La Rosa della Morte
Capitolo 1; Dove facciamo la conoscenza dei personaggi principali
Il capitolo dove si presentano Rebecca, Jennipher, Richard e Philip, che sono poi i protagonisti.
Quella
mattina, i raggi pallidi del sole inglese riuscirono ad attraversare la
barriera costituita da leggere tende bianche, raggiungendo
così le palpebre
serrate di una giovane donna che dormiva un sonno agitato, avvolta
nelle calde
coperte del proprio letto.
I
capelli biondi di questa venivano colpiti dai raggi del sole,
ravvivandosi di
riflessi dei colori dell’oro, per arrivare poi verso un
rossiccio consono del
popolo irlandese.
I
lineamenti erano dolci e nobili: il naso piccolo e leggermente
all’insù, gli
occhi sottili contornati da folte ciglia nere, delle sottili
sopracciglia
bionde.
La
giovane, ancora assonnata, mugugnò una protesta verso la
luce che infastidiva
il suo sonno e si mosse, dando le spalle alla finestra.
Cercava
di riprendere sonno cambiando più volte posizione, conscia
del fatto che fosse
ancora molto presto. Alla fine, irritata, aprì gli occhi
smeraldini per
concedere al giorno di cominciare.
Scostò
lentamente le coperte per permettere al corpo di venir colpito
dall’aria fresca
che regnava nella stanza, e poi finalmente si tirò su a
sedere. Spostò lo
sguardo sul comò di quercia che stava accanto al letto a
baldacchino, per
posare solo per un istante gli occhi sulla rosa che ci troneggiava,
coperta da
una campana di cristallo. Sembrava ancora piena di vita, e forse lo era
davvero; chi poteva dire quando si sarebbe staccato il primo petalo?
Era
ancora poco più di un bocciolo, il rosso era ancora
screziato, alla base, di
rosa e di giallo.
Quanto
ancora sarebbe vissuto, quel misero fiore? Due, tre anni?
D’altronde non era
ancora sbocciata da oltre vent’anni, avrebbe potuto rimanere
in vita anche per
altrettanto tempo.
Rebecca
non era mai stata ottimista, però; come potere, quando si
è in una situazione
del genere? Il viso della giovane si contrasse in una smorfia
contrariata,
prima di tornare a distendersi in un’espressione rilassata.
Afferrò
la piccola campanella d’oro posata affianco al fiore e prese
a scuoterla,
facendo così nascere un suono fresco e cristallino che si
perse per i corridoi
della magione.
Finalmente,
dopo alcuni minuti, la porta si aprì e fece il suo ingresso
una ragazza, di
certo non molto più vecchia della prima, vestita
poveramente. Chiaramente si
trattava di una cameriera.
«Presto,
Martha, prepara il mio bagno», disse l’altra,
alzandosi definitivamente dal
letto «E dov’è la mia
colazione?» chiese poi, notando che il tavolo
dov’era
solita mangiare era ancora sgombro.
La
giovane che rispondeva al nome di Martha assunse un colorito scarlatto
sulle
gote «Signorina, l’ho lasciata fuori dalla porta.
Se vuole concedermi un
attimo, giusto il tempo di aprire le tende – e qui mosse un
passo verso la
finestra – gliela porterò
immediatamente» disse, finendo di scostare le tende
che impedivano in gran parte al sole di entrare nella stanza.
La
ragazza ancora seduta sul letto assottigliò gli occhi,
infastidita dalla luce
solare troppo forte «Sbrigati, Martha, per favore. Oggi ho
molto appetito»,
commentò, rivolgendosi ancora una volta alla cameriera.
Si
stropicciò poi gli occhi con le nocche delle dita, prima di
alzarsi finalmente
dal letto che l’aveva ospitata per la notte. Avrebbe voluto
stiracchiare le
membra intorpidite, ma sapeva bene che non era un gesto adatto ad una
donna del
suo rango, così aspettò che la giovane donna al
suo servizio uscisse per
prendere la colazione, prima di alzare le braccia al cielo e inarcare
leggermente la schiena, tirando i muscoli del corpo.
Si
lasciò andare non appena Martha tornò nelle
camera, e si sedette su una comoda
sedia anch’essa di quercia come il comò. La
giovane le servì un’abbondante
colazione, costituita da pane abbrustolito, burro, marmellata,
caffè latte e
delle uova strapazzate.
Rebecca
non era solita mangiare molto, e così fece anche quel
giorno: sbocconcellò un
poco di pane cosparso di un sottile velo di marmellata,
inghiottì qualche sorso
di caffè latte, e lasciò da parte le uova.
Mentre
lei mangiava la sua colazione, comodamente seduta al tavolo, la
cameriera
riempiva la vasca che si trovava nel bagno proprio accanto alla sua
stanza:
c’era una porta che li faceva comunicare. Sentiva chiaramente
in sottofondo
l’acqua scrosciare emettendo un piacevole suono, scivolando
sulla porcellana
della vasca.
Finalmente
la giovane si concesse un bagno caldo e rilassante, per prepararsi alla
giornata che avrebbe dovuto affrontare. Uscita dal bagno, si fece poi
vestire
dalla stessa ragazza che le aveva servito la colazione.
Indossò
un abito rosa antico, stretto in un busto che poi si allargava in vita
per
scendere fino ai piedi. Sotto, mise delle scarpe dello stesso colore
con un
tacco non troppo alto. Indossò poi un capello alquanto
appariscente sopra
l’elaborata acconciatura che era costata quasi
un’ora di tempo alla povera
Martha. Infine, afferrò un libro dalla libreria della camera
e, afferrato un
ombrellino da sole, si apprestò a scendere in giardino. Qui
camminò per qualche
minuto, alla ricerca di un luogo abbastanza fresco dove potersi fermare
a
leggere, al riparo dai fastidiosi raggi di sole.
Finalmente
riconobbe in una panchina coperta dalle fronde di alcuni alberi il
luogo ideale
dove sedere a riposarsi, e lì si sistemò;
appoggiò l’ombrello alla pietra
facendo attenzione che non potesse cadere e si sedette in modo tanto
composto
quanto scomodo sulla panchina, aprendo poi il libro alla prima pagina.
Trascorse
così alcune ore, immersa nella rilassante lettura del libro,
per poi rientrare
in casa, alla ricerca della sorella.
Sì,
perché Rebecca aveva una sorella, Jennipher. Ella aveva due
anni in meno della
ragazza, ed era stata affidata alle cure dei domestici, quando la madre
era
partita.
Rebecca
camminava lentamente, con la grazia che si addice ad una vera signora,
per la
casa, alla ricerca della sorella. Non aveva ancora finito gli studi,
che lei
aveva terminato l’anno precedente, quindi si aspettava di
trovarla nella
biblioteca della casa, probabilmente intenta a ripassare una lezione
per il
pomeriggio.
Fu
infatti lì che la trovò, ma non a ripassare: ella
leggeva, infatti, un libro di
favole, comodamente seduta su un divano scuro.
Il
suo sguardo divertito scrutò per un attimo la sorella, dai
lunghi capelli rossicci
racchiusi in uno chignon già rovinato.
«Jenny,
già di prima mattina ti trovo scompigliata. Cosa devo fare
con te?» la riprese
affettuosamente la più anziana delle due ragazze, sedendosi
accanto alla
consanguinea.
La
giovane, nel sentire la voce della sorella, alzò lo sguardo
dal libro che
teneva in mano, sorridendole cordialmente «Non puoi farci
proprio nulla,
sorellina, lo sai che sono fatta così»,
commentò aprendo il sorriso ancor di
più.
«Posso
capire perché nessun giovane nobiluomo si interessi a te,
Jen. Sembri quasi una
selvaggia!» rispose la sorella, accarezzandole dolcemente i
capelli, nel vano
tentativo di nascondere il disordine della sua capigliatura ad occhi
estranei.
«Non
ricominciare con questa storia: sono giovane per trovare marito,
Beck.» sospirò
la sorella, scrollando la testa. Questo non fece che peggiorare la
situazione
dei suoi capelli. «Vuoi stare ferma, una buona volta? Non
capisco come possa tu
essere così agitata!» esclamò la
sorella, afferrandola per un braccio nel tentativo
di fermare i suoi movimenti.
L’altra
si fermò e la fissò con un paio d’occhi
uguali a quelli della maggiore. «A
volte mi chiedo se tu possa essere davvero mia sorella, Beck. Sei
così diversa
da me! Tu sempre così calma, tranquilla,
composta…», sussurrò la minore,
alludendo al carattere così diverso che le caratterizzava.
Ed
effettivamente era vero: Jennipher era da sempre stata una giovane
scalmanata,
con il desiderio di viaggiare e scoprire il mondo, di
imparare… Da piccola era
una vera peste: si divertiva a nascondere insetti nel letto della
madre, che la
puniva molto severamente. Col tempo il suo carattere era parso
diventare più
simile a quello della sorella, più composto ed adatto al
rango della famiglia,
ma si era scoperto poi che si trattava solo di un momento passeggero:
era
infatti velocemente tornata la solita ragazzina sbarazzina di sempre,
facendo
preoccupare seriamente la madre, che l’aveva fatta seguire da
istruttrici
sempre molto severe, nella speranza che l’atteggiamento della
figlia potesse
mutare nuovamente.
Alla
partenza della madre, poi, Jen era come rinata: se prima il suo
atteggiamento
veniva soppresso dagli adulti, ora prese lei il sopravvento, mettendo a
tacere
le tanto temute insegnanti che le picchiavano le mani se commetteva
qualcosa
d’improprio ad una giovane fanciulla come lei.
La
sorella, che aveva preso le redini della famiglia al posto della madre,
l’aveva
lasciata fare, sempre che non commettesse nulla d’avventato.
Era quindi
cresciuta libera da intralci e felice di questa sua libertà.
Adesso, a
diciott’anni da poco compiuti, sembrava essersi calmata
almeno un po’. Lo
sguardo aveva perso un po’ di quella vitalità che
gli era consona, somigliando
così sempre di più alla sorella.
Mentre
le due ragazze bisticciavano, intanto, una carrozza percorreva il viale
che
traversava il giardino, guidata da un giovane uomo. Una volta fermatasi
nei
pressi dell’ingresso, ne scesero due uomini entrambi molto
giovani, uno dai
capelli scuri e lisci, con un paio di occhi blu notte, e
l’altro da una
ricciuta capigliatura castano chiaro, che copriva in parte due occhi
azzurro
cielo.
La
coppia di uomini si avvicinò al portone, dove il primo dei
due colpì per tre
volte il legno scuro con un bastone che reggeva in una mano.
Venne
ad aprire un uomo anziano, vestito da maggiordomo, che accolse gli
ospiti con
uno sguardo severo «Le padrone sono nella biblioteca. Se
volete seguirmi,»
incitò con un braccio i due nuovi venuti a seguirlo. Chiuse
la porta dietro di
loro e s’incamminò verso la possente scala che
troneggiava al centro del vasto
salone.
I
tre raggiunsero rapidamente una stanza al secondo piano
dell’abitazione, da cui
provenivano le risate cristalline delle due sorelle. I due uomini si
scambiarono un’occhiata divertita, prima di entrare,
annunciati dal
maggiordomo.
«Signorine,
ci sono i signorini Philip e Richard.», disse egli, invitando
i due ad entrare.
Le due smisero all’istante di ridere, sedendosi
compostamente.
Quando
poi i giovani fecero il loro ingresso nella stanza, Jen
scattò in piedi per
andare a salutarli: le sembrava sciocco il modo di fare di
quell’epoca, dove le
donne non potessero abbracciare uomini non appartenenti alla famiglia.
Rebecca,
intuiti i pensieri della sorella, la trattenne afferrandola per un
polso.
«Jen!» sussurrò, nel tentativo di
calmare la foga della sorella. Quella la
guardò in cagnesco per un attimo, per poi rivolgere la sua
attenzione ai nuovi
venuti, lasciando che le labbra si aprissero in un magnifico sorriso.
»Phil,
Ricky! Che piacere avervi qui! Ma prego, prego, andate a
sedervi!» esclamò Jen,
in una perfetta imitazione della madre. I due trattennero a stento una
risata,
mentre si accomodavano: quei modi di fare da signora di casa non si
addicevano
alla giovane che avevano di fronte, e loro lo sapevano bene!
Conoscevano la
famiglia da molto tempo, in quanto loro padre era un caro amico della
madre di
Jen e Beck. Per questo i quattro si conoscevano fin da quando erano
molto
piccoli.
Rebecca,
da donna responsabile qual era, aveva più volte pensato di
prendere in marito
Richard, il maggiore dei due uomini che erano, nonostante le differenze
fisiche, fratelli.
Nonostante
ci avesse spesso pensato, però, non si era mai decisa a
farlo. Non che l’uomo
non alludesse spesso alla questione; e si può dire che era
anche un ottimo
partito, in quanto era di una famiglia molto ricca, ma seppure queste
fossero
doti non molto comuni a quei tempi nella popolazione inglese, la
giovane pareva
non interessata a prendere marito.
Il
perché era presto detto: il suo destino, scuro e funesto, le
impediva di
legarsi a qualcuno più del necessario, in quanto sapeva che
presto avrebbe
dovuto lasciare questa terra. Inutile dire che la sorella minore
reputava
questo un motivo sciocco per non sposarsi e vivere la vita al meglio,
ma Rebecca
era di diversa opinione. Mentre la ragazza si perdeva in questi
pensieri, i due
uomini avevano preso a conversare con la sorella.
«Dimmi,
Jen, quanto tempo è passato dall’ultima volta che
ti sei presa una pausa dallo
studio?» chiese Philip, alludendo ai libri posati su un
tavolo lì vicino.
Rebecca
rise, sventolandosi il volto con una mano per il gran caldo
«Oh, cari, non
fatevi trarre in inganno! La mia giovane sorellina sembra tanto
studiosa, ma
proprio pochi minuti fa l’ho trovata a leggere un libro di
fiabe, mentre
avrebbe dovuto studiare!» esclamò, coprendosi poi
il sorriso con una mano.
La
giovane donna le scoccò un’occhiata risentita
«Non statela a sentire. I miei
studi procedono nel migliore dei modi, entro un paio di mesi dovrei
finire il
programma che l’istitutrice mi aveva organizzato. Ovviamente
intendo continuare
a studiare, solo smetterò di frequentare lezioni
settimanali. Ritengo che lo
studio forzato non sia il modo migliore per motivare le persone alla
cultura.
Voi che ne pensate?» chiese l’altra, contraddicendo
la maggiore.
«Sono
perfettamente d’accordo. Fin da quando ero piccolo ho sempre
odiato le lezioni
che ero costretto a tenere, ma quando ho abbandonato il mio insegnante,
ho
preso a leggere molto, e posso ben dire di aver coltivato molto la mia
cultura.
Certamente è importante il desiderio di imparare,
però; ho avuto la spiacevole
sorpresa di scoprire che attualmente molti giovani uomini si
disinteressano
totalmente ai libri per interessarsi solo ad attività
fisiche.» commentò Philip,
muovendo la mano in modo noncurante.
Gli
occhi blu di Richard si accesero di un velo di divertimento
«Oh, certo, come il
nostro amico Mark, nevvero, Phil? Ultimamente sta davvero esagerando
con la sua
fissazione per il corpo. Ritengo che passare così tanto
tempo a cavallo ed in
palestra sia malsano. Io preferisco passare il mio tempo in biblioteca,
davanti
ad un buon libro. Certo, non disdegno una corsa a cavallo… E
già che ne
parliamo, me n’è venuta proprio voglia. Vi va di
accompagnarmi per una scampagnata?»
disse Richard, alzandosi dalla sedia con il suo tipico modo elegante e
pacato
di fare.
Subito
Rebecca lo imitò «Se volete concederci qualche
minuto per vestirci in modo più
appropriato, sono sicura che Jennipher non disdegnerà
l’invito, come me, d’altronde.
Potete attendere qui, o in salotto. Intanto possono servirvi del the,
se ne
desiderate una tazza»¸ le due donne si alzarono in
piedi e si congedarono con
un sorriso.
I
giovani si sedettero nuovamente, attendendo il loro ritorno, che non
tardò a venire:
pochi minuti dopo – il tempo di slacciare quegli scomodi
corpetti e sostituirli
con abiti più alla mano -, e le due sorelle erano
già di ritorno.
Subito
i quattro si diressero verso le scuderie, dove montarono quattro
destrieri.
S’incamminarono poi in direzione del bosco lì
vicino.
Uhm,
fine del primo capitolo. Più che altro si tratta di un
capitolo dove presentare
i personaggi principali, che poi sono questi quattro baldi giovini!
Ci
tengo molto a questa storia, quindi, vi prego, siate espliciti: voglio
tutte le
critiche possibili. La prendo soprattutto come un modo per esercitarmi
al
meglio nella scrittura, visto che ho ancora molto da imparare.
Vi
prego, lasciatemi un commento =), negativo se volete!, a modo che io
sappia
come migliorare. Il prossimo aggiornamento non so quando
arriverà, sto già
buttando giù l’inizio, ma ho tempi molto lunghi
perché sto preparando un esame
che terrò verso la fine del mese. Inoltre a luglio parto, e
non so se avrò modo
di aggiornare. Nel caso, riprenderò il tutto verso la fine
dell’estate con più
regolarità!