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Autore: Val_Ser    30/12/2013    1 recensioni
La raccolta di chiusura di Primari. Ogni colore primario ha un colore complementare, che idealmente chiude questo breve ciclo. Altre vite che si intrecciano, con cui venire a compromessi, da prendere per mano per buttarsi nel mondo.
Verde - Pantone 358: A me pare che tu vada oltre le cose. Allora perché le vuoi perdere, Rodya? Non sarebbe meglio strappare coi denti, azzannare tutto ciò che può farti del bene? È un modo violento e bellissimo di vivere, secondo me.
Viola - Pantone 2265: Credevano fosse davvero un disordine? Quello stato di rigore eterno era quanto più lontano possibile dal disordine. Era il pieno controllo su se stessa. Come poteva prevedere quello che sette miliardi di persone al mondo fossero in grado di fare? Il mondo esterno ruotava e rivoluzionava intorno a lei. Il suo mondo interno si arricchiva tanto più quanto lei diminuiva.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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A/N: Questa volta vengono prima.
Annuncio importante: attualmente, la storia è destinata ad essere incompiuta. Mi sono sforzata a lungo per cercare Arancione, ma non l'ho trovato. Sarà perché è un colore che detesto, sarà che non ho avuto subito una storia fissa com'è successo per gli altri colori... Viola doveva essere la conclusione di qualcosa di più grande, ma non metto in dubbio che, un giorno, Complementari avrà la sua 'storia-di-mezzo'. Credo che il problema principale è dato dal fatto di aver scritto Viola prima di Arancione. Con la fine già pronta, era quasi impossibile dedicarsi ad una storia che non c'era.
Ringrazio chiunque abbia seguito Primari, Complementari e anche le mie altre storie. Pubblico Viola con un peso nel cuore. Avrei potuto fare di meglio, spero possa essere abbastanza, almeno per ora.
Grazie, grazie, grazie infinite <3




 
Viola
Pantone 2265

 
            Yvonne trattenne il respiro. Come spiegare quel momento? Sembrava creato dagli angeli e dai demoni, solo per lei. Quel fremito di ossa esisteva solo perché esisteva lei. Perché era brava.
            I jeans erano larghi. Erano larghi. Sorrise appena, guardandosi allo specchio, lo sguardo vittorioso. Erano larghi, per quel giorno poteva essere abbastanza.
            Tolse i jeans, li piegò accuratamente e li ripose nell’armadio. Tutto il bianco della sua stanza, talvolta, le faceva girare la testa. Ad Yvonne quasi tutto dava brividi e capogiri. Era di facile entusiasmo, tranne per quello che riguardava se stessa, ma grazie al cielo non c’era molto che la riguardasse.
            Yvonne si limitava a poco. Lei voleva essere quel poco. Se lo sentiva dentro, e allora perché non diventarlo anche fuori? Poco, poco, poco. Less is more.
            Il letto aveva la trapunta lilla. Quello che vi faceva sopra era più erotico del sesso. Tornata da scuola, dal cinema, dalla palestra, preferibilmente con una maglietta e dei pantaloni addosso, cominciava la sua gratificazione. Spesso si era accasciata e per qualche minuto non era stata in grado di cominciare. Ma più faceva male, più le cose andavano bene.
            Piegava le gambe e guardava il vuoto tra le sue cosce. Bene.
            Allungava le gambe e toccava da sopra il tessuto la spigolosità delle sue ginocchia. Bene.
            I fianchi la facevano impazzire. Quando si distendeva, le ossa del bacino tiravano la vita dei pantaloni. Poteva vedere la propria biancheria dalla fessura, sempre più larga, che si veniva a creare. Bene, anzi meraviglioso. Nessuno ha mai conosciuto la felicità se non ha accarezzato la pelle tesa su quelle ossa.
            Poi c’era la parte migliore. L’infossatura della pancia. Tutto il suo addome costituiva un deserto di santità e sacrificio. Yvonne era appagata, in quei momenti. Contava le costole con le braccia incrociate, stringendo i suoi piccoli seni in quell’abbraccio di amor proprio. Era bello, bellissimo. Non bene, ottimo.
            E poi lo sterno. Sporgeva, era il preludio ai tendini del collo e alle clavicole. Erano così lisci da toccare.  Le sue ossa erano bellissime. Yvonne in quel momento si sentiva, era bellissima.
            A scuola avevano fatto un seminario sui disordini alimentari. Yvonne aveva quasi riso. Credevano fosse davvero un disordine? Quello stato di rigore eterno era quanto più lontano possibile dal disordine. Era il pieno controllo su se stessa. Come poteva prevedere quello che sette miliardi di persone al mondo fossero in grado di fare? Il mondo esterno ruotava e rivoluzionava intorno a lei. Il suo mondo interno si arricchiva tanto più quanto lei diminuiva.
             Non era come dicevano loro. Non voleva essere magra perché magro è bello, perché magro è salutare, perché magro è come tutti vogliono che tu sia. Yvonne voleva essere magra perché era giusto.
            L’euforia del chilo in meno era inspiegabile. Crollare sul letto la sera, dopo un’ora di jogging, era gratificante come nulla al mondo. Certo, aveva degli standard anche lei. E certo, li aveva migliorati nel tempo. Da cinquantaquattro chili, quando aveva cominciato, la perfezione era diventata cinquantadue. Poi cinquanta. Quarantotto. Pesava quarantasette chili. Mancava poco, davvero poco.
            Yvonne aveva sentito la santa chiamata. Si era totalmente, interamente dedicata a se stessa. Non le importava chi fosse più magra, chi fosse più grassa. Il mondo esterno era quello, e basta. Yvonne era se stessa e poteva essere migliorata.
            Yvonne era già migliorata.
 
 
*
 
 
            «Hai finito?»
            «Un momento!»
            Sua sorella Wibke era insopportabile alle volte. Sapeva iniziare a rompere nell’esatto momento in cui cominciava qualcosa. Yvonne si era appena infilata in bagno quando Wibke aveva cominciato a bussare.
            Ancora quarantasette. Yvonne corrucciò le sopracciglia. Era impossibile.  Tolse il pigiama, tolse le mutande. Quarantasette. No. Tolse l’elastico per capelli, gli orecchini, via tutto. Era lei e lei soltanto in quel momento, lei e la gravità che segnavano quarantasette chili sulla bilancia. La posò di nuovo nell’armadietto.
            Cos’aveva sbagliato? Eppure il suo conto delle calorie era perfetto, non lasciava adito ad alcun errore. Aveva corso di più quella settimana. Forse era il ciclo che stava arrivando.
            Il ciclo.
            Prese le mutande da terra e controllò l’assorbente che vi aveva messo la notte prima. C’erano delle macchie sbiadite sopra. Era tutto lì? Prese un pezzo di carta igienica e controllò. Sì, era tutto lì. Altre macchie sbiadite. Era strano, per la sua fisionomia.
            Non le importava più di tanto, l’aveva letto in qualche blog: succedeva e basta. Il ciclo andava via se dedicavi anima e corpo ad Ana. Molte dicevano ‘soprattutto corpo’, Yvonne sapeva bene che l’anima, in questo genere di cose, contava ugualmente, se non di più. Aveva sgarrato anche lei, qualche volta, ma non ne aveva fatto un dramma. Era diventata più forte, più combattiva. La pelle più sottile, le ossa più sporgenti, i muscoli meno evidenti: erano loro la sua corazza.
            Si rivestì e uscì. Wibke era seduta a terra ad aspettare.
            «Me la sto facendo sotto» commentò acidamente.
            «Potevi andare a farla fuori» replicò Yvonne, ritornando nella sua stanza.
            Il computer era acceso. Aprì internet e digitò il nome del forum pro-ana che frequentava. Aveva trovato tantissime amiche lì, anche qualcuna che viveva a Stoccarda come lei. La chatbox era già piena anche se erano solo le tre del pomeriggio.
 
            YviePro                    Ciao ragazze, notizie?
            A(n)na                     Cinquanta chili stamattina!!
            YviePro                    Braaava! <3 <3 Allora l’ABC Diet sta andando bene?
            A(n)na                     Sì sì!!! Eh, ma tu sei già a quarantasette, no?
            YviePro                    Sì ma tu sei più alta di me Anna, va bene così...
            SkinnyLove               Non si può essere troppo ricchi o troppo magri…
            A(n)na                     Questa l’hai riciclata!
            SkinnyLove               Quello che faranno con mio fratello, quando finalmente
                                           lo butterò nel bidone della spazzatura…
            YviePro                   Che ha combinato?
            SkinnyLove               Le solite stronzate.. ha visto che buttavo via il pranzo e
                                           ha minacciato di dirlo alla mamma. Che merda.
            A(n)na                    Che merda sì…
            YviePro                   Siamo in due ad avere parenti di merda, consolati.
            A(n)na                   Comunque Skinny ha ragione, un altro paio di chili e mi
                                         fermo.
            SkinnyLove              Beata te, io ormai mi nutro solo di purganti.
            YviePro                   Guarda che così ti ammazzi eh.. Forse passo anche io
                                         all’ABC Diet..
            SkinnyLove             Per la roba che cucina mia nonna a casa, l’unica
                                         soluzione sono i purganti o la bulimia.
            A(n)na                   Io non ho mai vomitato.
            YviePro                   Io ci ho provato ma fa troppo schifo.
            SkinnyLove             Ana è rigore, non cercare di rimediare alle cretinate che
                                         fai, l’ho sempre detto.
            YviePro                   Vallo a dire alle ragazze dei blog pro-mia.
            A(n)na                     Sono una massa di isteriche.
            Julliet89                  Ciao ragazze! <3
            SkinnyLove              Ciao Jull! Novità?
            Julliet89                  Macchè, sono arrivati i parenti da Berlino e mamma sta
                                         tirando fuori ricette pazze ed ipercaloriche per la mia
                                         felicità.
            SkinnyLove               “Nothing tastes as good as skinny feels”
            A(n)na                     Skinny, hai ingoiato Tumblr per caso?
            SkinnyLove               Ah ah ah, scusa se sono tanto motivata!
            YviePro                   Ragazze, volevo chiedervi una cosa…
            Julliet89                  Dicci tutto tesoro <3
            YviePro                   A voi è saltato già il ciclo?
            A(n)na                     Comincia a saltarti?
            YviePro                   Non so, è in orario ma è molto scarso…
            SkinnyLove              Ancora no, ma farò i salti di gioia quando succederà J J
            Julliet89                  È normale, una mia amica dice che è riuscito ad evitarlo
                                         per un po’
            YviePro                   E come?
            Julliet89                  Vitamine in pillole, dice lei… io ancora non ho provato,
                                         l’ho regolarissimo
            YviePro                    Oh ok… Skinny, mi accompagni in farmacia fra un po’ a prenderle?
            A(n)na                      Fortunate voi che siete entrambe a Stoccarda…..
            SkinnyLove            Yessss e Anna quando vuoi vieni giù dal piedistallo berlinese e passi a trovarci J J J <3
            Julliet89                  Quando vi muovete il culo per Monaco? <3
            YviePro                    Se posso fare Stoccarda-Monaco a piedi, bevendo solo acqua, anche subito!
            SkinnyLove            Yv smettila di ciarlare e preparati, fra cinque minuti sono da te!
            YviePro                   Oooook ciao ragazze <3 <3 <3
            Julliet89                  Ciao bellissima!!
            A(n)na                     Ciaaaaooo <3
 
            Yvonne spense il computer sorridendo. Se le vitamine fossero bastate, non c’era da preoccuparsi. E anche se le fosse scomparso il ciclo, cosa importava? Era solo lo shock del corpo che doveva abituarsi. Aveva avuto tremori talvolta, si era sentita la testa pesante, una volta era svenuta a scuola, ma aveva dato la colpa al sole. Con i suoi capelli chiarissimi non era difficile da credere.
            Finché i suoi genitori non se ne fossero accorti, poteva continuare la sua crociata. Non la conduceva contro se stessa, tutto il contrario: era per la sua felicità che doveva farcela. Ana non lasciava sempre di buon umore, Ana non gratificava ogni sforzo, Ana era nelle tentazioni che, ai primi tempi, le facevano bagnare il cuscino di lacrime, la sera. Ma oltre quello c’era qualcosa di più grande.
            La linea della gonna che cadeva perfetta.
            Le braccia toniche.
            Il sorriso quando qualcuno le diceva ‘Oh, sei dimagrita Yvonne, che bella che sei!’.
            Si vestì lentamente, come se il suo corpo fosse stato fatto di vetro. Dava le spalle allo specchio sopra la scrivania mentre rovistava nel suo armadio. Sulla parete in fondo, coperto dai vestiti, aveva creato il suo orgoglio: le sue foto, le sue motivazioni, erano tutte stampate su carta comune, ritagliate, corredate da frasi di incoraggiamento e incollate al legno con lo scotch biadesivo. Era una linea del tempo della bellezza, un po’ come quella che aveva disegnato alle elementari con i compagnetti, per un progetto di storia. Se si sentiva giù, guardava le sue cosce, un anno prima. Non era l’unico modo per sentirsi felice, ma era forse il migliore.
            Il telefono squillò. Era SkinnyLove, alias Sabine. Non le rispose neanche, prima ancora che avesse finito di trillare era già sotto, jeans, maglietta e giubbotto indossati.
            Sabine era radiosa e magrissima. Aveva i capelli corti e neri, un po’ scompigliati, un sorriso incredibile. Era venuta con il suo scooter e stava porgendo un casco a Yvonne.
            «Ciao bella!» Sabine abbracciò Yvonne, stringendola forte, ossa contro ossa.
            «Sai dove prendere tutto?» Yvonne si allacciò il casco e salì sul mezzo.
            «Yes, poi ti porto in un posto carino!»
            Le strade dritte, ampie e gli edifici severi di Stoccolma sfrecciavano intorno a loro. Arrivarono dopo pochi minuti di viaggio. Nel togliersi il casco, Yvonne sorrise e guardò il cielo. Era sereno, con poche nuvole. Una bella giornata.
            Comprarono le vitamine a Rotebühlplatz. Sabine la prese per mano e la condusse in un caffè. I tavolini all’esterno erano coperti da ombrelloni bianchi, da i quali filtravano i raggi solari illuminando le ragazze di una luce tenera.
            Ordinarono due bicchieri di tè verde senza zucchero ma con molto limone.
            Sabine avvicinò a sé il posacenere e si accese una sigaretta. Yvonne sapeva che gliele forniva suo fratello maggiore. Nonostante avessero problemi, lasciava correre il più delle volte. Non che non gli importasse di Sabine, solo che era talmente particolare che diceva che prima o poi l’avrebbe piantata con quelle ‘cazzate da adolescenti depresse’. Sabine non era affatto depressa, Sabine era l’amica più brillante e allegra che avesse. Non aveva mai avuto un crollo, non si era mai tirata indietro da quando aveva cominciato anche lei, poche settimane dopo Yvonne.
            «Allora, questo ciclo?»
            «Non mi spaventa più di tanto» disse Yvonne, facendo spallucce.
            «A me un po’ questa storia spaventa, ma tu sei tranquilla e allora va bene» ammise Sabine.
            «Capirai, tutte quelle cose che dicono sull’anoressia mi sa che sono una grande cazzata!» Yvonne rise, giocando con una ciocca di capelli. «Sai, stordimento, caduta dei capelli, indebolimento delle unghie… Io non ci credo tanto, dopo otto mesi sto meglio di prima, quand’ero grassa come un’oca!»
            «Non la chiamare ‘anoressia’» borbottò Sabine. «Sa di malattia. Per me non è una malattia.»
            «Neanche per me.»
            «E non eri grassa come un’oca. Eri ok, a dirla tutta, ma adesso sei splendida.»
            Sabine allungò una mano sul tavolo e prese quella di Yvonne. L’aveva confessato, una volta. Aveva detto ‘Be’, comunque io sono lesbica’. A Yvonne poco importava, era l’unica alla quale potesse parlare di certe cose. Non le interessava, ma la lasciava fare.
            I tè arrivarono e con essi il conto. Yvonne insistette per pagare, dato che da un bel po’ Sabine usava mezza tanica di benzina solo per i giri insieme.
            «Sa di merda» commentò Sabine dopo averne assaggiato un sorso.
            «Non è poi così male. All’inizio bevevo robe dietetiche che, in confronto, sapevano di paradiso.»
            Sabina la guardò a lungo con i suoi occhi azzurri spalancati. «Perché hai iniziato, Yvonne?»
            Yvonne la guardò, alzando le sopracciglia. Supponeva che quella fosse la domanda standard che le avrebbero posto tutti, se avessero saputo. «Che c’è, ti stai pentendo?»
            «Sono solo curiosa.»
            Yvonne annuì. «Ero un po’ fuori di testa, ad inizio anno. Il mio ragazzo mi aveva lasciato e io stavo perdendo un po’ il controllo su tutto: amici, scuola, cose così. Mi sono detta: se vuoi avere il controllo, abbilo prima su te stessa. È stata una cosa naturale.»
            «Vedi? Sono gli uomini che ci cacciano nello schifo!» Sabine rise, sorseggiando ancora il tè.      
            Yvonne alzò un sopracciglio, ironica. «Se stai cercando di convertirmi, non funziona.»
            Sabine fece un gesto teatrale di sgomento. «Io? Giammai! La tua unica religione è Ana, lo so e fai benissimo.»
            «Perché, tu ne hai altre?»
            «Ana e la figa, direi che bastino.»
            Yvonne e Sabine risero. Passarono un’ora a ridere e parlare del più e del meno. Quando c’era Sabine, Yvonne era improvvisamente rilassata. Non doveva più correre a pesarsi dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua, non sfiorava i gomiti per sentirli più puntuti, non controllava la taglia dell’ultimo maglione che aveva acquistato. Però, la bellezza di quel rapporto stava nel fatto che, una volta tornata a casa, quelle cose non le avrebbe fatte da sola. Sabine era sempre reperibile se pensava di non farcela, se si sentiva male. Aveva sempre la soluzione. Era bello stare con Sabine ed era bella, bellissima Ana. Quando le due ‘donne della sua vita’, come qualche volta le aveva chiamate, erano unite nella stessa frase, nella stessa azione, nello stesso concetto, Yvonne sapeva, effettivamente, di essere più felice di quando accoglieva Ana da sola.
 
 
*
 
 
            Il ciclo era stato scarso. E anche quello dopo. E quello dopo ancora.
            Però quel quattro seguito dal cinque sullo schermo della bilancia, oh Dio, quello era stato poco e tanto allo stesso tempo. Pesava poco, davvero poco. Ed era tanto bello.
            Yvonne aveva deciso che poteva concedersi uno strappo. Quarantacinque chili, digiunava da due giorni ormai, era meraviglioso. Prima di scendere a cena, si guardò allo specchio. Era dicembre, faceva un freddo cane e cercava nei cassetti un maglione per stare in casa.
            Lo specchio però la lasciò quasi senza fiato.
            La fila di vertebre che delineava la colonna vertebrale era sporgente. Curva. In qualche modo poco armoniosa. Non andava bene. Yvonne lottava per la bellezza, per l’ordine, per la gioia della riuscita. Cos’era quell’abominio?
            Tentò di raddrizzarsi. Si curvò in avanti, indietro. Niente da fare. Il suo stomaco era gonfio, la sua colonna un po’ spostata in avanti. Un altro dettaglio carpì la sua attenzione.
            Aveva gli occhi un po’ infossati. Gli zigomi pronunciati. Stentava a credere di essersi guardata negli ultimi tempi. Eppure ogni mattina passava ore davanti a quello specchio. Sarà stata la luce. Non poteva notare tutti quei dettagli in un solo momento.
            Mise un maglione largo e i pantaloni della tuta. Sformati, ma almeno coprivano la pancia. Passò il correttore sulle occhiaie, il fondotinta e il blush in maniera leggera. Il trucco non si notava molto, non voleva che i suoi genitori si chiedessero perché lo portasse in casa.
            C’era qualcosa che le sfuggiva, però. Aveva un’aria diversa. Un’aria più… sana?
            Yvonne si allontanò dal proprio riflesso, sorridendo. Ah, era così adesso? Sana. Lei non era malata. Quindi non poteva avere un aspetto più sano di quello. Era bella, Yvonne. Non c’erano dubbi, lei lo sapeva, lo vedeva dagli sguardi dei ragazzi a scuola, lo vedeva anche negli occhi di Sabine. Se stava iniziando a pensare di avere qualche problema, l’unica soluzione era perdere un altro chilo.
            Non quella sera. Ana non era crudele. Ana era severa ma Ana non voleva che tu morissi. Dovevi restare in vita, per essere sua amica. In qualche modo, Ana aveva preso forma, nella testa di Yvonne. Era una voce rassicurante, forse un po’ stridula. Erano le mani che le accarezzavano i capelli la sera, prima di addormentarsi con i crampi allo stomaco. Ana era l’acqua che beveva dopo aver fatto jogging, era il display della bilancia che segnava un numero in meno, erano i jeans che le stavano tanto bene.
            Tutto quello non era triste. Non era malattia. Era la sua vita. Non era perfetta, non era ordinaria. Ma era la sua, e aveva solo quella a disposizione.
            Scese per la cena. L’odore di sformato si era diffuso al piano inferiore.
            Il cibo non era un nemico, per Yvonne, solo un ostacolo. Quando si corre la corsa ad ostacoli, non si prende a colpi di mitra la barriera: la si salta. Yvonne saltava il cibo. Lo evitava. Non lo odiava, sapeva che qualche volta mangiare faceva bene. Quella volta avrebbe mangiato un po’, se lo meritava, Il gonfiore sarebbe sparito.
            «Sformato di patate e carne» annunciò gioiosa sua madre.
            Yvonne sorrise e si sedette al suo posto. Wibke giocava con la console portatile, suo padre era assorbito dal telegiornale. Si concentrò su sua madre, intenta a dividere le porzioni nei piatti.
            «Poco per me, mamma» precisò, prima che le presentasse una porzione abbondante. «Sono un po’ gonfia per ora, non vorrei avere problemi.»
            Sua madre ritirò il piatto che le stava porgendo e la guardò smarrita per un attimo. Sembrava non capire. Davanti a lei, Yvonne aveva sempre mangiato. Tuttavia, non sapeva che era la cena l’unico pasto che si concedeva, che veniva praticamente eliminata dalla successiva corsa serale.
            «Mi sembri un po’ dimagrita, Yvie. Sicura di stare bene?»
            Sua madre era apprensiva, ma ingenua. Non l’avrebbe indovinato mai, Yvonne era tranquilla. Suo padre non aveva neanche girato lo sguardo verso di lei, e Wibke… era ancora troppo piccola per accorgersi di queste cose. O semplicemente disattenta.
            «Benissimo, solo un po’ di gonfiore» sorrise Yvonne, prendendo la porzione più piccola che sua madre le aveva messo davanti.
Aveva un buon odore, era caldo, faceva venire l’acquolina in bocca. Non l’avrebbe mangiato tutto. Centocinquanta calorie per cento grammi: patate al forno. Carne… dovevano essere cento e qualcosa per cento grammi. Sembrava avesse messo anche salsa e parmigiano. Facili. Salsa di pomodoro, sessantacinque calorie per cento grammi. Parmigiano, trecentosettanta calorie per cento grammi. Era in quel momento, quando faceva i suoi conti, che il cibo diventava demoniaco. I numeri parlavano chiaro. Dovevano essere circa 680 calorie in totale.
            Il piatto non era grande, ma il numero sì. Era quello che solitamente cercava di mangiare nell’arco di due giorni. Yvonne avrebbe voluto parlarne tranquillamente, per non dover calcolare sempre tutto, ogni boccone che assaggiava. Ricorrere a certi sotterfugi non le piaceva. Se avesse parlato, però, sarebbe finita tutta la magia.
            Cominciarono a mangiare.
            Dopo pochi bocconi, Yvonne posò la forchetta. Sua madre alzò lo sguardo. Era abituata al fatto che la figlia non mangiasse sempre tutto, lo attribuiva allo stress della scuola. Aveva voti talmente alti che era impossibile non avvertire fisicamente un minimo di pressione.
            Yvonne sembrava concentrata. Forse preoccupata.
            «Amore, tutto ok?»
            Yvonne alzò lo sguardo. Doveva sembrare un cadavere, perché sua madre la guardò come se avesse appena visto un fantasma.
            «Credo di avere la gastrite» mormorò, portandosi le mani alla pancia. Scottava. Come poteva scottare? Bruciava dentro e fuori. No, non poteva rigettare il cibo così. Non succedeva quando si aveva il controllo. Lei conosceva il suo corpo. Lo conosceva.
            «Ti fa male la pancia?» chiese Wibke azzannando un altro pezzo di sformato. Yvonne la guardò e le venne un senso di nausea.
            «Dobbiamo chiamare un’ambulanza?» chiese suo padre. Era la prima volta che le parlava, durante quella giornata.
            Yvonne scosse la testa. «No, no. Forse ho solo freddo. Penso che andrò fuori e anticipo la corsa. Mangio quando torno.»
            Nell’alzarsi, strinse la mano intorno alla spalliera della sedia. Sentiva di stare per cadere, ma non poteva cedere. Sorrise, facendo finta di niente.
            «Yvonne, se stai male…»
            «Non sto male, ma’. Prendo il cellulare, così se ci sono problemi ti chiamo. Rimango nei dintorni.»
            Yvonne uscì dalla cucina con un sorriso. Appena diede le spalle ai suoi genitori, si spense. Uscì di casa. L’aria era fredda. Correre col maglione non sarebbe stata una buona idea, ma forse poteva davvero aiutarla a stare meglio, per qualche strana, autonoma logica medica.
            Non aveva neanche mosso qualche passo che un altro crampo le serrò lo stomaco. Rimase senza fiato. Si piegò in avanti, crollando sul marciapiede.
            Cos’era successo.
            Perché.
            Da dove veniva quel dolore lancinante.
            Yvonne chiuse gli occhi, li strinse fino a lacrimare. Tentò di rialzarsi, ma appena fu in ginocchio ebbe un altro crampo. Crollò di nuovo.
            Prima che tutto si oscurasse, sentì sua sorella urlare.
 
 
*
 
 
            «Ho sentito i tuoi che litigavano» mormorò Sabine, lo sguardo basso, catturato dai dettagli di un suo anello. Sabine si fissava sempre su qualche particolare quando non sapeva che dire. «Il medico diceva che era impossibile non accorgersene. Credo che la discussione sia sfociata sulla genitorialità e cazzate varie.»
            Yvonne aveva gli occhi chiusi. Fili e flebo uscivano ed entravano dal suo corpo in tanti, troppi punti. Drenaggio di cisti pancreatiche. Non potevano operarla, era troppo debole, ma necessitava un intervento e non c’era tempo per i farmaci. Pancreatite cronica fulminea. Probabilmente la covava da mesi.
            Le veniva da piangere. Era sbagliato, era tutto sbagliato.
            Se non l’avessero aperta col bisturi, sarebbe stata ancora bella. E ancora sana. Sapeva cosa l’aspettava, adesso. Ne aveva un’idea molto chiara. In famiglia e dentro di sé, stava per passare la tempesta.
            Non la voleva la tempesta.
            Voleva l’estasi di Ana.
            Voleva la gioia, le lacrime, il sacrificio, i traguardi raggiunti dopo tanto tempo a lavorare su se stessa.
            «Yvonne» chiamò Sabine.
            «Che c’è?» rispose Yvonne con un filo di voce.
            «Niente. Io… niente.» Sembrava così piccola e arrabbiata quando non trovava le parole.
            «Mi devi dire qualcosa» sussurrò Yvonne.
            Sabine si tormentava le mani, mordendosi le labbra. «Oltre il medico, c’era uno psichiatra che stava parlando con i tuoi. Ha detto un sacco di stronzate, ma anche qualcosa di giusto. Diceva che chi è ‘come te’ –e quindi come me, come noi– non vede oltre al suo naso.»
            «Che stai cercando di dire, Sabine?»
            «Tu vedi oltre al tuo naso? Ce l’hai un… un qualcosa, dopo Ana? Oltre Ana?»
            Gli occhi azzurri di Sabine incontrarono quelli della medesima tonalità di Yvonne. Sembrava si stessero guardando per la prima volta. O scoprendo. Non erano mai arrivate a domande tanto personali. Non si chiedeva nulla riguardo Ana, si accettava e basta. Nessuno te la imponeva, dovevi essere tu a capire i suoi limiti e i limiti degli altri a riguardo.
            «Intendi dire se ho, tipo, un sogno?» Yvonne sorrise flebilmente.
            «Sì.»
            «Voglio fare la scrittrice, Sabine.»
            Sabine la guardò per un attimo stupefatta poi rise a bassa voce. «La scrittrice.»
            «Sì, è così strano?»
            «Non me ne hai mai parlato.»
            «Non sono costretta a dirti tutto» precisò Yvonne, schiarendosi la voce. Dopo quattro giorni dall’intervento, cominciava a  sentirsi meglio.
            Sabine scosse la testa. «No, è vero.»
            «Però vorrei farlo. Sono stanca, ora.»
            Yvonne mosse la mano verso quella di Sabine. La sfiorò, ne seguì i bordi, intrecciarono le dita. Era bello avere un’amica come Sabine.
            Ma non era tanto bello come essere amica di Ana.
 
 
*
 
 
            Terapia psicologica. Reintroduzione all’alimentazione. Yvonne queste cose le aveva vissute e ora se le ritrovava sui libri di medicina. Aveva diciotto anni quando era stata operata. Ora ne aveva ventuno e la situazione era diversa.
            Diversa, ma non troppo.
            Negli anni, lei e Sabine avevano imparato una cosa. Non si sconfigge l’anoressia. Puoi riprendere peso, puoi guarire dalle malattie, puoi limitare i danni, ma l’anoressia ti entra dentro. Vive nello strato di grasso indispensabile alla sopravvivenza, nel tono dei muscoli che una volta erano stati ipotrofici, vive nei biscotti e vive nel tuo cervello. Puoi aver sconfitto l’aspetto fisico della malattia ma lei ti è già entrata dentro la testa. Puoi non ragionare nella stessa maniera di prima, ma non guarderai più al mondo nella stessa maniera.
            Yvonne cercava di farsene una ragione. Era molto più sola da quando aveva lasciato andare Ana. Le era rimasta solo Sabine. Ana non esisteva più. Non era più sua amica, non aveva più un nome proprio.
            Era anoressia nervosa, aveva un nome scientifico. Per Yvonne, non sarebbe mai stata una malattia. Ana era stata una parte della sua vita. Breve, rispetto alla vita sfortunata di tante altre persone, ma in qualche modo distruttiva.
            Erano i segni che portava sulla pancia che le ricordavano che amica di merda era stata. Ed erano le carezze di Sabine, comprensive e gentili, le sue parole dolci a ricordarle quant’era stata fortunata ad incontrarla.
 
 
*
 
 
            Sabine
            Sabine era consapevole di Yvonne. Sapeva quanto Ana l’avesse distrutta. Sabine era ancora amica di Ana, Sabine non aveva la forza di lasciarla andare.
            Dietro i giubbotti di pelle e i piercing alle labbra, Sabine aveva cominciato ad acquistare la debolezza di Yvonne. Le lacrime che non aveva mai pianto, i graffi sul suo corpo che non aveva mai profanato, il malumore e la depressione che non l’avevano mai toccata: era come se Yvonne li avesse regalati a lei.
            Sabine non la rimproverava per questo. Sapeva che non era colpa sua. Era lei che cedeva, lei che crollava. Yvonne poteva diventare un ottimo esempio da seguire, ma non riusciva più a seguirla in certi ragionamenti. Erano ancora amiche, amiche più di prima.
            Yvonne cercava di spiegarle quello che, con le buone e le cattive, avevano spiegato a lei. Le aveva proposto una visita da uno psicologo. Sabine rispondeva che non aveva tempo. Non dimagriva più velocemente come i primi tempi, però dentro di lei qualcosa si spegneva. Più cercava di lottare più veniva sopraffatta.
            Yvonne aveva un certo distacco su questo argomento. Vedeva in Sabine quello che sarebbe potuta diventare lei e ne prendeva le distanze.
            Sabine peggiorava.
            Sabine piangeva.
            Sabine sveniva.
            Viveva da sola in un appartamento alla periferia di Stoccarda. Yvonne si sentiva senza speranze. Non aveva speranze di renderle la vita migliore, perché Sabine non conosceva la possibilità di una vita migliore, e se non fosse stato per la pancreatite, probabilmente la stessa sorte sarebbe toccata pure a lei.
            Quando l’era andata a trovare in ospedale, le aveva detto che voleva fare la scrittrice. Sì, aveva scritto qualcosa, ma la facoltà di medicina ormai la teneva impegnata giorno e notte. Quando non studiava o non aveva lezione, andava a trovare Sabine, che non le aveva mai rivelato il suo sogno.
            Una sera era da lei. Aveva portato del take away vegetariano. Sabine aveva spiluccato qualcosa, poi era corsa in bagno a vomitare. Era diventata una di quelle che, pochi anni prima, delle loro amiche avevano definito ‘isteriche bulimiche’.
            Yvonne non aveva mai saputo cosa fosse la bulimia e avrebbe preferito non viverla attraverso la pelle di Sabine.
            Erano stese sul letto matrimoniale di Sabine. Il vento mite di maggio entrava dalla finestra spalancata. Chissà da quanto Sabine non portava una ragazza in quella camera, eccetto lei.
            «Sabine…»
            «Mh?» Sabine rispose in un mugugno. Aveva il respiro affannoso.
            «Stai bene?» chiese Yvonne. Aveva l’idea di chiamare un’ambulanza ma non voleva mettere in agitazione la sua amica.
            «Direi di sì» sussurrò Sabine. Calò il silenzio per qualche secondo. «Ti invidio tanto, Yvie.»
            «Invece di invidiarmi, Bi, dovresti ascoltarmi.» Non era un rimprovero. Yvonne non l’avrebbe mai fatto. Ma Sabine era così cocciuta e testarda, era impossibile cercare di aiutarla in quelle condizioni.
            «Io cerco di mangiare» rispose l’altra, capendo quello che intendeva dire. «Ma ormai non ce la faccio più.»
            «Dovresti vedere un medico. Quelli che si sono occupati di me erano gentili, Bi,  davvero.»
            «Sì, e farmi riempire di flebo come hanno fatto con te? Alimentazione forzata… bella merda!» Sabine sputò un colpo di tosse. Stavano diventando sempre più frequenti.
            «Sabine, credimi: sempre meglio di così. Finché non ti vedi da fuori, non lo capisci. So quello che dico.»
            «Io mi vedo sempre da fuori, Yvie» mormorò Sabine. La canottiera nera seguiva il delinearsi delle sue ossa. «Vedo una lesbica del cazzo che non ha uno straccio di occupazione. Forse avrei dovuto iscrivermi all’università.»
            «Dicevi che non c’era niente che ti piacesse.»
            «Evidentemente non mi sono del tutto rincoglionita, anzi. Penso di aver fatto una sciocchezza, ‘vie.»
            Yvonne sorrise. Il termine ‘sciocchezza’ al posto di ‘cazzata’ era strano, sentito da Sabine. «Non ce l’hai un sogno, Sabine?»
            Sabine, gli occhi chiusi, sorrise, lasciandosi scappare una risatina. «Megan Fox conta?»
            «Anche. Ma non solo. Forza, su.»
            «Questo è il mio problema, Yvie. Penso a te, che sei così fortunata da aver avuto ben due sogni. Scrivere e fare il medico. A me ne basterebbe mezzo, ma non riesco… non riesco più a pensare Yvonne.» Una lacrima le scese lungo la guancia scavata. Yvonne non disse nulla. L’asciugò con un dito, delicatamente, accarezzandole poi i capelli.
            «Dovresti pensare prima a stare bene. Poi potrai avere tutti i sogni del mondo. L’anoressia attacca anche i tuoi sogni.»
            «Prima non ne avevo comunque.»
            «Prima eri solo una ragazzina.»
            «E adesso?»
            Sabine aprì gli occhi. Erano gli occhi di una donna anziana, ma aveva solo un anno in più di lei.
            «Adesso sei una donna meravigliosa, Bi» disse Yvonne. Continuava ad accarezzarle i capelli con dolcezza, senza fermarsi. Alcune ciocche le erano cadute. Non aveva il ciclo da un anno. Yvonne aveva studiato che erano cambiamenti praticamente irreversibili, con danni permanenti. Non l’aveva detto a Sabine, ma Sabine glielo leggeva nel morsicarsi le labbra e negli sguardi spaventati. «Sei una donna meravigliosa che ha ancora molto da fare. Sei splendida. Anche così, sei splendida. Me l’hai detto tu, una volta. Però io credo che, se stessi meglio, avresti il mondo ai tuoi piedi, Sabine.»
            «E Megan Fox» precisò Sabine con un sussurro.
            «E Megan Fox!» Yvonne ridacchiò. Guardò l’orologio: era tardi, il giorno dopo aveva una lezione alle nove. «Bi, devo andare. Se ci sono problemi, chiamami. Domani dovrei passare di nuovo.»
            Mentre si alzava, Sabine le prese la mano di scatto. Le dita lunghe e ossute avevano più forza di quanto Yvonne avesse immaginato. Lei, tutta la forza di Sabine, non l’aveva mai avuta, o almeno così aveva sempre pensato.
            Sabine camuffò un colpo di tosse con una risata. «Sai, se non fossi così dannatamente algida e maledettamente etero, saresti stata la donna della mia vita, Yvonne.»
            Yvonne si chinò verso di lei, baciandole la fronte. «Tu lo sei già, tesoro. Ma sei maledettamente lesbica.»
            Risero. Risero insieme. Risero a bassa voce, risero nella penombra della stanza da letto. Risero sui loro mali e sulle loro tombe, sperando che ci fossero ancora molti anni prima che una facesse visita a quella dell’altra. Risero perché erano giovani, erano belle, erano morte per metà dentro. Ma ancora ridevano.
            Sulla soglia della porta, Yvonne si voltò. Tormentò un po’ i bottoni della sua giacca, prima di voltarsi.
            «Sabine.»
            «Mh?»
            «Io ti voglio davvero bene. In tutti i modi possibili e immaginabili, ti voglio bene.»
            Sabine non rispose ma Yvonne udì una risatina sommessa. Le bastava quello. Sabine non parlava di sentimenti. Sabine non parlava di molte cose.
            Era così bella, speciale e meravigliosa che sperava davvero che un giorno una luce divina l’investisse e le facesse capire quanto stava sbagliando. Non doveva per forza stare male, com’era successo a lei. Non lo avrebbe augurato a nessuno, figuriamoci a Sabine.
            Salendo in macchina, Yvonne accese la radio e guardò in alto, verso la finestra di Sabine. La luce era ancora accesa, flebile, appena visibile.
            Si sarà addormentata senza spegnerla, Sabine, la mia Sabine, dolce Sabine.
            Al quarto piano, due ore dopo, le labbra di Sabine erano dischiuse, immobili, in un ultimo bacio verso l’aria, verso il mondo.
            Le sue labbra erano diventate viola.
   
 
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