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Autore: Hurin    16/01/2014    0 recensioni
Questa storia, che è anche la mia prima storia su EFP, parla delle "avventure" di Luca, il protagonista; dei suoi problemi con i genitori e con gli amici. In particolare con una certa ragazza per la quale si prenderà una cotta.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Si stava facendo tardi: era già passata un ora, forse due. Il vento fischiava fra gli alberi, le foglie, i ramoscelli che sbattevano tra loro producevano un rumore insopportabile. Il freddo penetrava fin nelle ossa e una maglietta a maniche corte non è il massimo con quella temperatura. Fissavo le stelle, erano così belle, brillavano di una luce stupefacente. La luna era piena, le nuvole sparse per il cielo la coprivano però in parte, era davvero bella.
Se chiudevo gli occhi vedevo nuovamente Alessandro e Federica avvinghiati, tapparmi o meno le orecchie non serviva a nulla, continuavo a sentire lei che ansimava.
 - Ehi, hai dimenticato la giacca, qui fa freddino, tieni -
Presi la mia giacca, me la infilai e me ne andai. Federica però non mi mollava e teneva il passo.
- Ti prego, fermati! - disse lei.
- Fanculo - le risposi. Normalmente non le direi mai così, ma non ero in me. Non quella sera. Neanche nei giorni che vennero in seguito. Federica mi afferrò il braccio con forza e con altrettanta mi tirò a sé. Tutto d'un tratto sentì la guancia bruciarmi; un altro schiaffo. Questo però era diverso, trasmetteva qualcosa di diverso, aveva un altro significato. Il precedente era di stupore, paura. Per descrivere questo invece mi servirebbero anni. Ma, in breve: stava a dire "non puoi trattarmi cosi, sono venuta fin qui quando non è mai venuto in mente gli altri. Mi preoccupo per te" . Ma più di tutto ... più di ogni altra cosa voleva dirmi "Non andartene perché ho paura che se te ne vai ora farai così ogni volta che ci incontreremo; non voglio perderti perché ho bisogno di te come tu di me" .  
- Scusa, hai ragione - le dissi - Ti prego, ho bisogno di parlarti -  Aveva piegato il viso verso il basso, i capelli le coprivano gli occhi e il naso lasciando visibile, solo in parte, la sua bocca. Si portò le mani ai capelli e cominciò a scuotere la testa come perseguitata da un rumore, una voce insopportabile che la perseguitava finché... finché non si lanciò su di me abbracciandomi con così tanta forza che entrambi cademmo a terra. Proprio non mi aspettavo questo gesto da parte sua né tanto meno ciò che in seguito mi disse.
- Io ti voglio bene perché sei la prima persona dopo mia madre che mi rispetta e mi supporta a prescindere, che si fida di me e che mi chiede consiglio come se la mia opinione fosse decisiva e superi d'importanza quella di chiunque altro ma... io non provo le stesse cose che tu provi per me. Non voglio dirti quelle cose che dicono tutti come "tu meriti di meglio", è una scusa come un altra. Ti dico solo che ti auguro di essere felice e, vorrei che tu capisca che io sarò felice con Alessandro -
Mentre mi diceva queste cose le lacrime le uscivano dagli occhi, il suo viso premeva con forza contro il mio petto, i suoi lunghi capelli mi coprivano il volto e le sue braccia mi stringevano con più forza di quanta avrei mai creduto avesse a sua disposizione.
- Di quello che vuoi, non cambia il fatto che non vedo futuro felice, per me, se non ci sarai tu al mio fianco - Detto questo mi alzai, dopo alcuni minuti fissarci lei interruppe il silenzio.
 - Torniamo dentro, c'è freddo - mi disse
- Torna tu se vuoi, io camminerò un po' -  Detto questo mi allontanai, ma lei con uno scatto fulmineo si mise davanti a me impedendomi di proseguire, la guardai negli occhi, sembrava così abbattuta, così triste. Tesi la mia mano verso di lei aspettando che la stringesse con la sua. Invano.
- Vieni su, facciamo un passeggiata - le proposi Sembrava sul punto di mettersi a piangere. A quella vista mi sentii un po' stronzo a comportarmi così ma, ad un certo punto, un altro pensiero cominciò a passarmi per la testa, un altro punto di vista. Gli stronzi erano loro. Io volevo solo amare ed essere amato, è un errore? E' mia la colpa se sono deluso e terribilmente incazzato? E' mia la colpa se, per una volta che mi affeziono a qualcuno, puntualmente mio fratello mi porta via questa persona? E' sempre colpa di Luigi. Certo, chi altri sennò? Di scatto abbassai la mano e stavo per andarmene, però, Federica mi abbracciò ancora, e tra i singhiozzi e le lacrime mi disse
- No, ti prego! Torniamo dentro, non andare! Io... -
Ora basta!
- Ma che cazzo pretendi da me? Mi hai quasi ucciso! Tu e mio fratello... - gli occhi mi uscivano dalle orbite, le vene sul collo si gonfiavano e diventai tutto rosso in viso - Ora basta! Sai cosa? Non venire, io voglio solo passeggiare, è meglio se tu non vieni. Tornatene dentro e va a scopare con quel coglione di Alessandro. Non mi frega un cazzo di voi -
Detto questo me ne andai. Non mi voltai. Non ebbi alcun ripensamento. Nessun rimorso. Volevo stare da solo con i miei pensieri, avevo... avevo bisogno di pensare. Dopo alcuni metri credo si fosse messa a piangere, ma non importava. O almeno cosi credevo. Camminavo. Camminavo ma non avevo la più pallida idea di dove stessi andando, sapevo solo che volevo camminare. Il cielo era nero come la pece con alcuni tratti illuminati, erano le stelle. Adoro guardare il cielo con le sue stelle, le nuvole, la luna. Oggi no. Il cielo sembrava sussurrarmi qualcosa: non dovevo comportarmi così, avrei dovuto entrare con lei e parlare con mio fratello, però qualcun'altro mi sussurrava parole diverse. Camminavo. Pestavo delle foglie, smuovevo la terra. Loro invece mi dicevano che avevo fatto la cosa giusta. Non meritano né il mio perdono né i miei auguri di una vita felice. Dovevo trovare delle persone che non mi avrebbero tradito. Dicevano che essere arrabbiati è normale in simili circostanze. Dicevano anche che non ero abbastanza arrabbiato. Tutto d'un tratto, dentro me, sentii il bisogno di urlare, di prendere a pugni qualcosa e fare tutto a pezzi. Mi voltai di scatto, raccolsi un pietra da terra e la scagliai il più lontano possibile. Subito dopo incominciai ad urlare. Urlare. Con tutto il fiato che avevo in corpo. Ancora una volta sentivo qualcosa dentro me che mutava, incominciai a singhiozzare, incominciarono ad uscire delle lacrime. Mi sentii stanco e le mie gambe si piegarono. Ora stavo piangendo e i miei occhi erano fiumi in piena.
Dopo un ora stavo ancora piangendo, non avevo voglia di smettere, mi sentivo un po' meglio. Era come se quelle lacrime fossero il risultato di anni ed anni di cose non dette, ingiustizie non denunciate, emozioni represse, desideri accantonati, delusioni e sofferenze. Era come liberarsi di un enorme ed ingombrante macigno. Non avevo voglia di smettere.
Dopo un quarto d'ora, forse di più, le lacrime cominciavano a diminuire ed il freddo aumentava. Dovevo tornare a casa. Mi alzai e mi guardai in torno cercando di capire dove fossi finito. Mi voltai e ripresi a camminare.
Arrivai a casa circa due ore dopo, stavo gelando e mi colava il naso, per mia fortuna avevo le chiavi in tasca. Aprii la porta facendo attenzione a non fare il minimo rumore. Nessun imprevisto. Salii le scale e andai in camera mia per dormire, nella speranza di un domani più misericordioso nei miei confronti o di non svegliarmi.
  
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