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Autore: Meyc    14/01/2014    0 recensioni
Laura Di Manta, diciottenne romana. È una ragazza introversa, cinica e sarcastica. Con la sua cerchia di amicizie, vive una vita normale, più o meno spensierata. Un giorno conosce, come chiunque nel corso della propria vita, delle persone molto diverse da sé. Laura passa dall'essere diffidente nei loro confronti all'adorarle, e dall'adorarle al temerle. Scopre che la sua esistenza sarà per sempre condizionata dal loro incontro, come se il giorno in cui si conobbero segnò l'inizio di una tappa della sua vita, e deve decidere se può accertare queste persone, o se preferisce liberarsene, e stare in pace con se stessa.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tic tc. Tic toc. Quell’orologio era insopportabile, prima o poi me ne sarei dovuta liberare. In genere la notte dormivo senza problemi, ma quando ero presa da brutte sensazioni non riuscivo a dormire profondamente, e qualsiasi rumore mi turbava.
Tic toc.  Il maledetto continuava a scandire ogni secondo, e quel flebile rumore alle mie orecchie sembrava assordante. Mi sarei alzata dal letto e avrei scaraventato a terra quell’odioso orologio, se non fosse stato che il letto aveva assunto la mia forma, era caldissimo e allontanarsene mi sembrava una pazzia. Si stava benissimo. E poi amavo quell’orologio: era piccolino, marrone chiaro e con il disegno di un grazioso gufo, il mio animale preferito. Perciò avrei sofferto ancora qualche ora, tanto ero abbastanza sicura che non mancasse molto al suono della sveglia. Ed infatti, nel giro di quella che sembrò un’ora, dovetti alzarmi. Non ero mai stata così contenta di svegliarmi, anche se significava prepararsi per la scuola.
Non mi curavo mai molto, ma quella mattina misi letteralmente le prime cose che presi sottomano. Tanto, alle sei di mattina, chi vuoi che si curi del mio abbigliamento? Se non importava a me, figuriamoci agli altri.
Amavo le stradine della mia città. L’Italia non era il paese meglio considerato al mondo, ma era indubbio che aveva tante meraviglie e, tra queste, avrei sicuramente inserito le stradine di Roma. Piccoli vicoli che, tra l’altro, a quell’ora erano bui e vuoti. Neanche un’anima in giro. Mi infondeva tranquillità e serenità. Ad altri avrebbe potuto mettere un po’ di paura un silenzio simile, ma per me ormai era famigliare. Facevo quella strada da ben cinque anni.
Ero così abituata a quel percorso che, arrivata a scuola, mi resi conto di non aver prestato la minima attenzione alla strada che feci. Avevo pensato a tutt’altro: alle strane persone conosciute ultimamente.
Tre settimane prima ero andata al cinema con una mia cara amica, Marta. Improvvisamente, nel mezzo del film, sentii un bisogno impellente di andare al bagno perciò, sebbene con leggero imbarazzo, vi andai. Mi imbarazzavo facilmente: anche solo doversi alzare e uscire dalla sala mi colorò le guance di un intenso rosso. Sapevo che nessuno prestava attenzione a me, ma l’imbarazzo era una di quelle sensazioni che non controllavo.
Tornando al dunque, andai al bagno, e a poca distanza da esso mi imbattei in due figure decisamente singolari: un ragazzo, alto almeno due metri, capelli neri come la pece ed occhi marroni. Indossava una felpa verde, semplici jeans scuri e scarpe da ginnastica. Accanto a lui, una ragazza di almeno cinquanta centimetri più bassa. Indossava un vestito a tema floreale e un coprispalle nero, semplice. I suoi capelli erano rosa (non capivo la moda del tingersi i capelli di un colore improbabile, ma da una parte invidiavo chi aveva un simile coraggio) ed occhi marroni. Vedendoli la prima cosa che mi colpì fu la grande differenza d’altezza, che mi portò a trovarli un po’ buffi, ma di certo non avevo intenzione di rivolgergli la parola. Li avrei superati e sarei corsa al bagno. Tuttavia, la giovane si avvicinò a me, bloccandomi il passaggio.

-Cosa ne pensi di questo vestito? Insomma, trovi che mi ingrassi?-

Di tutta risposta rimasi spiazzata, e la guardai stupita e incerta. Chi fa certe domande ad una perfetta sconosciuta?
Il giovane rise, di gusto, e mi diede una spiegazione.

-Perdonala, amo metterla in crisi con stupide fissazioni da ragazze. Non credevo avrebbe davvero chiesto a qualcuno di giudicare com'è vestita!-

Oh, ora sì che era tutto più chiaro. Ma li risparmiai del mio sarcasmo e sorrisi educatamente, come se trovassi divertente tutto ciò, anche se in realtà lo trovavo semplicemente assurdo.
Guardai poi la porta del bagno: non ce la facevo più.

-Scusatemi-

Dissi semplicemente, e a passo svelto entrai.
Qualche minuto e uscii dal bagno, finalmente libera. Ripensare  a poco prima mi imbarazzava un po’: non avevo detto praticamente nulla, ma i due erano ancora lì, e sembrava quasi mi stessero aspettando.

-Tutto bene? Sembrava te la fossi fatta sotto.-

Esclamò lei, con decisamente poco tatto. Lui non sembrò altrettanto schietto, rimase infatti in silenzio e guardò lei con fare di rimprovero, e lo apprezzai.

-Sto bene.-

Mi limitai a risponderle. 

-Io sono Luca.-

Disse lui, presentandosi e sorridendo cordiale.

-E lei è Andrea.-

Concluse, voltandosi verso la giovane.

-Ed io sono Laura. Ora mi spiace, ma devo andare.-

E più veloce della luce tornai in sala, da Marta, che forse mi aveva data per morta. Ma di certo quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrei avuto a che fare con quei due, sebbene non avrei mai immaginato tutto ciò che sarebbe successo.
E per continuare coi ricordi avrei dovuto aspettare.

-Di Manta, interrogata.-

Il caro, che tanto caro non era, professore di Latino si era sicuramente accorto del mio essere distratta, e ne aveva approfittato per ricordarmi quanto mi vuole bene.
Svogliata mi alzai, mi diressi verso la cattedra e sperai vivamente che la campana suonasse nel giro di poco. 
  
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