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Autore: suni    09/06/2008    6 recensioni
Insomma, Ronald Weasley era un ragazzo che aveva formulato più tipi di ipotesi, anche variegate, per il proprio futuro. Ma nessuna, nemmeno la più strana, di tutte quelle immagini proiettate nel domani aveva previsto la realtà. In nessuno dei suoi futuri ideali Ron s’era mai immaginato come comproprietario e cogestore di un negozio di scherzi. Perché quello…
Quello non era il suo posto. Semplicemente.
(Spoiler 7° libro)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Weasley, George Weasley, Harry Potter, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve a tutti.

So che la lentezza con cui questa storia procede è vergognosa. Me ne scuso. In verità ce n’è già un bel pezzo imbastito, ma non ho mai il tempo e la concentrazione per lavorarci su seriamente, perché confesso che non mi è facile gestire questi personaggi a cui non sono abituata. A questo proposito, ho corretto le imprecisioni del capitolo precedente. Non mi ricordavo proprio che Harry avesse parlato a Ron dei soldi del Tremaghi e ringrazio Dragonball93 e Lill che me l’hanno fatto notare.

Adesso, invece, vi lascio alla coppia del secolo (…).






Harry


“Avanti!” esclamò la voce di George, quando lui ebbe bussato discretamente alla porta.

Harry sospirò, schiarendosi la voce per rispondere. Visto quanto Ron era sembrato sollevato dalla sua idea di affrontare personalmente il discorso vendita del negozio col fratello maggiore, aveva ritenuto fosse una buon idea quella di farlo il prima possibile. Tutto sommato, però, non si sentiva tranquillo. Non era molto dotato nel rapportarsi con la gente.

“Ciao!” lo salutò titubante, augurandosi di non disturbarlo troppo. “Posso?” chiese, esitando.

Udì un leggero tramestio provenire dall’interno ed attese, paziente. Realisticamente George si stava alzando dal letto in quel momento, perché non muoveva mai un muscolo fino alle due di pomeriggio se non era obbligato. E al momento era solo mezzogiorno.

“Certo, vieni,” invitò la sua voce noncurante dall’interno.

Harry si avventurò nella stanza dando mostra di una certa allegra baldanza, gli occhi smeraldini che scorrevano sul pigiama sbilenco di George, che penzolava depresso sul suo corpo ossuto e troppo magro, risalivano sul viso scavato e gonfio di sonno per posarsi infine con un moto di simpatia, dovuta alla comprensione del problema, sull’inguardabile casco di capelli rossi che gli stavano ritti in testa, e che potevano quasi fare la sua invidia tanto erano arruffati.

“Dormivi?” chiese tentennando.

George scosse la testa, vago.

“No, io stavo…” iniziò, interrompendosi in preda all’imbarazzo.

“Certo,” intervenne Harry annuendo comprensivo, e cavandolo d’impiccio. Aveva un’idea di quel che stava facendo: guardava in aria e pensava a Fred, un classico dell’ultimo anno e mezzo.

“Come mai da queste parti?” chiese George vago, sollevando dei vestiti sporchi dalla poltrona perché lui potesse sedersi; rimase impalato in mezzo alla stanza per un paio di secondi, con quella bracciata di abiti di cui non sapeva che fare, quindi li lanciò semplicemente sul letto, disegnando una parabola di calzini, mutande e maglioni che andarono a cadere disordinatamente tra le lenzuola disfatte.

Harry si sedette, con leggero disagio.

“Sono passato a salutare Ron,” spiegò, seguendo con uno sguardo inespressivo il volo della biancheria di George, “perché ho il pomeriggio libero,” concluse cordiale, mentre il gemello, noncurante, raggiungeva coperte, vestiti e tutto il resto accoccolandosi sul proprio letto. “E ho pensato di fare un salto di sopra a salutarti,” aggiunse, allegro.

George annuì, pensoso.

Questa era una cosa particolarmente difficile dell’avere a che fare con George Weasley da un anno e mezzo a quella parte: fare conversazione con lui si riduceva a prodursi in lunghi monologhi, inframmezzati dai suoi cenni di assenso o dissenso e da qualche rara sillaba smozzicata sottovoce. Harry odiava essere il centro di qualunque situazione, ma con George lo si era per forza, perché lui c’era sempre soltanto a metà.

“E ho visto i nuovi articoli,” aggiunse svagato. “Sono…ehm…molto interessanti. L’inchiostro urticante vi procurerà un bel po’ di nemici,” continuò, con impegno.

George annuì nuovamente, giocherellando con l’orlo di un paio di pantaloni.

Aveva sempre lo sguardo talmente fisso che non si capiva mai bene se stesse ascoltando o meno.

Harry si sistemò gli occhiali, inspirando lungamente.

“Ieri sera ho cenato con Ron a Hogsmeade,” proseguì, come se l’informazione fosse d’importanza capitale. “Abbiamo incontrato Oliver, sai? Era in uscita con due della squadra,” aggiunse con enfasi.

“Bene,” commentò George, quasi tra sé.

Harry sbuffò, rassegnato. Decisamente, stabilì, l’impresa superava le sue capacità.

“Vuoi vendere il negozio, allora?” chiese diretto, diventando serio.

George sussultò, senza riuscire a sostenere il sguardo, e prese a fissarsi le dita di un piede.

“Te l’ha detto Ron?” mormorò, con aria colpevole.

Harry annuì, senza dire altro.

George continuava a guardare in terra e la situazione sarebbe potuta rimanere invariata forse per giorni interi, con Harry che osservava l’interlocutore senza sapere come andare avanti e George che studiava nel pavimento presumibilmente immerso nei bei ricordi di un passato che un destino malvagio e accanito gli aveva rubato. Invece qualcosa esplose al piano di sotto, riscuotendoli entrambi.

“Sì, voglio vendere,” ammise George, sottovoce.

Harry espirò rumorosamente, meditabondo.

“Perché? Cioè, pensi che ti farà sentire meglio? Se è così, certo, capisco benis…” iniziò, con fare comprensivo.

“No,” lo interruppe George cupo.

“No?” ripeté Harry spiazzato. “…Sinceramente pensavo fosse questo il motivo,” commentò, senza sapere bene come vedere la cosa.

“Parlando seriamente, tu pensi davvero che esista al mondo qualcosa che potrebbe farmi sentire meglio, Harry?”

Era la frase più lunga che George gli avesse rivolto da mesi, almeno dalla primavera precedente, ma lo lasciò senza parole e avvilito.

“Non so,” borbottò, incerto. “Però allora, scusami, ma non sono d’accordo. In fondo… cioè, non è quello che…vorrebbe Fred, immagino,” aggiunse, meditabondo.

George sollevò lo sguardo su di lui, ed Harry ci lesse odio.

“Tu non ne sai niente, di cosa vorrebbe Fred,” ringhiò, con voce sorda.

“Certo, certo,” si affrettò a replicare il Ragazzo Sopravvissuto, alzando le mani in propria difesa e rendendosi conto di aver decisamente sbagliato commento. “Volevo dir…”

“Vattene, Harry,” intimò l’altro, coprendosi il viso con le mani.

Lui spalancò la bocca, desolato.

A-aspetta, dai, non avevo intenzione di…” biascicò con dispiacere.

Vattene. Adesso,” ripeté Fred rannicchiandosi contro le proprie ginocchia.

Lui si alzò in piedi, con immensa vergogna. Fece un passo verso la porta, poi serrò i pugni e si riavvicinò, riprendendo coraggio. Era pur sempre Harry Potter, per quanto spesso gli fosse scomodo. Non si fermava facilmente, nel bene e nel male.

“Sono venuto a parlarti perché ho detto a Ron che ti avrebbe fatto bene, e se ora vedrà che è vero l’esatto contrario ci rimarrà male come un cane,” affermò, con soggezione. “Tuo fratello è preoccupato, George,” continuò solenne.

“I miei rapporti con i miei fratelli, vivi o defunti, non sono cosa che ti competa,” ribatté l’altro bruscamente, tornando a guardarlo senza il minimo interesse.

“Col cazzo,” replicò con risoluzione Harry. “Siete tutta la mia famiglia, ormai. Ops, è vero, non sei l’unico ad aver sepolto dei morti, che coincidenza,” aggiunse, seccamente. Prese fiato, rabbonendosi e avvicinandosi un altro po’. “George, tu ami questo posto. L’avete messo su insieme, e ancora mi ricordo di quando l’avete aperto e di com’eravate felici,” continuò, benevolo.

L’altro chiuse gli occhi e si morse ferocemente le labbra, con sorriso penoso.

Annuì, e da un occhio chiuso gli scivolò fuori una lacrima.

“Se lo vuoi vendere perché hai bisogno di darci un taglio fallo, ma se è solo per lasciarti deperire meglio, allora scusami ma in quanto finanziatore del negozio mi trovi come minimo contrario,” continuò Harry.

“Te li posso restituire, i tuoi soldi,” mormorò George con voce rotta.

“Non è una questione di soldi, e lo sai,” ribatté Harry, caparbio. “Ma i Tiri Vispi sono Fred e George Weasley, e sarebbe orribile se non lo fossero più.”

George si passò una mano sulla fronte, muovendola istericamente.

“Ron non vuole lavorare qui,” tentò, come ultima difesa.

Harry scosse la testa.

“Se un giorno Ron volesse fare altro gli rimangono amici influenti cui rivolgersi, se non trova un altro modo,” ironizzò. “E poi non è vero, Ron vuole lavorare con te.”

“Non rispecchia proprio le sue ambizioni,” ribatté George sarcastico, asciugandosi il viso con una manica.

“Ron vuole tenersi stretto il gemello che gli resta. Questa è una priorità, e sta esattamente seguendo la sua ambizione,” lo contraddisse Harry pacato. Conosceva il proprio migliore amico abbastanza bene da sapere che al momento quanto più gli premeva non fosse fare carriera.

“Quindi tu voti no?” sussurrò George, dopo un lungo silenzio.

“Voto no,” confermò Harry con certezza.

“… Ci penserò, Harry,” bisbigliò l’altro, poggiando la testa sulle mani.

Harry sorrise, sollevato.


Ginny


“Avanti, niente storie,” l’anticipò Molly sbrigativa, calcandosi in testa il cappellino. “Ti ho solo chiesto di accompagnarmi, Ginny,” continuò, con tono autoritario.

La ragazza si sistemò nervosamente i capelli rossi, mordicchiandosi un labbro.

“Preferirei di no, mamma,” obiettò, poggiandosi alla credenza con fare indolente. “Davvero,” aggiunse, più seria.

Sapeva perfettamente che visite familiari troppo frequenti indisponevano suo fratello, che non riusciva più a gestire i rapporti col prossimo, nemmeno quelli con loro; se non fosse stato per Ron ne sarebbe stata davvero preoccupata, ma vedeva il loro legame mantenersi saldo giorno dopo giorno e questo le rendeva qualche speranza.

“Sai che se vado da sola si arrabbierà e mi dirà che lo controllo,” ribatté Molly, afferrando il proprio mantello dall’attaccapanni e poi quello della figlia, cui lo porse con un gesto deciso. “Forza, vestiti,” continuò, e Ginny stava per incollerirsi, e rispondere che no, non sarebbe andata con lei da George e non avrebbe fatto finta che fossero capitate da quelle parti per caso, perché tanto suo fratello era depresso, non stupido, e avrebbe capito perfettamente che era una bugia. Ma mentre sollevava la testa di scatto e spalancava la bocca, il volto irrigidito dal dispetto, incrociò lo sguardo quasi supplichevole e spossato di sua madre, fermo nel suo in una preghiera che non aveva nulla di imperioso o infaticabile come un tempo, ma pareva piuttosto una richiesta d’aiuto, di sostegno.

Sua madre non era più il generale in gonnella di un tempo; era invecchiata, persino dimagrita. I capelli le erano diventati in buona parte bianchi, sul viso si disegnava il dedalo impietoso delle rughe, sempre più evidenti, e gli occhi rilucevano di quella luce stanca e acquosa del declino. Sì, Molly era diventata vecchia. Era successo quasi d’un colpo, iniziato d’improvviso e continuato a velocità anormale per settimane, fino a poi stabilizzarsi in un delicato, lento consumarsi. Ginny sapeva che era cominciato il giorno del funerale. Quel giorno maledetto in cui aveva visto il corpo di Fred calare nella terra per sempre. Era stato un dolore insopportabile, che le aveva aperto qualcosa nel petto che ancora bruciava, a volte.

Tutti loro erano cambiati, quel giorno. Sua madre, suo padre, i suoi fratelli e lei. Erano tutti diventati diversi e negli occhi di ciascuno dei propri familiari Ginny riconosceva la cicatrice che quello strappo brusco avrebbe sempre lasciato anche in lei.

Ma’…” protestò debolmente, risolvendosi ad afferrare il mantello e infilarselo sommariamente.

Molly non le diede retta, limitandosi ad elargirle una pacca benevola. A sua figlia non restò che sospirare debolmente e smaterializzarsi al suo seguito, per poi ricomparire davanti alla vetrina colorata dei Tiri Vispi.

Ron stava mostrando le Puffole ad una giovane cliente e Ginny lo vide distintamente aggrottare la fronte al loro ingresso in negozio. Si morse le labbra, stringendosi appena nelle spalle per indicargli che non poteva farci niente e che non era lì di sua volontà. Sua madre, nel frattempo, aveva salutato il figlio con un cenno caloroso e già marciava verso il retrobottega per dirigersi al piano superiore. Ron sgranò gli occhi.

M-mamma,” la richiamò Ginny, cogliendo il messaggio. “Magari potremmo aspettare che lui scenda, no?” propose noncurante, avventandosi sulla merce esposta come per esaminarla con estremo interesse.

Molly sbuffò, incerta.

“Immagino di sì,” ammise a malincuore.

“Buongiorno, mie donne,” salutò Ron, liberatosi alla bell’e meglio della sua cliente che continuava ad aggirarsi tra gli espositori. “Come mai qui?”

, caro, siamo venute a fare un po’ di spese e già che c’eravamo… Tuo fratello?” interloquì Molly. Ginny sospirò silenziosamente, senza smettere di guardare Ron. Era mortalmente stanca di tutto quello. Avrebbe soltanto voluto che George tornasse ad essere George e che tutto fosse di nuovo a posto.

“Credo stia riposando,” rispose Ron con disinteresse. “Stamattina ci siamo alzati presto perché arrivava il nuovo materiale, e così…”

A Ginny fu sufficiente notare il leggero rossore della sua collottola e il modo in cui distoglieva rapidamente lo sguardo per sapere che stava mentendo. Lui si era alzato presto, mentre George rimaneva in camera. Come sempre. E non stava riposando, semplicemente non si era ancora mosso dal letto.

Si appoggiò al bancone, l’amarezza che le faceva sentire le gambe pesanti. Sapeva che sarebbe andata così ancora prima di uscire di casa. Certe volte non riusciva a capire come si lasciasse convincere da sua madre e partecipare a quelle sortite masochiste, e come Molly potesse davvero persuadersi a credere alle innumerevoli scuse accampate ogni volta da Ron. Ne aveva concluso che di fatto non ci credeva, ma preferiva fingere di sì anche con se stessa: dopotutto era di suo figlio che si trattava.

Sapeva già come sarebbe andata, come sempre: Molly avrebbe cominciato a ventilare l’ipotesi di salire per un veloce saluto; Ron si sarebbe blandamente opposto, cercando invano di trattenerla. Infine, riluttante, avrebbe finito per cedere e sarebbe salito chiedendo loro di sostituirlo per un momento mentre andava a vedere se George era sveglio. Lo avrebbe avvisato della loro visita e il gemello avrebbe fatto qualcosa come pettinarsi e infilarsi dei vestiti per la consueta recita con la madre. Avrebbe mormorato qualche monosillabo e annuito con indifferenza finchè Molly non si fosse convinta di aver fatto il suo dovere.

E per tutto il tempo lei sarebbe rimasta a testa bassa, senza nemmeno riuscire a guardarlo per l’avversione a dover leggere nei suoi occhi la menzogna o ancora peggio, la realtà: ovvero che niente e nessuno lo poteva aiutare, che lei poteva anche essere la sua sorellina Ginny ma che questo non incideva sostanzialmente sulla situazione, lei non poteva fare nulla per lui. Ed era questo, lo straordinario senso d’impotenza, a lasciarla con le lacrime agli occhi ad ogni loro incontro: non il dolore per la morte di Fred, né la sensazione di abbandono dovuta alla sua conseguenze lontananza, ma solo la consapevolezza immutabile della propria inutilità.

Chissà se George lo avrebbe mai capito.

“…Complimenti. Mi sono sentita così fiera di voi!” stava raccontando Molly quando lei si riscosse dai propri pensieri.

“Sono contento. Stiamo lavorando sodo,” rispondeva suo fratello, distratto dal preparare la ricevuta per la ragazzina che gli aveva porto timidamente i propri acquisti.

“Penso che potrei salire a fare un saluto, no?” aggiunse Molly, come da copione.

“Non so, mamma. Credo davvero che George dorma,” provò ad obiettare Ron.

Quella battute già scritte da mesi erano insopportabili, per Ginny. Le facevano venire voglia solo di abbracciare Harry e di piangere, non sapeva bene in che ordine.

“Oh… Certo. Ma…” balbettò Molly insicura, tormentandosi le mani.

“Mamma,” la interruppe Ron lapidario, con insolita decisione. “Davvero, George era molto stanco. Sta dormendo.”

Ginny lo guardò sorpresa. Solitamente non era affatto così definitivo, né usava quel tono tanto brusco. Sua madre dovette avere la stessa sensazione, perchè lo guardo quasi ferita. Un tempo avrebbe replicato vivacemente e fatto di testa propria, ma stavolta si limitò ad annuire debolmente, rammaricata.

“Digli…digli che siamo passate. Ginny, tu resta pure un po’ con tuo fratello, io continuo le compere,” rispose, rassegnata.

E anche la mitezza di Molly, anche quella le risultava ormai dolorosa. Annuì senza convinzione, mentre sua madre baciava Ron sulla guancia prima di uscire quasi frettolosamente.

“Cos’è questa novità?” chiese lei, quando l’ebbe vista sparire.

“Quale novità?” replicò il fratello, tenendo d’occhio due ragazzini che gravitavano intorno alle Caccabombe.

“Lo sai,” mormorò lei telegrafica.

Ron sbuffò, stropicciandosi i capelli.

“Prima è passato Harry,” accennò.

Ginny lo guardò perplessa, non riuscendo a capire il nesso tra la presenza del suo ragazzo e il rifiuto di Ron a disturbare George. Le due cose non avevano molto a che fare.

“Quindi?”

Ron sospirò stancamente, togliendo dal piano della cassa della polvere inesistente.

“Quindi niente. E’ venuto a parlare con George. Avevano delle cose da discutere e da quanto mi ha detto il tuo cavaliere dopo, preferisco lasciarlo in pace, per oggi.”

Ronald era ermetico, come al solito. Ma lei corrugò la fronte, impensierita.

“Di cosa dovevano mai parlare Harry e George?” domandò inquieta.

“Non sono fatti miei. E nemmeno tuoi, Ginny,” la riprese lui con quel fare paterno che le era sempre riuscito insopportabile, sin da quand’erano bambini. Ron Weasley, il signor pressappochismo, che veniva a dirle cosa andava e non andava fatto.

“Merlino, scusa, non pensavo fosse un segreto di stato,” ribatté irritata.

“Non ho detto questo. Solamente, non andare a stressare Harry per farti dire cosa è successo. Non sono cose che ci riguardano, dopotutto,” replicò lui, vagamente inacidito.

“Non ho cinque anni. Non preoccuparti, non darò noia al tuo preziosissimo Harry.”

La freddezza del suo tone di voce parve esasperare Ron, che sbuffò nuovamente.

“Gin, lo so che… Cioè, George è uno schifo, con te in particolare.”

“Tu dici?” commentò lei sarcastica, maledicendo il modo in cui la sua voce tremava.

“Ma lui…loro sono sempre stati i tuoi paladini e adesso per lui…” continuò il fratello agitato, senza nemmeno badarle.

“Va bene così, Ron,” lo interruppe lei mollemente, sollevandosi dal suo appoggio sul bancone. “Sul serio. Era solo curiosità, non ha importanza.”

Si sentiva semplicemente esausta per l’intera situazione. Stabilì che sarebbe andata da Harry e gli avrebbe chiesto di cenare con lei senza toccare l’argomento George, solo per dimenticarsi per qualche ora della sua famiglia, di sua madre e di suo fratello. Per fare finta che fossero una coppia normalissima e sorridergli senza rimuginare sulla saetta bianca che gli deturpava la fronte. Solo Ginny e Harry.

“Ci vediamo in settimana, va bene?” concluse, iniziando a tornare verso l’uscita.

“Sì. Chiedi scusa alla mamma,” confermò Ron con un sorriso colpevole.

Ginny lo ricambiò debolmente, quindi uscì diretta a Grimmauld Place.










Seiryu: Grazie mille… Non pensavo che “Fratello” avesse tanti estimatori. Sinceramente io la sento vecchia, soprattutto nello stile, ma a differenza di altre cose che ho scritto da tanto la vivo ancora molto, perché tratta temi molto sentiti anche per me. Quanto ai Weasley acquisiti, , anche loro fanno parte della famiglia. E non saranno gli unici non-Weasley a comparire, ovviamente ^__^.

Doremichan: non so se ho regalato emozioni, ma spero che la conversazione tra il signor Weasley e il signor Potter sia stata godibile. In ogni caso, ti ringrazio per l’apprezzamento.

sbirolina93: ahm…riguardo alla speranza di aggiornare in fretta, temo di averla un filino disattesa e me scuso. Per il resto sono onoratissima dei complimenti e mi auguro che la coerenza ai caratteri originali si mantenga intatta. In caso contrario spero mi verrà fatto notare. Alla prossima.

lilla4eve: Ciao! Eccomi, con molta lentezza ma eccomi ad accontentarti. Dunque, ho capito cosa intendevi relativamente al superare certi dolori con le proprie forze, ma non so se sono del tutto d’accordo. Ogni volta che nella mia vita mi è capitato di dover affrontare un vero dolore, intendo qualcosa di realmente tragico, non ci sarei riuscita o avrei faticato il triplo senza la vicinanza di determinate persone, che magari sul momento ho odiato per la loro volontà di spronarmi. D’altra paret è difficile avere la giusta misura, quando cerchi di aiutare qualcuno, non esagerare né limitarsi troppo, specie se sei emotivamente coinvolto nel dramma. Penso sia quel genere di cose in cui si tenta, alla cieca, sbagliando e muovendosi a caso. In tutto ciò, certo, è indispensabile avere degli spazi e confrontarsi con se stessi e con la propria sofferenza in modo individuale. Ma vabbè. È un discorso troppo complicato e con troppe variabili legate al caso singolo. Per il resto…sì, in effetti né Harry né Ron nella mia visione sono menti eccelse…però li trovo divertenti e hanno sicuramente uno spirito buono, nel senso più schietto del termine. Mi fa piacere che il capitolo ti abbia rallegrata e spero continuerà così. A presto.

Dragonball93: guarda, condivido parecchie delle cose che dici. Il fatto che anche harry e hermione siano parte della famiglia, il disappunto per la maniera che JK ha avuto di liquidare certi personaggi in maniera per lo meno troppo sbrigativa – non ho ancora letto il settimo libro principalmente per l’episodio Lupin, e a questo punto credo che non lo leggerò mai, perché non ne sento il bisogno – o ancora l’antipatia per quel piantagrane iettatore che è Harry. Guarda, io è dall’Ufficio Misteri in avanti che se potessi gli aprirei la testa a metà e la infilerei nel mixer. Tutta la gente che gli sta intorno crepa in modo insulso, porta una sfiga che non ci si può avvicinare. Ah…cerco di contenermi. Dunque. Dov’eravamo. Ah, sì. Grazie, come ho già detto all’inizio, per aver corretto le mie sviste, ho provveduto a sistemarle. Fammi sapere se c’è altro che non va. Alla prossima.

nameless: ciao a te. Sono molto, molto lusingata per le tue affermazioni, davvero, ma non esageriamo… accipicchia, mi hai quasi messa in imbarazzo ^__^. Ecco il capitolo, che spero ti sia stato altrettanto gradevole leggere e che abbia saputo nuovamente coinvolgerti. Ciao!

Lill: è esatto quello che dici relativamente alle parole di George. Effettivamente il dire una cosa simile è di per sé un sintomo di ribellione alla propria condizione, e tutta questa storia, che attualmente pare tanto deprimente, è la narrazione di una rinascita che prende il via proprio in quel momento. La conversazione di George e Ron alla fine del primo capitolo è un momento di catarsi, perché pensare di voler morire è facile, ma dirlo – ammetterlo – non lo è altrettanto, e di solito significa anche un desiderio di qualcosa, o qualcuno, che ti aiuti. Scusa lo sproloquio, ma mi ha fatto davvero piacere leggere quella tua considerazione. E ripeto, grazie per la correzione. A presto.

EDVIGE86: grazie a te per tutte le belle parole. spero che la conversazione di Harry e George sia stata di tuo gusto e che questo nuovo spaccato abbia continuato ad essere coerente. Ho qualche dubbio su Ginny, anche perché non amo il personaggio, e mi auguro non sia uscita fuori un’accozzaglia di scemenze. A parte tutto, comunque, sono onorata. Ciao.

Cialy:..oooh, tu… che bello. Dunque, dunque, dunque, quante cose belle e rallegranti che mi dici. Ah, sapevo che almeno tu avresti sofferto con me per la citazione di Sirius e Remus, che bello. Non riesco mai, mai a fare a meno di citarli almeno en passant per ricordare al mondo quant’è povero e sfortunato ad averli persi. Ahm. Comunque. Harry è IC? Ho paura che mi sfugga di mano. Lo capirei anche, se mi sfuggisse: visto che lo detesto deve aver paura che gli faccia fare la figura dell’idiota. Spero molto che, se leggerai, continuerà ad aggradarti quel che vedi. Un saluto, e in bocca al lupo per qualunque progetto tu stia portando avanti nei meandri del net, e che sicuramente sarà strabiliante come ogni tua cosa. Ciao.

Akira14: ma tu guarda che stranezza…io che faccio rivalutare Harry alla gente, proprio una roba assurda. E agghiacciante. Credo mi mozzerò tutte e dieci le dita per non scrivere mai più qualcosa che provochi un simile abominio. ^__^ fesserie a parte, nemmeno a me lui piace molto, ma cerco di essere oggettiva. In fondo ha avuto una vita difficile ma anche del coraggio. E da buona Gryffindor, stimo i coraggiosi oltre ogni cosa. Ti ringrazio per tutte le altre osservazioni positive e spero che anche nel tuo caso il confronto tra i due sia stato piacevole.

Ciao a tutti

   
 
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