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Autore: SiriusLoire    14/01/2014    1 recensioni
“Le ferite arrecano dolore a chi le ha sul proprio corpo, e ne infligge di peggiori al cuore di chi ti vuole bene” pensò, quella volta “Non dovrebbero esistere in questo mondo, dovrebbero essere bandite, proprio come fa l’imperatore con i cattivi e coloro che lo tradiscono. Le ferite sono come infide bestie, godono nel veder soffrire te e chi ti sta intorno…”.
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Una Grande Guerra ha distrutto il mondo che noi conoscevamo. Tutto è cambiato e dalle viscere del Pianeta sono riemerse le Bestie sigillate secoli fa. Tutto sembra tranquillo, ma una nuova minaccia sta avanzando verso Draconis Patria, l'Impero che da circa tremila anni ha cercato di mantenere l'ordine tra i civili. Gli esseri divini si sono riuniti e hanno deciso di mandare i loro figli sul Pianeta: il Figlio della Luce per Shinryu e il Figlio dell'Oscurità per Kuroryu. Le due creature dovranno allearsi e combattere, ma ancora non sanno della loro chiamata.
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il piccolo villaggio di Drakken sorgeva ai piedi delle grandi montagne innevate del settentrione. Era un posto isolato: a nord si estendevano le grandi catene montuose del Drago Nascente, oltre la quale si trovava il villaggio di Tatsumura, e della Regina Severa; mentre a sud, a est e a ovest il vasto oceano burrascoso gli impediva di avere collegamenti regolari con il resto dell’impero. Gli abitanti erano abituati alle sue temperature rigide, e le Green Caves erano una meta turistica molto popolare, dato che erano l’unico luogo del nord in cui l’erba cresceva rigogliosa nonostante il freddo. Le grandi foreste fornivano agli abitanti la selvaggina e le grandi vallate venivano trasformate in grandi campi per l’agricoltura. Accanto ai confini del villaggio, si trovava l’aerostazione: grazie allo Zeppelin, una versione più veloce e resistente delle comuni aeronavi, che viaggiava una volta a settimana, chi abitava lì poteva recarsi a Karn e, da lì, spostarsi in vari posti.

Quella mattina il sole sorse più tardi del solito. Un uomo stava seduto sul gradino della porta di una casa, molto probabilmente aspettava qualcuno. Indossava un grosso mantello di lana verde scuro, che lo copriva dalla testa alle ginocchia, dal quale si potevano intravedere gli abiti: una tuta verde felce a maniche lunghe, aderente al torace e morbida dalla cintola in giù, un haori rosso carminio, legato in vita da una grossa cinta in pelle. I piedi erano riparati dal freddo da stivali neri, all’apparenza molto pesanti. Sul fianco sinistro portava appeso il daishō, visibilmente vecchio ma ancora in grado di fare la sua bella figura in battaglia. Dal cappuccio si intravedeva il mento squadrato e le labbra sottili e screpolate a causa del freddo. Ogni tanto scrutava il grande campanile, che si ergeva maestosamente al centro della piazza centrale. Stanco di aspettare, sbuffò, si scrollò il freddo di dosso ed entrò dentro casa. Sua moglie era lì, seduta di fronte la caminetto. Era una donna molto giovane, dai lineamenti dolci ed eleganti. Il viso tondo e pallido era corniciato dai ciuffi di capelli blu notte, la maggior parte legati in un perfetto chinion tenuto fermo da una treccia. I piccoli occhi azzurri, disegnati dalle lunghe e folte ciglia nere, fissavano le lettere stampate sulle pagine ingiallite del libro che stava leggendo. Indossava un morbido vestito blu, con le maniche a sbuffo e la lunga gonna che le arrivava alla punta dei piedi, ed un grembiule color crema. La piccola bocca carnosa era contorta in una smorfia di piacere: la lettura che stava affrontando la stava intrattenendo come lei si aspettava. L’uomo chiuse lentamente la porta e il lento cigolio dei cardini fece distogliere l’attenzione della donna dal codice.

- Come mai sei rientrato? – gli chiese avvicinandosi e facendo cenno di darle il mantello. Lui agitò la mano destra, quasi come se stesse dicendo che non doveva fermarsi a lungo.

- Haku è ancora a letto, vero? – chiese lui, dirigendosi verso il corridoio che porta alle camere.

- Già… - rispose lei, sbuffando. – Ma devi capirlo: ieri era così sfinito tanto da non riuscire a mangiare. –

L’uomo si bloccò.

- Il solito tonto… Si è appena ripreso dall’influenza, non può pretendere di rimettersi in forze e di allenarsi duramente ogni volta che ne ha l’occasione! Inoltre è inaccettabile il fatto che rimanga tutto quel tempo fuori casa. –

- Forse dovresti parlargli, o per lo meno ordinargli di non farlo… -

- Anna, non siamo i suoi genitori, e non siamo neppure i suoi tutori! So che anche per te è un figlio, ma è maggiorenne, certe cose deve capirle da solo. Uff… va bene, cercherò di dissuaderlo dallo sfinirsi durante gli allenamenti… - e si avviò verso la seconda porta sulla sinistra del corridoio. Bussò tre volte e attese. Nessuno rispose. Nel frattempo, per il tepore presente nell’ambiente, tolse il cappuccio, lasciando all’aria la chioma biondo scura, pettinata all’indietro con qualche ciuffo ondulato dietro le orecchie, e gli occhi verdi, sormontati da fini sopracciglia, infossati e segnati dalle profonde occhiaie grigie. L’occhio destro era chiuso a causa di una ferita subita quando era giovane che gli lasciò una profonda cicatrice che partiva dal sopracciglio e arrivava all’inizio dello zigomo.

- Haku, sono Toshizo. Sei qui? – chiese, dopo essersi schiarito la voce. Ancora nessuna risposta. Sospirò e con forza abbassò la maniglia della porta, aprendola, ed entrò nella stanza. Le tende impedivano alla luce di entrare nella piccola stanza. Sul letto, posto con la testiera contro il muro di fronte e addossato alla parete sinistra, vi era un mucchio di coperte bianche, che si alzavano e si abbassavano lentamente. Da esse sbucava una massa di capelli castani, spettinati, adagiati sul guanciale. Accanto al letto c’era un comodino in legno di noce, sul quale c’era una candela spenta. Opposto al letto, sulla parete destra, c’era l’armadio a due ante, fatto con lo stesso materiale del comodino. Sotto la finestra c’era una specie di tavolino, usato come scrivania, coperto da rotoli di pergamena e scartoffie varie. L’uomo entrò senza fare rumore e fece entrare luce nella camera, scostando le tende. La persona che dormiva nel letto non si accorse di nulla e continuava a dormire beatamente. Toshizo si avvicinò al letto. Oltre ai capelli, da ciò che sbucava dalle coperte, si poteva notare parte del volto: la fronte liscia e non tanto spaziosa, gli occhi chiusi, dotati di ciglia molto folte e scure e il naso stretto e dritto. La bocca e il mento erano coperti dal lenzuolo candido.

- Ehi, svegliati! – disse, poggiando la mano sull’ammasso di tessuto e scuotendolo delicatamente. Il ragazzo dormiva ancora profondamente. Toshizo si allontanò di qualche passo. – Dannazione, sempre la solita storia! Beh, dato che sta dormendo come un bambino non si arrabbierà se prendo qualche spicciolo dal suo salvadanaio! –

- Toshizo, smettila di fare scherzi idioti. – disse la donna, sentendo l’ultima frase dal salone.

- Ma io non ho fatto nulla… Almeno per ora!-

Tirò fuori dalla tasca del mantello un sacchetto in pelle scamosciata e lo agitò, facendo tintinnare il contenuto. Il ragazzo fece un mugolio e aprì lentamente gli occhi: anche se socchiusi, davano l’idea della loro grandezza e le iridi cremisi erano acquose dal sonno. I capelli, sebbene fossero spettinati, erano lisci, corti dietro e davanti lunghi poco sotto la linea del mento; la folta frangia si divideva in due parti, lasciando la maggior parte dei capelli a destra, sfiorando con le punte le ciglia, e qualche ciuffo a sinistra.  Sì alzò, tenendosi su con le braccia, puntate contro cuscino e poggiandosi sulla gamba sinistra, piegata all’interno ad angolo retto. Il lenzuolo, scivolando via, rivelò il suo aspetto: la carnagione si poteva considerare bianca come il latte, il viso dai lineamenti delicati e le labbra fini, fisico sviluppato il tanto giusto da conferire tonicità ai muscoli. Indossava una larghissima canotta bianca e dei pantaloni lunghi azzurri. Si sedette sul bordo del materasso, poggiando i piedi sul tappetino rosso scuro. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò.

- Chi ha toccato la mia scatola dei soldi? – mugugnò, concedendosi un ennesimo sbadiglio.

Toshizo sorrise e ripose il sacchetto nella tasca.

- Lo sapevo che il rumore delle monete che tintinnano ti avrebbe svegliato. – disse, poggiando la mano sulla scrivania.

- M-maestro?! – chiese il ragazzo, aprendo gli occhi: erano grandi e le pupille erano affusolate, sembravano quasi quelle di un gatto. – Cosa ci fa lei qui? –

- E hai la faccia tosta di chiedermelo?! – sbottò l’uomo, dandogli un buffetto sulla testa. – Sono le sette! –

- E… allora? –

Toshizo sbuffò e si massaggiò la tempia destra.

- Haku, sei proprio incorreggibile… - disse con tono rassegnato – Più di un’ora fa dovevi presentarti al campo a sud di Drakken per l’allenamento! Non dirmi che… -

Haku balzò in piedi.

- Porca paletta, me ne sono dimenticato! – esclamò levandosi la canottiera e lanciandosi verso l’armadio, alla ricerca dei suoi vestiti.

- Come al solito… - bisbigliò l’uomo, agitando lievemente la testa.

- Avete detto qualcosa? – Haku cercava di infilarsi una maglia rossa smanicata, ma gli occhi ancora impastati dal sonno gli impedivano di capire quale fosse il buco dove infilare la testa e quello dove infilare le braccia.

- Niente di rilevante. Forza, vestiti e prendi la spada: io inizio ad andare lì. Vedi di non fare tardi, o per pranzo ti farò lavare i piatti del vicinato! –

Toshizo uscì dalla stanza, richiudendo la porta. Haku continuò a vestirsi in fretta e furia, cercando di non indossare i capi al contrario. Prese una giacca senza maniche bianca, con dettagli nelle maniche e nella cerniera blu e un mantello rosso; indossò i lunghi polsini neri in lino, lasciando quello al braccio sinistro ammucchiato sull’avambraccio e quello destro lo indossò fino a coprirgli il bicipite. Afferrò dei guanti senza dita neri come la pece e prese da sotto le scartoffie un borsello bordeaux con un lungo legaccio e delle bende rovinate. Si fasciò la coscia destra, sopra i pantaloni, e sulle bende si legò il borsello, in modo da non muoversi mentre camminava. Si guardò intorno e si lanciò sotto la scrivania, tirando fuori degli stivali cognac logori. Dentro ad uno di essi vi era un elastico in spugna nero, probabilmente ficcato lì a causa della fretta di andare a letto. Lo prese e lo indossò al braccio sinistro, poco sotto il muscolo della spalla. Si infilò lo stivale destro, e, mentre infilava il sinistro, iniziò a saltellare fino alla porta, raggiungendo la sala dove si trovava Anna. Lei lo guardò sorridente.

- Buon giorno! Vedo che ti sei svegliato. – disse, avvicinandosi al tavolo e togliendo il coperchio dal contenitore del pane, che al suo interno conteneva un bauletto affettato e caldo.

- Buon giorno. – mugugnò Haku, prendendo tre fette e ficcandosele in bocca.

- Non mangiare così in fretta: ti verrà il singhiozzo. – lo ammonì lei, poggiando sul tavolo un vasetto di marmellata di ciliege. Lui prese una quarta fetta e, aperto il barattolo, vi spalmò un po’ di confettura sopra.

- Sono di fretta, non posso rimanere ancora qui a lungo. – disse addentando il pane e prendendo il fodero con la spada adagiato sullo stipite della porta. Aprì il borsello legato alla coscia e vi infilò l’arma, che svanì come se fosse stata inghiottita.

- Dovresti cambiare la tua Infinity, tra poco il laccio per portarla a presso si spezza. –

Haku mugugnò e, staccato un pezzo di pane, deglutì rumorosamente. – Non fa nulla, se il legaccio si spezza lo farò sostituire. A proposito, Hiro dov’è? –

Anna alzò le spalle. –Non lo so… Forse è già andato ad allenarsi. Ha detto che al rientro di Clor vuole essere in grado di eseguire incantesimi molto difficili. –

- Beh, almeno lui non dorme come un ghiro come faccio io. –

- Dovresti prendere esempio da lui, sai? –

- Eh? Boh, forse ha ragione… Adesso vado, altrimenti il maestro mi fa a fettine! –

- Non preoccuparti, se prova a farti a fettine, ci penserò io a metterlo al suo posto! –

Haku sorrise, aprì la porta e uscì. Lui non sentiva il freddo pungente della mattina, dato che era un Non Umano, di preciso un Dra-Hagan: era stato trovato quindici anni prima da Anna e Toshizo al confine tra Drakken e quello che doveva essere Tatsumura, assieme a suo fratello Hiroki. La coppia gli raccontò che li trovarono in mezzo alla neve, tramortiti dal freddo, e assieme a loro c’era un ragazzo, coperto di sangue e di ferite, che con le ultime forze rimaste ordinò ai due di prendere i piccoli e di portarli al sicuro. Lui non ricorda molto di quella notte: quando ci prova, nella sua mente appaiono solo scene di distruzione, ricorda il rumore del fuoco che impavido distruggeva le case, il fumo che riempiva i polmoni e impediva di respirare  e ricordava il colore che assunse la neve a causa del sangue sparso. Probabilmente c’era anche qualche corpo carbonizzato, ma non riesce a ricordarlo: aveva solo sette anni quando accadde tutto ciò. Si scrollò di dosso il torpore del sonno e iniziò a correre in direzione del luogo dove era stato fissato l’incontro con il suo maestro. Conosceva tutte le scorciatoie di Drakken, ma la sua preferita era quella che passava di fronte al Santuario di Shinryu: non sapeva il perché, ma la vista della grande costruzione slanciata dalle guglie e dagli archi a sesto acuto che decoravano la facciata gli davano un senso di tranquillità, molto probabilmente c’era una costruzione simile al suo villaggio natio. Anche quella mattina ci passò davanti e si presentava sempre allo stesso modo: il marmo bianco si confondeva quasi con la neve e la grande vetrata colorata riceveva i raggi del sole, accogliendoli al suo interno. Haku proseguì in direzione del campo. Ci vollero un paio di minuti prima che giungesse alla stradina che collegava il villaggio al verde delle Green Caves. Si bloccò di fronte alla statua del Dragone che proteggeva, secondo i sacerdoti, gli abitanti e coloro che sostavano nel centro abitato.

- Shinryu… Dammi la forza. – mormorò, avvicinandosi alla statua e sfiorando l’ala della scultura. Dopodiché fece un profondo respiro e si inoltrò nel grande bosco.

 

 

 

 

Dopo all’incirca una quindicina di minuti, Haku giunse al punto in cui si era dato appuntamento con il suo maestro. Toshizo lo aspettava lì, seduto su un tronco cavo, accovacciato e coperto dal mantello per proteggersi dal freddo. L’erba coperta di rugiada era di un verde vivace che spiccava tra i colori cupi degli alberi della foresta e tra i ciuffi poco più alti degli altri spuntavano gracili fiori di varie sfumature. Nell’aria riecheggiava il canto degli uccelli e il frusciare delle foglie mosse dalla leggera brezza. Il maestro alzò lo sguardo e si mise in piedi.

- Hai fatto in fretta, eh? Hai ancora tutti i capelli scompigliati! – disse, accennando un flebile sorriso.

- Cosa?! Non mi dica che ho attraversato il villaggio in disordine! – esclamò Haku, sistemandosi i capelli con le mani.

- E dai, non è mica la fine del mondo. Forza, tira fuori la spada: oggi finiremo in qualche minuto. Sei ancora convalescente, non mi va di farti faticare in maniera eccessiva. –

Haku aprì il borsello e tirò fuori la spada e la sfoderò dal fodero: la lama argentea culminava con una punta bianca e della stessa sfumatura era il filo. L’elsa era in bronzo ed era coperta da una striscia di seta viola che fasciava l’impugnatura. Al pomolo vi erano attaccati due cordoncini rossi che terminavano con due nappine. La coccia che univa la lama alla guardia era in oro e aveva una piccola placca in vetro colorato dello stesso colore dell’impugnatura. Non presentava scanalature, era liscia e aveva l’aspetto di essere molto tagliente.

- Cosa devo fare? – chiese, impugnandola saldamente con la mano destra.

Toshizo afferrò la katana e la estrasse: era lunga circa un’ottantina di centimetri e l’impugnatura era di colore scuro, misto tra il blu notte e il nero.

- Devi affrontarmi. – rispose, girando la spada in modo che il orso piatto della lama fosse rivolto verso il ragazzo. – Se non te la senti, puoi usare il dorso della spada per attaccarmi, l’importante è che tu mi dimostri che sei migliorato. –

Haku annuì e volse il filo verso di sé. La mano destra era tremolante: non aveva mai disputato un duello contro un avversario armato e ciò lo metteva a disagio.

- Non fa niente se non riesci a dare il meglio di te, Haku. Voglio solo vedere come te la cavi e se sei pronto per avanzare al livello successivo. – disse Toshizo, cercando di rassicurarlo ma ottenendo l’effetto contrario. La mano di Haku tremava più forte di prima , così tanto che il ragazzo dovette impugnare la spada anche con la sinistra.

- Sei pronto? –

Il giovane esitò un momento, deglutì e annuì. Prima che se ne accorgesse, il suo maestro era lì, di fronte a lui, pronto a sferrargli un fendente. Bloccò il colpo per miracolo e, respinto l’avversario, indietreggiò. Toshizo ripartì all’attacco, ma stavolta la parata non fu abbastanza: cadde all’indietro. Si rialzò, ma prima che potesse mettersi in piedi, l’uomo era pronto a sferrargli un altro attacco. Si accovaccio e rotolò a destra, evitando il colpo. La katana andò ad infilarsi nella terra umida.

- Bella mossa! – esclamò, sfilando con fatica l’arma. Cercò di compiere un altro attacco, dirigendosi verso Haku velocemente. Il ragazzo pose tra se e il suo avversario la spada, rivolgendo il dorso verso i suoi occhi e sostenendo la punta con la mano sinistra. Il colpo venne parato con successo e così i successivi. Ma la situazione si faceva sempre più dura: più attacchi parava, più velocemente ne riceveva. Resistette fino al decimo, poi indietreggiò. Aspettava l’occasione per attaccare, e questa gli si presentò quasi subito: nello sferrare l’attacco, il suo maestro lasciò esposta una delle cosiddette “parti vitali”. Haku scattò in avanti e colpì il fianco sinistro dell’uomo con tutta la forza che possedeva. Toshizo rimase con il braccio alzato, impugnando saldamente la spada, sorrise e la ripose nel fodero.

- Molto bravo! Sei riuscito a captare il momento giusto per attaccarmi. – disse, contento. La sua allegria svanì quando vide che Haku era sconcertato.

- Non vi siete impegnato. Avete trattenuto la vostra forza. – disse con sguardo basso.

- Beccato… - ribatté massaggiandosi la nuca con la mano sinistra. – Senti, non è perché sei debole, ma perché il maestro spiega i suoi segreti agli allievi quando ormai non ha più nulla da insegnare. Siamo ancora agli inizi degli allenamenti… -

- Ho passato più di sei anni ad allenarmi! – esclamò Haku. – Pensavo che l’addestramento fosse quasi finito! Quanto ho ancora da imparare?! –

- È questo il problema: non significa che se passi molto tempo ad apprendere una qualsiasi disciplina, dopo sarai in grado di sfruttarla al meglio! Il tuo metodo di apprendere comporta che tu impari tutti i particolari dell’arte della spada un poco per volta. Ed è giusto così! –

- Ma lei ha detto che l’ha appresa nel giro di un paio di mesi! –

- E ho dovuto passare un sacco di anni alla ricerca della perfezione… Alla fine di questo addestramento, sarai in grado di diventare subito un maestro di spada, senza dover cercare di raggiungere l’apice della perfezione. –

Haku alzò lo sguardò e fissò il suo maestro negli occhi: riconobbe che gli stava dicendo la verità.

- Ma… è strano… Continuo a pensare che con tutto il tempo che ho passato impugnando una spada dovrei essere già in grado di avere uno stile tutto mio… -

Toshizo gli mise una mano sulla testa e gli scompigliò i capelli.

- Non preoccuparti. Tutto a suo tempo. Forza, rimetti la spada nel fodero e torniamo al villaggio. –

Il ragazzo annuì e, riposta la spada, seguì il maestro attraverso gli alberi che indicavano il sentiero. Camminarono per qualche ora. Raggiunsero uno spiazzo coperto da erba secca. Haku aveva uno sguardo rassegnato: aveva già capito cosa stava accadendo.

- Maestro… - disse, asciugandosi il sudore dalla fronte con il polsino del guanto. – Non mi dica che ci siamo persi… -

Toshizo si voltò verso di lui, rimase per qualche secondo immobile e fece una smorfia per camuffare l’imbarazzo.

- Non ci posso credere! – esclamò Haku, sedendosi su una roccia e mettendosi le mani tra i capelli – E io che l’ho pure seguita! –

- Senti, se sapevi fin dall’inizio che sbagliavamo strada quanto ti costava avvisarmi? –

- Ma il bosco è tutto uguale! E poi neanche io sono una cima nell’orientamento! –

Toshizo sbuffò e si sedette per terra. I due rimasero in silenzio per alcuni minuti. Il giovane si alzò e si guardò intorno.

- Beh, se facciamo la strada inversa possiamo raggiungere il villaggio, no? – e si voltò verso il maestro, stranamente silenzioso. Si avvicinò lentamente e, a qualche passo da lui, notò che dormiva profondamente.

- Ma come diavolo fa ad addormentarsi in una situazione simile?! – esclamò. – Io provo a cercare una via d’uscita da questo labirinto… Però… - frugò nel borsello ed estrasse un pugnale – posso usare questo per fare dei solchi nelle cortecce degli alberi, in modo da ritrovare la strada che mi riporta qui… -

Si voltò e guardò il maestro. Tirò fuori una grossa coperta in lana cotta e con essa lo coprì.

“Spero che non si arrabbi quando non mi troverà più qui…” pensò inoltrandosi nello stretto sentiero tracciato dagli alberi.

 

Aveva camminato per circa un’ora. Ogni tre alberi faceva un segno circolare in modo da poter trovare nuovamente la via per tornare. Tra i vari rumori del bosco si riusciva a percepire lo scrosciare dell’acqua, probabilmente lì vicino c’era un ruscello o una piccola cascata. Proseguì per un centinaio di metri, fin quando non si bloccò. Di fronte a lui si ergeva una grande parete rocciosa, coperta di muschio e umida. Si avvicinò ad essa con cautela e poggiò delicatamente la mano.

 - E questa da dove esce fuori? – si chiese, spostandosi lateralmente e tastando la roccia. All’improvviso poggiò la mano su uno spuntone che si abbassò. Un blocco di pietra, grande quanto una porta, si spostò all’indietro e si spostò lateralmente. Haku fece un passo indietro, stupito: l’apertura conduceva ad una grotta buia, mai segnata nelle mappe. Provò a scrutare il suo interno, ma la luce che vi entrava era insufficiente per vedere. Afferrò un ramo trovato lì per caso e puntò la mano destra contro la punta. Essa iniziò a bruciare a causa della piccola fiammella che si era generata per magia. Haku si guardò intorno e si addentrò nella grotta. Dopo qualche passo, il passaggio si chiuse e una fila di torce incastrate nelle pareti rocciose si accesero, indicando la via per proseguire. Rimase sorpreso, toccò la punta del bastone e la fiamma svanì, lasciando il legno intatto. L’odore dell’umidità riempiva l’aria e si sentiva il rumore delle gocce che cadevano, forse da qualche parte vi era un’infiltrazione. All’improvviso, si udirono grida molto acute. Haku sentì il cuore battergli in gola per lo spavento e corse fino alla fine del tunnel.

- AIUTO! QUALCUNO MI AIUTI! – disse la persona. Dalla voce sembrava un bambino. Il ragazzo si accostò alla parete vicino all’apertura  sfoderò la spada e attese. Si udì una risata sguaiata e acuta in grado di far accapponare la pelle a chiunque.

- Non ci sarà nessuno a salvarti moccioso! – disse l’essere, probabilmente una Bestia.

- LASCIAMI ANDARE! VOGLIO TORNARE A CASA!!! –

- Scordatelo! Erano secoli che non mangiavo carne umana… e si dice che… QUELLA DEI CUCCIOLI SIA LA PIÙ GUSTOSA!!! –

Haku sbucò alle spalle dell’essere e lo colpì. La Bestia guaì, mentre il sangue vermiglio colava dalla ferita alla schiena. Ripiegò le piccole ali viscide e rizzò la coda. Si voltò verso Haku e ringhiò. Era una specie di diavoletto alla pelle grigiastra. La testa, enorme rispetto al corpo, culminava con due corna appuntite. Fissava il suo avversario con i grandi occhi neri e ringhiava mostrando i denti aguzzi, dai quali colava saliva giallastra.

- Brutto bastardo! – esclamò in preda al dolore. Il bambino, coperto d un mantello in lana marrone, si alzò e si nascose dietro le gambe di Haku. Il cappuccio gli scivolò, mostrando la grande massa di capelli corti, neri e mossi, quasi spettinati. Il viso, di carnagione nera, era paffuto e  i suoi grandi occhi verdi fissavano il mostro che qualche secondo prima voleva sbranarlo. La bestia si lanciò verso Haku, ma lui, prontamente, allungò la mano sinistra in avanti e l’avversario venne colpito da un’enorme fiammata. L’essere cadde a terra, gravemente ferito.

- Maledetto… - ringhiò, rialzandosi con molta fatica. – Vorrà dire che assaggerò prima la tua carne, poi quella del cucciolo! –

Si avventò su Haku, facendolo cadere a terra. Il ragazzo, stringendo i denti, cercò di bloccare le fauci velenose del mostro. La Bestia affondò uno degli artigli sul suo braccio sinistro del ragazzo, facendolo mugugnare dal dolore. Una goccia della saliva giallastra andò proprio sulla ferita, e appena entrò in contatto con la pelle iniziò a bruciare. Haku diede una testata all’essere, cercando di toglierselo di dosso, ma esso rimaneva attaccato a lui come una calamita. Il bambino afferrò un grande masso e lo fece cadere sulla testa della bestia, che perse i sensi. Haku la scaraventò in aria e, con la spada, le tagliò il corpo a metà. Appena le due parti caddero a terra, un fuoco nero le avvolse e, bruciandole, le ridusse in cenere. Haku si mise in ginocchio e si toccò il braccio sinistro. Il bambino gli si avvicinò.

- Haku! Stai bene?! –

Il ragazzo annuì e, tolta la mano destra, gli mostrò che la ferita non c’era più.

- Questo è il vantaggio di essere un Dra-Hagan. – affermò, alzandosi in piedi. –Comunque, Selim, cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere a casa, o al massimo a giocare con Tatsuki e gli altri bambini? –

- Infatti stavo giocando con loro! Poi mi sono allontanato un attimo e quel coso mi ha catturato e mi ha portato qui! Gli altri non si sono accorti di niente! –

- L’importante è che tu non sia rimasto ferito. – sentenziò, aprendo il borsello e tirando fuori una specie di pepita di ematite. La porse a Selim. – Prendi questa e aspettami lì, dove c’è l’ingresso alla grotta: è un incantesimo che impedisce ai mostri e ai malintenzionati di vederti e percepire la tua presenza. Torno subito, voglio solo controllare cosa c’è più avanti. -

   
 
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