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Autore: ki_ra    12/02/2014    5 recensioni
Dal I capitolo :
Non aveva mai amato, particolarmente il cioccolato, mai fino a quando non l’ aveva visto fondersi nei suoi occhi puri e profondi, sinceri come la sua anima.
Ogni volta che ne addentava un pezzo, gli pareva di baciarla. Non che l’ avesse mai baciata prima, ma si figurava così il sapore dei suoi baci: intenso e forte.
Così tratteneva il pezzo di cioccolato in bocca, lasciava che il calore del palato e della lingua lo sciogliesse lentamente, permetteva all’aroma di diffondersi, scendendo, attraverso la gola, fino in fondo allo stomaco, esattamente al centro del corpo, e manteneva quel retrogusto intenso e impercettibilmente amaro, per alcuni minuti, fino a che si dissolveva, costringendolo ad addentarne un altro.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen, Un po' tutti | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Ben trovati!
Ecco il penultimo capitolo della storia!
Come sempre ringrazio tutti voi che leggete  e commentate!
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento e aspetto le vostre recensioni.
Buona lettura e a presto!




XVI
                                            

La finestra della camera di Renesmee era spalancata, come ogni notte da che era nata, aperta per far entrare il lupo.
La luce della notte era così fioca che un essere umano provvisto solo dei suoi sensi, non avrebbe visto che contorni sfocati.
Giaceva nel suo letto enorme, sperduta tra le lenzuola ciclamino, che le si attorcigliavano alle gambe nude, come sterili rami di rampicanti nodosi.
Il viso, riverso sul cuscino, portava i segni sottili delle lacrime, eppure, testardo, conservava la sua ormai schiusa bellezza. Le ciglia imperlate si serravano sulle palpebre arrossate dalla fatica, imprigionando crudeli, il calore dei suoi occhi di cioccolato.
Jacob rimase in piedi, in silenzio, sulla soglia, mentre uno zefiro profumato di gelsomino smuoveva lento la tenda sottile, che gli sfiorava la pelle del torso accaldato.
Non erano passate che poche ore da quando, annullando completamente la sua volontà, l’aveva lasciata, scacciata dalla sua vita, ma non dal suo petto.
Il desiderio di vederla ancora una volta, l’ultima, l’aveva avvampato, e così dopo aver lasciato libero il lupo di correre follemente lungo tutto il perimetro della riserva, aveva permesso all’uomo di tornare in quella stanza che, mille volte l’aveva ospitato, accolto nelle lunghe notti in cui la sua piccola, si era lasciata accudire; nelle albe rosa, dopo le lunghe ronde, e nei tramonti d’oro che le illuminavano il viso di latte. Aveva scalato il muro, con la destrezza silenziosa di un animale, domando il respiro affannato, non per lo sforzo, ma per il dolore del distacco.
Fermo sulla soglia respirava ancora malamente, come se l’acqua gli avesse annegato i polmoni, e, ad ogni passaggio brusco dell’aria attraverso narici e gola, un rogo lo consumava, infiacchendolo.
Seguire, con gli occhi, le scie inaridite del suo dolore e la purezza della pelle morbida e saporita; respirare la stessa aria dolce che le riempiva i polmoni e le faceva danzare i seni sotto le lenzuola attorcigliate, erano la tortura dell’anima più dolorosa che l’avesse mai toccato.
Eppure, tutto il suo corpo, i piedi nudi e sporchi di terra umida rimanevano fermi, cristallizzati, in quel punto esatto dell’universo a prendersi la loro parte di dolore, inermi, come se lo meritassero.
Sentì la lacrime silenziose e perfide scorrergli lungo il viso teso, torturargli gli occhi; solcargli la mascella contratta e gli zigomi; raggiungere il mento, per poi lanciarsi nel vuoto, fino ad incontrare la pelle calda del petto, sul quale aveva reclinato il capo.
Pianse Jacob, pianse come non accadeva da quella sera tragica e miracolosa in cui credette di aver perso il cuore dentro la morte di Bella ed invece esso era rinato, tornato proprio dall’inferno, nella nuova vita della sua bambina.
Pianse per un istante eterno, fino a quando sentì i singhiozzi che non riusciva più a soffocare. Passò entrambe le mani ruvide di bosco sugli occhi, liberandoli dalle lacrime che gli impedivano la vista e si concesse  di guardarla ancora, assetato della sua carne e della sua anima, impregnate della sua stessa sofferenza.
Una forza invisibile lo spinse in avanti, come se qualcosa di forte e poderoso l’avesse sorpreso alle spalle, protendendo membra e cuore verso lei.
Compì un passo soltanto e la stessa forza, uguale e contraria, annullò la prima.
“Tu l’ami, Jacob?”, chiese, facendosi voce.
Un ringhio sommesso e cupo risalì dal petto alla gola, gli rimbombò nelle orecchie attente, occupò cuore e cervello, divincolandosi per riuscire a dire di sì.
“Vattene, allora”, ringhiò la voce del lupo, mentre il corpo di Jacob tremava, dilaniato.
“Vattene”, ordinò.
Renesme si mosse morbida, come se la parte più piccola della sua anima increspata avesse udito quelle parole; sollevò le palpebre, appesantite dal sonno e dal pianto, e si guardò intorno, alla ricerca di quella voce.
- Jake? – chiamò, con un sussurro verso un’ombra scura i cui contorni erano delineati dalla luce della luna. Stropicciò gli occhi con le mani timorose e sottili cercando di mettere a fuoco nel buio.
- Jacob? – ripeté, ma ombra e luce si erano dissolte, come evaporate, confuse nelle molecole d’aria.
Al loro posto, una finestra spalancata, come sempre accadeva da che era nata, un tenda leggera mossa dal vento e dappertutto il suo odore.

 

  
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