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Autore: _Connie    02/01/2014    4 recensioni
There's a boy who fogs his world and now he's getting lazy
There's no motivation and frustration makes him crazy
He makes a plan to take a stand but always ends up sitting
Someone help him up or he's gonna end up quitting.

«Si sentivano un po’ come del vetro rotto, caduto per terra. Poi, un giorno, Rufy entra nelle loro vite senza preavviso, come un vero e proprio ciclone, e in qualche modo raccoglie da terra quei frammenti, li rimette insieme, li salva dall’oblio in cui erano caduti senza chiedere nulla in cambio. Lui è fatto così.»
[...]In quel momento, Zoro si rese improvvisamente conto di essere appena stato raccolto da terra.
Zoro/Sanji, AU,INCOMPLETA
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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{ Capitolo 11: You Are Insane }
 
Era una serata particolarmente tranquilla, quella. Non si sentiva alcun suono provenire dall’esterno – neppure il rumore del fruscio delle foglie mosse dal vento o l’abbaiare di un qualche cane. Silenzio assoluto.
Nonostante ciò, però, Sanji non era ancora riuscito ad addormentarsi. Era disteso sul suo letto da almeno un’ora, cercando di trovare una posizione comoda che gli conciliasse il sonno, ma niente. Quella notte il caro Morfeo sembrava proprio volersi tenere a debita distanza da lui.
Sbuffò, accese la lampada che aveva sul comodino e afferrò il libro che le stava affianco. Se proprio doveva restare sveglio, tanto valeva fare qualcosa, no?
Aprì il libro e cominciò a leggere. Quello era, tra tutti quelli che aveva letto in vita sua, uno dei pochi romanzi che lo avevano veramente colpito: glielo aveva prestato la dolce Robin-chan la settimana precedente, dicendogli che gli sarebbe sicuramente piaciuto. A quel punto l’aveva preso senza pensarci due volte e, anzi, inizialmente non aveva fatto caso più di tanto al titolo del libro: era stato troppo occupato a ringraziare la sua dea inondandola di cuoricini – scatenando le ire del legittimo fidanzato, ovviamente – per accorgersene. Solo una volta tornato a casa e dopo averlo osservato e sfogliato con più attenzione si era accorto che quello era lo stesso romanzo che aveva prestato anche al marimo: Il giovane Holden.
Inizialmente aveva assunto un atteggiamento un po’ scettico: per piacere a quel decerebrato punkabbestia di sua conoscenza, doveva essere senza ombra di dubbio un romanzo estremamente semplice – cosa che in effetti era, almeno dal punto di vista dello stile di scrittura. L’aveva comunque iniziato a leggere, un po’ perché a consigliarglielo era stata Robin-chan, che di libri ne sapeva decisamente più di lui, un po’ perché voleva scoprire come mai quel romanzo fosse piaciuto così tanto a un tipo come Zoro.
La storia non era molto articolata: c’è questo ragazzo, Holden Caulfield, che vuole scappare dalla vita monotona e “normale” alla quale è destinato come tutti gli altri, e cerca in tutti i modi di farlo, ma invano. Ciò che lo aveva veramente colpito, però, più che la trama di per sé, era il personaggio di Holden: la sua personalità, la sua voglia di evadere da quella realtà fittizia in cui tutti finiscono per essere intrappolati, la frustrazione che provava nel ritrovarsi circondato persone che non lo capiscono, che non comprendono cosa in realtà lui provi, e che anzi tentano di tappargli le ali, con la sola eccezione della sua sorellina, l’unica a cui volesse veramente bene.
E la cosa che più lo aveva colpito in assoluto era che si sentiva esattamente come lui.
 
Toc. Toc. Toc.
Sanji si mosse leggermente e aprì un occhio, puntandolo verso l’orologio. Erano le quattro del mattino. Maledì il proprio cervello che, non avendo nulla da fare, aveva deciso di svegliarlo facendogli credere di sentire rumori provenire da fuori. Tentò di farlo ragionare, dicendogli che era rimasto sveglio fino all’ora precedente per terminare il libro, ma niente, quello continuava a fare quel che voleva.
Toc. Toc. Toc.
Questa volta, però, i rumori gli sembravano decisamente più reali. Pensò di nuovo che fosse tutta opera del suo cervello, dato che continuava a non esserci un filo di vento e non c’era nessuno per strada. A parte qualche pazzo, probabilmente.
Toc. Toc. Toc.
A quel punto Sanji si alzò di scatto, stizzito. Qualche deficiente si stava divertendo a lanciare sul vetro della sua finestra dei sassolini. Si avvicinò ad essa con una vena pulsante sulla tempia, più che deciso a memorizzare per bene la faccia del suddetto deficiente per essere sicuro di spappolargliela a suon di calci.
Scostò le tendine e aprì la finestra, pronto a mandare a fanculo il pazzo deficiente che alle quattro di notte si divertiva a svegliare la gente. Il suo cuore mancò un battito quando vide che il pazzo deficiente che alle quattro di notte si divertiva a svegliare la gente era Zoro.
Probabilmente in quel momento doveva avere un’espressione da pesce lesso dipinta in faccia, tanta era stata la sorpresa, ma il punkarimo continuò a rimanere impassibile, senza muoversi di un millimetro dalla posizione in cui si trovava.
Dopo qualche secondo Sanji riuscì a parlare. «Che cazzo ci fai qui?» sussurrò, per evitare di svegliare mezzo vicinato e, soprattutto, i suoi genitori.
«Sono venuto a prenderti, no?» rispose l’altro, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. «Metti qualche vestito in borsa e scendi.»
Sanji rimase sbigottito. Dove diavolo voleva portarlo? Ma soprattutto, perché voleva portarlo – ovunque avesse intenzione di andare?
Per una frazione di secondo il suo cervello cercò di decidere sul da farsi, ma poi, vedendo la situazione assurda, mandò tutto a quel paese e decise di andare in ferie. Senza neanche pensarci più di tanto, quindi, Sanji fece come gli aveva detto Zoro: prese uno zaino, lo riempì con qualche vestito a caso – ci ficcò dentro anche Holden, e non si chiese nemmeno perché l’avesse fatto – e scese al piano di sotto, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare i suoi e mandare tutto a monte. A scoprire cosa fosse quel “tutto”, poi, ci avrebbe pensato dopo. In quel momento si sentiva un po’ come Holden: non sapeva dove sarebbe andato a finire né cosa gli avrebbe riservato il futuro, ma era meglio inseguire l’ignoto piuttosto che rimanere dov’era, a impantanarsi in una palude sempre più profonda.
Aprì la porta e uscì di casa.
 
Il vento continuava a sferzargli il viso, insistentemente. E certo, per tutta la serata se ne era stato buono buono a rompere le scatole chissà dove e proprio ora che lui e il cuoco si erano incamminati verso il club aveva deciso di far loro compagnia?!
Zoro imprecò sonoramente, stringendosi un po’ di più nel suo chiodo. Maledì se stesso per non aver indossato un cappotto o qualsiasi altra cosa che l’avrebbe tenuto decisamente più al caldo in una notte di pieno autunno e maledì anche quel cazzo di cuoco e la sua stramaledettissima abitudine a fare il misterioso.
Se n’erano stati per tutto il tempo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Probabilmente il torciglio aveva continuato a chiedersi cosa l’avesse spinto a farlo scappare di casa nel bel mezzo della notte per portarlo al Mugiwara Club, ma quella era una domanda a cui nemmeno lo stesso Zoro sapeva rispondere. Certo, l’aveva sicuramente fatto per ottenere spiegazioni riguardo il bizzarro comportamento del cuoco dal diretto interessato, ma in fondo sapeva che c’era anche un’altra ragione, forse anche più importante.
Aveva il presentimento – e il suo istinto non si sbagliava mai – che, quella del cuoco, fosse una specie di silenziosa richiesta di aiuto. Aiuto per cosa, poi, ancora non lo sapeva: riusciva solo a percepire, in quegli sguardi di celata afflizione, in quei sorrisi artificiosi, in quei modi di fare certe volte troppo elaborati e studiati, un’anima costretta a rimanere in gabbia.
«…venuto da me?»
Zoro si ridestò dai propri pensieri. «Cosa?» chiese, con il tono di voce più adatto alla situazione: da vero idiota patentato.
L’altro sbuffò. «Oltre ad essere deficiente, sei pure sordo? Ho detto: perché diavolo sei venuto da me?»
Zoro, di tutta risposta, scrollò le spalle. «Non ne ho idea.»
Sanji si sentì cadere le braccia. «Non ne hai idea?»
«Esattamente» annuì convinto l’altro, come se con quell’unica frase avesse dato la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’Universo e tutto quanto. E magari ci aveva pure azzeccato.
Sanji sospirò affranto. Era completamente inutile cercare di capire cosa ci fosse in quel poco di materia grigia in dotazione al pazzo al suo fianco, quindi decise semplicemente di scuotere la testa e lasciar perdere. Il suo dannato, maledettissimo cuore, però, non voleva saperne di starsene un po’ fermo e per i fatti suoi, fregandosene altamente del parere del suo padrone.
Dopo una ventina di minuti di altri silenzi e di altre gelide folate di vento, arrivarono finalmente di fronte alla porta del Mugiwara Club. Aprirono la porta ed entrarono.
 

[Angolo dell’autrice]
Oh, eccomi qui, finalmente, a pubblicare questo capitolo! Consideratelo un mio regalino di buon anno anche se ormai è già il due gennaio.
Un applauso va a Zoro che, come un perfetto Romeo, è andato sotto la finestra di Sanji a prenderla a sassate per svegliarlo e portarlo con sé verso l’infinito e oltre. Romantico, no?
...Sinceramente sono del parere di Sanji. È solo un pazzo deficiente. Ma non preoccuparti, Zoro, ti vogliamo bene lo stesso. ♥
Comunque, spero che questo capitolo ZoSanjoso vi sia piaciuto! Ma le critiche sono sempre ben accette, eh. :3
Alla prossima!
 
P.S. Quando Sanji ha pensato che Zoro avesse trovato “la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’Universo e tutto quanto”, questa frase non era casuale. Capite l’allusione, please.
  
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