Salve
a tutti.
So
che la lentezza con cui questa storia procede è vergognosa. Me ne scuso.
In verità ce n’è già un bel pezzo imbastito, ma non
ho mai il tempo e la concentrazione per lavorarci su seriamente, perché confesso
che non mi è facile gestire questi personaggi a cui non sono abituata. A
questo proposito, ho corretto le imprecisioni del capitolo precedente. Non mi
ricordavo proprio che Harry avesse parlato a Ron dei soldi del Tremaghi e ringrazio Dragonball93 e Lill
che me l’hanno fatto notare.
Adesso,
invece, vi lascio alla coppia del secolo (…).
Harry
“Avanti!”
esclamò la voce di George, quando lui ebbe bussato discretamente alla
porta.
Harry
sospirò, schiarendosi la voce per rispondere. Visto quanto Ron era
sembrato sollevato dalla sua idea di affrontare personalmente il discorso
vendita del negozio col fratello maggiore, aveva ritenuto fosse una buon idea
quella di farlo il prima possibile. Tutto sommato, però, non si sentiva
tranquillo. Non era molto dotato nel rapportarsi con la gente.
“Ciao!”
lo salutò titubante, augurandosi di non disturbarlo troppo.
“Posso?” chiese, esitando.
Udì
un leggero tramestio provenire dall’interno ed attese, paziente.
Realisticamente George si stava alzando dal letto in quel momento,
perché non muoveva mai un muscolo fino alle due di pomeriggio se non era
obbligato. E al momento era solo mezzogiorno.
“Certo,
vieni,” invitò la sua voce noncurante dall’interno.
Harry
si avventurò nella stanza dando mostra di una certa allegra baldanza, gli
occhi smeraldini che scorrevano sul pigiama sbilenco di George, che penzolava
depresso sul suo corpo ossuto e troppo magro, risalivano sul viso scavato e gonfio
di sonno per posarsi infine con un moto di simpatia, dovuta alla comprensione
del problema, sull’inguardabile casco di capelli rossi che gli stavano
ritti in testa, e che potevano quasi fare la sua invidia tanto erano arruffati.
“Dormivi?”
chiese tentennando.
George
scosse la testa, vago.
“No,
io stavo…” iniziò, interrompendosi in preda
all’imbarazzo.
“Certo,”
intervenne Harry annuendo comprensivo, e cavandolo d’impiccio. Aveva
un’idea di quel che stava facendo: guardava in aria e pensava a Fred, un
classico dell’ultimo anno e mezzo.
“Come
mai da queste parti?” chiese George vago, sollevando dei vestiti sporchi
dalla poltrona perché lui potesse sedersi; rimase impalato in mezzo alla
stanza per un paio di secondi, con quella bracciata di abiti di cui non sapeva
che fare, quindi li lanciò semplicemente sul letto, disegnando una
parabola di calzini, mutande e maglioni che andarono a cadere disordinatamente
tra le lenzuola disfatte.
Harry
si sedette, con leggero disagio.
“Sono
passato a salutare Ron,” spiegò, seguendo con uno sguardo
inespressivo il volo della biancheria di George, “perché ho il
pomeriggio libero,” concluse cordiale, mentre il gemello, noncurante,
raggiungeva coperte, vestiti e tutto il resto accoccolandosi sul proprio letto.
“E ho pensato di fare un salto di sopra a salutarti,” aggiunse,
allegro.
George
annuì, pensoso.
Questa
era una cosa particolarmente difficile dell’avere a che fare con George
Weasley da un anno e mezzo a quella parte: fare conversazione con lui si
riduceva a prodursi in lunghi monologhi, inframmezzati dai suoi cenni di
assenso o dissenso e da qualche rara sillaba smozzicata sottovoce. Harry odiava
essere il centro di qualunque situazione, ma con George lo si era per forza,
perché lui c’era sempre soltanto a metà.
“E
ho visto i nuovi articoli,” aggiunse svagato.
“Sono…ehm…molto interessanti. L’inchiostro urticante vi
procurerà un bel po’ di nemici,” continuò, con
impegno.
George
annuì nuovamente, giocherellando con l’orlo di un paio di
pantaloni.
Aveva
sempre lo sguardo talmente fisso che non si capiva mai bene se stesse
ascoltando o meno.
Harry
si sistemò gli occhiali, inspirando lungamente.
“Ieri
sera ho cenato con Ron a Hogsmeade,” proseguì,
come se l’informazione fosse d’importanza capitale. “Abbiamo
incontrato Oliver, sai? Era in uscita con due della
squadra,” aggiunse con enfasi.
“Bene,”
commentò George, quasi tra sé.
Harry
sbuffò, rassegnato. Decisamente, stabilì, l’impresa superava le sue
capacità.
“Vuoi
vendere il negozio, allora?” chiese diretto, diventando serio.
George
sussultò, senza riuscire a sostenere il sguardo, e prese a fissarsi le
dita di un piede.
“Te
l’ha detto Ron?” mormorò, con aria colpevole.
Harry
annuì, senza dire altro.
George
continuava a guardare in terra e la situazione sarebbe potuta rimanere
invariata forse per giorni interi, con Harry che osservava
l’interlocutore senza sapere come andare avanti e George che studiava nel
pavimento presumibilmente immerso nei bei ricordi di un passato che un destino
malvagio e accanito gli aveva rubato. Invece qualcosa esplose al piano di
sotto, riscuotendoli entrambi.
“Sì,
voglio vendere,” ammise George, sottovoce.
Harry
espirò rumorosamente, meditabondo.
“Perché?
Cioè, pensi che ti farà sentire meglio? Se è così,
certo, capisco benis…” iniziò, con
fare comprensivo.
“No,”
lo interruppe George cupo.
“No?”
ripeté Harry spiazzato. “…Sinceramente pensavo fosse questo
il motivo,” commentò, senza sapere bene come vedere la cosa.
“Parlando
seriamente, tu pensi davvero che esista al mondo qualcosa che potrebbe farmi
sentire meglio, Harry?”
Era
la frase più lunga che George gli avesse rivolto da mesi, almeno dalla primavera precedente, ma lo lasciò senza
parole e avvilito.
“Non
so,” borbottò, incerto. “Però allora, scusami, ma non
sono d’accordo. In fondo… cioè, non è quello
che…vorrebbe Fred, immagino,” aggiunse, meditabondo.
George
sollevò lo sguardo su di lui, ed Harry ci lesse odio.
“Tu
non ne sai niente, di cosa vorrebbe Fred,” ringhiò, con voce
sorda.
“Certo,
certo,” si affrettò a replicare il Ragazzo Sopravvissuto, alzando
le mani in propria difesa e rendendosi conto di aver decisamente sbagliato
commento. “Volevo dir…”
“Vattene,
Harry,” intimò l’altro, coprendosi il viso con le mani.
Lui
spalancò la bocca, desolato.
“A-aspetta, dai, non avevo intenzione di…”
biascicò con dispiacere.
“Vattene. Adesso,” ripeté
Fred rannicchiandosi contro le proprie ginocchia.
Lui
si alzò in piedi, con immensa vergogna. Fece un passo verso la porta,
poi serrò i pugni e si riavvicinò, riprendendo coraggio. Era pur
sempre Harry Potter, per quanto spesso gli fosse scomodo. Non si fermava
facilmente, nel bene e nel male.
“Sono
venuto a parlarti perché ho detto a Ron che ti avrebbe fatto bene, e se
ora vedrà che è vero l’esatto contrario ci rimarrà
male come un cane,” affermò, con soggezione. “Tuo fratello
è preoccupato, George,” continuò solenne.
“I
miei rapporti con i miei fratelli, vivi o defunti, non sono cosa che ti
competa,” ribatté l’altro bruscamente, tornando a guardarlo
senza il minimo interesse.
“Col
cazzo,” replicò con risoluzione Harry. “Siete tutta la mia
famiglia, ormai. Ops, è vero, non sei
l’unico ad aver sepolto dei morti, che coincidenza,” aggiunse,
seccamente. Prese fiato, rabbonendosi e avvicinandosi un altro po’. “George,
tu ami questo posto. L’avete messo su insieme, e ancora mi ricordo di
quando l’avete aperto e di com’eravate felici,”
continuò, benevolo.
L’altro
chiuse gli occhi e si morse ferocemente le labbra, con sorriso penoso.
Annuì,
e da un occhio chiuso gli scivolò fuori una lacrima.
“Se
lo vuoi vendere perché hai bisogno di darci un taglio fallo, ma se
è solo per lasciarti deperire meglio, allora scusami ma in quanto
finanziatore del negozio mi trovi come minimo contrario,” continuò
Harry.
“Te
li posso restituire, i tuoi soldi,” mormorò George con voce rotta.
“Non
è una questione di soldi, e lo sai,” ribatté Harry,
caparbio. “Ma i Tiri Vispi sono Fred
e George Weasley, e sarebbe orribile se non lo fossero più.”
George
si passò una mano sulla fronte, muovendola istericamente.
“Ron
non vuole lavorare qui,” tentò, come ultima difesa.
Harry
scosse la testa.
“Se
un giorno Ron volesse fare altro gli rimangono amici influenti cui rivolgersi,
se non trova un altro modo,” ironizzò. “E poi non è
vero, Ron vuole lavorare con te.”
“Non
rispecchia proprio le sue ambizioni,” ribatté George sarcastico,
asciugandosi il viso con una manica.
“Ron
vuole tenersi stretto il gemello che gli resta. Questa è una
priorità, e sta esattamente
seguendo la sua ambizione,” lo contraddisse Harry pacato. Conosceva il
proprio migliore amico abbastanza bene da sapere che al momento quanto
più gli premeva non fosse fare carriera.
“Quindi
tu voti no?” sussurrò George, dopo un lungo silenzio.
“Voto
no,” confermò Harry con certezza.
“…
Ci penserò, Harry,” bisbigliò l’altro, poggiando la
testa sulle mani.
Harry
sorrise, sollevato.
Ginny
“Avanti,
niente storie,” l’anticipò Molly sbrigativa, calcandosi in
testa il cappellino. “Ti ho solo chiesto di accompagnarmi, Ginny,” continuò, con tono autoritario.
La
ragazza si sistemò nervosamente i capelli rossi, mordicchiandosi un
labbro.
“Preferirei
di no, mamma,” obiettò, poggiandosi alla credenza con fare
indolente. “Davvero,” aggiunse, più seria.
Sapeva
perfettamente che visite familiari troppo
frequenti indisponevano suo fratello, che non riusciva più a gestire i
rapporti col prossimo, nemmeno quelli con loro; se non fosse stato per Ron ne
sarebbe stata davvero preoccupata, ma vedeva il loro legame mantenersi saldo
giorno dopo giorno e questo le rendeva qualche speranza.
“Sai
che se vado da sola si arrabbierà e mi dirà che lo
controllo,” ribatté Molly, afferrando il proprio mantello
dall’attaccapanni e poi quello della figlia, cui lo porse con un gesto
deciso. “Forza, vestiti,” continuò, e Ginny
stava per incollerirsi, e rispondere che no, non sarebbe andata con lei da
George e non avrebbe fatto finta che fossero capitate da quelle parti per caso,
perché tanto suo fratello era depresso, non stupido, e avrebbe capito
perfettamente che era una bugia. Ma mentre sollevava la testa di scatto e spalancava
la bocca, il volto irrigidito dal dispetto, incrociò lo sguardo quasi
supplichevole e spossato di sua madre, fermo nel suo in una preghiera che non
aveva nulla di imperioso o infaticabile come un tempo, ma pareva piuttosto una
richiesta d’aiuto, di sostegno.
Sua
madre non era più il generale in gonnella di un tempo; era invecchiata,
persino dimagrita. I capelli le erano diventati in buona parte bianchi, sul
viso si disegnava il dedalo impietoso delle rughe, sempre più evidenti,
e gli occhi rilucevano di quella luce stanca e acquosa del declino. Sì,
Molly era diventata vecchia. Era successo quasi d’un colpo, iniziato
d’improvviso e continuato a velocità anormale per settimane, fino
a poi stabilizzarsi in un delicato, lento consumarsi. Ginny
sapeva che era cominciato il giorno del funerale. Quel giorno maledetto in cui
aveva visto il corpo di Fred calare nella terra per sempre. Era stato un dolore
insopportabile, che le aveva aperto qualcosa nel petto che ancora bruciava, a
volte.
Tutti
loro erano cambiati, quel giorno. Sua madre, suo padre, i suoi fratelli e lei.
Erano tutti diventati diversi e negli occhi di ciascuno dei propri familiari Ginny riconosceva la cicatrice che quello strappo brusco
avrebbe sempre lasciato anche in lei.
“Ma’…”
protestò debolmente, risolvendosi ad afferrare il mantello e infilarselo
sommariamente.
Molly non le diede retta, limitandosi ad
elargirle una pacca benevola. A sua figlia non restò che sospirare
debolmente e smaterializzarsi al suo seguito, per poi ricomparire davanti alla
vetrina colorata dei Tiri Vispi.
Ron stava mostrando le Puffole
ad una giovane cliente e Ginny lo vide distintamente
aggrottare la fronte al loro ingresso in negozio. Si morse le labbra,
stringendosi appena nelle spalle per indicargli che non poteva farci niente e
che non era lì di sua volontà. Sua madre, nel frattempo, aveva
salutato il figlio con un cenno caloroso e già marciava verso il
retrobottega per dirigersi al piano superiore. Ron sgranò gli occhi.
“M-mamma,”
la richiamò Ginny, cogliendo il messaggio.
“Magari potremmo aspettare che lui scenda, no?” propose noncurante,
avventandosi sulla merce esposta come per esaminarla con estremo interesse.
Molly
sbuffò, incerta.
“Immagino
di sì,” ammise a malincuore.
“Buongiorno,
mie donne,” salutò Ron, liberatosi alla bell’e
meglio della sua cliente che continuava ad aggirarsi tra gli espositori.
“Come mai qui?”
“Bè, caro, siamo venute a fare un po’ di spese
e già che c’eravamo… Tuo fratello?” interloquì
Molly. Ginny sospirò silenziosamente, senza
smettere di guardare Ron. Era mortalmente stanca di tutto quello. Avrebbe
soltanto voluto che George tornasse ad essere George e che tutto fosse di nuovo
a posto.
“Credo
stia riposando,” rispose Ron con disinteresse. “Stamattina ci siamo
alzati presto perché arrivava il nuovo materiale, e
così…”
A
Ginny fu sufficiente notare il leggero rossore della
sua collottola e il modo in cui distoglieva rapidamente lo sguardo per sapere
che stava mentendo. Lui si era alzato
presto, mentre George rimaneva in camera. Come sempre. E non stava riposando,
semplicemente non si era ancora mosso dal letto.
Si
appoggiò al bancone, l’amarezza che le faceva sentire le gambe
pesanti. Sapeva che sarebbe andata così ancora prima di uscire di casa.
Certe volte non riusciva a capire come si lasciasse convincere da sua madre e
partecipare a quelle sortite masochiste, e come Molly potesse davvero
persuadersi a credere alle innumerevoli scuse accampate ogni volta da Ron. Ne
aveva concluso che di fatto non ci credeva, ma preferiva fingere di sì
anche con se stessa: dopotutto era di suo figlio che si trattava.
Sapeva
già come sarebbe andata, come sempre: Molly avrebbe cominciato a
ventilare l’ipotesi di salire per un veloce saluto; Ron si sarebbe
blandamente opposto, cercando invano di trattenerla. Infine, riluttante,
avrebbe finito per cedere e sarebbe salito chiedendo loro di sostituirlo per un
momento mentre andava a vedere se George
era sveglio. Lo avrebbe avvisato della loro visita e il gemello avrebbe
fatto qualcosa come pettinarsi e infilarsi dei vestiti per la consueta recita
con la madre. Avrebbe mormorato qualche monosillabo e annuito con indifferenza finchè Molly non si fosse convinta di aver fatto il
suo dovere.
E
per tutto il tempo lei sarebbe rimasta a testa bassa, senza nemmeno riuscire a
guardarlo per l’avversione a dover leggere nei suoi occhi la menzogna o
ancora peggio, la realtà: ovvero che niente e nessuno lo poteva aiutare,
che lei poteva anche essere la sua sorellina Ginny ma
che questo non incideva sostanzialmente sulla situazione, lei non poteva fare
nulla per lui. Ed era questo, lo straordinario senso d’impotenza, a
lasciarla con le lacrime agli occhi ad ogni loro incontro: non il dolore per la
morte di Fred, né la sensazione di abbandono dovuta alla sua conseguenze
lontananza, ma solo la consapevolezza immutabile della propria
inutilità.
Chissà
se George lo avrebbe mai capito.
“…Complimenti.
Mi sono sentita così fiera di voi!” stava raccontando Molly quando
lei si riscosse dai propri pensieri.
“Sono
contento. Stiamo lavorando sodo,” rispondeva suo fratello, distratto dal
preparare la ricevuta per la ragazzina che gli aveva porto timidamente i propri
acquisti.
“Penso
che potrei salire a fare un saluto, no?” aggiunse Molly, come da copione.
“Non
so, mamma. Credo davvero che George dorma,” provò ad obiettare
Ron.
Quella
battute già scritte da mesi erano insopportabili, per Ginny. Le facevano venire voglia solo di abbracciare Harry
e di piangere, non sapeva bene in che ordine.
“Oh…
Certo. Ma…” balbettò Molly insicura, tormentandosi le mani.
“Mamma,”
la interruppe Ron lapidario, con insolita decisione. “Davvero, George era
molto stanco. Sta dormendo.”
Ginny lo guardò sorpresa. Solitamente non era affatto
così definitivo, né usava quel tono tanto brusco. Sua madre
dovette avere la stessa sensazione, perchè lo guardo quasi ferita. Un
tempo avrebbe replicato vivacemente e fatto di testa propria, ma stavolta si
limitò ad annuire debolmente, rammaricata.
“Digli…digli
che siamo passate. Ginny, tu resta pure un po’
con tuo fratello, io continuo le compere,” rispose, rassegnata.
E
anche la mitezza di Molly, anche quella le risultava ormai dolorosa.
Annuì senza convinzione, mentre sua madre baciava Ron sulla guancia
prima di uscire quasi frettolosamente.
“Cos’è
questa novità?” chiese lei, quando l’ebbe vista sparire.
“Quale
novità?” replicò il fratello, tenendo d’occhio due
ragazzini che gravitavano intorno alle Caccabombe.
“Lo
sai,” mormorò lei telegrafica.
Ron
sbuffò, stropicciandosi i capelli.
“Prima
è passato Harry,” accennò.
Ginny lo guardò perplessa, non riuscendo a capire il nesso tra
la presenza del suo ragazzo e il rifiuto di Ron a disturbare George. Le due
cose non avevano molto a che fare.
“Quindi?”
Ron
sospirò stancamente, togliendo dal piano della cassa della polvere
inesistente.
“Quindi
niente. E’ venuto a parlare con George. Avevano delle cose da discutere e
da quanto mi ha detto il tuo
cavaliere dopo, preferisco lasciarlo in pace, per oggi.”
Ronald
era ermetico, come al solito. Ma lei corrugò la fronte, impensierita.
“Di
cosa dovevano mai parlare Harry e George?” domandò inquieta.
“Non
sono fatti miei. E nemmeno tuoi, Ginny,” la
riprese lui con quel fare paterno che le era sempre riuscito insopportabile,
sin da quand’erano bambini. Ron Weasley, il signor pressappochismo, che
veniva a dirle cosa andava e non andava fatto.
“Merlino,
scusa, non pensavo fosse un segreto di stato,” ribatté irritata.
“Non
ho detto questo. Solamente, non andare a stressare Harry per farti dire cosa
è successo. Non sono cose che ci riguardano, dopotutto,”
replicò lui, vagamente inacidito.
“Non
ho cinque anni. Non preoccuparti, non darò noia al tuo preziosissimo
Harry.”
La
freddezza del suo tone di voce parve esasperare Ron, che sbuffò
nuovamente.
“Gin,
lo so che… Cioè, George è uno schifo, con te in
particolare.”
“Tu
dici?” commentò lei sarcastica, maledicendo il modo in cui la sua
voce tremava.
“Ma
lui…loro sono sempre stati i tuoi paladini e adesso per lui…”
continuò il fratello agitato, senza nemmeno badarle.
“Va
bene così, Ron,” lo interruppe lei mollemente, sollevandosi dal suo
appoggio sul bancone. “Sul serio. Era solo curiosità, non ha
importanza.”
Si
sentiva semplicemente esausta per l’intera situazione. Stabilì che
sarebbe andata da Harry e gli avrebbe chiesto di cenare con lei senza toccare
l’argomento George, solo per dimenticarsi per qualche ora della sua
famiglia, di sua madre e di suo fratello. Per fare finta che fossero una coppia
normalissima e sorridergli senza rimuginare sulla saetta bianca che gli
deturpava la fronte. Solo Ginny e Harry.
“Ci
vediamo in settimana, va bene?” concluse, iniziando a tornare verso
l’uscita.
“Sì.
Chiedi scusa alla mamma,” confermò Ron con un sorriso colpevole.
Ginny lo ricambiò debolmente, quindi uscì diretta a
Grimmauld Place.
Seiryu: Grazie mille… Non pensavo che “Fratello”
avesse tanti estimatori. Sinceramente io la sento vecchia, soprattutto nello
stile, ma a differenza di altre cose che ho scritto da tanto la vivo ancora
molto, perché tratta temi molto sentiti anche per me. Quanto ai Weasley
acquisiti, bè, anche loro fanno parte della
famiglia. E non saranno gli unici non-Weasley a comparire, ovviamente ^__^.
Doremichan: non so se ho regalato emozioni, ma spero che la
conversazione tra il signor Weasley e il signor Potter sia stata godibile. In ogni
caso, ti ringrazio per l’apprezzamento.
sbirolina93: ahm…riguardo alla speranza
di aggiornare in fretta, temo di averla un filino disattesa e me scuso. Per il
resto sono onoratissima dei complimenti e mi auguro che la coerenza ai
caratteri originali si mantenga intatta. In caso contrario spero mi
verrà fatto notare. Alla prossima.
lilla4eve: Ciao! Eccomi, con molta
lentezza ma eccomi ad accontentarti. Dunque, ho capito cosa intendevi
relativamente al superare certi dolori con le proprie forze, ma non so se sono
del tutto d’accordo. Ogni volta che nella mia vita mi è capitato
di dover affrontare un vero dolore, intendo qualcosa di realmente tragico, non
ci sarei riuscita o avrei faticato il triplo senza la vicinanza di determinate
persone, che magari sul momento ho odiato per la loro volontà di
spronarmi. D’altra paret è difficile
avere la giusta misura, quando cerchi di aiutare qualcuno, non esagerare né
limitarsi troppo, specie se sei emotivamente coinvolto nel dramma. Penso sia
quel genere di cose in cui si tenta, alla cieca, sbagliando e muovendosi a
caso. In tutto ciò, certo, è indispensabile avere degli spazi e
confrontarsi con se stessi e con la propria sofferenza in modo individuale. Ma vabbè. È un discorso troppo complicato e con
troppe variabili legate al caso singolo. Per il resto…sì, in
effetti né Harry né Ron nella mia visione sono menti eccelse…però
li trovo divertenti e hanno sicuramente uno spirito buono, nel senso più
schietto del termine. Mi fa piacere che il capitolo ti abbia rallegrata e spero
continuerà così. A presto.
Dragonball93: guarda, condivido parecchie
delle cose che dici. Il fatto che anche harry e hermione siano parte della
famiglia, il disappunto per la maniera che JK ha avuto di liquidare certi
personaggi in maniera per lo meno troppo sbrigativa – non ho ancora letto
il settimo libro principalmente per l’episodio Lupin, e a questo punto
credo che non lo leggerò mai, perché non ne sento il bisogno –
o ancora l’antipatia per quel piantagrane iettatore che è Harry.
Guarda, io è dall’Ufficio Misteri in avanti che se potessi gli
aprirei la testa a metà e la infilerei nel mixer. Tutta la gente che gli
sta intorno crepa in modo insulso, porta una sfiga che non ci si può
avvicinare. Ah…cerco di contenermi. Dunque. Dov’eravamo. Ah,
sì. Grazie, come ho già detto all’inizio, per aver corretto
le mie sviste, ho provveduto a sistemarle. Fammi sapere se c’è
altro che non va. Alla prossima.
nameless: ciao a te. Sono molto, molto lusingata per le tue
affermazioni, davvero, ma non esageriamo… accipicchia, mi hai quasi messa
in imbarazzo ^__^. Ecco il capitolo, che spero ti sia stato altrettanto
gradevole leggere e che abbia saputo nuovamente coinvolgerti. Ciao!
Lill: è esatto quello che dici relativamente alle parole di
George. Effettivamente il dire una cosa simile è di per sé un
sintomo di ribellione alla propria condizione, e tutta questa storia, che attualmente
pare tanto deprimente, è la narrazione di una rinascita che prende il
via proprio in quel momento. La conversazione di George e Ron alla fine del
primo capitolo è un momento di catarsi, perché pensare di voler
morire è facile, ma dirlo – ammetterlo – non lo è
altrettanto, e di solito significa anche un desiderio di qualcosa, o qualcuno,
che ti aiuti. Scusa lo sproloquio, ma mi ha fatto davvero piacere leggere
quella tua considerazione. E ripeto, grazie per la correzione. A presto.
EDVIGE86: grazie a te per tutte le
belle parole. spero che la conversazione di Harry e George sia stata di tuo
gusto e che questo nuovo spaccato abbia continuato ad essere coerente. Ho qualche
dubbio su Ginny, anche perché non amo il
personaggio, e mi auguro non sia uscita fuori un’accozzaglia di scemenze.
A parte tutto, comunque, sono onorata. Ciao.
Cialy:..oooh, tu… che bello. Dunque,
dunque, dunque, quante cose belle e rallegranti che mi dici. Ah, sapevo che
almeno tu avresti sofferto con me per la citazione di Sirius e Remus, che
bello. Non riesco mai, mai a fare a meno di citarli almeno en passant per ricordare al mondo quant’è
povero e sfortunato ad averli persi. Ahm. Comunque. Harry è IC? Ho paura
che mi sfugga di mano. Lo capirei anche, se mi sfuggisse: visto che lo detesto
deve aver paura che gli faccia fare la figura dell’idiota. Spero molto
che, se leggerai, continuerà ad aggradarti quel che vedi. Un saluto, e
in bocca al lupo per qualunque progetto tu stia portando avanti nei meandri del
net, e che sicuramente sarà strabiliante come ogni tua cosa. Ciao.
Akira14: ma tu guarda che stranezza…io
che faccio rivalutare Harry alla gente, proprio una roba assurda. E agghiacciante.
Credo mi mozzerò tutte e dieci le dita per non scrivere mai più
qualcosa che provochi un simile abominio. ^__^ fesserie a parte, nemmeno a me
lui piace molto, ma cerco di essere oggettiva. In fondo ha avuto una vita
difficile ma anche del coraggio. E da buona Gryffindor,
stimo i coraggiosi oltre ogni cosa. Ti ringrazio per tutte le altre
osservazioni positive e spero che anche nel tuo caso il confronto tra i due sia
stato piacevole.
Ciao a tutti