Un poco alla volta Anastasia si risvegliò e la prima immagine che si formò davanti ai suoi occhi fu quella di un caminetto accesso e scoppiettante. Si accorse di essere avvolta in una coperta di lana e di sprofondare in una poltrona di pelle. Vide suo padre entrare nel soggiorno con due tazze fumanti. “Oh, sei sveglia, finalmente.” Disse suo padre sorridendo. Lei sorrise a sua volta. Lui si accomodò nella poltrona opposta a quella della figlia. “Come sai che sono io tuo padre e non il mio vicino?” Anastasia frugò nelle tasche dei suoi jeans e ne estrasse una foto sbiadita e rovinata. La aprì, la guardò intensamente e gliela porse allungando la mano. Il padre la aprì e vide un ragazzo e una ragazza; li riconobbe all’istante: lui stava abbracciando Zoya, la madre di Anastasia. Sapeva già come finiva la storia, a partire da quella foto. “Almeno sai come mi chiamo?” le chiese dopo averle ridato la fotografia. Lei negò con un cenno della testa. “Il mio nome è Vladimir, ma Zoya mi chiamava sempre Volodja.” “Perché te ne sei andato?” chiese Anastasia. “Voglio dire perché non sei rimasto? Perché mi hai abbandonata? Perché…” “Non è mai stata una mia scelta. Neanche di Zoya. È difficile da spiegare. È… Solo difficile.” “Cosa…?” “Lo so, lo so. Capisco, ma… Non so se troverò le parole giusto, non so se riuscirai a capire, ma un giorno te lo racconterò.” “Che vuol dire –te lo racconterò-? Sono abbastanza grande, ho fatto questo viaggio da sola, la mamma avrà avuto un infarto dopo che non mi ha trovata, avrà letto la lettera e sarà andata nel panico e… e…” “Non è una questione di età, ma… Non posso dirtelo ora. Vorrei che ci fosse anche Zoya, così potrai avere tutte le versioni. E poi voglio recuperare il tempo che ho perso con te.” Disse prendendola in braccio.