto mi giravo e iniziavo a correre, saltando tre scalini alla volta, ridendo e piangendo contemporaneamente, ignorando le voci che mi chiedevano dove stessi correndo in pieno Dicembre, con una maglia non mia e dei jeans bucati.
Spalancai la porta, lasciando che il vento gelido mi spettinasse i capelli, che svolazzano in giro senza preoccuparsi del fatto che potevo sembrare uno spaventapasseri in piena crisi adolescenziale.
«Harry.»
Sorrisi frenando il corso del pianto e mi lanciai nella neve, arrivando a pochi centimetri da lui. Era immobile, con il suo giubbotto beige lungo fino alle ginocchia, i pantaloni neri, i ciuffi perfettamente in ordine e il fiato corto.
«Tu...sei qui.»
«
No. Tu, sei qui.»
Automaticamente allacciai le braccia dietro al suo collo e tornai immediatamente a vivere, a respirare. Per tutto quel tempo ero stata perennemente in apnea, e solo in quel preciso istante tornai a prendere fiato. Sentii le sue dita afferrarmi per i fianchi e inspirai profondamente, mentre il suo profumo mi faceva tornare alla mente sensazioni ed emozioni che credevo ormai morte.
«Ehi...mi sei mancata anche tu, Hope.»
Sorrise estraendo il suo cellulare dalla tasca e soppesandolo su una mano. Afferrai il suo viso fra le mie mani e feci toccare i nostri nasi, chiudendo gli occhi.
«Oddio, sei davvero qua.»
«Noi, siamo qua.»
Fece combaciare le nostre labbra, regalandomi un bacio che avevo desiderato per troppo tempo ma che scoprii valeva molto più di tutto il tempo passato.
«Ti amo Harry, ti ho amato ogni secondo e sempre di più.»
«Non quanto ti ho amata io. Quanto ti amo, e quanto continuerò a farlo.»
In fondo è un freddo piacevole, è un freddo caldo, pungente. Un freddo familiare e da cui sono stata per lungo tempo divisa, un freddo che regala sensazioni da camino, da focolare.
In fondo, niente può toccarmi ora.
Ora ci siamo io e lui, qua.

The end,

the end is only a new beginning.



Spazio autrice.
Finalmente è finito questo parto.
Scusate se vi ho annoiato troppo, scusate se non aggiornavo mai, scusate se questo capitolo è troppo lungo. Scusatemi per tutto, anche se fa schifo. Ma in mia difesa posso dirvi che l'ho scritto con la febbre, e voi mi direte, 'non potevi scriverlo dopo?'....no. Dovevo finire questa storia, che non mi ha poi soddisfatto molto. Anche perché non credo abbia avuto molto successo, e la trama non è un gran che, però....se ha fatto provare un qualsiasi tipo di emozione, ad almeno una persona, allora ha funzionato.
Voglio ringraziare tutte voi che mi avete sostenuta, grazie davvero.
E vorrei dedicare questa storia, questo mio piccolo passo, ad una persona, che è stata in qualche modo colei che mi ha spinto a coltivare la mia passione per scrittura,che mi ha aiutata sempre, in qualsiasi momento. E sì, è anche la mia amata Charlie della storia. Quindi...grazie, Muty.
Ora me ne vado a dormire, perché è quasi mezzanotte e mezza e sono sfinita...grazie ancora a tutte. Se vi va, lasciatemi un pensiero. Cosa vi ha fatto provare questa schifezza, in totale?
Vi adoro, grazie per tutto il supporto,

Sara.

  
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