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Autore: Acinorev    02/01/2014    15 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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To tell or not to tell

Capitolo 30


 
Vicki.
 
Quando il giovane cameriere fin troppo elegante e fin troppo silenzioso del “Glance’s” si congedò con un freddo inchino, accanto al tavolo prenotato a nome di Malik, io corrugai la fronte e abbozzai un sorriso stranito e anche sollevato. Subito dopo, spostai lo sguardo su Zayn, che intanto si era alzato in piedi con un largo sorriso sul volto, mostrando la sua felpa di un verdone scuro che spezzava con i soliti pantaloni neri e gli scarponi dello stesso colore.
Mi era impossibile trattenere la felicità nel vederlo, dopo così tanti giorni: mi era mancato come non pensavo sarebbe stato possibile ed era buffo pensare a quanto io avessi bisogno di passare del tempo con lui, di farlo ridere per sentirmi bene e di parlare come solo noi riuscivamo a fare.
«Zayn!» esclamai impaziente, ignorando gli sguardi indispettiti degli altri clienti che, come noi, erano a pranzo in quel rinomato ristorante. Un’auto nera ed eccessivamente lussuosa era passata a prendermi a casa, quando avevo chiesto a Zayn di vederci. La destinazione mi era stata svelata dall’autista, ma per me non era affatto fondamentale, dato che l’importante era rivedere Zayn e scaricare un po’ della tensione che continuava a torturarmi le spalle.
«Hey» mi salutò di rimando, mentre io mi lanciavo letteralmente verso di lui nel tentativo di abbracciarlo, cosa che mi permise di fare allargando le braccia magre e sussurrando tra i miei capelli. Il suo profumo era sempre lo stesso, così come l’effetto rilassante che aveva su di me.
Mi godetti per qualche secondo quel contatto, dandomi della stupida per averlo rifuggito così a lungo, poi mi costrinsi ad allontanarmi, per non dare spettacolo nonostante fossimo in un tavolo più appartato. Con ancora un sorriso sulle labbra, mi tolsi la giacca e mi sistemai il golfino color crema prima di prendere posto sulla graziosa sedia in ferro grigio topo: Zayn, davanti a me, mi guardava con occhi quasi arresi e soddisfatti.
«Come stai?» mi chiese subito, appoggiando i gomiti sulla tovaglia cremisi e passandosi la lingua sulle labbra.
«Mi dispiace – dissi invece io, ignorando deliberatamente la sua domanda. Era di primaria importanza per me scusarmi per il mio comportamento e dargli delle spiegazioni. Poi sarebbe venuto tutto il resto. – Mi dispiace così tanto essere sparita in quel modo, sul serio».
«Tranquilla, n-»
«La verità è che, dopo tutto quel casino con Louis, avevo bisogno di allontanarmi da lui e da tutto quello che lo riguardava. Te compreso. Dovevo prendere aria e in un certo senso tornare alla vita di prima, senza gli One Direction e tutto il resto. Io…»
«Vicki, respira» mi interruppe, abbozzando una risata rassicurante. Rilassai le spalle e sorrisi, mordendomi le labbra e scuotendo leggermente la testa. «Non fa niente, davvero: l’avevo immaginato» aggiunse.
«Sicuro? Sono stata un po’ impulsiva a comportarmi così, e ammetto di essermi sentita in colpa» confessai, distogliendo per un attimo lo sguardo. Il rapporto tra me e Zayn era diverso da tutte le altre mie amicizie, sia per intensità sia per trascorsi: ciò che ci aveva legati era inusuale e allo stesso troppo d’impatto per poter essere accantonato in quel modo per una mia debolezza.
«Ok, probabilmente mi sarebbe piaciuto esserti d’aiuto – confermò, giocherellando con il fondo di un bicchiere, a bassa voce. – Ma ora sei qui e mi hai dato le tue motivazioni».
«Mi perdoni?» chiesi, con un’espressione supplichevole sul volto. Ero felice che Zayn non fosse arrabbiato, anche se effettivamente ne avrebbe avuto il diritto.
Lui alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, arreso. «Perché non ordini qualcosa, invece di fare domande stupide?» rispose, prendendo in mano il menù con indifferenza e facendomi sorridere come una bambina alla quale viene comprato il suo giocattolo preferito.
Non ribattei e diedi un’occhiata a quella infinita lista di piatti prelibati e bibite che per la maggior parte non avevo mai sentito nominare. Ovviamente non tralasciai i prezzi.
«Pago io» esclamò poi Zayn, probabilmente dopo aver notato la mia espressione affranta per le quattro sterline per un semplice caffè. Tossicchiai e mormorai con “grazie” con il labiale.
 
«Fine» conclusi, con un sospiro leggermente impacciato e le mani che continuavano a stringersi nervosamente sulle mie gambe. La sala da pranzo si era leggermente svuotata, dopo circa un’ora, e tutto era molto più silenzioso, se non si teneva conto del mio racconto concitato e irrefrenabile, ricco di esclamazioni, respiri profondi, labbra morse e parole veloci perché più dolorose di altre.
Zayn strabuzzò gli occhi e inclinò il capo di lato, alzando un sopracciglio. «Wow - mormorò, schiarendosi la voce subito dopo e sistemandosi meglio sulla sedia. – Sapevo a grandi linee quello che era successo, ma la tua versione è certamente più dettagliata di quella di Louis. Più… assurda.»
Sì, in effetti era proprio quello l’aggettivo giusto: Zayn aveva insistito molto – anche se non ero certo da convincere – affinché gli raccontassi meglio cosa era successo tra me e Louis, cosa era successo a me da sconvolgermi in quel modo. Come previsto, Louis aveva omesso qualche dettaglio, mosso dal suo solito orgoglio e dalla sua caparbia riservatezza, ma non gliene facevo una colpa. Mi sentivo leggermente più leggera, dopo aver riversato fuori di me quelle miriadi di parole che mi vorticavano nel cervello, e forse era anche merito dell’ottimo ascoltatore, che, con la sua solita espressione composta e i suoi silenzi innati e certe volte un po’ studiati, mi aveva permesso di parlare liberamente.
«Non dirlo a me» commentai, abbassando lo sguardo e la voce.
«Ed ora ti sta lasciando lo spazio che hai chiesto?» domandò poco dopo, quasi in modo esitante, come se temesse una risposta negativa. Evidentemente anche lui conosceva l’impulsività del suo amico.
Alzai subito gli occhi su di lui, mentre il mio cuore si riscuoteva a quelle parole: erano passati tre giorni e di Louis non avevo ricevuto alcuna notizia, cosa della quale non sapevo se essere stupita o sollevata. Io avevo bisogno di vederlo, era ormai una necessità ben connaturata e solida dentro di me, indiscutibile quanto i sentimenti che mi legavano a lui e quanto le occhiaie che avevo dovuto coprire con il correttore per venire a pranzo con Zayn: eppure, allo stesso tempo, sapevo che non dovevo essere impulsiva, che non dovevo lasciarmi guidare dalle emozioni come sempre, perché i problemi tra di noi non potevano passare inosservati. Proprio per questo, avevo impedito a me stessa di avviare le innumerevoli chiamate che ero stata tentata di fare, ostinandomi a rifugiarmi nei pensieri e nella ricerca di una soluzione. L’unica mia speranza era che anche Louis sentisse la mia mancanza.
«Hmhm» annuii, senza aggiungere altro.
Zayn, astuto e un po’ manipolatore, non rispose, limitandosi a guardarmi insistentemente. Questo, ovviamente, scatenò la reazione sperata in me, che mi costrinse a dire tutto ciò che il mio cuore cercava di nascondere per non farsi dare del pazzo per l’ennesima volta.
«È che… - sbottai improvvisamente, agitandomi sulla sedia e mordendomi un labbro come per impedirmi di continuare. Notai l’espressione soddisfatta di Zayn, ma non glielo feci presente. – Sembrerei tanto stupida se ti dicessi che non voglio che continui a darmi spazio? Voglio dire, sì, deve darmene, ovviamente, ma non voglio, capisci? Dio mio, certo che sembro una stupida» borbottai, in un fiume di parole che riflettevano tutta la mia frustrazione per quella sensazione logorante. Appoggiai i gomiti sul tavolo e incastrai entrambe le mani tra i miei capelli, ai lati del mio viso.
Con un sospiro arreso, aspettai una sua risposta.
«Vicki-»
«È perché mi manca, ecco perché – lo interruppi, come se fossi in un monologo. – E mi sento tanto… patetica, da vergognarmene. Non riesco ad essere indipendente o almeno non così dipendente da Louis, quando invece ho l’impressione che lui sia più bravo di me in questo. In fondo è proprio questo il problema, no? Lui riesce a dare la priorità ad altro rispetto a me, come al suo stupido orgoglio, invece io sono bloccata in questa mia ingenuità da ragazzina alle prime armi che mi impedisce di avere uno straccio di spirito di sopravvivenza o di dignità, quando si tratta di Louis.»
L’avevo fatto di nuovo: avevo di nuovo blaterato, da sola, senza che Zayn dicesse effettivamente qualcosa. Il fatto era che mi sentivo sull’orlo di scoppiare: Stephanie era partita ed io non sapevo più come gestire tutte quelle sensazioni, tutto quell’amore che il solo pensiero di Louis, delle sue mani o della sua voce mi faceva esplodere dentro.
«Patetica, o semplicemente innamorata» precisò lui, senza sprecarsi in troppe parole, come spesso succedeva.
«Non c’è un modo per essere innamorata senza per forza ridursi in questo stato?» ribattei, anche se senza speranze. Possibile che non ci fossero altre possibilità? Che amare Louis dovesse essere inevitabilmente qualcosa di così totalizzante e distruttivo? Eravamo destinati a commettere sempre gli stessi errori? E se le cose stavano così, avremmo comunque imparato a convivere con tutti i nostri sbagli o saremmo arrivati ad un punto di rottura? Il solo pensiero di quella eventualità mi raggelava il sangue nelle vene.
«Credo sia inevitabile – sospirò lui, appoggiando gli avambracci sul tavolo e sporgendosi leggermente in avanti. – Però pensaci: non credi che anche Louis si senta terribilmente patetico? Lui, con tutto quell’orgoglio, messo in trappola da una ragazza che ha il potere di destabilizzarlo.»
Mi fece sorridere l’idea di tenere in scacco una persona come Louis, nonostante fosse molto più vero il contrario. «Se si sentisse un po’ meno patetico, allora, forse riuscirebbe a non fare certe stupidaggini» affermai a bassa voce. Era un cane che si mordeva la coda: più il suo orgoglio veniva intaccato da…
«Dovrebbe essere meno innamorato, per riuscirci» esclamò Zayn, interrompendo i miei pensieri e facendomi trattenere il respiro. Louis innamorato? Non me l’aveva detto, nemmeno quando aveva ammesso di avermi sentito confessarglielo, né c’era un modo per capire se provasse davvero amore o qualcosa di leggermente meno intenso. Mi amava?
«Credi che… Credi che lo sia?» chiesi, quasi balbettando. Desideravo con tutta me stessa che fosse così: la sola idea mi mandava in pappa il cervello e forse anche tutti gli altri organi del mio corpo. Eppure con Louis non si poteva mai essere sicuri, perché troppo spesso le sue azioni avevano contraddetto i suoi reali pensieri, quindi non potevo che aggrapparmi a delle ipotesi. E se davvero mi amava, com’era possibile che fosse in grado di ferirmi di proposito, per non essere l’unico a soffrire e per fare ammenda al suo orgoglio?
«Tu no?» domandò Zayn di rimando, prendendo un sorso d’acqua ma senza staccare lo sguardo dal mio.
Sì. No. O meglio, forse?
Sospirai a fondo e mi passai una mano tra i capelli, evitando di rispondere a quella domanda. A differenza delle aspettative, parlare di Louis mi era facile fino ad un certo punto: dopo un po’, era inevitabile che i miei pensieri iniziassero a rendermi la vita impossibile, che i ricordi e tutti gli sbagli commessi tornassero a soffocarmi, ed io sapevo di dovermi fermare per riprendere aria.
«Ora basta parlare di me – dissi infatti, scuotendo la testa come a voler fuggire dai miei stessi pensieri. – Tu come stai?» chiesi, sinceramente interessata.
Zayn sorrise abbassando lo sguardo, e per qualche secondo si limitò a percorrere con le dita le cuciture della tovaglia. Sembrava stranamente sereno, in quel momento, come se fosse in procinto di darmi una buona notizia: non volevo illudermi, comunque, dati i continui alti e bassi che ormai caratterizzavano la sua vita. C’era la possibilità che la sua fosse solo ironia o assenza di speranza.
Quando cominciò a parlare, non alzò gli occhi su di me ed io ebbi l’occasione di osservare attentamente le sue espressioni, nei minimi particolari. «Un mese dopo la morte di Kathleen, sai cosa mi ha detto Harry? – mi domandò, senza però aspettarsi una vera risposta. Il fatto che pronunciare quel nome non avesse provocato una smorfia di dolore sul suo volto mi rassicurò. – Mi ha paragonato ad una di quelle persone che tentano di superare i record di apnea, dicendo che, come loro devono imparare a stare sott’acqua dove non c’è l’ossigeno, così io dovevo imparare a vivere senza di lei.»
Rispettai la sua pausa, approfittandone per ragionare su quel consiglio: Harry in realtà avrebbe potuto scegliere un paragone migliore dato che, per quanto quelle persone possano migliorare, è semplicemente impossibile vivere senza ossigeno.
Zayn si inumidì le labbra e tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia, con gli occhi che finalmente incontravano i miei. «All’inizio ho pensato che fosse una stronzata, uno dei soliti discorsi senza senso di Harry, perché nessuno può vivere senza ossigeno, quindi era un po’ demoralizzante. – Un sorriso accennato gli illuminò il viso, come se si sentisse soddisfatto. Subito dopo tornò serio. – Ci credi che solo qualche giorno fa ho capito cosa volesse dire?»
Alzai le sopracciglia per lo stupore e la curiosità, aspettando che mi desse una spiegazione esaustiva, che non tardò ad arrivare. «È vero, non posso vivere senza Kathleen, nel senso che non posso negare che sia ancora con me, in un modo o nell’altro. Quindi anche io devo andare in apnea, qui senza di lei: devo riuscire a vivere mentre mi manca l’aria, mentre mi manca lei. E sarà sempre più facile, ma non sarà mai qualcosa di definitivo. Arriverà sempre un momento in cui l’apnea finirà ed io dovrò di nuovo avere un po’ di Kathleen per poter andare avanti. – Smise di parlare ed io lo osservai con il cuore in mano e gli occhi lucidi. – Harry voleva semplicemente dire che non devo cercare di cancellarla dalla mia vita, perché sarebbe impossibile, ma che devo solo imparare a starle lontano, accettando gli alti e bassi che sono inevitabili» concluse, stringendosi nelle spalle, come se avesse appena spiegato le condizioni metereologiche, come se quelle parole non fossero strazianti e allo stesso tempo ricche di un amore che non pensavo potesse esistere.
Mi sopraffaceva il pensiero di quanto amore Zayn potesse contenere e sopportare, di come fosse riuscito a fare di Kathleen la sua vita – letteralmente – nonostante la malattia e l’assenza di un futuro, di come fosse ancora in piedi, a combattere.
«Fino ad ora ho sbagliato tutto – aggiunse, senza traccia di rancore verso se stesso, quanto di consapevolezza e spirito di iniziativa. – Ma sono pronto a ricominciare».
«E ce la farai - precisai. – Ne sono sicura.»
Ero sinceramente felice dei progressi, se quello era il termine giusto, compiuti da Zayn: se ripensavo al giorno in cui l’avevo conosciuto, mi veniva la pelle d’oca nel contare le differenze che ormai non gli appartenevano più, nell’immergermi di nuovo in quel dolore tangibile e asfissiante anche per chi gli stava intorno. Non credevo di avere grandi meriti, ma ero comunque soddisfatta di aver avuto un ruolo in tutto ciò, grata di aver potuto conoscere una persona come lui e – indirettamente – una persona come Kathleen.
«Non sai come ci si senta a sentirtelo dire» mormorò, con lo sguardo riconoscente e le labbra inclinate all’insù.
E tu non sai come ci si senta a vederti finalmente sorridere.
 
Quando scesi dalla macchina – Zayn aveva insistito affinché l’autista mi riaccompagnasse a casa, dato che lui doveva vedersi con Abbie e non poteva farlo da sé – non feci nemmeno un altro passo. Avevo lo sguardo fisso davanti a me, sull’ultima persona che pensavo avrei incontrato quel giorno.
Appoggiato al cancelletto di casa, Louis teneva le braccia incrociate e il viso rivolto verso di me, con le labbra socchiuse e i capelli più in ordine del solito. La maglietta nera dei Ramones coperta dal solito giubbotto di jeans e i pantaloni scuri che stranamente gli coprivano anche le caviglie tatuate.
Da quanto tempo mi stava aspettando?
Possibile che solo a vederlo sentissi il corpo paralizzarsi e poi fremere silenziosamente? Possibile che mi venisse da piangere solo per quant’era bello e per quanto l’amavo?
Con il respiro bloccato in gola e mille domande nella testa, mi mossi impercettibilmente, solo per poi arrestarmi di nuovo: dov’era lo spazio che gli avevo chiesto? Non ero ancora pronta per confrontarmi con lui, per quanto lo volessi e per quanto ne avessi bisogno. Ero ancora troppo debole per poter sopportare quella dannata sfumatura dei suoi occhi e le mie mani tremanti.
Louis, di rimando, fece un passo verso di me, che quasi mi fece indietreggiare. «Ciao» disse soltanto, a bassa voce e con le iridi che continuavano a passare in rassegna ogni particolare del mio viso.
Deglutii la voglia di sfiorargli il volto e le spalle, chiudendo le mani a pugno. «Ciao» risposi, schiarendomi la voce. Avevo detto a Zayn che avrei voluto sentirmi meno patetica, eppure non facevo nulla per raggiungere quell’obiettivo: dovevo smetterla e tirare fuori un po’ di determinazione, camminare verso il cancelletto di casa ed entrare, senza mostrarmi esitante. Così ci provai.
Sotto lo sguardo attento di Louis, che il mio cuore non riusciva di certo ad ignorare, presi il mazzo di chiavi dalla borsa e cercai di far scattare la serratura. L’avere Louis a nemmeno mezzo metro da me, però, non mi era affatto d’aiuto, perché le mani continuavano a tremare – per l’impazienza di toccare quella pelle che tanto amavano o per la voglia di scappare, o per entrambe – e quella dannata chiave sembrava odiare il buco in cui doveva entrare. Il silenzio che ci circondava, le infinite domande che continuavo a pormi e le mentali imprecazioni che continuavo a ripetere, mi rendevano difficile mantenere la calma.
Sobbalzai quando Louis posò le mani sui miei fianchi e il suo respiro caldo si infranse sul mio collo. Chiusi gli occhi e mi concentrai sul mio petto che si muoveva sin troppo velocemente, pur di non soffermarmi su quanto quel contatto mi stesse torturando, su quanto avessi bisogno di baciargli le labbra ed inspirare il suo profumo aspro. Incapace di muovermi, lasciai che le sue mani mi accarezzassero lentamente, fino ad arrivare alle mie, ancora sospese a mezz’aria di fronte al cancelletto.
Mi fu impossibile trattenere il brivido che mi percorse per intero nel momento in cui le sue dita ruvide sfiorarono la mia pelle, delicatamente, come se fosse una punizione. «Vicki» sussurrò vicino al mio orecchio, e quello fu davvero troppo.
Pur di fuggire e di mettermi in salvo, mi mossi velocemente e riuscii ad infilare la chiave nella serratura contro ogni previsione, mentre Louis – stupito – allentava la presa su di me. Camminai velocemente verso la porta di casa e feci la stessa cosa, con i capelli che a causa del debole vento si scontravano delicatamente contro le mie guance. Sapevo per certo che Louis mi avrebbe seguita, percepivo i suoi passi, e quando lo sentii chiudere la porta dietro di noi ne ebbi la conferma. Avrei dovuto cacciarlo via, ma come si faceva? Forse non ero pronta ad affrontarlo, ma a quanto pare ero ancora meno pronta a stargli lontana.
Continuai a tenermi impegnata, solo per non incontrare i suoi occhi ancora, sempre su di me. Mi tolsi la giacca e la lasciai sul divano, posai la borsa sull’attaccapanni e appoggiai le chiavi sul tavolino al centro del salotto. Mi aggiustai il maglioncino che tendeva sempre a salire un po’ e mi passai una mano tra i capelli, ignorai il mio nome di nuovo sussurrato e serrai la mascella, poi mi diressi verso la cucina senza un vero e proprio movente.
«Victoria» mi chiamò di nuovo, con un tono calmo ma autoritario, quello che usava quando voleva ottenere qualcosa e allo stesso tempo cercava di trattenersi. A quel punto chiusi gli occhi e mi fermai, inspirando a fondo come a racimolare anche un po’ di coraggio, e solo dopo qualche istante mi voltai.
Mi maledissi per averlo fatto, quando solo guardandolo negli occhi sentii di aver perso quella battaglia già in partenza. Louis strinse i pugni e si avvicinò a me, fino ad arrivarmi di fronte, fino a respirarmi sul viso, ma senza toccarmi. Avrei voluto scappare, invece mi limitai ad accogliere le sue labbra sulle mie, con tanta foga da sembrare frustrazione: Louis portò le mani dietro la mia schiena e mi attirò contro il suo petto senza che io potessi o volessi oppormi, mentre continuava a baciarmi senza nemmeno prendere fiato, mentre mi impediva di pensare lucidamente con il suo profumo e con quel cazzo di amore che provavo per lui.
Gemetti quando lo sentii stringere un po’ troppo forte i miei capelli in un suo pugno e il mio corpo contro il suo. «Non ce la facevo più – mormorò sulle mie labbra, mordendole subito dopo. – Come faccio a lasciarti spazio? Come…» Non finì la frase, perché, mentre io sentivo le gambe reggermi a malapena sotto i suoi attacchi, lui preferì parlare con i baci e con le carezze che tanto mi mancavano.
Ed io avevo così voglia di dirgli che nemmeno per me era facile, da non riuscire a pensare ad altro, eppure non potevo arrendermi così: ormai era lì e tanto valeva cogliere la palla al balzo. Avevamo bisogno di parlare, di chiarire tutto ciò che nella nostra storia rimaneva un punto interrogativo e di affrontare le nostre difficoltà: proprio per questo motivo usai tutta la forza di volontà che possedevo per spingere via Louis da me, con riluttanza e lentamente, ma lontano.
Notai la sfumatura confusa e passionale dei suoi occhi e cercai di ignorarla. «Aspetta» sussurrai.
«Cosa? – domandò lui, avvicinandosi ancora. – Cosa devo aspettare?»
Con le mani sul suo petto, mantenni le dovute – dolorose - distanze. «Non è così che risolveremo le cose – spiegai a bassa voce, sforzandomi di non rimanere incantata dalla linea della sua mascella. – Dobbiamo parlare».
«Per favore» insistette, sporgendosi per baciarmi di nuovo le labbra. Io indietreggiai ed ignorai la voglia di assecondarlo.
«Sono venuto qui e ho bisogno di… Di te, invece mi stai respingendo di nuovo. Quanto tempo ancora ti serve?» sbottò, dicendo addio ai tentativi di non farsi guidare dalle emozioni, come al solito.
«Non ti sto respingendo» dissi soltanto, senza nemmeno offendermi per quel comportamento istintivo che stavo imparando sempre di più a conoscere. Respingere Louis Tomlinson non rientrava assolutamente nelle mie capacità, purtroppo.
«Ah no? Vuoi parlare, parlare e parlare, ma possiamo farlo dopo» continuò, allungando una mano verso il mio collo. La voce che si addolciva e gli occhi che la tradivano: avevo la netta sensazione che Louis non volesse solo stare con me, ma anche evitare di calcare uno alla volta gli errori che aveva fatto e quelli che avevo commesso io. Scappare era più semplice, soprattutto per uno come lui: avevo l’impressione che fosse sull’orlo di sfogarsi, ma che preferisse trattenere tutto dentro di sé per evitare un altro litigio. Anche io avrei preferito poter risolvere le cose in un altro modo, ma purtroppo non sarebbe stato giusto né salutare, per noi.
«O possiamo farlo adesso» lo contraddissi, liberandomi dalla sua presa e superandolo, dirigendomi verso il divano. Avevo di nuovo dello spazio per respirare.
«E va bene! – esclamò, probabilmente alzando le braccia al cielo. Era nervoso. – Parliamo! Parliamo del fatto che dopo tutti i miei sforzi tu non ti fidi di me e ti aspetti che a me vada bene. Ma soprattutto parliamo del fatto che mi abbia rinfacciato senza un minimo di esitazione il mio rovinare sempre tutto, nonostante tutte le tue belle parole riguardo quanto sia giusto avere paura di sbagliare: o erano tutte stronzate?»
Spalancai gli occhi, osservandolo stringere i pugni mentre camminava lentamente verso di me: avevo indovinato e lui alla fine era esploso. Ricordavo quella frase, seguita allo schiaffo che per me era stato più esauriente di mille parole, e dentro di me sapevo che gli aveva fatto male. «Senza esitazione? Mi avevi appena detto di avermi tradito, perché avrei dovuto esitare?» ribattei, con l’agitazione a stringermi lo stomaco in una morsa.
«Perché mi ami! E-»
«Non osare nasconderti dietro i miei sentimenti! - lo interruppi, improvvisamente a disagio e indifesa. Mi sentivo terribilmente esposta, ora che lui sapeva cosa provassi nei suoi confronti, dato che io non potevo dire altrimenti. Avrei voluto chiederglielo, “tu mi ami”? – Mi avevi detto di avermi tradito!» ripetei, come per riportare il discorso sulla strada giusta.
«Invece tu hai creduto ad Eleanor senza problemi, mi hai fatto sentire un incapace, come se la mia parola non valesse niente per te!»
«E questo ti sembra un buon motivo per farmi del male di proposito, sapendo perfettamente quanto mi avresti ferito?»
«Quindi tu sei libera di ferirmi, ma io non posso fare lo stesso? Parli come se fossi completamente innocente, ma non è affatto così!»
«Non lo sei nemmeno tu! E almeno io non lo faccio con tutte le intenzioni, non ti mento solo per sentirmi meglio e sono capace di ammettere i miei sbagli!»
Louis non rispose, continuando a respirare velocemente, proprio come me. Eravamo tornati ad urlarci contro sempre le stesse cose, come se non fossimo capaci di fare altro, ma non era quello che volevo. Il nostro problema era il non riuscire ad assumerci a pieno le nostre responsabilità, sempre pronti a trovare delle scusanti e delle motivazioni dietro le quali nasconderci.
Sospirai e aspettai qualche istante, prima di riprendere. «Abbiamo sbagliato entrambi – dissi a bassa voce, guardando il pavimento ai miei piedi, anziché lui. – E continuiamo a farlo, a commettere sempre gli stessi errori. Sono stanca» ammisi flebilmente.
Solo a quel punto alzai lo sguardo su Louis: sapevo quanto le sue parole fossero da considerare solo fino ad un certo punto, perché mi aveva più volte dimostrato quanto potessero essere fuorvianti e impulsive, ma facevano comunque male ed io non volevo essere costretta a dover cercare di interpretarle al meglio, nella speranza di esserci riuscita. Louis mi guardava con la fronte corrugata e le iridi confuse, mentre probabilmente si chiedeva cosa significasse quell’ultima mia frase. Io feci un passo avanti e poi un altro ancora, così lentamente da farmi domandare se mi stessi davvero muovendo o no.
Quando gli fui abbastanza vicina, ero pronta – o quasi – a dirgli tutto, ogni più piccolo pensiero. Probabilmente solo in quel modo avrei potuto rendermi tanto indifesa e inoffensiva da permettergli di sentirsi al sicuro: inoltre, non avevo più intenzione di incolparlo, perché mi sarei limitata a parlare dei miei errori, nella speranza che questo potesse renderlo meno esposto e impaurito, meno propenso a scappare. Rinfacciargli i suoi sbagli non era l’approccio giusto e, se volevo ottenere dei cambiamenti nella nostra storia, dovevo essere pronta ad essere la prima ad attuarne. Non solo Louis doveva cambiare. «Hai ragione – ammisi, impregnando la mia voce di una determinazione alla quale mi aggrappavo disperatamente. – Quando Eleanor è venuta nel mio ufficio io sono stata impulsiva e le ho creduto, perché aveva colpito la mia paura più grande. Volevo che fosse il contrario, volevo riuscire a convincermi che non l’avresti mai fatto e che lei stava solo soffrendo, ma non ci riuscivo e, credimi, mi sentivo terribilmente in colpa. Così, quando sono venuta a casa tua, ho continuato ad insistere perché ero terrorizzata e perché questo mi aveva resa cieca, impedendomi di vedere quanto tu stessi cercando di farmi capire che davvero non mi avresti mai tradita. – Feci un pausa e osservai attentamente Louis, che per tutto il tempo era rimasto immobile ed in silenzio. Non mi interessava quante volte avrei dovuto ripetere le stesse cose, perché ero pronta a tutto pur di chiarire la situazione tra di noi. – E mi dispiace di averti detto che rovini sempre tutto, eppure non credo di aver sbagliato. Sapevo che ti avrebbe fatto male, ma non ho scelto di urlartelo contro per questo motivo: lo pensavo sul serio e non sono riuscita a tenerlo per me. Quello che voglio dire è che, se tu mi avessi tradita, io te l’avrei ripetuto altre mille volte, perché in quel caso avresti davvero rovinato tutto. In ogni caso, ti chiedo scusa se quelle parole ti hanno ferito.»
Louis stava respirando nervosamente, forse perché avrebbe voluto interrompere quel mio monologo almeno dieci volte, ma gli ero grata per non averlo fatto. Avrei avuto altre mille cose da dirgli, ma tutte prevedevano puntare il dito contro di lui e non era quello che volevo: doveva essere Louis a riconoscere i propri errori come io avevo appena fatto, ad ammetterli senza spostare la colpa su di me. Eravamo entrambi molto bravi a scaricare la responsabilità l’uno sull’altra, ma era evidente che non funzionava.
Lo vidi aprire la bocca e poi richiuderla, mentre il mio cuore sperava con tutto se stesso di sentire le parole che più desiderava, eppure il tempo passava e il silenzio si faceva sempre più assordante.
«Non hai niente da dirmi?» sussurrai, preoccupata. Pregavo affinché si sbloccasse, affinché mettesse da parte quel quintale di orgoglio e timori.
Louis serrò la mascella ed espirò bruscamente, continuando a tenere gli occhi nei miei. «Come avrei potuto tradirti? – cominciò lentamente, mentre io trattenevo un sorriso dovuto sia al fatto che avesse parlato al posto di scappare o urlare, sia per il significato di quella domanda. – È questo quello che non riesco a farti capire: io non voglio tradirti, non posso farlo. Sto provando in tutti i modi a dimostrarti qualcosa, a… Quando ho visto quanto poco ti fidassi di me, ho pensato che sarebbe stato così per sempre, che tutti i miei sforzi non erano serviti a nulla né sarebbe mai serviti a qualcosa: per questo motivo ti ho detto di esser stato con Eleanor, non solo per ferirti. Solo quando ho pronunciato quelle parole e ho visto la tua reazione ho capito… Ho capito di aver fatto una cazzata, di averti di nuovo fatto del male, ma non lo faccio di proposito: non è qualcosa che progetto, immagino sia più una difesa. Mi sentivo uno schifo mentre continuavi ad insinuare che ti avessi tradito, e quello mi è sembrato l’unico modo per proteggermi.»
La sua fragilità era lì di fronte a me, timida ed intimorita come sempre, ma c’era: dovevo solo accoglierla e farla sentire al sicuro, in modo che Louis si potesse sentire libero di lasciarla trasparire quando più ne aveva bisogno. Nel profondo sapevo che l’aver confessato quel finto tradimento non era stato un atto premeditato, quanto più istintivo e abitudinario, che si sarebbe scatenato anche se al mio posto ci fosse stato qualcun altro: eppure, era proprio questo il punto. Non potevamo continuare così.
Louis mosse una mano per arrivare alla mia, per accarezzarla con le dita e poi stringerla, fino a portarsela al viso: con il battito cardiaco in gola, lo assecondai e gli accarezzai una guancia, guardandolo mentre chiudeva gli occhi e tratteneva il respiro. La sua pelle sembrava bruciarmi, ma era anche ciò di più piacevole potessi desiderare in quel momento.
Avevo paura di parlare, paura di interrompere quel suo sfogo, quindi continuai a stare in silenzio, in ascolto. Si rivelò una buona scelta, quando Louis stesso riprese a parlare. «Io voglio solo farti stare bene – sussurrò, con una tale intensità da destabilizzarmi. La scarsa distanza tra di noi non aiutava ed io non potevo fare altro che rimanere in sua balìa e accarezzargli lo zigomo con il pollice. – Ma immagino di non essere bravo in questo.»
«Non è vero – lo corressi, avvicinandomi impercettibilmente a lui. – Non è vero» ripetei. Sarebbe stato eccessivo dirgli che sì, il più delle volte era in grado di trascinarmi con lui nel bel mezzo dell’inferno, ma che subito dopo era capace di farmi sentire la persona più felice e completa del mondo?
«Non sono bravo nemmeno ad ammettere i miei errori – continuò, inclinando leggermente il capo di lato per andare incontro alla mia mano, ancora sulla sua guancia sinistra. – Dimmi di cosa hai bisogno, Vicki. Dimmi dove sbaglio ed io cercherò di venirti incontro: non voglio più vederti piangere per me, è qualcosa… È insopportabile.»
Era disarmante la limpidezza dei suoi occhi e delle sue intenzioni in quel momento, e lo era ancora di più la sua capacità di cambiare completamente atteggiamento da un momento all’altro, pur rimanendo coerente con se stesso, come se le sue due facciate non potessero stare separate. Ora che mi aveva permesso di entrare nella sua debolezza, potevo spingermi oltre.
Mi inumidii le labbra e appoggiai l’altra mano sul suo petto, cercando il battito del suo cuore. «Vorrei... Vorrei che tu la smettessi di dare più importanza al tuo orgoglio, che pensassi a me prima di parlare a sproposito. A noi» confessai, notando la linea delle sue labbra indurirsi ma il suo braccio circondarmi la vita. «Vorrei che entrambi la smettessimo di urlarci contro e di incolparci a vicenda, quando succede qualcosa, ma che fossimo in grado di parlare di quello che non va» aggiunsi, con la voce sempre più bassa, mentre Louis mi spingeva sempre più vicino a sé. «Ed io ti prometto di riporre più fiducia in te, perché te la meriti» ammisi. Effettivamente tutti i suoi sforzi e tutti i suoi sacrifici, che agli occhi di alcune persone potevano sembrare banali ma che per lui erano vere e proprie imprese, non dovevano essere ignorati, ma incoraggiati ed elogiati: aveva fatto tutto per me, per quanti errori ci fossero stati sulla sua strada, e si meritava la mia riconoscenza, la mia fiducia. Non dovevo permettere alle mie paure più profonde di condizionarmi.
Non protestai, quando Louis mi sfiorò il naso con il suo, respirando sul mio volto, né quando le sue labbra si poggiarono sulle mie lentamente e quasi con esitazione. Non approfondì il bacio, nonostante io fremessi perché succedesse, e quella fu per me una promessa: i suoi occhi cristallini e finalmente così facili da interpretare, sembravano volermi confermare che ok, lui non era bravo con le parole e probabilmente non avrebbe espresso in quel modo le proprie responsabilità, ma che non era necessario, perché aveva capito e avrebbe fatto di tutto pur di rendermi felice. Non potevo pretendere che Louis cambiasse da un momento all’altro, che fosse uguale a me, anche perché non sarebbe più stata la persona che amavo: dovevo accettare i suoi limiti e imparare a fidarmi di ogni suoi gesto ed espressione, più che delle parole.
Con ancora i nostri visi a pochi millimetri di distanza, cercai di resistere oltre, almeno un minimo. «E tu? – chiesi a bassa voce, con la fronte appoggiata alla sua. – Tu cosa vorresti?» Mi sentivo sull’orlo di scoppiare per tutte le emozioni che sentivo, e sapevo che avessimo ancora moltissimo su cui lavorare, ma eravamo ad un buon punto di partenza.
Louis portò una mano sul mio collo e per qualche istante rimase in silenzio, studiandomi attentamente. «Vorrei solo sapere se mi ami veramente: questo mi basterà» sussurrò, provando in me un impercettibile sussulto ed un certo disagio. Ero pronta a dirglielo? E lui avrebbe ricambiato? Se non l’avesse fatto?
Prima di corrucciarmi con tutti quei dubbi, seguii il mio spericolato istinto. «Lo giuro» affermai.
Louis mi strinse tanto da farmi mancare il fiato e chiuse gli occhi mentre un sorriso gli illuminava il volto, come forse poche volte prima d’ora. Sorrisi anche io di rimando e lasciai che mi baciasse di nuovo le labbra, con una spensieratezza che mi impediva di smettere di sorridere.
«Vicki – mormorò sul mio collo. – Puoi dirmelo?» domandò, tornando a guardarmi negli occhi e facendomi vacillare.
Mi morsi l’interno della guancia e mi convinsi che tanto valeva accontentarlo, dato che quei sentimenti stavano scoppiando dentro di me e non sarei riuscita a trattenerli ancora a lungo. Al diavolo le conseguenze, avevo bisogno di dirgli la verità e forse lui aveva un bisogno analogo di sentirla. «Ti amo, Louis» dissi con la voce e il cuore tremolanti, con una mano tra i suoi capelli.
Lui continuò a guardarmi senza muovere un muscolo e senza aprire bocca, limitandosi a conservare quel sorriso bello come il sole sul suo volto e a tenermi stretta a lui come se non potesse lasciarmi andare. Io, invece, attendevo speranzosa e preoccupata qualsiasi sua reazione.
Lo vidi provare a dire qualcosa, ma poi il suo tentativo non portò a niente. Sbattei le palpebre e deglutii, sentendo l’imbarazzo cominciare ad aumentare, man mano che i secondi di silenzio si accumulavano: dopo quell’ultima mezz’ora i dubbi sui suoi sentimenti erano diminuiti, ma ce n’erano ancora. Non che pensassi che non tenesse a me, ma non potevo essere sicura che il suo fosse propriamente amore: probabilmente, però, gli era solo difficile confessarlo.
«Io…» cominciò all’improvviso, facendomi trattenere il fiato per l’emozione.
Niente.
«Io… - ripeté. – Ora devo andare» si congedò, baciandomi velocemente le labbra e allentando la presa su di me per allontanarsi e uscire il più in fretta possibile da casa.
Cos’era appena successo?
Rimasi immobile nel salotto, con il cuore a martellarmi nel petto e il cervello a fare gli straordinari per i troppi pensieri. Sentivo ancora il suo profumo su di me e la sua pelle contro la mia, ma lui era scomparso alla velocità della luce senza nemmeno che io avessi l’opportunità di fermarlo o chiedergli spiegazioni. Come avrei dovuto interpretare quel suo gesto?
Da buona illusa quale ero, continuavo a ripetermi che la sua fosse solo la solita paura mista ad un leggero imbarazzo che per un attimo gli aveva attraversato gli occhi. E probabilmente, come poche volte nella mia vita, non era nemmeno un’illusione.
Prima ancora che facessi un passo, il campanello di casa suonò ed io quasi mi spaventai. Andai ad aprire la porta e corrugai la fronte quando mi trovai Louis davanti, con i pugni stretti lungo i fianchi e lo sguardo nervoso ma sereno. Era impacciato.
Stavo per dire qualcosa, quando mi trovai di nuovo vittima di un suo bacio – l’ennesimo.
«Louis» dissi soltanto, appena divise le nostre labbra per sostenere il mio sguardo.
Di nuovo, aprì la bocca e la richiuse.
«Ci vediamo domani» esclamò fin troppo velocemente, rivolgendomi un sorriso che trasmetteva un disagio imbarazzato e forse anche qualche imprecazione.
E mentre io annuivo e lo guardavo allontanarsi lungo il vialetto di casa, sentivo sempre di più quell’illusione diventare una certezza.
 
 



ANGOLO AUTRICE

Buongioooooooooooooooooooooooooorno! Auguri a tutti, per tutte le feste ahhaha Come le avete passate?
Non ho molto tempo, quindi cercherò di essere breve (anche se non ci riesco mai)!
Piccola scena Zayn/Vicki, che non poteva assolutamente mancare: si erano allontanati per il semplice fatto
che Vicki aveva bisogno di staccare la spina, quindi si era un po' chiusa in se stessa, ma Zayn non se l'è presa!
Tra chiacchiere e confessioni, Zayn spiega il consiglio di Harry, quello che è riportato nell'introduzione della storia
e che è praticamente una specie di flashback, dato che risale ad un anno prima. Spero di essere
riuscita a spiegarlo al meglio (?), ma se avete qualche dubbio ditemelo pure :)
Preciso che Zayn ora non sta bene, sta meglio e ci sta lavorando!
Poi, figuriamoci se Louis avrebbe lasciato stare Vicki ahhaha Per sintetizzare, posso dire
che il loro fondamentale problema è di non riuscire a comunicare: quando succede qualcosa, al posto
di parlarne, covano rancori e preoccupazioni ,poi urlano e si incolpano a vicenda. Nessuno dei due è perfetto
ed entrambi hanno commesso i propri errori: Vicki, in questo capitolo, cerca di cambiare approccio,
perché ormai ha capito che incolpare Louis non porta a niente, se non a rabbia e urla.
Lui, d'altra parte, non può cambiare da un momento all'altro, quindi ho preferito non farlo sciogliere completamente,
tanto che chiede a lei di parlare al suo posto, di dirle cosa non va (?).
Insomma, entrambi hanno qualcosa su cui lavorare ed entrambi vogliono solo il meglio per l'altro,
anche se hanno modi diversi di dimostrarlo! Ovviamente ora non è tutto risolto, nel senso che
dovranno comunque lavorarci su ed impegnarsi, ma è già un inizio (:
Vicki gli dici il fatidico "ti amo", sotto sua richiesta, ma Louis non ricambia: a voi le ipotesi ahahah
Io non posso che sperare di aver descritto nel miglior modo possibile entrambi,
per rendervi più semplice l'interpretazione dei loro comportamenti! E spero anche che il capitolo vi sia piaciuto!
È quasi sicuro che dopo di questo ci sarà l'ultimo capitolo e poi l'epilogo: non preoccupatevi per gli altri personaggi,
perché ci sarà spazio anche per loro :)

Per favore, ditemi cosa ne pensate, perché con Louis io vado sempre in palla hahahah
E grazie infinite per tutto quello che fate per me!
Un bacione,
Vero.

 
 
  
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