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Autore: sistersCullen    02/01/2014    1 recensioni
"Il pianto dei vivi è la preghiera dei morti: nessuno sa che cosa il destino tiene in serbo per ciascuno, finchè non lo vive."
Così la pensa Crystal , una giovane donna che dopo la perdita della sua famiglia è costretta a lasciare tutto quello che conosce per andare incontro al Fato.
Riuscirà a ritagliarsi il suo posto nella fiera ed orgogliosa Irlanda del’600? Le trame sono infinite, come l'orizzonte delle Cliffs of Moher, quando il mare circonda l'universo di un'epoca: Crystal, l'ambiguo Lord Carlisle Cullen e i suoi segreti, tra misteri arcani da svelare. L'amore e il coraggio. E un solo violino che suona.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Carlisle Cullen, Emmett Cullen, Esme Cullen, Nuovo personaggio | Coppie: Emmett/Rosalie
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Angolino di Sofy:

 

Guten morgen guys!!!!!!! Finalmente siamo tornate con il secondo capitolo di questa magnifica, entusiasmante, bellissima (modestia a parte) storia. Voglio leggere molte recensioni , e buon anno (in ritardo) a tutti.

 

Un saluto , Sofy.

 

Angolino della Whitlock:

 

Kalimera neaniai!!! XD (Dal tedesco al greco… Sopportateci! <3) Allora, mi aspetto come Sopy miliardi di recensioni visto che abbiamo zappato letteralmente per stendere e ristendere questo capitolo. Per i piantagran… Ehmm… Per chi è dotato di un grande senso dell’osservazione, si accorgerà subito che quasi all’inizio del capitolo è riportato, un po’ modificato, un paragrafetto de La lettera scarlatta” (cambio pure colore XDXDXD) di Nathaniel Hawthorne, più in là c’è una formula “magica” de L’orrore a Red Hook” di Lovecraft e poi vi sono delle terzine dell’ “Inferno” di Dante. Preciso che non sono affatto plagi ma, anzi, sono tributi a grandi autori che vi permetteranno (osservatori speciali, dove siete? In voi confido e soprattutto confido nell’attentissima e inimitabile Konnichiwa <3) di svelare il mistero della trama. Ora, prima che Sophy mi incenerisca, vi auguro buon anno <3

 

Baciotti,

Rita <3<3<3  





Crystal

 Wyrd-Destiny

 

 

Capitolo 2-POV Crystal

 


Braccia protese verso l’Oceano, moli di legno marcio immersi nell’infinito tumultuoso delle acque, le barche dei pescatori attraccate a poppa, con le assi incrostate di sale e  cigolanti al vento. Correvo. A piedi nudi sul prato: l’azzurro del cielo, stranamente sgombro dalle nuvole gonfie di veleno divino  , rifletteva come un cristallo la luce e il calore dell’Astro diurno. Il sole sulla pelle, lo sfrigolio lontano di migliaia di rami nella foresta e il canto dell’erba piegata dalla mia felicità. Il blu, il verde e il rosso dell’umano, della natura e di un fiore stretto tra le labbra: ero felice e la risata affiorava e sfociava come un fiume, un torrente giocoso ed incontrastato, nella gioia pura e folle , il sapore della libertà. Correvo verso il porto, laggiù, dove il tramonto, il fuoco della luce sfiorava languido le onde per il mero piacere di vederle brillare come spose adorne si rarissima bellezza, cinte dalla semplicità disarmante dell’amore. Dove, da centinaia di anni, l’odore di salsedine s’infiltrava tra le strette finestre del castello Doonagore, la mia casa… Arrivai in paese e, per evitare di inciampare nei ciottoli sconnessi del corso principale, rallentai la mia andatura fino a fermarmi ad ascoltare Doolin nella fervente dinamicità del mezzogiorno: il fabbro che batteva l’acciaio fuso delle spade sull’incudine, i cavalli che nitrivano, le voci quasi lamentose dei commercianti che invitavano la gente a comprare la loro mercanzia,le urla dei bambini che si rincorrevano, il chiacchiericcio delle comari inglesi… Quelle donne di antico sangue anglosassone erano fatte di una fibra molto più rude della mia: infatti, nel corso degli anni, ogni madre aveva trasmesso alla figlia un sangue più mite, una bellezza più delicata ed effimera e un corpo più sottile ma non uno spirito meno forte e sicuro. Erano, in altre parole, le copie perfette di quella regina, la traditrice Elizabeth I: tutte della stessa razza, nutrite di birra  e di carne di bue, né il tono dei loro discorsi era di gran ché più raffinato. Normalmente, cercavo di non rivolgere loro nemmeno un cenno del capo ed esse facevano lo stesso, pettegole e acide com’erano: ma la giornata era così bella che mi ispirava così tanto buon umore da spingermi addirittura a salutarle con un insolente sorriso che si addiceva alla perfezione sul mio viso. «La figlia del Maligno…» Sussurrarono facendosi il segno della croce. Bigotte: io ero figlia di mio padre e non del loro Diavolo! Non risposi e prosegui verso il Doonagore ma la gente continuava a fissarmi come se fossi nuda e mi additava senza vergogna: «Il peccato l’ha generata!»; «Che Dio ce ne scampi!»; «Ma chi è?»; «La figlia di Mefistofele che dissacra la terra del Signore…» La mia felicità stava pian piano svanendo: cosa diamine volevano?! Io ero la figlia di Sir Emmett McCarty ed esigevo rispetto! Peccato che lui odiasse metodi come la forca o il rogo… D’un tratto la vecchia signora Hibbins (che aveva fama di strega oltre che di distinta nobildonna sfondata di soldi…) mi si avvicinò per la prima volta in vita sua: era vestita di velluto scarlatto, con un cappello a cono e una gorgerina inamidata con quello strano amido giallo consigliatole dalla sua cara amica Anna Turner, prima che fosse impiccata per il feroce assassinio di suo marito. «E così, milady» mi chiese la megera «ritorna dalla scogliera? Mi avvisi quando vi ritornerà, potrei esserle utile con la presenza oscura che abita le Cliffs of Moher.» Montai su tutte le furie: cos’erano ai quei discorsi?! «Lei è una bugiarda, una maledetta stronza! Vada all’inferno, lei e la sua presenza!» Urlai fuori di me. «Ah! Ahahahahahah! Certo che parla così in pieno giorno, milady! Ma sa benissimo che il suo nome (assieme al mio) è vergato con il sangue sul libro dei dannati!» E si allontanò. Come mai quella giornata di felicità si era trasformata in una lista di infamità gratuite? Ripresi a correre, prendendo a gomitate la folla di gente che si era radunata intorno a me e che sussurrava menzogne con tono velenoso e strascicato… Sembravano serpenti…o demoni. Arrivai con le lacrime agli occhi di fronte al rifugio inespugnabile perfino dal tempo, il mio bel castello di roccia granitica, e la mia tristezza si dissipò come una nuvola cattiva. Il sole splendeva alto e ogni cosa, ogni dettaglio, era specchio per rimirare il proprio riflesso: l’erba, il mare stranamente in bonaccia, l’aratro abbandonato dai contadini, le armature dei soldati in vedetta, gli occhi infiniti di mio padre che avrei rivisto a momenti… Un momento! Era davvero lui quell’uomo con le gambe penzoloni nell’acqua seduto sulla banchina? Certamente le spalle imponenti erano le sue, la chioma corvina spettinata al vento anche e avrei scommesso in aggiunta pure i bellissimi occhi scuri che avevo solamente immaginato alla sua vista… Gli corsi incontro, desiderosa di conforto dopo le cattiverie della gente: «Padre, padre!» lo chiamai allegramente, cercando di attirare la sua attenzione: lui non rispose e non si voltò nemmeno. Lo raggiunsi e lo scrollai per le spalle: «Ahahahahahah! Volete scherzare, eh? Ma non fate come quella gentaglia oggi in paese che diceva… Bè… Insinuava che fossi figlia del diavolo! Che sciocchezza, vero padre?»  Dissi attirandolo a me: lui cadde come un fantoccio tra le mie braccia, quasi fosse stato di paglia e non di carne, non ne sentivo il peso. La testa ciondolò paurosamente e io la voltai in modo che potessi osservargli il viso: inorridii. Buttai il suo corpo ai miei piedi, il cuore in gola per l’infernale visione del suo volto, una maschera livida e avvizzita come se il suo capo fosse stato messo a seccare al sole, gli occhi inesistenti, due orbite vuote e nere. La sua bocca, poi! Una freccia gli aveva trafitto la gola scheletrica e le gengive, ritiratesi al massimo, mostravano denti lunghissimi e marci. Urlai come un’ossessa di fronte a quella visione: stavo impazzendo, non poteva accadere davvero! D’un tratto un vento incredibile si alzò dalle acque e le nubi ricoprirono il cielo: le onde manifestarono subito tutta la loro potenza infrangendosi contro la banchina, l’aria puzzava di sangue ,nuvole nere si formavano all’orizzonte e ogni cosa presagiva una tempesta. L’oscurità della coltre di nubi impediva alla luce di manifestarsi: sembrava notte e fonda e la cosa più inquietante era che invece della pioggia venivano giù cascate di sangue scarlatto e risa diaboliche riempirono il mare, quasi fosse una stanza vuota ed immensa… Le acque bollivano e cadaveri di ogni specie affioravano dall’oceano e demoni ridevano e gridavano:

 

«O compagna e amante della notte, tu che gioisci

quando ululano i cani (un ululato spaventoso mi

fece tremare dalla testa ai piedi) e il caldo sangue

è versato (grida morbose, gorgoglii indescrivibili)

tu che vaghi con i fantasmi tra i sepolcri (un sibilo)

che hai sete di sangue e trafiggi con gelido terrore

il cuore dei mortali (grida acutissime da cento gole)

Gorgo (ripetuto in risposta), Mormo (ripetuto in

estasi), luna dai mille volti, volgi propizio il tuo

occhio al nostro sacrificio!»

 

E in quel momento sembrò che il cadavere di mio padre riprendesse vita e la sua carne prese fuoco da sola, quasi fosse carbone: ero immobilizzata dal terrore… Ma poi una voce di donna che non avevo mai udito (tuttavia il cuore mi diceva che quella donna mi apparteneva…), disse dolce e malinconica:

 

« Io venni in loco d'ogne luce muto,

che mugghia come fa mar per tempesta,

se da contrari venti è combattuto.

 

La bufera infernal, che mai non resta,

mena li spirti con la sua rapina;

voltando e percotendo li molesta.

 

Quando giungon davanti a la ruina,

quivi le strida, il compianto, il lamento;

bestemmian quivi la virtù divina.

 

Intesi ch'a così fatto tormento

enno dannati i peccator carnali,

che la ragion sommettono al talento.»

 

Il tono delle sue parole mi commosse ma l’inferno aveva spalancato le sue porte e opprimeva troppo il mio cuore per non provare altro che un senso di puro raccapriccio e desiderio di fuggire. Allora, un cadavere raggiunse la banchina e con una mano viscida a fredda cominciò a trasportarmi verso le acque ribollenti. «PADREEEEEEE!» Urlai mentre affogavo tra le fiamme.

 

 

 

Il tocco delicato e fresco, profumato come una rosa, di una mano piccola e morbida mi riportò alla luce: «Milady, perché si agita tanto? Mi fa spaventare se continua ad urlare…» Disse una dolce voce femminile a me sconosciuta. Aprii gli occhi di scatto e mi misi subito a sedere sul grande e comodo letto a baldacchino in cui mi trovavo. La stanchezza impediva al mio cervello di lavorare in maniera accettabile: la mia mente vagava ancora tra  cadaveri, risa diaboliche, tempeste… «Cosa è successo?» Biascicai con la voce impastata dal sonno. «Milady, non ricorda? Siamo alla taverna “Calon Cymru”, dove ci siamo fermati la notte scorsa, essendo la strada troppo buia e dissestata per proseguire. Milord Carlisle non vuole correre rischi soprattutto ora che c’è lei!» Cinguettò la donna di prima.
Era seduta su una seggiola accanto al mio letto e mi fissava preoccupata, tenendo sulle ginocchia un vassoio d’argento con una ricca colazione: dall’aspetto sembrava molto giovane (forse aveva passato da poco i vent’anni) e ogni dettaglio del suo fisico magro ma non esile, suggeriva un’aria materna e allo stesso tempo una grande forza d’animo. I suoi lineamenti erano nobili e raffinati, incorniciati da una bellissima chioma color caramello al pari degli occhi grandi ed espressivi: avrei scommesso che fosse una signora, magari una duchessa, e rimasi di sasso quando mi disse di essere la governante di quel Carlisle Cullen. «Esmeralda, milady, ma lei può chiamarmi Esme.» Aggiunse con un sorriso. Cullen, Cullen…  Chi diavolo era? Non riuscivo a ricordare altro che gli orrori di quello che si era rivelato solo un sogno, quando ad un tratto i raggi del sole rischiararono anche i miei pensieri.
 Ma certo! La sera prima lo spirito di mio padre aveva appena raggiunto i Campi Elisi sulle note del mio violino e all’improvviso uno sconosciuto mi aveva abbracciato, farneticando a proposito di “non lasciarmi sola” o cose del genere ed io come una stupida avevo accettato di seguirlo anche dopo che mi aveva detto di essere un lord inglese! Che traditrice del mio sangue… La disperazione rende gli uomini ciechi e dimentichi della loro grandezza individuale e li costringe a vendersi ad un destino aberrante… Eravamo partiti quella notte stessa sul calesse personale di Cullen, trainato dai miei due purosangue arabi, Fire e Ash: tutti i ricordi erano maledettamente confusi ma rammentavo chiaramente il luccicare dello stemma d’argento sullo sportello, un leone rampante d’argento su sfondo blu (o rosso?) alla luce lunare… Non avevo nemmeno salutato Elizabeth ed Edward! In un moto di follia balzai dal letto urlando: «Io devo tornare a Doolin e SUBITO!» Esme saltò in piedi e mi bloccò le braccia, mentre cercavo di buttare all’aria tutta la stanza: «Milady, non può tornare a Doolin! Siamo quasi arrivati a Leap Castle nel centro dell’Irlanda e…» Mi afflosciai: «CENTRO DI CHE…?»
«Dell’Irlanda.» Ripeté paziente. Caddi di nuovo sul letto, la testa affondata nel cuscino: stavo per svenire. Disegnai idealmente nella mia mente la cartina dell’Irlanda: Dublino ad Est, Doolin sulla stessa retta ma sulle Cliffs of Moher, ad Ovest e a miglia e a miglia di distanza dallo sconosciuto Leap Castle… «Che cosa ho fatto?» Sussurrai atterrita, ponendo la domanda più a me stessa che a lei. «La cosa giusta: milord ha molto a cuore il suo avvenire.»

«Credi?»

«Certo! E sono sicura che suo padre ne sarebbe felice!»

Ne dubitavo fortemente: già vedevo il suo sguardo, di solito tranquillo, turbato da un’ombra di disappunto, gli occhi  spenti nel buio della delusione… Aguzzai lo sguardo verso al parete di mattoni nudi che avevo di fronte, riuscivo a vedere la calce che si sbriciolava e andava a formare piccoli mucchietti di polvere. Che strano… L’immagine di papà era stata così reale, avrei potuto giurare di aver sentito la sua marsina sfiorare la parete… Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni: Shakespeare riaffiorò tra le pieghe della mia memoria dolente: e se avessi potuto rivederlo come Amleto? E se avessi potuto vendicarlo come fece egli stesso assassinando lo zio Claudius? Il calore del pensiero mi lacerò il cuore, una goccia salata attraversò il volto fino alle labbra, seguendo il percorso lasciata da un solco che le precedenti avevano scavato, quasi fosse, la mia pelle, terra bagnata da lavorare come creta… Padre… Quanto mi manchi… «Non puoi saperlo.» Replicai con voce rotta dal magone.
 Esme chinò il capo accennando un inchino: «Io non pretendo di sapere, milady… Io so di non sapere ma una donna sa quando una ragazza che le potrebbe esser figlia si trova in pericolo o nelle mani di un uomo di sangue puro e nobile!» La mia anima era consapevole che Esme aveva ragione ma, allo stesso tempo, la mia razionalità si sentì oltraggiata: creatura pressoché cinica, il mio orgoglio non si piegava ai sentimenti… Scoppiai in una risata sarcastica, il sapore di una lacrima ancora sulla lingua: «Sangue?! SANGUE?! Che ne sai tu di stirpe e di famiglia? Io, il cui onore deve essere insozzato da un inglese, uno che è fratello dell’assassino di mio padre! Ti rendi conto? Io lo disprezzo perché la stessa terra ha generato lui e quel bastardo omicida! Che vada al suo castello senza di me! Io ho un uragano dentro di me che potrebbe radere al suolo l’Inghilterra e tutto il continente!Sbriciolarla , bruciarla , cancellarla! Non mi piegherò alle lusinghe di…» Non riuscii a terminare i miei vaneggiamenti perché in quel momento qualcuno bussò alla porta e la aprì quel tanto da permettere ad Esme di esclamare: «Lord Cullen!» Il suo profilo era ancora seminascosto fra le ombre e il suo volto mi era ancora sconosciuto, nonostante l’avessi già incontrato la sera prima. «Ehm… Buongiorno Esmeralda… Che milady e che voi possiate perdonarmi per questa mia intrusione così contraria al buon costume ma vi chiedo umilmente il permesso di entrare.» La voce, però, me la ricordavo bene: era dolce senza essere falsa o melensa, gentile ed educata con un lieve accento londinese, i toni pacati e tenorili… Non era possibile che, così perfetta, appartenesse ad un corpo ma piuttosto a qualche entità ultraterrena. La governante si alzò e visibilmente imbarazzata disse: «Ma si figuri, milord: la sua è presenza imponibile per quanto lietissima…» Spinse finalmente la porta e, nel momento in cui varcò la soglia, la stanza essere priva d’aria e si restrinse fino a diventare uno sgabuzzino. Rossa di vergogna per essere stata sorpresa a sparlare di lui, rimasi completamente a bocca aperta ad ammiralo. Il suo fisico era magro ed asciutto, era alto almeno due spanne in meno di mio padre ma non per questo perdeva di imponenza e fierezza. Aveva capelli biondo dorato, lustri e pettinati che scivolavano in avanti fino a costituire le lunghe basette: era sbarbato (a differenza di papà) e la pelle del viso era pura e diafana come quella di un bambino. Il naso lungo e dritto, le labbra sottili, le guance perfettamente modellate davano un’idea di assoluto equilibrio delle forme e di un’età al massimo aggirabile intorno ai trent’anni. Ma ciò che mi turbò fino a perdere il senso della realtà, furono i suoi occhi: poco allungati ma non tondi, erano di un eccezionale verde smeraldino che “ti penetra e ti distrugge, arde e cade in una liquida combinazione di passione, orgoglio e determinazione”. Edward… Lui disse così dei miei occhi e devo ammettere che all’epoca (quanto tempo in realtà? Un mese o due? Eppure sembrava una vita…) sarebbe sbocciato un amore se io non gli avessi riso in faccia solo perché mi vergognavo troppo… Amore… Se lo avessi avuto adesso, Edward! E, ora, quello sconosciuto aveva i miei stessi occhi… Razionalità, razionalità… Dov’era quando serviva? Era tutto così assurdo: come… Perché… Cioè… Era una cosa demoniaca! Non potevo lasciarmi portare via gli affetti della mia vita da un uomo con la mia stessa anima, se era vero che “gli occhi sono lo specchio dell’anima” (come dicevano i bambini di quattro anni quando volevano sembrare grandi…), Cullen poteva essere la mia versione maschile… Arrivò finalmente quel briciolo di ragione che avevo invocato poco prima e una vocina rise nella mia testa: “E se tu appartenessi davvero a lui? Perché sei qui altrimenti?” Scacciai quel pensiero con forza e lo sguardo mi cadde sul suo abbigliamento: calzoni di velluto nero infilati negli stivali lunghi fino alle ginocchia, una marsina di seta verde ricamata in mille ghirigori d’oro, lasciata completamente sbottonata su una camicia bianca piena di volant… E io? Una “misera” vestaglia di lino: se non si vedeva tutto, almeno la maggior parte… Mi ritirai le coperte addosso di scatto, non sapevo se fosse più rossa la mia pelle o i miei capelli. E in quel momento l’aria sembrò ritornare nella modesta stanza da letto: Carlisle (porca puttana perché mi veniva spontaneo chiamarlo per nome?!), cioè, Cullen, voltò la testa verso la porta, mormorando una scusa.  «Non si preoccupi Sua Signoria, non sono importanti gli sguardi ma le intenzioni che essi celano: quali sono le sue?» Gli chiesi caustica, evitando di guardarlo negli occhi.  Lui prese la sedia che aveva lasciato Esme qualche minuto prima e vi si accomodò con aria grave e risoluta: «Fare il tuo bene, Crystal: ecco le mie intenzioni.»
Scoppiai a ridere, una risata quasi demoniaca, per quanto fosse triste: «Milord, le darò del tu perché lei lo ha fatto, quindi… Dicevo? Ahahahahahah sì! Ho imparato da anni che gli angeli benefattori non esistono o, al massimo, sono demoni pentiti e l’istinto mi dice che Carlisle Cullen ha molti scheletri nell’armadio o, come preferisco dire, nel cuore.» Sbiancò dalla testa ai piedi per un solo istante- il necessario per accorgersene- e poi riprese il controllo di sé in modo straordinariamente rapido: «Cosa te lo fa pensare?» Mi sistemai seduta, fingendo di leggere le parole sul soffitto a volta: «Oh, l’elenco è lungo: 1) Perché tu, padrone di un castello del centro Irlanda ti trovavi all’estremo Occidente dell’isola, in uno sperduto paesino di mare, chiamato Doolin?; 2) Io non ti conosco: per qual motivo dovrei fidarmi di te?; 3) Cosa rappresento per un Lord di stirpe inglese che trasuda accento londinese ad ogni parola e che dovrebbe odiarmi ?; 4) Cosa si nasconde dietro la tua facciata di santo martire?; 5) Chi mi dice che non sia stato proprio tu ad uccidere mio padre, ieri sera?» Misi enfasi sull’ultima domanda, sentendomi soddisfatta, soddisfatta ferocemente come un leone che gioca con la propria preda prima di sbranarla nel modo più crudele che conosce. Cullen, invece, aveva il volto coperto da una maschera di antica tristezza… Una MASCHERA appunto…

«Non lo ucciso io… T’imploro: fidati di me.»

«No.» Conclusi laconica.

«Se la pensi così, il tuo cuore è di pietra come…»

«COME IL TUO!» Tuonai. «NON MI DAI ALCUNA SPIEGAZIONE, APPARI COME UNO SPIRITO DOPO UN ASSASSINIO (DI CUI FORSE SEI RESPONSABILE), DOPO CHE HO PERSO MIO PADRE E COSA MI DICI? “Fidati di me, Crystal, fidati…” TU PER ME NON SEI NIENTE! NIENTE! E SE HO UN MALEDETTO CUORE DI PIETRA È PERCHÉ LA VITA. FA. SCHIFO!!!» Tremavo, per la prima volta dopo anni, anni che erano trascorsi come veleno instillato nella mia anima goccia dopo goccia, tremavo di terrore. E l’aspetto più crudele e sinistro era che, le cause di quell’inquietudine, non venivano dall’esterno, dagli scherzi sadici del Fato, ma da dentro, affondava le sue radici nella parte più oscura e terrificante del cuore. Ero spaventata dalle parole che si erano appena riversate dalla mia bocca in modo incontrollato, senza che potessi catturarle e imprigionarle nel Tartaro con i Titani… Gli occhi bruciavano ma non avrei pianto, avrei retto fino alla fine con stoicismo. Eppure se… Se la durezza con Carl… Carlisle aveva portato in me un turbamento inumano, potevo davvero continuare a comportarmi così freddamente, addirittura accusandolo di omicidio (l’istinto mi diceva che non poteva essere vero, tuttavia avevo detto quelle calunnie…)? E poi quei tremori incontrollati si calmarono con le carezze di un demonio  che aveva sempre abitato in me: l’Egoismo. Lui mi aveva spinto a prendere in giro Edward per mesi e mesi, gettando legna sul fuoco del suo amore per me, rifiutandolo con cieco cinismo le sue attenzioni. Lui aveva generato la mia apprensione quando il castello venne preso dagli inglesi, mi aveva fatto versare lacrime amare sul volto esanime di Emmett McCarty, il padre che non avevo mai voluto perdere. Tutto perché? Perché ero una bambina viziata la quale voleva evitare la propria sofferenza al costo di sembrare egoista e stupida. E ora? Uno straniero mi aveva raccolto dal gelido terreno  della disperazione come un fiore d’estate abbandonato tra tormente e bufere invernali e io lo respingevo, lo rifiutavo come se fosse un mostro… L’Egoismo, malefico, sussurrò: “Smettila, sciocca! Così perderai un porto sicuro… Dove andrai quando questo Lord si stancherà dei tuoi capricci e dei tuoi vaneggiamenti?Del tuo essere te stessa sempre e comunque? Almeno, anche se non vuoi amarlo, usalo, sfruttalo!» E allora capii che il mio terrore era paura di perdere Carlisle. Fui finalmente riscossa dalle mie fantasie dalla sua voce tetra che diceva: «Anche la morte fa schifo, come dici tu. È così squallida, putrida, sudicia, viscida e maligna che i suoi artigli ti si infilano tra le pieghe più nascoste dell’animo, lo infettano, lo rendono capace di farti desiderare nient’altro che oblio, che altra morte uccida i gli altri uomini, anche chi ami. Godi della sofferenza come un demone, ne desideri in quantità sempre maggiori, quasi come se il buio nutrisse il tuo spirito di ambrosia… La brama di sangue ti consuma se non ti rendi conto che la vita è fede, volontà di combattere e di guarire dal tuo stesso dolore… Vuoi diventare un abominio Crystal? È questo che vuoi? Vivere nell’ombra e all’inferno?»

«Io sono già un abominio ma non voglio peggiorare.» Mormorai, non rendendomi conto fino in fondo del significato delle sue parole. Il volto di Carlisle si distese in un sorriso luminoso come il sole: «E allora accetta il mio aiuto, soprattutto non farti domande. Non sei costretta ad amarmi e nemmeno ad odiarmi: pensaci.» Non ci pensai, l’istinto rispose per me: «D’accordo.»

«Mi rendi così felice che la mia mente vola troppo in alto, non riesco a mantenerla a terra qui con te.»

«Fai pensieri più pesanti.»

«Cosa?»

«Niente, lasciami sola.» Dissi, recuperando la mia solita acidità nei confronti di un inglese, soprattutto. Uscì come un gatto, senza far rumore, i suoi piedi sembravano non toccare terra e io sprofondai con la testa nei cuscini, furiosa con il mondo. Schiumavo di rabbia per la perdita di mio padre, per la gentilezza ingiustificata di Cullen, per la mia stupidità: ero così stanca… E poi, come una fiamma che, prima di spegnersi dà il massimo del proprio calore e della propria bellezza, l’immagine di un violino accanto ad un cadavere riempì i miei sensi, il mio cuore fino a farlo scoppiare di domande… Dov’era il mio strumento? E il corpo di papà giaceva ancora supino sui tappeti della sala, a marcire e nutrire vermi? Oppure qualcuno si era preso la briga di seppellirlo? E soprattutto… Il suo assassino! Era ancora in fuga? Perché aveva agito? Ma chi era? Un inglese o un sicario irlandese pagato da qualche malfattore fedele alla Corona? E con la forza pressante di questi interrogativi decisi di alzarmi e di vestirmi: non sarebbe servito a molto restare a piangere tutte le mie lacrime su un cuscino di piume d’oca, dovevo combattere, accendere il fuoco della speranza e della fede e andare avanti per cercare di salvare le uniche ancore che ancora mi tenevano strettamente legata alla vita , lasciare il passato e pensare al futuro… Nella modesta stanza c’era solo una piccola cassettiera, il letto a baldacchino, un comodino e una sedia: un’ampia finestra faceva filtrare nella camera fasci di luce dorata attraverso una spessa tenda drappeggiata di blu. Era impossibile che dei vestiti da donna, anche se non ricchi e voluminosi, potessero essere stati piegati e stipati all’interno di quei minuscoli cassetti… Sbuffando mi diressi verso la porta e mi affacciai sul minuscolo corridoio claustrofobico, tanto buio da dover essere illuminato dalle torce nonostante fosse giorno. Mi feci coraggio e sussurrai: «Esme…» La donna sembrò spuntare dal nulla e quasi caddi all’indietro per lo spavento , boccheggiando: in realtà era seduta proprio accanto alla porta e io, come una sciocca, non l’avevo notata. «Milady, mi dispiace di averla turbata ma avevo pensato che, forse, restando accanto all’uscio avrei potuto esserle più utile che dall’altra parte della locanda.» Mi rassicurò lei con il suo elegante inchino poco accennato. Era sempre così gentile, così dolce… Positività e bellezza trasudavano dal sorriso che leggermente increspava le sue labbra, dagli sbuffi di capelli color caramello che, ribelli, rifiutavano di essere completamente raccolti sotto la tipica cuffia bianca da governante, dai suoi occhi castano dorato… Il fuoco della speranza mi disse che se dovevo combattere avevo bisogno di alleati ed Esme sarebbe stata una di quelli.

 Le dissi di non preoccuparsi e brevemente esposi il problema dei vestiti: lei si allontanò per qualche minuto e ritornò con un pesante baule intarsiato d’argento e stoffa blu, mi ricordava vagamente lo stemma sulla carrozza… Quando lo aprimmo rimasi a bocca aperta: tulle, seta, gemme e raso costituivano quegli abiti bellissimi, lavorati e ricamati dalle mani degli angeli, tanto erano perfetti e stupefacenti… «Sono bellissimi.» Boccheggiai incredula. Non vedevo qualcosa del genere da quando avevo sei anni! Mio padre da allora non mi aveva fatto mancare niente ma non aveva più potuto permettersi capi così preziosi… «Lord Carlisle ha pensato anche a questo, milady: mi invita a porgerle le sue scuse, inoltre, in quanto erano abiti di sua moglie. Per ora non ha avuto tempo di commissionarne altri, milady, ma li avrete molto presto.» Io ero ancora frastornata: «Va benissimo… Cioè… No, non si preoccupasse, possiamo farci spedire i miei da Doolin… E… Io… Non vorrei che Sua Signoria milady si offendesse per aver preso in prestito questi capolavori…» Cincischiavo cose senza senso, presa dall’imbarazzo e dall’euforia: Carlisle era davvero troppo gentile. Esme fece un sorriso mesto: «Non credo che milady Lilian possa volerli restituiti: vede, lei non è più su questa terra da ormai sedici anni…» Mi crollò il mondo addosso: Carlisle, così buono ed altruista come sembrava, non meritava una sciagura simile. Chissà come aveva amato e rimpianto quella donna, chiunque fosse… Forse la maschera di antica tristezza era per la sua morte, così come le sue elucubrazioni su quanto la fine della vita fosse terribile. Compassione, ne ebbi compassione perché mi ricordava straordinariamente la storia di mia madre, la quale raggiunse il paradiso per darmi alla luce… «Mi dispiace.» Mormorai. «Cosa potrei fare per milord?» Chiesi più a me stessa che ad Esme. Ma lei si illuminò e rispose: «Accettare questi vestiti: li prenda come se fossero un dono e non un prestito.»

«Lo farò di buon grado.»

«La ringrazio, milady. Posso darle un suggerimento?»

«Certo.»

«Indossi l’abito rosso scarlatto in fondo al baule, quello tempestato di topazi e rubini. Le starebbe d’incanto e milord resterebbe senza fiato.»

Mi adoperai subito per tirarlo fuori da lì con delicatezza: era fatto di purissima seta orientale, la scollatura a V era vertiginosa ma non troppo “provocante”, il disegno semplice esaltava, una volta indossato, le mie forme poco pronunciate , mi calzava a pennello come se fosse fatto su misura. Era il cosiddetto “abito da dea”: era praticamente dritto, come una sottoveste e poteva essere indossato solo da chi era molto giovane e non fosse troppo in carne o troppo magra. «È divina, milady!» Esclamò Esme estasiata. «Vado a prendere il mantello da viaggio, così sarà pronta per partire.» E sparì. Mi sentivo forte, una fiamma guizzante che avrebbe potuto incendiare il mondo se fosse stata lasciata libera, un potere sconosciuto sembrava scorrere nel mio sangue , mi sentivo potente… Aprendo un cassetto, trovai uno specchio. Lo misi di fronte a me, volendo verificare se davvero Esme avesse ragione. Ma lo specchio non rifletteva nessun volto, nessun vestito… Non c’era nulla se non l’immagine della parete alle mie spalle. Caddi svenuta in preda allo shock.

http://www.youtube.com/watch?v=LGNlAIEbtGw   

http://www.youtube.com/watch?v=aRZMHXoOK5g 

Per una lettura più "celtica" si consiglia l'ascolto delle due tracce a basso volume                  

  
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