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Autore: _Noodle    26/01/2014    4 recensioni
Hogwarts. Anno scolastico 1942-1943. La Camera dei Segreti è stata aperta: che la caccia ai mezzosangue abbia inizio. Quindici maghi e streghe legati tra di loro da solidi legami, quali l'amicizia, l'amore, l'intesa e lo scontro, ma al contempo distanti, diversi, a causa di un liquido terribile, rosso come la paura e l'imbarazzo.
I fantomatici Amis de l'Abc, da "I Miserabili" di Victor Hugo, alle prese con la magia. Ok, tutto ciò è folle.
"Lo seguirai, anche se contro il tuo sangue? Ti unirai a lui profanando ciò che c'è di più sacro a questo mondo? Sporcherai le tue origini e le tue labbra? Sta a te decidere: o il sangue o la morte" .
Coppie: EnjolrasxGrantaire, CourfeyracxJehan, JolyxBossuet (con intervento di Musichetta), BahorelxEponine (con intervento di Montparnasse), MariusxCosette.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Joly and Bossuet’s Theme:
~Dumbledor’s Army, HP and the Order of Phoenix.
 
 
Enjolras and Grantaire’s Theme:
~Ron’s Speech, HP and the Deathly Hallows pt. One.

 
 
 
 
 
 
Bossuet aprì gli occhi, lentamente. Con lo sguardo impastato dalle lacrime versate, intravide in modo offuscato la tenera luce proveniente dalle finestre dell’infermeria; sorrise.
Era vivo e l’aveva scampata.
Era salvo e il sole che si specchiava sulla sua tiepida nuca lo animava; avrebbe potuto produrre elettricità con un battito di ciglia.
Respirava aria nuova e fresca, schifandosi del putridume che l’aveva avvolto nella Camera e tutto ciò che percepiva attorno a sè era un dolce silenzio, tutt’altro che raccapricciante. Era un silenzio buono, quieto.
E poi, per caso, voltò il capo a sinistra e fu l’aurora boreale.
C’era Joly ed era tutto così semplice.
Aveva appese agli occhi due occhiaie violacee e sfumate, estremamente interessanti, come due piccoli quadri. Le iridi castane erano lucide, ma non di pianto, bensì di stanchezza. Le labbra consumate dai morsi dell’ansia gridavano aiuto, imploravano al mare di disinfettarle.
 
E quei capelli lisci così sparsi e disordinati, come i loro saltuari incontri.
 
E i rami al posto delle vene delle sue mani, così laboriose e attente, così curiose di corpi.
 
Joly non alzava lo sguardo perchè si fissava le scarpe. Bossuet poté osservarlo in tutta pace e perdersi, smarrendosi in un labirinto luminoso: quello individuato dai suoi nei.
<< Sei qui. >>
Joly sussultò, alzando la testa e appoggiando le mani scarne sulle ginocchia.
Si era svegliato.
Il ragazzo che aveva aspettato per così tanto tempo, il ragazzo che aveva atteso tutta la vita senza nemmeno saperlo, l’uomo che era stato capace di cambiarlo, finalmente, si era svegliato, e aveva parlato. Non seppe cosa rispondere lì per lì: Bossuet era stato così maledettamente invasivo con due sole parole. L’aveva demolito con un suono, e la felicità di quell’attimo era paragonabile ad una sinfonia, una di quelle leggiadre e spensierate che fanno cantare, benché non ci siano parole.
Sì, gli stava accanto. Avrebbe dovuto dirgli che era lì per lui?
<< Sei qui per me? >>
Ma Bossuet sembrava aver già capito tutto.
<< Sì, aspettavo che ti svegliassi. >>
Il Tassorosso sorrise, ancora e ancora, chiedendosi se, finalmente, avesse trovato la Fortuna.
Joly era stravolto, Bossuet lo percepiva. Tuttavia quel sorriso stirato e sincero che si stendeva come una pennellata sul suo volto lo rendeva radioso, come era sempre stato. La sua bizzarria introversa l’aveva sempre affascinato: era talmente difficile e complesso come individuo che andava semplificato. Bossuet voleva provare a farlo.
<< Non ti annoiavi, Joly? >> Chiese tirando fuori le braccia dal lenzuolo leggero.
<< Perchè mai avrei dovuto? >> Rispose Joly inarcando le sopracciglia, stupito di quella domanda. Per lui, essere rimasto lì, era stato così ovvio.
<< Non è il massimo restare seduti su una sedia scomoda per tutta la notte ad osservare un povero malaticcio >> ironizzò Bossuet, con la sua solita leggerezza. Tossì e si sentì pulsare le tempie. Solo in quel momento si ricordò delle sofferenze passate.
<< Non ti ho solo osservato >> continuò Joly stiracchiandosi, sprofondando sulla sedia.
<< Cosa intendi? >>
<< Ti ho portato qui io >> rivelò Joly sorridente abbassando lo sguardo, innalzando la fierezza del suo gesto al cielo. Bossuet rimase a bocca aperta. Come aveva fatto a non accorgersene? Perchè non se lo ricordava? Se l’era forse inventato? No, Joly era sincero.
<< Davvero? >> Sospirò interdetto.
<< Sì. Non appena ti ho portato via nella mia mano, sei svenuto. Temo per lo spavento. Forse non ti ricorderai >> concluse il giovane Corvonero, dispiaciuto che non ricordasse la sua buona azione. Per un attimo volle alzarsi.
<< E che altro hai fatto? >> Domandò ancora Bossuet, reprimendo l’istinto che aveva di saltargli al collo.
<< La gamba >> ammise Joly dopo aver tirato un lungo sospiro. Quasi si vergognava di quello che aveva fatto. O forse era un orgoglio malcelato. O forse era semplicemente imbarazzo.
<< Te ne sei occupato tu? >>
<< Sì. >>
Bossuet chinò gli occhi. La sua gamba era perfettamente fasciata, ancora dolorante e malconcia, ma qualcuno se n’era pur sempre occupato. E non si trattava di un qualcuno qualunque: era stato Joly.
<< Perchè lo hai fatto? Non potevi chiamare l’infermiera? >> Replicò, imbarazzato da tutto quello che aveva fatto per lui in così poco tempo.
Era un eroe.
Joly, inespressivo fuori e ingarbugliato dentro, decise che era arrivato il momento di fissarlo negli occhi. Forse anche di dire qualcosa, quel qualcosa.
<< No. Insomma, non sarei di certo rimasto qui ad aspettare che arrivasse e che tu soffrissi ancora. Non c’era tempo. E poi, lo sai che amo curare le persone. >>
Bossuet sembrava ammirato da quelle parole, dal coraggio che aveva avuto, dalla forza che aveva dimostrato di possedere. Quel ragazzo, sotto tutta quella emotività, era un leone e non un istrice, l’animale del suo Patronus, piena di aghi come quelli usati dai dottori.
<< Lo sai che amo te. >>
Ci fu un lungo silenzio, che gli sguardi dei due ragazzi colmarono con incredibile facilità. L’aveva detto veramente? Joly aveva ammesso di amarlo? In cinque parole aveva superato se stesso, aveva abbattuto tutte le barriere, tutte le barricate del suo cuore. Aveva anche abbattuto Bossuet, che non era riuscito a fare altro che sussurrare il suo nome.
<< Joly… >>
<< Lo so scusa. Me ne vado adesso >> balbettò il Corvonero alzandosi dalla sedia, sull’orlo di una crisi di pianto. Si sentiva un bambino.
<< Joly… >>
Bossuet afferrò il braccio di Joly con mollezza e sorrise con una semplicità inaudita, ricca di comprensione e di dolcezza, propria solamente di chi è consapevole di non essere capito da molti. Di solito infatti, sono i più schivi, i più riservati, i più particolari o i più sfortunati a restare nell’ombra e solo pochi amano addentrarsi in essa e scoprire che cosa riserba. Joly era stato il primo a scavare nell’animo di Bossuet, in quell’oscurità antica e mai narrata, con una grazia e una riservatezza anormale che quasi non avevano fatto trasparire il suo sentimento. Ora che si era lasciato andare e aveva detto la verità, aveva permesso a Bossuet di capire, per la prima volta, che qualcosa andava per il verso giusto, il verso che seguiva la linea del suo sorriso.
Come due magneti, i ragazzi si avvicinarono l’uno all’altro, attratti da una forza invisibile, ma tremendamente potente, che come nel caso della calamita, non avrebbe permesso che si dividessero, mai. E così, per la prima volta, le loro labbra insipide ed inesperte si toccarono, tastandosi, assaporando la loro morbidezza. Bossuet respirava l’odore dei capelli di Joly, che gli ricadevano sul viso, Joly accarezzava la pelle di Bossuet, profumata di shampoo. Sapeva che prima o poi quell’odore gli avrebbe invaso la mente.
Il Corvonero si sdraiò accanto a Bossuet, che si spostò a fatica a causa della gamba, ma al contempo con piacere, per poterlo abbracciare, finalmente.
“Sono un po’ strano in questi giorni”.
“Io lo sono sempre”.
E queste frasi gli ruotavano costantemente nella testa, gli strisciavano tra i neuroni, lo rendevano felice e lo facevano stare bene. La sorte, per la prima volta, gli aveva stretto la mano.
<< Joly… >> Sospirò il Tassorosso, ansimando piano.
<< Sei l’essere più strano che io abbia conosciuto. Ma ti amo anche io. >>
Joly scoppiò a ridere, liberando nell’aria una musica irruente ed estasiante. L’amore che Bossuet gli stava dando era meglio di ogni medicina.
E come l’acqua che scorre e cambia, loro scivolarono sotto le lenzuola, incuranti del sole novello, curioso, che li guardava.
 
Bahorel, nelle restanti ore di buio, non aveva fatto altro che pensare ad Eponine. Quella piccola e feroce ragazza era riuscita a placare Riddle con un solo ed astuto incantesimo e grazie al suo intervento aveva fatto sì che tutte le vittime uscissero illese dalla vicenda. Sì, era proprio vero, Eponine era una persona importante. Nella sua semplicità e magrezza riusciva a ruggire più forte del re della foresta e a proteggere i propri piccoli con la stessa tenacia di una lupa, animale oramai così caro a lei. Che stupido che era stato; perchè aveva tentato di fermarla? La cosa giusta, quando si trattava di Eponine, era di lasciarla andare. Lei possedeva quell’autonomia e quella determinazione che spesso a lui mancava. Era arrivato, forse, il momento di lasciarla andare. Magari lei ne sarebbe stata felice.
Uscì dal suo dormitorio (terribile esperienza ripercorrere quel corridoio!) per raggiungere quello della ragazza, ma non appena svoltò l’angolo che portava all’atrio principale, si trovò Eponine davanti, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo assonnato.
<< Credo che… >>
<< Io ti debba delle scuse. >>
<< Che hai detto? >> Chiese la ragazza, spalancando gli occhi, sorpresa.
<< Ti chiedo scusa ‘Ponine. Tu sei indomabile e nessuno può dirti che cosa devi o non devi fare. In particolare io. Se renderti felice significa lasciarti libera, allora ti lascerò libera, perchè è la tua felicità quella che ricerco, è sempre stato così, sin dal primo giorno in cui ti ho conosciuto. >>
Lei incominciò a ridere, prendendosi gioco della voce rotta e dello sguardo basso di Bahorel. Aveva detto qualcosa di sbagliato?
<< Sai Bahorel, credo di essere stanca di questa storia. >>
Lui sospirò, dispiaciuto di aver perso, forse, la ragazza migliore che avesse mai incontrato.
<< Credo di essere stanca di questa cosa del “Vivi e lascia vivere”. Perchè mai me ne dovrei andare? Io voglio stare con te. E’ una sfida Bahorel, e sai bene quanto amo le sfide. >>
Lui le si avvicinò asciugandosi gli occhi con la manica della propria camicia, poi le appoggiò la mano  destra sulla guancia. Aveva degli occhi così profondi ‘Ponine, così eterni. Che strana sensazione provocava la vittoria.
<< Ma se io amassi te? >>
<< Sei coraggioso. >>
E tra una risata e un sorriso, anche loro, sprofondarono in uno di quei baci agoniati e assonnati che rendono tutto un po’ più magico, anche se di magia ad Hogwarts ce n’era già a sufficienza. 
 
Enjolras, svegliatosi tardi, ancora stremato e tormentato da mille visioni che lo riconducevano momentaneamente nella Camera dei Segreti, aveva trovato accanto al suo letto un biglietto con accanto una fiala. Prima di riuscire a chiedersi che cosa fosse, iniziò a riflettere su se stesso, cosa che non faceva da… sempre. Non aveva rivelato a nessuno la sua condizione perchè rimpiangeva di essere un Mezzosangue, perchè in qualche modo non sentiva di essere all’altezza dei suoi compagni. Lui, che sin da piccolo era stato abituato ad essere un leader, ora, si sentiva solo un seguace. Aveva capito però, in quelle settimane, che il sangue e le origini non erano quello che contava. Grantaire dopotutto, se aveva fatto quello che aveva fatto, era perchè, del sangue, non si era preoccupato. Forse anche lui avrebbe dovuto fare lo stesso, fregarsene.
Rivolse il capo verso il suo comodino e mollemente afferrò il biglietto, dispiegandolo lentamente.
Sopra, al centro del foglio, vi era scritta una sola parola. La calligrafia era sconnessa, piccola, allungata e leggermente inclinata verso sinistra; certamente chi aveva scritto quella parola aveva dovuto provare molta emozione, perchè tremolante. Per interpretarla era necessario osservarla con attenzione.
 
“Pensatoio”.
 
Non vi era un firma.
Enjolras, improvvisamente, si sentì scosso da un fremito che gli percorse le mani e le braccia, come se avesse sentito freddo.
Tuttavia, sapeva che non era freddo.
Pensò subito a Grantaire e ai suoi atteggiamenti scettici. Questa volta, dopo essersi vestito, corse nell’ufficio del preside sperando di trovarlo vuoto, per capire che razza di ricordo avesse rinchiuso Grantaire in quella fiala. Era sicuro appartenesse a lui.
Dopo essersi accertato che nessuno lo seguisse (in particolare Courfeyrac, visto il brutto scherzo che gli aveva giocato la volta prima) iniziò a correre per i corridoi, con i lucidi capelli biondi che gli rimbalzavano sulla testa. Quando, percorsa la torre, si ritrovò davanti allo studio di Dippet, vide la porta spalancata e la stanza completamente vuota. Che fosse casuale?
Entrò a passi lenti, con le mani tremanti e il cuore in subbuglio. Non gli era mai capitato, ma questa volta sentiva di non essere vittima di un incantesimo. Era tutto reale e se da una parte si sentiva estremamente infastidito ed imbarazzato, dall’altra era radioso, adrenalinico.
Davanti al pensatoio, coperto da un telo che si preoccupò di togliere  immediatamente, aprì la fiala contenente il ricordo. Lo versò all’interno e poi, immersa la testa nella sostanza argentea che conteneva il grande bacile in pietra, si preparò ad ascoltare. Vide se stesso davanti a sé. Era sera e si trovava nel dormitorio dei Grifondoro: si ricordava bene. Quella che vedeva era la sera in cui lui e Taire avevano ballato insieme, la sera in cui, sconvolto dall’imbarazzo, lo aveva guardato davvero negli occhi, per la prima volta. Altre mille immagini iniziarono a scorrere sotto i suoi occhi, ma nessuno parlava. Ciò che lo fece restare di stucco fu che, ad un certo punto, la voce irruente e leggermente roca di Grantaire iniziò a parlare. Temette di cedere, temette di piangere, e forse piangeva. Accompagnate da queste parole, le immagini del loro primo bacio nella Camera dei Segreti.
<< Mi dispiace. Vorrei non essere sempre così invasivo, così rude. In particolare non vorrei esserlo nei tuoi confronti perchè, Enjolras, non te lo meriti.
Tu però con me puoi esserlo.
Insomma, chi mai vorrebbe essere indulgente con me? Chi mai potrebbe portare rispetto ad un povero scettico? Non lo sto dicendo per impietosirti, assolutamente. Lo dico perchè è vero, è una delle poche certezze che ho. Lo so, sono noioso, e asfissiante e terrificante. Eppure quando ti sto accanto mi sento vivo. Quando ti sto vicino sento di potermi abbandonare e credere. Io che credo in qualcosa? Enjolras, tu non ti rendi proprio conto di quello che hai fatto. Mentirei dicendoti che non avrei voluto baciarti quel giorno nella Sala Grande; non l’ho fatto perchè sapevo che tu non avresti voluto e questa era la cosa più importante. Nella Camera però non sono riuscito a frenare i miei istinti, e mi devi perdonare. Scusa se ricercavo le tue mani, scusa se abbreviavo il tuo nome; solamente, vorrei poterti parlare di più, respirarti di più, perchè sei talmente strano e intricato che mi scombussoli tutto, qui, nello stomaco. Sei talmente bello Enjolras, che non mi dai tregua. Non hai odore, eppure quando ti avvicini silenzioso, io ti sento arrivare. Il vino non è niente in confronto a te, potrei sbarazzarmene, anche adesso.
E poi volevo dirti che belli bene. E che sei coraggioso e anche decisamente stupido. Ti avrei protetto se solo avessi saputo a che cosa andavi incontro. Ma forse è meglio così. Forse se ti avessi protetto, non saremmo arrivati fino a questo punto.
E poi diciamo che ti amo Enjolras, ecco tutto. >>
Sollevò il capo respirando affannosamente, non riuscendo a distinguere la realtà dai ricordi. Era tutto così bizzarro e opprimente nella sua bellezza; la voce di Grantaire ancora gli risuonava nella testa e questo… perchè era lì.
<< Ehi >> sussurrò debolmente, imbarazzato dalla presenza di Apollo, inondato di lacrime. Il prezzo, lo sapeva, sarebbe stato il mare.
<< Cosa… cosa ne pensi? >> Balbettò R, timoroso di ferire il dio e non riuscendo a trattenersi dall’aprire bocca. Non si accontentava più di rimanere lì immobile a fissarlo, come al solito.
<< Cosa ne penso? Penso che sei insopportabile Grantaire! Sei la persona più dannatamente insopportabile di questo mondo! Vattene, ti prego, sparisci dalla mia vista! Non te ne rendi conto vero? Non ti rendi conto di quanto io stia male? Non capisci che tutte queste attenzioni sono inutili? Hai voluto ballare con me, hai voluto chiedermi scusa e hai voluto persino… baciarmi. Ma…ma, te ne rendi conto? Non ti rendi conto che non sei quello che può completarmi? Non ti rendi conto che ti renderei la vita impossibile? Io sono quello che tutti vedono sai, non sono un’altra persona. Sono testardo e orgoglioso. Possessivo. Ossessivo. Estremamente preciso. Maniacale. Troppo puntiglioso e determinato. Tu non sei così. Non lo sei! Non ti rendi conto di tutti i dispiaceri che ti darei? Non ti rendi conto di tutti i sorrisi che ti negherei perchè non ne sarei capace? Non ti rendi conto di quante volte dovresti sentirmi dire “smettila di fare l’idiota” solo perchè, magari, mi stai semplicemente chiedendo come sto? Non ti rendi conto di come mi spezzeresti il cuore, volendo al tuo fianco qualcuno che ti faccia ridere? Non ti rendi conto di quanto soffrirei io, sapendoti nelle mani di qualcun altro a ridere e a bere vino, come piace a te? Io… io sono astemio. E… non ti rendi conto di quante idee manderei in malora per il dolore, perchè non avrei più nessuno per cui esaurirle? Non te ne rendi conto? Non ti rendi conto di quanto mi mancheresti? Non ti rendi conto di quanto mi mancherebbe averti tra i piedi? Non ti rendi conto di quanto mi mancherebbe Grantaire, R, Taire?
Non ti rendi conto di quanto mi mancheresti.
Mi mancherebbe il tuo essere dannatamente insopportabile. Mi mancherebbe eccessivamente. Mi mancherebbe come a te manca il senso dell’intelletto. Io non voglio che tu smetta di assillarmi: lo apprezzo. Anzi, amo quando lo fai. Io…non voglio che accada tutto ciò. >>
Grantaire restò attonito, muto. Temette di svenire: quelle parole erano state peggio di qualsiasi sbronza.
Dalla sua bocca non uscivano nient’altro che sospiri: in quell’ufficio afoso stava nascendo una tempesta di fiati.
<< Enjolras, che… che stai dicendo? >> Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.
<< Cosa sto dicendo? Sto dicendo che… che… >>
Ma non riuscì a trattenersi e corse verso di lui. Senza che Grantaire potesse realizzare che cosa stava succedendo, si accorse delle mani di Enjolras incastrate tra i suoi capelli e dei respiri del ragazzo troppo vicini ai suoi. Non lo aveva sbattuto al muro per tirargli un pugno, non lo stava picchiando, no.
Lo stava baciando.
Enjolras l’aveva fatto, inspiegabilmente. Forse aveva agito così per ripagare il primo bacio ricevuto, forse per riprovare quello che già aveva percepito, forse per sentirlo un po’ più suo. Enjolras l’aveva fatto, e l’aveva capito: era innamorato e tutta quella saliva e quelle lingue intrecciate non gli facevano provare ribrezzo, ma gioia, estrema gioia, nuova gioia. Grantaire, stupito dal gesto e dal sapore delle labbra di Enjolras, che quella mattina profumavano di menta e di inesperienza, aveva tenuto gli occhi aperti per vederlo amare, mentre lui li aveva tenuti chiusi, stretti nella morsa di Eros.
Grantaire accarezzava la sua schiena, che finalmente gli apparteneva. L’aveva osservata così tanto che quasi non credeva fosse possibile toccarla: non era un’ombra, era reale.
Si allontanarono e sorrisero. Entrambi.
Quello era il sorriso di coloro che avevano lottato e che finalmente avevano vinto. La ricompensa non era stata un tesoro, e nemmeno avevano ricevuto lingotti d’oro; tutto ciò che avevano ottenuto era stato un bacio, estremamente dolce ed inspiegabilmente amaro, che avrebbe ispirato qualunque scrittore. Forse qualcuno aveva già scritto di loro, chissà in quale libro impolverato. Erano così diversi e allo stesso tempo così maledettamente complementari: d’altronde, tutto ciò che completa deve necessariamente essere diverso da ciò che viene completato, è la parte mancante, ed Enjolras lo comprese solo in quel momento, solo quando sentì che le labbra di Grantaire avevano quel sapore di vino tanto bramato da lui.
Per la prima volta in vita sua, lo vide bello.
Il naso storto e il sorriso scaltro non riuscivano ad infastidirlo: li odiava a tal punto da amarli, perchè tutto senza di loro sarebbe stato troppo triste e monotono.
Enjolras aveva sempre amato le insurrezioni, aveva sempre sperato di cambiare il mondo, di vivere come nel passato a combattere con le carabine o con le bacchette, e forse Grantaire aveva appena aderito alla sua prima rivoluzione. A pensarci bene, la parola Rivoluzione incomincia per R e finisce per E.
La felicità di quel momento non era equiparabile ad alcuna cosa: né al sole, né ad un uragano, né al vento che distrugge, né a quello che accarezza, né alla musica, né alle risate, né alle poesie lette, né al vino bevuto, né ai libri sfogliati, né ai sogni, né all’immaginazione, né al fuoco, né alla fiducia.
La felicità di quel momento li rendeva pure cariche elettriche in un universo di tenebre avvilenti, erano diversi e felici, fottumentente felici, in particolare di essersi accettati e di avercela fatta, di aver raggiunto ciò che speravano, di aver unito le loro labbra di nuovo. Enjolras non aveva mai assaporato la felicità ed ora, con le mani di Grantaire appoggiate sulle sue spalle, sentiva scorrere qualcosa nella sua pelle che non era sangue: erano brividi. L’unico essere che era riuscito a tenergli testa, ora, l’aveva completamente annientato. E non si stava ribellando: la vera rivoluzione era quella, la pace, che questa volta era una pace interiore.
<< Ora ho capito… >> Sussurrò ad un tratto il biondo, con un’intonazione nella voce che nessuno prima d’ora aveva avuto con Grantaire.
<< Cos’hai capito? >> Chiese lui, ridacchiando teneramente.
<< Perchè ti ho permesso di afferrare la mia mano nella Camera dei Segreti. >>
Un solo bacio non era bastato.
Con le dita intrecciate e i cuori sanguinanti continuarono ad assaporarsi, fino a dover fuggire in un posto tutto loro per non essere disturbati. La Stanza delle Necessità li accolse senza far rumore, perchè, dopotutto, l’amore era diventato un bisogno impellente.
 
La loro avventura si concluse in questo modo. Con amore. Tutto l’odio che avevano provato era stato annientato e ucciso, e finalmente, senza magie, era riuscito a nascere qualcosa di buono lì dentro. Cosette e Marius continuarono a trovarsi ogni sera in guferia, per rubare le stelle al cielo e i baci alle proprie bocche. Jehan scrisse circa un centinaio di poesie per Courfeyrac, che a sua volta gli dedicava ogni partita di Quidditch. Joly e Bossuet andarono avanti a sbagli e a vittorie, reputandosi con un pizzico di orgoglio la coppia più bizzarra di Hogwarts. Eponine e Bahorel istituirono un primo club interno alla scuola, il “Club dei Duellanti”, che dedicarono alla loro eterna e meravigliosa cocciutaggine. Feuilly, Musichetta e Combeferre, inspiegabilmente diedero vita ad un’amicizia senza limiti (forse Feuilly e Musichetta anche qualcosa di più) ed Enjolras e Grantaire, oramai completamente travolti dal loro amore, passavano tutto il loro tempo nel parco la notte, ad incidere ogni giorno qualcosa di diverso sugli alberi. Enjolras trovava questa cosa rivoltante, ma lo accettò. Dopotutto si trattava di Grantaire.
Ne avrebbero passate tante altre e insieme avrebbero fatto faville: quel gruppo di amici, così travagliato e rivoluzionario per i tempi che correvano, avrebbe continuato a restare unito, finché la morte non li avrebbe separati.

 
 
 
 
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E finalmente, dopo tre settimane, riesco a postare, ahimé, l’ultimo capitolo di questa Fic. Sono stata travolta dal così detto “Blocco dello scrittore causato dal ritorno a scuola”, ma finalmente ce l’ho fatta belle mie! (:
E’ finita. Non ci credo ancora, ma ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta a scrivere questa storia che sembrava veramente impossibile e sono davvero, davvero contenta di avervi fatto provare qualche emozione <3 Grazie a tutte quelle che hanno recensito, seguito e preferito o che hanno anche semplicemente letto per caso uno o due capitoli! (: …Spero che questo finale altamente diabetico e “poetico” vi sia piaciuto, ho cercato di mettercela davvero tutta <3
Come al solito, vi saluto dicendo ho già parecchie idee per le prossime fan fiction, in particolare per una che sarà letteralmente diversa da quelle che ho scritte fino ad ora, molto più leggera e divertente (: Grazie ancora bellezze! Il meglio Fandom! <3
p.s. spero presto di rispondere alle recensioni ahahah –w-
Un bacione enorme!
_Noodle
  
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