Meet
the Valos
Capitolo
1: Ti presento i miei!
So
keep on pretending
Our heaven is worth the waiting
Keep on pretending it's alright
So keep on pretending
It will be the end of our craving
Keep on pretending
It's alright
Il
Tavastia, il magico Tavastia, l'affollato Tavastia, sempre il solito Tavastia.
Come
ogni capodanno mi trovavo stipata dietro le quinte del piccolo locale di
Helsinki, con in mano un succo di frutta e un ventilatorino portatile. Per
quanto fuori facesse sotto zero, dentro c'era un caldo tropicale e anche indossato
una canottiera scollata,
ero un bagno di sudore. Appoggiata ad un muro completamente graffitato fissavo
con invidia mio marito che con un cappotto di lana e un cappellino viola della stessa stoffa sembrava essere
a suo agio. Come sempre un uomo dalle mille sorprese.
“..and
You'll be right here in my aaaaarms”
“Amore,
odio dirtelo, ma stai stonando come una campana” gli dissi continuando a farmi
aria e vagliando l'ipotesi di mollarlo li e andare fuori a fare un giro.
“Non
sto stonando, sei tu che non ci capisci niente” rispose sistemandosi il cappello e continuando a
fare gorgheggi per riscaldarsi la voce.
“Si e
poi c'è la marmotta che incarta la cioccolata” dissi fulminandolo con lo
sguardo. “Sono laureata al conservatorio tanto quanto te e in pianoforte
oltretutto, quindi se c'è uno che non capisce, quello sei tu, mio caro”
Misi
le mani sui fianchi in posizione da battaglia, pronta a una guerra verbale, che
come al solito avrei vinto io. Non sapeva resistermi.
Improvvisamente
dal nulla apparse Migè che si frappose tra di noi, sempre pronto a difendere il
suo amichetto “Ehy Bi, non farmi incazzare Rakohammaas, che altrimenti poi ci
vieni tu sul palco a cantare”
“Migè
non ti mettere tra me e lui” lo rimproverai.
“Ah
come non detto” disse il bassista sghignazzando e togliendosi di mezzo. Il simpatico
bassista dopo due anni aveva finalmente capito che provare a spallegiare Ville quando litigavamo era una guerra persa.
“Quasi
quasi vi preferisco quando siete così attorcigliati l'uno all'altro che non vi
si distingue” fece capolino Seppo che aveva osservato tutta la scena da dietro.
E come al solito non si sprecava la solita battuta sul fatto che se non stavamo
litigando eravamo attaccati come piovre. Che ci potevamo fare se non riuscivamo
a toglierci le mani di dosso?
“Non
ti preoccupare Seppo” disse Ville afferrandomi per la vita e stringendomi a se
“Sarai accontentato”. Mi prese il volto tra le mani e mi sfiorò i capelli
appoggiando le labbra al mio orecchio
destro.
“Ti
amo mia piccola arpia” mi sussurrò baciandomi il collo.
Mi
sciolsi in un sorriso, ridendo di me stessa. Per quanto potessi trovarlo
estremamente insopportabile per una buona parte della giornata, e odiare tutti
i suoi piccoli difetti,
quando poi mi ritrovavo stretta tra le sue braccia magre, tutti i litigi si scioglievano, il mio cuore cominciava
a battere al triplo della velocità e mi ritrovano una ragazzina adolescente in
preda ad una cotta.
“Ti
amo anch'io, insopportabile finlandese” risposi allacciandomi più stretta a
lui. Ci scambiammo un bacio che non aveva nulla di casto, incuranti delle
persone che ci giravano intorno, comunque abituate a vederci
così. Poi mi staccai e decisi che era ora di andare a fare un giro del locale,
di li a poco avrebbero suonato e dovevo andare a riscuotere il mio posto nel
privè che sicuramente era già stato occupato da mia sorella, la quale
puntualmente si approfittava del mio stato di moglie del cantante per prendersi
i posti migliori, ovunque.
“Ville,
io andrei, tua madre sicuramente mi sta cercando e devo far sbolognare Elena
dal mio posto” gli dissi, sistemandogli qualche ciocca ribelle e tirando fuori
una matita nera dalla tasca. Senza che ne accorgesse lo feci sedere e con una
velocità da maestra gli misi il kajal sotto gli occhi. Già bello di per se, con
la matita nera era ancora più figo. Le fan mi avrebbero ringraziato.
“Ahhhh,
Bi, tu e questa matita, non sono la tua barbie personale” mi disse sbuffando ma
rimanendo comunque fermo mentre mi improvvisavo truccatrice. Le sue mani sui
miei fianchi e il respiro contro il seno mi rendevano difficile concentrarmi
sul fare una linea dritta, ma alla fine ce la feci e mi fermai un attimo a
guardare soddisfatta il mio lavoro.
“Si
che sei la mia barbie! Sei mio e faccio di te quello che mi pare” gli risposi
stampandogli un bacio in fronte e allontanandomi. Mi fece dei gesti di finta
disperazione alla mie dipartita che ricambiai con una spudorata linguaccia
mentre mi dirigevo verso l'uscita delle quinte.
Con
facilità riuscii a superare la folla, complici i ragazzi della security che, dato il mio stato cercavano di
tenermi sotto una campana di vetro e complice la mia ormai nota verve di
svicolare ogni qual volta
c'era il rischio di incontrare qualche fan girl impazzita che mi voleva morta.
Nel
privè trovai, come avevo
previsto, mia sorella
buttata sulla mia poltrona preferita e Anita che mi fissava ridendo. Sapendo
cosa stava per succedere si avvicinò preventivamente a me e mi abbracciò
portandomi a sedere a fianco a lei.
Avevo
la migliore suocera sulla faccia della terra, non c'è che dire. Peccato che
Ville non potesse dire la stessa cosa di mia madre, pensai rabbrividendo all'idea di cosa ci aspettava domani.
“Bianca
mia cara, come sta la stella?” chiese Anita ridendo.
“Il
solito, rompe, fuma, beve caffè, se la fa sotto dalla paura”.
Ridemmo
insieme e ci sedemmo comode a spettegolare sulle ultime news dal mondo della
musica. Uno dei nostri passatempi preferiti. Nel frattempo quella sciroccata di
mia sorella non solo non accennava a togliersi dal mio posto ma stava flirtando
con non so quale starlette della musica pop finlandese.
“Elena,
smettila, diamine” le dissi con fare minaccioso “non ti ho fatto venire qui per
fare la civetta col primo che capita, almeno fallo con qualcuno di decente”
incurante che il tipo mi sentisse feci una smorfia schifata verso di lui e mi
voltai. Improvvisamente mi trovai stretta tra due braccia sconosciute.
“Jussi non
fare caso a Bianca, in questi mesi è più acida del solito” la voce era
inconfondibile.
“Amore
ma che diamine ci fai qua? Non dovresti essere sul palco tipo...ora?”
“Si ma
sono venuto a salutare i miei, ora vado, tranquilla” rispose sedendosi e facendomi appoggiare sulle
sue ginocchia.
Scambiò quattro chiacchiere con Anita, obbligato da me
intimò Elena di togliersi dal mio posto, bevve la quinta red
bull della serata e poi finalmente si accorse che era
tardissimo e si decise ad alzarsi.
Mi
guardai intorno. Ero tra le braccia dell'uomo che amavo, la sua famiglia ormai
mia era con noi. I nostri amici erano tutti li. E tra pochi minuti il concerto
di capodanno avrebbe infiammato la sala. Ero felice, spudoratamente felice. Due
anni fa ero intrappolata in una puzzolente sala da ballo vicino Roma a fare
finta di essere felice metnre la metà dei miei amici ballava ubriaca sulle note
dell'ultimo successo commerciale, tutti intorno a me si ingozzavano di roba e
parlavano male del vicino di casa o del collega. Mai mi ero sentita così fuori
luogo, mai come quel giorno la mia voglia di scappare da quel paese retrogrado
si era fatta sentire così prepotentemente, così il giorno dopo, senza parlare
con nessuno ero scappata in Finlandia dando fondo a ogni risparmio. Ma ne era
valsa, eccome se lo era.
Respirai a fondo per godermi il più possibile
quell'atmosfera magica, ne feci il pieno per tenerla in riserva, un jolly per i
giorni che sarebbero seguiti. Baciai mio marito e mi preparerai a godermi le
ultime ore di libertà prima del temuto incontro.
Addio
pace. Benvenuto inferno.
Intorno
alla torre sembrava essersi scatenata una bufera di neve, la natura sembrava
essere in linea con il mio umore nero. Correvo per casa come una disperata, e
essendo “casa” una torre senza ascensore, correre significava fare su e giù per
delle scale ripidissime senza corrimano e puntualmente scivolose.
Quando
pensai di aver finalmente tutto mi infilai il cappotto e mi lanciai in salone
dove trovai una bella sorpresa.
“Ville?!”
dissi oltraggiata “ma che...?”
Io ero
in delirio da partenza, avevo 3 valigie da portare giù, e migliaia di cose da
controllare e lui cosa faceva?
Stava
beatamente seduto in poltrona a leggere.
“Che
c'è amore?” i suoi occhioni verdi mi guardarono con sospetto “perché sei tutta
vestita, non stiamo a casa questa mattina?”
Non
riuscii nemmeno a proferire parola. SI era dimenticato. Solo lui poteva fare
una cosa del genere. Probabilmente lo amavo anche per questo.
“Ville,
tra mezzora arriva il taxi. Sai, quella cosa gialla che ci porta all'aeroporto,
dove quella cosa volante chiamata aereo ci porta in Italia, dove dobbiamo
andare a trovare i miei.”
Presi
fiato dopo il lungo monologo e aspettai che Ville assimilasse la notizia, nel
frattempo mi avvicinai a lui per guardarlo col mio sguardo più cattivo.
“Oh!
Ma io ero convinto dovessimo partire domani” disse con la faccia più angelica
che aveva.
“Devo
crederti?” gli chiesi troneggiando su di lui.
Senza
rispondermi mi trascinò su di se buttando il libro per terra e togliendomi il
pesante cappotto senza sforzo. “Credimi, Bi. Per quanto non mi entusiasmi
l'idea di venire dai tuoi non starei mai qui a fare il finto tonto. Ora...le
valigie sono pronte?”
Annuii
accoccolandomi tra le sue braccia.
“I
biglietti ce li hai in borsa?”
Continuai
ad annuire, facendomi sempre più piccola. Volevo rimanere li per sempre,
stretta a lui, con il camino che sfrigolava davanti a noi e i Type O
che cantavano in sottofondo. Ma prima o poi sarei dovuta tornare in patria, non
potevo continuare a rimandarlo e Ville sarebbe stato con me. La prospettiva non
era poi così male.
Saputo
che ogni cosa era pronta mi slacciò la camicia che indossavo e si sfilò la
maglia dei Sabbath. Io mi sedetti a cavalcioni su di lui capendo esattamente
quali erano le sue intenzioni. Seppur sposati da un anno ancora sembravano due
adolescenti in presa a crisi ormonali e ogni momento era buono per fare
l'amore. I nostri corpi ormai si conoscevano così bene che le nostre mani si
muovevano automaticamente su di essi. Allacciai le braccia intorno al suo collo
nudo, ma lui mi spostò le mani e posò le sue sulla mia pancia, accarezzandola e
avvicinandosi per porgere un orecchio all'altezza dell'ombelico. Iniziò a
sussurrare una canzone, una ninna nanna finlandese che mi cantava sempre quando
avevo difficoltà ad addormentarmi. Poi alzò lo sguardo verso di me.
“Dici
che mi può già sentire?”
Sorrisi
accarezzandogli i capelli e sfiorando a mia volta la mia pancia che cominciava
in quei giorni a mostrare i segni della gravidanza. Un leggero arrotondamento
era già visibile e aspettavo con ansia il momento in cui sarebbe diventata
enorme e avrei potuto sentire il mio bambino scalciare.
“Secondo
me, si. Sopratutto quando suo padre ha una voce così bella”
Rimanemmo
così per altri dieci minuti. Io che guardavo il mio uomo parlare a nostro
figlio, e la tempesta intorno a noi che ci faceva da sottofondo, fischiando e
facendo riempire il nostro udito dei suoni della Finlandia.
Mi
sarebbe mancata in quei giorni. Ma dovevamo andare e prima ci saremmo tolti
questo peso meglio sarebbe stato.