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Autore: past_zonk    13/02/2014    3 recensioni
"Signor Holmes, la sua vita è una bugia."
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Quando Sherlock si volta a guardarlo, per vedere che espressione ha dipinta sul volto, è il terrore che gli si dispiega davanti.
Non c'è nulla.
Nulla, sul volto di John Watson. Un volto indistinto, come pixellato, un'immagine sfocata e spaventosa.
E, "John!" urla, perché non può sopportare che stia penetrando anche nel suo bozzolo felice, non può sopportare che dopo aver espugnato il suo Mind Palace stia passando anche a conquistare John, lui e John, Sherlock e John, quello che hanno. Non può sopportarlo, quindi chiude gli occhi e inizia a pregare. Non sa cosa, non sa come, non conosce nessuna preghiera, sono solo silenziosi susseguirsi di "John, John, John" e tanti, tanti respiri, più del normale, più del concesso.
Quando si risveglia da quest'incubo, è John che lo sta scuotendo, che cerca una scintilla di razionalità negli occhi di Sherlock, che lo abbraccia e gli dice che tutto va bene.
Per la prima volta, nonostante le braccia di John, Sherlock sente chiaramente che non va bene, no, che niente andrà bene, che non servirà a molto pregare.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Spazio dell'autrice: doveva essere una one-shot, e invece la pubblico in tre parti; più che altro è una grossa sega mentale delle mie, con in mezzo dell'angst davvero aberrante, e con un finale indefinito all'inception. Questa serie mi ha fottuto il cervello. Odio questo fandom (non è vero, lo amo con ogni fibra del mio essere)
Buona lettura, gente!
eveyzonk
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TREDICI FEBBRAIO.

1/3 Parte uno di tre - a crack in the wall of his palace.

 

Non ricorda molto del tredici di Febbraio. E' una data che continua ad apparire nella sua  testa, nei suoi sogni, e, senza alcun preciso scopo, nei momenti meno opportuni. Osserva la disposizione di cinque cadaveri ritrovati in una fabbrica abbandonata (dalla location e dall'odore di incenso, un fanatico, dalla pulizia del lavoro, un ossessivo compulsivo, e allo stesso tempo, dalla matrice di certe ferite, un passivo aggressivo. Possibili colpevoli tutti e tre i soggetti, riuniti forse in una sorta di setta), e all'improvviso nella sua mente c'è il tredici di Febbraio. Boom. Flash. Istantanea di un pensiero.

Tredici di Febbraio: 44esimo giorno del calendario, 321 giorni alla fine dell'anno solare, 322 durante quelli bisestili.

Continua l'indagine, facendo qualcosa per cui di solito si sarebbe disprezzato: evita il pensiero, lo scavalca, lo ammucchia nel suo Mind Palace senza prima esaminarlo ai raggi x; ma sente di star facendo la cosa giusta: in qualche modo, il tredici Febbraio lo spaventa. Lo spaventa proprio perché non sa cos'è a spaventarlo, di questo mero pensiero, questa nota scribacchiata al lato di un foglio della sua mente.
Sherlock ha così tante cose scritte nella mente, tanti post-it gialli e verdi, e alcuni rossi (quelli che urlano 'priorità', perché, nonostante tutto, lui
ha delle priorità: evitare che le mani bianche gli si spacchino dal freddo, perché lo odia, controllare che John non scriva qualcosa di imbarazzante su di lui sul blog; John, John, John e ancora John. E' su tutti i post-it rossi, in tutte le variabili possibili: John. John: fagli controllare il frigo; John: non lasciare che legga il vecchio diario dell'Università; John: dì buongiorno di mattina, sai quanto ci tiene).
E se ha imparato a dire buongiorno appena sveglio, può anche imparare a ignorare un pensiero-. Non sarà certo questo a renderlo un uomo comune come gli altri.

Un giorno, è seduto sul divano, il laptop ronzante sulle ginocchia, John è sotto la doccia, e all'improvviso il cervello gli va in crash: è la cosa più spaventosa che gli sia mai successa.Per svariati minuti (Quanti? Due? Dieci? Trenta?) resta totalmente immobile, capace solo di battere ciglio; salivazione azzerata, tremore alla gamba destra, narici dilatate dalla sorpresa, ogni tre battiti di ciglia il soggiorno di Baker Street che viene sostituito da un bianco accecante, ma non totale. Una macchia al lato della sua vista.
Quando riprende controllo di se stesso non riesce ad impedirsi di tremare; una cosa che odia, non controllarsi. Continua a guardare lo schermo del computer, anche se in realtà sta semplicemente carezzando ogni sopramobile del suo Mind Palace. Per un attimo tutto gli era sembrato sul punto di crollare: le colonne portanti infestarsi di crepe, le basi del latino e del francese d'oil tremare, la matematica elementare accartocciarsi, le semplici fondamenta del pensiero mettersi in dubbio assieme a tutto il suo essere.
Cosa sarebbe Sherlock Holmes senza la sua mente?
Quando John esce dal bagno Sherlock ancora non ha il coraggio di muovere un dito. E' semplicemente terrorizzato da ciò che gli è successo.
"Sherlock?" l'uomo bassino si asciuga un punto dietro l'orecchio con la manica dell'accappatoio, arricciando la fronte dalla preoccupazione e osservandolo attentamente. Ogni tanto si pente d'averlo istruito così fedelmente all'osservazione, anche se non ci sarebbe voluto di certo un luminare della deduzione per capire il suo stato di shock.
E mentre John Watson gli si avvicina per controllargli le pupille, la temperatura corporea e vari segni di una patologia qualunque, Sherlock non fa che porsi una semplice domanda: dirglielo o meno?
Opta per un no. Potrebbe essere stata la stanchezza, le notti prolungate senza dormire decentemente, il quarto cerotto alla nicotina sull'avambraccio tre giorni prima. Potrebbe essere stato di tutto.
Potrebbe essere stato il tredici Febbraio.

Il tredici Febbraio 1542 Enrico VIII fa giustiziare la sua quinta moglie, Catherine Howard, per adulterio.

La volta dopo è un lungo sogno.
Una stanza bianca è lì ad accoglierlo.
Osserva i muri immacolati. La mancanza di informazioni da elaborare lo innervosisce, lo porta quasi alla follia. Seduto in un angolo della stanza, chiude per tre volte gli occhi cercando di tornare alla realtà. Non è neanche sicuro sia un sogno. Niente da dedurre, nulla da capire: una stanza bianca e Sherlock Holmes.
Eppure non sceglie di indagare su stesso: il nulla è un'opzione migliore di quello.

Il tredici Febbraio 1633 Galileo Galilei arriva a Roma per il suo processo davanti all'Inquisizione.

Quando si sveglia cerca di trovare uno schema, un pattern, qualcosa, ma c'è il vuoto, ancora una volta, ad attenderlo. Chiama John e gli chiede di portargli una tazza di tè; non ha voglia di alzarsi dal letto.

E' strana, davvero, la sua mente. E' come una gatta gelosa che graffia ogni giorno sulla stessa ferita. Perché nella sua testa, tutto si evolve attorno ad un semplice ed unico pensiero: se stesso. E' per se stesso, per non sentirsi annoiato, che continua a sfruttare le sue sinapsi, è per se stesso, per sentirsi appagato, che lo fa ad alta voce, aspettando gli sguardi estatici dei presenti, è per se stesso che si circonda di John Watson quanto il più possibile, perché lo calma, e lo rassicura, e - anche se sa di non fare su di lui lo stesso effetto -, lo fa sentire protetto.
Certe volte vorrebbe semplicemente essere capace di sentirsi un po' meno egoista. Di sentirsi un po' meno Sherlock Holmes.

 

Una mattina torna da una lunga notte di omicidi e indagini in compagnia della squadra di Scotland Yard, e trova John a pulire l'appartamento con una vecchia canzone di Skeeter Davis in sottofondo.
Si chiama 'The end of the world', e Sherlock proprio non riesce a capire perché lo faccia rabbrividire tanto.
Senza alcun motivo se non l'intenzione d'essere rassicurato, abbraccia John di spalle mentre sta rassettando la libreria. Poggia il mento sulla sua spalla destra e sospira. Quando John volta la testa il necessario per sorridergli, smette di pensare a tutto ciò che ultimamente non riesce ad elaborare, e gli bacia la guancia.
John, John, John, John. Si rintana in questa progressione matematica pura e semplice, linee rette di John, John, John, nient'altro.

Il tredici Febbraio 1894 Auguste e Louis Lumière brevettano il Cinematographe.

John sta cominciando a sospettare qualcosa.
Più che sospettare, però, sembra sappia qualcosa. Lo vede nel modo in cui lo guarda, in cui interrompe la lettura del giornale a tavola per controllare la sua espressione. Gli fa pesare le pause che ormai regolarmente si prende mentre sta facendo qualcosa. Gli ha già chiesto quale sia il pensiero che l'assilla; ma come può dirgli che niente lo assilla, letteralmente, che non sa neanche lui cosa sia, che si sente semplicemente strano, che continua ad avere dei vuoti, che certe cose semplicemente non quadrano?

 

E' il pomeriggio prima di Natale, e John è la prima persona al mondo a chiedergli di fare con lui le spese natalizie. Sherlock lo accompagna per negozi lamentandosi, ma sentendosi in realtà meglio di quanto vuole mostrare. E' divertente, irritare John mentre cerca di decidere il regalo giusto per la Signora Hudson, proporgli un paio di manette di peluche , farlo rabbrividire con la sola parola "Immagina", riferendosi alla loro affittuaria.
Quando hanno scelto persino il regalo per l'ispettore Lestrade (un taccuino, davvero, può esserci qualcosa di tanto scontato?), John si volta e semplicemente dice, "Dovremmo scriverci
'da John e Sherlock', sui regali".
Sherlock sente un'ondata di calore salirgli alle guance; arrossire non era decisamente nelle sue opzioni di interazione sociale, e, nonostante abbia insistito per pagare quasi tutto con la sua carta, incidendo sulla scelta di quasi ogni acquisto - tranne il taccuino -, la proposta di John lo spiazza.
Da John e Sherlock.
Sherlock non si meraviglia di quanto i loro nomi suonino bene accostati; sembrano nati per esser scritti l’uno di fianco all’altro, e così dev’essere, lo sa.
Quando tornano a casa, fa così freddo che
John e Sherlock devono respirare l'uno sulle mani dell'altro per addormentarsi.

Non sa per quale motivo, ma pensa che la causa di quello che gli sta accadendo sia la sua felicità. Non è mai stato così felice nella sua vita, prima d'ora, e pensa semplicemente di non essere brevettato per esserlo.

Quando un giorno sale su un taxi, all'improvviso l'abitacolo scuro diventa trasparente, ed è il suo corpo da solo a viaggiare sulle strade di Londra. Come se niente fosse reale, vede i palazzi e le auto attorno a sé svanire e ricomparire come un ologramma.
Quando John lo scuote, il moro osserva il suo volto per un paio di secondi e poi lo abbraccia forte, lo stomaco sottosopra,  gli occhi del tassista che li scruta dallo specchietto retrovisore.

Il chimico Heinrich Caro è nato a Poznań il tredici Febbraio 1834; è l'inventore del primo colorante indaco. Viene ricordato anche per la composizione chimica (H2SO5) dell'acido perossimonosolforico, l'acido di Caro, per l'appunto.

Allo stato puro, l'acido di Caro, esplode quasi sicuramente, così come i suoi sali.

Sono nel letto e John sta giocherellando con un riccio alla base del suo collo, aggrovigliandolo e sgrovigliandolo al suo indice, sovrappensiero.
"John," dice Sherlock, senza sapere però come continuare. Il suo amante risponde con un
hm stanco, come fa quasi sempre quando, dopo aver fatto l'amore, Sherlock gli pone i suoi soliti strani interrogativi. Per il riccio, quei momenti sono come dei nervi scoperti, momenti di riflessione e apertura. Dopo avergli affidato ancora una volta completamente la sua vita, si sente di potergli dire tutto.
"Credo tu te ne sia accorto, ultimamente," inizia, senza poter vedere il volto del biondo. John neanche può vedere il suo, dato che gli da le spalle, ma vi leggerebbe una semplice maschera d'apprensione "Di quello che mi sta accadendo, intendo."
"Sì, Sherlock. L'ho notato."
"Non sono dei veri e propri vuoti, non credo abbiano a che fare con la mia memoria. Non dimentico nulla. Solo..." cerca le parole giuste per esprimere quei concetti "Nulla. Ecco. E' l'unico modo per dirlo. Nulla, non c'è nulla, certe volte."
John non risponde. Continua a giocherellare con i suoi capelli.
Quando Sherlock si volta a guardarlo, per vedere che espressione ha dipinta sul volto, è il terrore che gli si dispiega davanti.
Non c'è nulla.
Nulla, sul volto di John Watson. Un volto indistinto, come pixellato, un'immagine sfocata e spaventosa.
E, "John!" urla, perché non può sopportare che stia penetrando anche nel suo bozzolo felice, non può sopportare che dopo aver espugnato il suo Mind Palace stia passando anche a conquistare John, lui e John,
Sherlock e John, quello che hanno. Non può sopportarlo, quindi chiude gli occhi e inizia a pregare. Non sa cosa, non sa come, non conosce nessuna preghiera, sono solo silenziosi susseguirsi di "John, John, John" e tanti, tanti respiri, più del normale, più del concesso.
Quando si risveglia da quest'incubo, è John che lo sta scuotendo, che cerca una scintilla di razionalità negli occhi di Sherlock, che lo abbraccia e gli dice che tutto va bene.
Per la prima volta, nonostante le braccia di John, Sherlock sente chiaramente che non va bene, no, che niente andrà bene, che non servirà a molto pregare.

Mentre scrive una nota sul suo blog, gli colpisce il cervello: Tredici Febbraio.
Non  una data, non un giorno, non un accadimento:  un contenitore. La sua mente che cerca di dirgli qualcosa. Un grosso cartello d’attenzione affisso ai suoi neuroni.
Riepiloga mentalmente tutti i riferimenti che gli sono venuti in mente sforzandosi di pensare al tredici di Febbraio.
Una regina uccisa per tradimento. Galileo sul rogo assieme alle sue idee. L'invenzione del cinematografo. L'acido di Caro, il colore indaco.
Cerca di disporre gli elementi in maniera che combacino, ma non trova nessun ordine in essi, se non solo vaghi cattivi presagi: omicidio, rogo, illusione, un acido capace di dissolvere, e l'indaco, il colore del risveglio, della spiritualità, la porta del terzo chakra nella tradizione orientale, la malinconia.

Non sa cosa vuol dire, ma ne ha paura.



 

   
 
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