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Autore: zou    15/01/2014    1 recensioni
[ATTENZIONE: Questa fanfiction /non/ è mia. E' tutto tratto dal libro di Jamie McGuire “Uno splendido disastro”. Tutto quello che ho fatto è stato riscrivere l'intero libro nella versione Larry.]
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Louis Tomlinson sembra il classico ragazzo perbene, timido e studioso.
Ma in realtà Louis è un ragazzo in fuga. In fuga dal suo passato, dalla sua famiglia, da un padre in cui ha smesso di credere. E ora che è arrivato al Cheshire University insieme al suo migliore amico per il primo anno di università, ha tutta l'intenzione di dimenticare la sua vecchia vita e ricominciare da capo.
Harry Styles, per lui, invece, rappresenta esattamente tutto ciò che vuole – e deve – evitare, ma basta una scommessa tra i due per cambiare tutto.
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Harry girò la sedia vuota al mio fianco e si sedette appoggiandovi sopra le braccia.
«Pigeon, giusto?»
«No», ribattei secco «Ho un nome.»
Il modo in cui lo guardavo sembrò divertirlo, il che servì solo a farmi infuriare di più.
«Be'? Qual è?» domandò.
Addentai l'ultimo pezzo di mela nel piatto, in silenzio.
«Ti chiamerò Pigeon, allora», continuò con una scrollata di spalle e un sorriso tra le labbra.
[...]
-
[Tutti i diritti a Jamie McGuire]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Qualche ora più tardi, Niall bussò alla mia porta per accompagnarmi da Zayn e Harry.

«Gesù! Sembri un senzatetto!» sbottò quando mi vide.
«Bene», dissi, soddisfatto dall’effetto d’insieme.
Avevo indossato un vecchio berretto in testa, giusto per raccogliere i capelli disordinati.
Alle lenti a contatto avevo preferito gli occhiali con la montatura nera rettangolare.
Avanzai ciabattando nelle mie infradito, fiero di sfoggiare una T-shirt logora e un paio di pantaloni della tuta.
Avevo pensato che apparire scialbo sarebbe stato in ogni caso il piano migliore.
Speravo di spegnere l’entusiasmo di Harry, e di porre termine finalmente a quell’assurda insistenza.
E l'aspetto dimesso lo avrebbe scoraggiato anche nel caso in cui avesse voluto un semplice amico.

Niall abbassò il finestrino e sputò la gomma da masticare.
«Sei davvero banale. Potevi completare il tuo look rotolandoti nel letame.»
«Non voglio far colpo su nessuno», risposi.
«Questo mi sembra ovvio.»

Lasciammo l’auto nel parcheggio del palazzo di Zayn e seguii Niall lungo le scale.
Lui venne ad aprire e scoppiò a ridere quando feci il mio ingresso.
«Cosa ti è successo?»
«Non vuole far colpo su nessuno», spiegò Niall.

Andarono nella stanza di Zayn. La porta si chiuse alle loro spalle e io restai solo con la sensazione di essere fuori posto.
Mi sedetti nella poltrona reclinabile e mi sfilai le infradito.

L’estetica dell’appartamento era più gradevole della tipica casa da scapoli.
Come prevedibile, le pareti erano tappezzate di manifesti seminudi e cartelli stradali rubati, ma la casa era pulita, i mobili erano nuovi e soprattutto non si sentiva puzzo di birra vecchia e di abiti sporchi.

«Era ora!» esclamò Harry, buttandosi sul divano.

Sorrisi e mi sistemai gli occhiali sul naso, aspettando che manifestasse disgusto per il mio aspetto.
«Niall doveva finire un saggio.»
«A proposito, hai già iniziato quello di storia?»
Non aveva battuto ciglio di fronte al mio aspetto e la cosa mi indispettì.
«E tu?»
«L’ho finito questo pomeriggio.»
«Ma è per mercoledì», replicai sorpreso.
«L’ho buttato giù. Quanto potrà essere difficile scrivere un saggio di due pagine su Grant?»
«Io sono uno che temporeggia», risposi alzando le spalle. «Probabilmente non lo inizierò prima del fine settimana.»
«Be’, se ti serve aiuto fammelo sapere.»
Pensavo scoppiasse a ridere o lasciasse comunque intendere che stava scherzando, invece aveva un’aria sincera.
«Mi aiuteresti davvero?» chiesi perplesso.
«Ho il massimo dei voti in storia», replicò, offeso dalla mia incredulità.
«Ha il massimo dei voti in tutte le materie. È un maledetto genio, lo odio», osservò Zayn conducendo per mano Niall in soggiorno.
Osservai dubbioso Harry e lui si corrucciò.
«Cosa c’è? Pensi che un ragazzo coperto di tatuaggi che fa a pugni per vivere non possa avere buoni voti? Non sono al college solo perché non ho di meglio da fare.»
«Perché combatti, allora? Perché non hai provato con le borse di studio?» chiesi.
«L’ho fatto. Me ne hanno concessa una che copre metà delle tasse. Ma ci sono i libri, le bollette... in qualche modo li devo pagare. Dico sul serio, Pidge, se hai bisogno di aiuto, non hai che da chiedere.»
«Non mi serve il tuo aiuto. Sono in grado di scrivere un saggio.»
Volevo chiudere la conversazione.
Avrei dovuto chiuderla, ma quel nuovo lato del suo carattere aveva destato la mia curiosità.
«Non puoi trovare qualcos’altro per mantenerti? Qualcosa di meno... sadico?»
Harry scrollò le spalle.
«È un modo facile di far soldi. Non potrei guadagnare altrettanto lavorando in un negozio.»
«Essere presi a pugni in faccia non è “facile”.»
«Be’, ti preoccupi per me?» osservò ammiccando.
Feci una smorfia e lui ridacchiò.
«Non mi colpiscono tanto spesso. Se attaccano, li schivo. Non è così difficile»
Scoppiai a ridere. «Come se non ci avesse mai pensato nessuno.»
«Quando tiro un pugno, gli avversari incassano e cercano di restituirlo. Ma non ce la fanno quasi mai.»
Alzai gli occhi al cielo.
«Chi sei, Karate Kid? Dove hai imparato a combattere?»

Zayn e Niall si scambiarono un’occhiata, dopodiché fissarono il pavimento. Non impiegai molto a capire di aver detto qualcosa di sbagliato.
Harry tuttavia non pareva scosso.
«Avevo un padre alcolista dal pessimo carattere e quattro fratelli più grandi con il gene della coglionaggine.»
«Oh...» Mi sentii le orecchie in fiamme.
«Non essere in imbarazzo, Pidge. Papà ha smesso di bere e i miei fratelli sono cresciuti.»
«Non sono in imbarazzo.»
Giocherellai nervosamente con il ciuffo che era scappato dal berretto e poi decisi di toglierlo del tutto e rimettermelo nel tentativo di ignorare l’increscioso silenzio.
«Mi piace questo look naturale. Di solito nessuno viene da me così.»
«Io sono stato costretto a venire qui. Non ho mai voluto far colpo su di te», obiettai, seccato per il fallimento del mio piano.

Lui sfoderò un ghigno divertito, mostrando le sue fossette e io m’infuriai ancora di più, sperando però che la rabbia mascherasse il disagio. Non sapevo come si sentissero le persone accanto a lui, ma avevo visto come si comportavano. Dal canto mio, più che infatuato mi sentivo nauseato e confuso, e i tentativi di Harry di farmi sorridere non facevano che turbarmi.

«Ma hai già fatto colpo. Di solito non devo supplicare nessuno perché venga da me.»
«Non ne dubito», replicai indignato.
Era un presuntuoso, e della peggior specie. Non era solo spudoratamente consapevole del proprio fascino, ma anche talmente abituato a vedere tutti cadere ai suoi piedi da ritenere la mia freddezza una piacevole novità anziché un insulto.
Dovevo cambiare strategia.

Niall puntò il telecomando verso il televisore e lo accese.
«Stasera danno un bel film. Qualcuno vuole scoprire che fine ha fatto Baby Jane?»
Harry si alzò. «Stavo per uscire a cena. Hai fame, Pidge?»
«Ho già mangiato», risposi con indifferenza.
«Non è vero», disse Niall prima di rendersi conto dell’errore.
«Oh... ehm... certo, mi ero scordato che ti sei preso una... pizza... prima.» Feci una smorfia di fronte a quel misero tentativo di rimediare alla gaffe e attesi la reazione di Harry.
Lui attraversò la stanza e aprì la porta.
«Forza. Sarai affamato.»
«Dove vai?»
«Dove vuoi. Possiamo mangiarci una pizza.»
Diedi una rapida occhiata ai miei vestiti. «Non sono presentabile.»

Harry mi studiò per un istante e fece un gran sorriso.
«Stai benissimo. Andiamo, muoio di fame.»
Mi alzai e salutai il mio migliore amico, superando Harry per scendere le scale. Mi fermai nel parcheggio e lo guardai inorridito mentre si sedeva in sella a una moto nera opaca.
«Uh...» mormorai, piegando le dita nude dei piedi.
Harry mi lanciò uno sguardo impaziente.
«Oh, sali. Andrò piano.»
«Che modello è?» chiesi, leggendo troppo tardi la scritta sul serbatoio.
«È una Harley Night Rod. È l’amore della mia vita, perciò non graffiare la vernice quando sali.»
«Ho le infradito!»
Lui mi fissò come se avessi parlato in una lingua straniera.
«E io gli stivali. Monta, dai.»
S’infilò gli occhiali da sole e il motore ruggì quando lo accese.
Salii in sella e cercai qualcosa a cui aggrapparmi, ma le mie dita scivolarono dalla pelle al fanale di plastica.
Harry mi prese le mani e se le mise attorno alla vita.

«Non hai niente per tenerti, solo me, Pidge. Non mollare la presa», disse spingendo la moto all’indietro con i piedi.
Uscì in strada e con uno scatto del polso partì come un razzo.
Sentivo il berretto pian piano scivolare e mi chinai dietro di lui, sapendo che se avessi guardato al di sopra della sua spalla le lenti dei miei occhiali si sarebbero riempite di insetti.
Qualche minuto più tardi imboccò a tutta velocità il vialetto d’accesso del ristorante e, non appena si fermò, mi misi in salvo sul marciapiede. «Sei uno squilibrato!»
Harry ridacchiò e mise la moto sul cavalletto prima di smontare. «Ho rispettato i limiti di velocità.»
«Sì, quelli di un’autostrada tedesca, che notoriamente non ne ha» dissi, togliendo il berretto per poi rimetterlo.
«Non lascerei mai che ti accadesse qualcosa, Pigeon», dichiarò aprendo la porta del locale.

Un po’ frastornato, lo seguii a precipizio nel ristorante, che odorava di grasso ed erbe aromatiche.
Camminai sulla moquette rossa disseminata di briciole finché Harry scelse un tavolo d’angolo, lontano dai gruppi di ragazzi e dalle famiglie e ordinò due birre.
Scrutai la sala, osservando i genitori che cercavano di far mangiare i figli turbolenti, e cercando di evitare le occhiate inquisitorie degli studenti del Cheshire.

«Certo, Harry», disse la cameriera annotando il nostro ordine.
Quando tornò in cucina, sembrava vagamente euforica per la sua presenza.
Mi sistemai meglio che potevo il ciuffo sotto il berretto, d’un tratto imbarazzato per il mio aspetto.

«Vieni spesso qui?» chiesi acido.
Lui appoggiò i gomiti sul tavolo e mi fissò con i suoi occhi verdi.
«Allora, qual è la tua storia, Pidge? Odi gli uomini in generale o solo me?»
«Sono gay, sarebbe un problema odiarli tutti perciò solo te, credo», bofonchiai.
Lui scoppiò a ridere, divertito.
«Non riesco a capirti. Sei la prima persona che mi respinge. Non ti agiti quando mi parli e non cerchi di attirare la mia attenzione.»
«Non è una tattica. Non mi piaci, ecco tutto.»
«Non saresti qui se non ti piacessi.»

Abbandonai l’espressione accigliata e sospirai.
«Non dico che tu sia una persona malvagia. Solo, non mi va di essere considerato una facile preda per il semplice fatto di avere un pene.»
Fissai i granelli di sale sul tavolo finché non udii un verso strozzato provenire dalla sua direzione.

Harry spalancò gli occhi e scoppiò in una fragorosa risata.
«Oddio! Mi fai morire! Dobbiamo essere amici. Non accetterò un no come risposta.»
«Okay, ma questo non ti autorizza a cercare un modo per portarmi a letto ogni cinque secondi.»
«Non hai intenzione di venire a letto con me. Afferrato.»
Mi sfuggì un sorriso, e il suo sguardo si illuminò.
«Hai la mia parola. Non mi azzarderò nemmeno a pensare a te in quel modo... a meno che non sia tu a chiedermelo.»
Appoggiai i gomiti sul tavolo.
«E questo non accadrà, perciò possiamo essere amici.»
Un sorriso malizioso accentuò i suoi lineamenti, facendo apparire ancora una volta le sue fossette, mentre si protendeva verso di me.
«Mai dire mai.»
«Allora, qual è la tua storia?» chiesi. «Sei sempre stato Harry “Mad Dog” Styles o ti chiamano così da quando sei al Cheshire?»
Per la prima volta, la sua sicurezza vacillò: sembrava un po’ imbarazzato.
«No. È stato Adam a inventare quel soprannome, dopo il primo incontro.»
Le sue risposte spicce cominciavano a irritarmi.
«Tutto qui? Non hai intenzione di dirmi niente di te?»
«Cosa vuoi sapere?»
«Le solite cose. Da dove vieni, cosa vuoi fare da grande... cose così.»
«Sono nato e cresciuto qui e mi sto specializzando in diritto penale.»
Srotolò con un sospiro le posate avvolte nel tovagliolo, le dispose accanto al piatto e guardò al di sopra della sua spalla con la mascella contratta.
Dai due tavoli della squadra di calcio del Cheshire si levò una risata che parve infastidirlo.
«Stai scherzando», osservai incredulo.
«No, sono di queste parti», affermò distrattamente.
«Parlo della specializzazione. Non sembri un tipo da diritto penale.»
Harry corrugò la fronte, tornando a concentrarsi sulla nostra conversazione.
«Perché?» Scrutai i tatuaggi che gli coprivano il braccio.
«Dico solo che sembra ti si addica più il crimine che la giustizia.»
«Non mi caccio nei guai... Papà era piuttosto severo.»
«E tua mamma?»
«È morta quand’ero piccolo», rispose in tono freddo.
«Mi... mi dispiace», dissi scuotendo la testa.
La sua risposta mi aveva colto alla sprovvista.
Harry reagì con noncuranza. «Non me la ricordo. I miei fratelli sì, ma io avevo solo tre anni quando morì.»
«Quattro fratelli, eh? Come facevi a distinguerli?» chiesi ironico.
«A seconda di chi picchiava più forte, che guarda caso era sempre il fratello più grande.
In ordine erano Olly, i gemelli Taylor e Tyler e poi Trenton. Non dovevi mai restare da solo in una stanza con Taylor e Ty. Ho imparato da loro metà di quello che faccio nel Cerchio. Trenton è il più piccolo ma è veloce, nonché l’unico che adesso riesca a colpirmi.»

Scossi la testa, sbigottito al pensiero di cinque Harry che correvano in giro per casa.
«Sono tutti tatuati?»
«Tutti tranne Olly. È dirigente pubblicitario in California.»
«E tuo padre? Dov’è?»
«Vive da queste parti», rispose.
Aveva di nuovo la mascella contratta, sempre più irritato dalla squadra di calcio.
«Perché ridono?» domandai indicando la tavolata rumorosa.
Lui scosse la testa, era chiaro che non ne volesse parlare.
Incrociai le braccia e mi dimenai sulla sedia.
«Dimmelo.»
«Ridono di me perché innanzitutto ti ho portato a cena. Di solito non è una... mia abitudine.»
«Innanzitutto?» Quando capii, Harry sussultò vedendo la mia espressione. Parlai senza riflettere. «E io che temevo ridessero di te perché ti fai vedere con uno vestito così! Invece credono che verrò a letto con te», borbottai.
«Perché non dovrei farmi vedere con te?»
«Di cosa stavamo parlando?» chiesi, sforzandomi di controllare il calore che mi saliva alle guance.
«Di te», mentì.
«Qual è la tua specializzazione?».
«Oh, ehm... cultura generale, per il momento. Sono ancora indeciso, ma propendo per ragioneria.»
«Tu però non sei di queste parti. Ti sei trasferito.»
«Sono di Doncaster come Niall dopo che si è trasferito dall'Irlanda.»
«E come sei finito qui dallo Yorkshire?»
«Siamo stati costretti a scappare.»
«Da cosa?»
«Dai miei genitori.»
«Oh. E Niall? Anche lui ha problemi con i genitori?»
«No, Maura e Bobby sono fantastici. In pratica mi hanno cresciuto loro. Lui mi ha seguito perché non voleva venissi qui da solo.»
Harry annuì. «E come mai avete scelto il Cheshire?»
«Mi stai facendo il terzo grado?»
Le domande stavano diventando troppo personali e iniziavo a sentirmi a disagio.
La squadra di calcio lasciò il tavolo, con un gran rumore di sedie.
Dopo un’ultima battuta, i giocatori si avviarono lentamente alla porta.
Non appena Harry si alzò affrettarono il passo, e gli ultimi del gruppo spinsero quelli davanti per darsi alla fuga prima che attraversasse la sala.
Lui tornò a sedersi, controllando a stento rabbia e frustrazione.
Inarcai un sopracciglio.
«Stavi dicendo perché hai scelto il Cheshire», riprese.
Mi strinsi nelle spalle.
«È difficile da spiegare. Mi è sembrato la scelta più giusta da fare.»
Lui sorrise e aprì il menu. «So cosa intendi.»














Heei!

Un grazie a chi ha letto il primo capitolo e ha deciso di seguire la storia...
Siete dolcissime!


  
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