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Autore: Merryweather616    16/06/2008    5 recensioni
Ripensavo ad una frase che Ville mi diceva spesso, l’aveva cantata, l’aveva sussurrata, l’aveva scritta. Nella gioia e nel dolore la mia casa è tra le tue braccia. E stretta contro di lui, i suoi occhi gentili e dolorosamente perfetti dritti sul mio volto, protettivi e seri mi trapassavano l’anima ricordandomi ogni istante ancora che la mia casa non erano quattro pareti di cemento riempite di mobili e foto, il luogo dove il mio cuore aveva messo le radici erano le sue braccia secche e il suo petto magro contro cui raggomitolandomi potevo sentire il ritmo della mia vita.
Genere: Romantico, Comico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Meet the Valos

Capitolo 1: Ti presento i miei!


So keep on pretending
Our heaven is worth the waiting
Keep on pretending it's alright
So keep on pretending
It will be the end of our craving
Keep on pretending
It's alright

Il Tavastia, il magico Tavastia, l'affollato Tavastia, sempre il solito Tavastia.

Come ogni capodanno mi trovavo stipata dietro le quinte del piccolo locale di Helsinki, con in mano un succo di frutta e un ventilatorino portatile. Per quanto fuori facesse sotto zero, dentro c'era un caldo tropicale e anche indossato una canottiera scollata, ero un bagno di sudore. Appoggiata ad un muro completamente graffitato fissavo con invidia mio marito che con un cappotto di lana e un cappellino viola della stessa stoffa sembrava essere a suo agio. Come sempre un uomo dalle mille sorprese.

“..and You'll be right here in my aaaaarms”

“Amore, odio dirtelo, ma stai stonando come una campana” gli dissi continuando a farmi aria e vagliando l'ipotesi di mollarlo li e andare fuori a fare un giro.

“Non sto stonando, sei tu che non ci capisci niente” rispose sistemandosi il cappello e continuando a fare gorgheggi per riscaldarsi la voce.

“Si e poi c'è la marmotta che incarta la cioccolata” dissi fulminandolo con lo sguardo. “Sono laureata al conservatorio tanto quanto te e in pianoforte oltretutto, quindi se c'è uno che non capisce, quello sei tu, mio caro”

Misi le mani sui fianchi in posizione da battaglia, pronta a una guerra verbale, che come al solito avrei vinto io. Non sapeva resistermi.

Improvvisamente dal nulla apparse Migè che si frappose tra di noi, sempre pronto a difendere il suo amichetto “Ehy Bi, non farmi incazzare Rakohammaas, che altrimenti poi ci vieni tu sul palco a cantare”

“Migè non ti mettere tra me e lui” lo rimproverai.

“Ah come non detto” disse il bassista sghignazzando e togliendosi di mezzo. Il simpatico bassista dopo due anni aveva finalmente capito che provare a spallegiare Ville quando litigavamo era una guerra persa.

“Quasi quasi vi preferisco quando siete così attorcigliati l'uno all'altro che non vi si distingue” fece capolino Seppo che aveva osservato tutta la scena da dietro. E come al solito non si sprecava la solita battuta sul fatto che se non stavamo litigando eravamo attaccati come piovre. Che ci potevamo fare se non riuscivamo a toglierci le mani di dosso?

“Non ti preoccupare Seppo” disse Ville afferrandomi per la vita e stringendomi a se “Sarai accontentato”. Mi prese il volto tra le mani e mi sfiorò i capelli appoggiando le labbra al mio orecchio destro.

“Ti amo mia piccola arpia” mi sussurrò baciandomi il collo.

Mi sciolsi in un sorriso, ridendo di me stessa. Per quanto potessi trovarlo estremamente insopportabile per una buona parte della giornata, e odiare tutti i suoi piccoli difetti, quando poi mi ritrovavo stretta tra le sue braccia magre, tutti i litigi si scioglievano, il mio cuore cominciava a battere al triplo della velocità e mi ritrovano una ragazzina adolescente in preda ad una cotta.

“Ti amo anch'io, insopportabile finlandese” risposi allacciandomi più stretta a lui. Ci scambiammo un bacio che non aveva nulla di casto, incuranti delle persone che ci giravano intorno, comunque abituate a vederci così. Poi mi staccai e decisi che era ora di andare a fare un giro del locale, di li a poco avrebbero suonato e dovevo andare a riscuotere il mio posto nel privè che sicuramente era già stato occupato da mia sorella, la quale puntualmente si approfittava del mio stato di moglie del cantante per prendersi i posti migliori, ovunque.

“Ville, io andrei, tua madre sicuramente mi sta cercando e devo far sbolognare Elena dal mio posto” gli dissi, sistemandogli qualche ciocca ribelle e tirando fuori una matita nera dalla tasca. Senza che ne accorgesse lo feci sedere e con una velocità da maestra gli misi il kajal sotto gli occhi. Già bello di per se, con la matita nera era ancora più figo. Le fan mi avrebbero ringraziato.

“Ahhhh, Bi, tu e questa matita, non sono la tua barbie personale” mi disse sbuffando ma rimanendo comunque fermo mentre mi improvvisavo truccatrice. Le sue mani sui miei fianchi e il respiro contro il seno mi rendevano difficile concentrarmi sul fare una linea dritta, ma alla fine ce la feci e mi fermai un attimo a guardare soddisfatta il mio lavoro.

“Si che sei la mia barbie! Sei mio e faccio di te quello che mi pare” gli risposi stampandogli un bacio in fronte e allontanandomi. Mi fece dei gesti di finta disperazione alla mie dipartita che ricambiai con una spudorata linguaccia mentre mi dirigevo verso l'uscita delle quinte.

Con facilità riuscii a superare la folla, complici i ragazzi della security che, dato il mio stato cercavano di tenermi sotto una campana di vetro e complice la mia ormai nota verve di svicolare ogni qual volta c'era il rischio di incontrare qualche fan girl impazzita che mi voleva morta.

Nel privè trovai, come avevo previsto, mia sorella buttata sulla mia poltrona preferita e Anita che mi fissava ridendo. Sapendo cosa stava per succedere si avvicinò preventivamente a me e mi abbracciò portandomi a sedere a fianco a lei.

Avevo la migliore suocera sulla faccia della terra, non c'è che dire. Peccato che Ville non potesse dire la stessa cosa di mia madre, pensai rabbrividendo all'idea di cosa ci aspettava domani.

“Bianca mia cara, come sta la stella?” chiese Anita ridendo.

“Il solito, rompe, fuma, beve caffè, se la fa sotto dalla paura”.

Ridemmo insieme e ci sedemmo comode a spettegolare sulle ultime news dal mondo della musica. Uno dei nostri passatempi preferiti. Nel frattempo quella sciroccata di mia sorella non solo non accennava a togliersi dal mio posto ma stava flirtando con non so quale starlette della musica pop finlandese.

“Elena, smettila, diamine” le dissi con fare minaccioso “non ti ho fatto venire qui per fare la civetta col primo che capita, almeno fallo con qualcuno di decente” incurante che il tipo mi sentisse feci una smorfia schifata verso di lui e mi voltai. Improvvisamente mi trovai stretta tra due braccia sconosciute.

Jussi non fare caso a Bianca, in questi mesi è più acida del solito” la voce era inconfondibile.

“Amore ma che diamine ci fai qua? Non dovresti essere sul palco tipo...ora?”

“Si ma sono venuto a salutare i miei, ora vado, tranquilla” rispose sedendosi e facendomi appoggiare sulle sue ginocchia.

Scambiò quattro chiacchiere con Anita, obbligato da me intimò Elena di togliersi dal mio posto, bevve la quinta red bull della serata e poi finalmente si accorse che era tardissimo e si decise ad alzarsi.

Mi guardai intorno. Ero tra le braccia dell'uomo che amavo, la sua famiglia ormai mia era con noi. I nostri amici erano tutti li. E tra pochi minuti il concerto di capodanno avrebbe infiammato la sala. Ero felice, spudoratamente felice. Due anni fa ero intrappolata in una puzzolente sala da ballo vicino Roma a fare finta di essere felice metnre la metà dei miei amici ballava ubriaca sulle note dell'ultimo successo commerciale, tutti intorno a me si ingozzavano di roba e parlavano male del vicino di casa o del collega. Mai mi ero sentita così fuori luogo, mai come quel giorno la mia voglia di scappare da quel paese retrogrado si era fatta sentire così prepotentemente, così il giorno dopo, senza parlare con nessuno ero scappata in Finlandia dando fondo a ogni risparmio. Ma ne era valsa, eccome se lo era.

Respirai a fondo per godermi il più possibile quell'atmosfera magica, ne feci il pieno per tenerla in riserva, un jolly per i giorni che sarebbero seguiti. Baciai mio marito e mi preparerai a godermi le ultime ore di libertà prima del temuto incontro.

Addio pace. Benvenuto inferno.

Intorno alla torre sembrava essersi scatenata una bufera di neve, la natura sembrava essere in linea con il mio umore nero. Correvo per casa come una disperata, e essendo “casa” una torre senza ascensore, correre significava fare su e giù per delle scale ripidissime senza corrimano e puntualmente scivolose.

Quando pensai di aver finalmente tutto mi infilai il cappotto e mi lanciai in salone dove trovai una bella sorpresa.

“Ville?!” dissi oltraggiata “ma che...?”

Io ero in delirio da partenza, avevo 3 valigie da portare giù, e migliaia di cose da controllare e lui cosa faceva?

Stava beatamente seduto in poltrona a leggere.

“Che c'è amore?” i suoi occhioni verdi mi guardarono con sospetto “perché sei tutta vestita, non stiamo a casa questa mattina?”

Non riuscii nemmeno a proferire parola. SI era dimenticato. Solo lui poteva fare una cosa del genere. Probabilmente lo amavo anche per questo.

“Ville, tra mezzora arriva il taxi. Sai, quella cosa gialla che ci porta all'aeroporto, dove quella cosa volante chiamata aereo ci porta in Italia, dove dobbiamo andare a trovare i miei.”

Presi fiato dopo il lungo monologo e aspettai che Ville assimilasse la notizia, nel frattempo mi avvicinai a lui per guardarlo col mio sguardo più cattivo.

“Oh! Ma io ero convinto dovessimo partire domani” disse con la faccia più angelica che aveva.

“Devo crederti?” gli chiesi troneggiando su di lui.

Senza rispondermi mi trascinò su di se buttando il libro per terra e togliendomi il pesante cappotto senza sforzo. “Credimi, Bi. Per quanto non mi entusiasmi l'idea di venire dai tuoi non starei mai qui a fare il finto tonto. Ora...le valigie sono pronte?”

Annuii accoccolandomi tra le sue braccia.

“I biglietti ce li hai in borsa?”

Continuai ad annuire, facendomi sempre più piccola. Volevo rimanere li per sempre, stretta a lui, con il camino che sfrigolava davanti a noi e i Type O che cantavano in sottofondo. Ma prima o poi sarei dovuta tornare in patria, non potevo continuare a rimandarlo e Ville sarebbe stato con me. La prospettiva non era poi così male.

Saputo che ogni cosa era pronta mi slacciò la camicia che indossavo e si sfilò la maglia dei Sabbath. Io mi sedetti a cavalcioni su di lui capendo esattamente quali erano le sue intenzioni. Seppur sposati da un anno ancora sembravano due adolescenti in presa a crisi ormonali e ogni momento era buono per fare l'amore. I nostri corpi ormai si conoscevano così bene che le nostre mani si muovevano automaticamente su di essi. Allacciai le braccia intorno al suo collo nudo, ma lui mi spostò le mani e posò le sue sulla mia pancia, accarezzandola e avvicinandosi per porgere un orecchio all'altezza dell'ombelico. Iniziò a sussurrare una canzone, una ninna nanna finlandese che mi cantava sempre quando avevo difficoltà ad addormentarmi. Poi alzò lo sguardo verso di me.

“Dici che mi può già sentire?”

Sorrisi accarezzandogli i capelli e sfiorando a mia volta la mia pancia che cominciava in quei giorni a mostrare i segni della gravidanza. Un leggero arrotondamento era già visibile e aspettavo con ansia il momento in cui sarebbe diventata enorme e avrei potuto sentire il mio bambino scalciare.

“Secondo me, si. Sopratutto quando suo padre ha una voce così bella”

Rimanemmo così per altri dieci minuti. Io che guardavo il mio uomo parlare a nostro figlio, e la tempesta intorno a noi che ci faceva da sottofondo, fischiando e facendo riempire il nostro udito dei suoni della Finlandia.

Mi sarebbe mancata in quei giorni. Ma dovevamo andare e prima ci saremmo tolti questo peso meglio sarebbe stato.

  
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