Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Swindle    14/02/2014    6 recensioni
Sherlock è sparito e nessuno sa che fine abbia fatto. Quando ricompare, non è più lo stesso di prima, e John, Mycroft e tutte le persone che tengono a lui dovranno inoltrarsi nel suo Mind Palace per ricostruire l'enorme caso degli ultimi cinque mesi, quello che iniziò con Moriarty e il suo "miss me?", per capire cosa gli sia successo, chi ci sia dietro a tutti quei crimini e al redivivo Moriarty, e poter così salvare Sherlock... anche da se stesso.
[Dal cap. 4]: "The truth hurts, my deary, but this truth... Verity will burn you whole."
Post 3^ series.
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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No, questo capitolo non è lungo il doppio del precedente, no no, è solo un'illusione ottica *sventola orologio a pendolo davanti agli occhi di lettore*. Ci siete cascati? No? Vi chiedo perdono, ci ho pensato a lungo, ma non avrebbe davvero senso dividerlo. :P Almeno visto che vi ho fatto aspettare quasi due settimane, un aggiornamento lungo...

Note come se piovesse, e per non farci mancare nulla, anche una finale!

Con il POV di John è stato facile, con questo capitolo... level up.

Enjoy it! (si spera)













 

A Case of Identity - II parte

 

 

 

***

 

Non è strano vedere l'ispettore Lestrade ancora in ufficio a tarda sera, ma non quel giorno, quando dovrebbe solo essere a casa, buttato sul divano con in mano una birra, i resti smangiucchiati di una pizza abbandonati nel cartone, a guardare la maledetta partita di calcio alla tv.

Invece è alla sua scrivania, ingombra di carte, fascicoli e post-it, una mano a sostenere debolmente la testa e l'altra a impugnare un pennarello rosso, con il quale ogni tanto sottolinea una frase, cerchia una parola o traccia una linea a collegare due indizi.

Se alzasse la testa dai fogli, potrebbe vedere il sergente Donovan passare davanti al suo ufficio, scorgerlo con la coda dell'occhio e tornare sui suoi passi, ma è talmente concentrato sul suo lavoro che non nota nemmeno il cigolio della porta che si apre.

« Signore? » chiede la donna « Che ci fa qui? »

Solo allora l'ispettore si desta dalla trance in cui è caduto, alzando gli occhi dal proprio lavoro.

« Mh? » "Sally?" pensa confuso, "Uh-oh. Guai in vista."

« Ma oggi non è il suo giorno libero? » continua imperterrita « Non sarà rimasto chiuso nel suo ufficio tutto questo tempo? »

Greg la guarda inespressivo, smette di farsi passare il pennarello tra le dita e si stiracchia, inarcando la schiena dolorante.

« Sto lavorando a un caso. » borbotta alla fine a mo' di giustificazione.

Le sopracciglia della donna si alzano sospettose, mentre incrocia le braccia al petto.

« È per Holmes, vero? Lei non dovrebbe permettergli di- »

« Donovan. » la ferma subito in tono tagliente, mettendo distanza fra loro con l'uso del cognome, « Mi dispiace, ma ho smesso di seguire i tuoi consigli in proposito diverso tempo fa. »

Sally barcolla leggermente, la bocca semiaperta.

"Non voglio ferirti." pensa Lestrade "Ma davvero la cosa non ti riguarda."

« Molto bene. » sussurra la donna, cercando di darsi un contegno, come se avesse letto il pensiero di Lestrade nei suoi occhi quieti.

« Molto bene. » ripete, a voce più alta « Buona notte, signore. »

L'uomo la guarda voltarsi e uscire dalla stanza in rigidi movimenti, le scarpe che ticchettano al suolo. Greg sospira, abbassando il capo e passandosi le mani sulla nuca, a massaggiarsi gli ispidi capelli brizzolati.

Non ce l'ha con lei, davvero, e l'ha perdonata, non può biasimarla dopotutto, ma quello non è proprio il momento per vecchie recriminazioni.

Guarda le carte sulla scrivania, il lavoro di mesi e mesi che ha rivisto e ricontrollato tutto in un giorno, e sospira di nuovo.

"É inutile, non riesco a venirne a capo. In casi come questi mi sarei già rivolto a Sherlock…" serra gli occhi, "Peccato che il problema sia proprio questo."

Il suo sguardo appannato si alza fino a individuare il grosso orologio sulla parete di fronte, e non riesce a trattenere uno sbuffo frustrato: mezzanotte. "Troppo tardi. Tutto il mio giorno libero, e ci ho ricavato meno di un buco nell'acqua. Perfetto, davvero ottimo ispettore. Dio, che vergogna."

L'uomo che si tira in piedi è un ispettore alquanto provato, con un principio di emicrania e la fiducia in se stesso ridotta ai minimi termini. Raccoglie con lentezza i fascicoli, riordina i fogli, e sta per riporre tutto al proprio posto, quando cambia idea e decide di infilarli nella sua valigia da lavoro.

Il prossimo passo è scendere nei sotterranei dalle pile bianche e blu per recuperare la macchina e andarsene finalmente a casa a godere di qualche ora di sonno, ma quando si mette la sigaretta in bocca e ci avvicina l'accendino scopre di non riuscirci.

Le mani gli tremano e la testa è invasa da quella voce profonda che gli intima: "Those things will kill you", e Greg vorrebbe sentirsi ancora chiamare con nomi sbagliati, e vorrebbe abbracciarlo come quella volta, e vorrebbe poterlo insultare come quella volta [1]. E invece ha passato tutto il giorno a cercare di legare insieme tracce con fili che solo Sherlock potrebbe vedere.

Si sente ubriaco, pur non avendo toccato alcol, spossato, incapace di mettere un respiro dietro l'altro, così si arrende, e si incammina verso l'uscita e la strada. Perciò dopo, in taxi, mentre si accascia sul sedile e si stampa un cerotto alla nicotina sul braccio, l'indirizzo che da come meta non è quello di casa sua.

 

Greg paga il tassista, ignorando lo sguardo scettico che ancora l'uomo gli lancia.

"Che diavolo hai da guardare?" vorrebbe rimbeccarlo "Non ti sembra credibile un tipo come me in un posto come questo?"

Ma alla fine, invece, sorride, gli lascia una mancia in segno di sfida e volta le spalle verso il suo obiettivo. La Casa Bianca in MayFair, come hanno deciso di chiamarla lui e John, solo… il giorno prima, dopo il meeting di Mycroft. Greg strizza gli occhi un paio di volte.

"Cazzo, sembrano passate settimane. Ma era solo ieri."

« Casa Bianca, che dici? » aveva proposto Greg con un ghigno.

« Sì, mi sembra appropriato per l'ego del proprietario. » aveva ironizzato John.

John. È un buon amico, John, per Greg. Un amico che negli ultimi giorni ha visto spezzato.

Lestrade risucchia l'aria a bocca socchiusa, prendendo un lungo respiro, e entrando nel palazzo.

L'uomo al bancone lo osserva accigliato mentre Greg si avvicina. "Dio, ma questo sta qui ventiquattro ore al giorno?"

« Salve. » saluta poi cordiale « Avrei bisogno di vedere il signor Holmes. Posso trovarlo qui? »

L'uomo lo fissa ancora più torvo, ma gli indica lo stesso l'ascensore. Greg ringrazia e si precipita a schiacciare il pulsante, certo che Mycroft sia già stato avvisato della sua presenza.

Mycroft Holmes. Se possibile, un uomo ancora più enigmatico del fratello. Lestrade si è trovato nella sua stessa stanza in poche occasioni, e solo in un paio hanno parlato faccia a faccia. Sempre così raffinato, posato, equilibrato, non ha nulla della dinamicità del fratello, della sua energia, dei suoi gesti frenetici e delle sue parole incontrollabili, eppure sotto l'aria compìta e gli occhi distanti Greg ha sempre intravisto un cervello da fuori classe e una personalità ingombrante, una persona che induce rispetto, timore, e brividi lungo la schiena.

"Avanti Gregory, calmati." s'impone, torcendosi le mani, "Non sarà mica troppo tardi? Be', avrei dovuto pensarci prima. Ma no ma no, gli Holmes non dormono mai."

Dopo aver bussato e aperto la porta, è il volto disteso del maggiore degli Holmes in persona che Greg si trova davanti.

Si inchioda bruscamente, la bocca aperta in un saluto che non riesce a uscire, sorpreso che sia stato lo stesso Mycroft a riceverlo.

"E dove sono finiti i tuoi maledettissimi lacché, eh?" medita innervosito.

« Detective ispettore, buona sera. » dice intanto quello, in tono placido « A cosa devo il piacere di questa visita a un'ora tanto tarda? »

« Err- » Greg si schiarisce la gola, prima di umettarsi le labbra « Mi scusi per quest'improvvisata, avrei bisogno di parlarle. »

I loro occhi si incrociano, e Greg sente del freddo risalirgli fin dentro le ossa.

« Ma se disturbo, me ne vado subito. » si affretta ad aggiungere, poi scuote la testa, colto dall'imbarazzo: « Anzi, no, guardi, mi scusi, me ne vado. Non so cosa mi sia preso, venire qui così... »

Greg ha già voltato mezzo busto per tornare indietro, quando la voce pacata dell'altro lo raggiunge:

« La prego, detective, entri. Non si faccia problemi. »

Greg si gira con un movimento lento, osservando i lineamenti dell'uomo per cercare qualche traccia di tensione. E la trova: nelle rughe ai bordi degli occhi, nella piega fiacca della bocca, nel bordo stropicciato delle maniche del completo gessato, nell'angolo del panciotto che sporge dalla giacca aperta, nel solito ombrello mollemente appoggiato sul braccio.

"Non è di certo per me che è in questo stato, no. È per Sherlock."

E allora Greg riflette che forse, solo forse, quella sera non è l'unico ad aver bisogno di un po' di compagnia.

 

« So cosa vuole dirmi, Lestrade. » dice all'improvviso Mycroft, prendendo Greg in contropiede.

Sono seduti nell'ufficio di Holmes, ora, su due comode poltrone bianche, a bere scotch da bicchieri decorati, a stare in silenzio da più di venti minuti, tanto che, quasi, Greg si è dimenticato il motivo per cui si trova lì.

Lestrade si stropiccia gli occhi fra pollice e indice, sospirando.

« Dubito che lei lo sappia. » replica poi, aggrottando le sopracciglia.

« Oh, mi creda, si stupirebbe di quante cose io sappia in realtà. » risponde allusivo, e il ghigno che Greg vede stampato sul suo volto è quello di una pericolosa fiera.

« Nella valigetta che tiene stretta a sé ha i documenti del caso che lei e mio fratello stavate seguendo insieme, non è così? Certo che è così. Ci ha lavorato sopra tutto il giorno, rileggendo per l'ennesima volta le stesse carte, riguardando le medesime foto, ripercorrendo collegamenti identici. Cerca qualcosa che ci possa condurre in direzione dell'uomo che ha rapito Sherlock, ma io non sono affatto sicuro che lei possa trovare la risposta che cerca nei suoi fascicoli, per quanto lei si fidi di essi. È il suo lavoro, certo, ma questo caso è molto al di là delle sue possibilità… che certo sono lodevoli. »

Il sorriso rassicurante torna, dopo la sfilza di deduzioni e più o meno velati insulti. Ma Greg è troppo stanco e rassegnato per offendersi e esprimersi di più che con il lieve "Bastardo" dentro la sua testa e stirando le labbra lungo il viso.

« Bene. » commenta quindi ironico, dopo aver fatto schioccare la lingua sul palato, « Allora vuole dirmelo lei quello che sto pensando, o mi fa almeno la cortesia di ascoltarlo dalla mia voce? »
Il sorrisetto astuto e divertito in cui si esibisce il maggiore degli Holmes gli colpisce la memoria, riportandogli davanti agli occhi lo stesso identico ghigno che si era aperto sul volto del fratello minore, appena la mattina prima.

 

Era stato avvisato. Oh, se lo era stato. E non solo dalle parole dirette di Mycroft quando aveva varcato la soglia della casa, o dal messaggio di John del giorno prima che gli diceva che avevano trovato Sherlock ma che "non è così semplice", ma anche, appena pochi secondi prima, dagli occhi gonfi e rossi di Molly che sfregava le spalle di una Mrs. Hudson piuttosto scossa e impegnata a soffiare il naso in un fazzoletto di stoffa, e che cercava di dare all'anziana donna un conforto che, Greg poteva vederlo bene, Molly non aveva nemmeno per se stessa.

Aveva fissato le due donne sedute per un tempo incalcolabile, finché Molly non aveva alzato lo guardo, scuotendo piano la testa. Non c'era nulla che la ragazza potesse dire, a quanto pareva, per prepararlo: Greg avrebbe dovuto scoprirlo sulla propria pelle.

Aveva scrollato le spalle, sperando di potersi togliere di dosso anche la brutta sensazione che gli stava crescendo dentro. Non aveva funzionato, ovviamente. "Andiamo, Gregory! Non essere codardo!" si era rimproverato, prima di avanzare di un passo e spalancare la porta della stanza di Sherlock.

L'aveva già visto pochi minuti prima sugli schermi di sorveglianza, "Dannato Mycroft e le sue manie di controllo!", ma trovarselo davanti, sdraiato su quel letto ospedaliero, il mento appoggiato sulle dita unite delle mani, ferito, gli arti ingessati o fasciati, circondato da macchinari e piccoli tubicini che partivano dalle sue vene... un'immagine familiare e allo stesso tempo estranea.

Familiare, perché quante volte l'aveva osservato riflettere in quella cavolo di posa durante i loro casi?, e quante volte l'aveva trovato in ospedale ridotto male per qualche sua sconsideratezza?

Ma estranea, perché la smorfia feroce con cui l'aveva accolto, no, non aveva nulla dell'uomo che nonostante tutto aveva imparato a chiamare amico, l'uomo che gli aveva salvato la vita inscenando la propria morte e inseguendo l'impero di Moriarty per due anni, l'uomo che non avrebbe esitato a stringere in un abbraccio fraterno, incurante di qualunque possibile protesta.

Sherlock non l'aveva mai guardato in quel modo, piegando la testa, gli occhi che lampeggiavano di disgusto, neanche quando ancora si conoscevano poco, più di cinque anni prima ormai. All'epoca era solo il geniaccio psicopatico che i suoi colleghi non avevano esitato a soprannominare 'freak', lo spostato che compariva sulle scene del delitto, insultava tutti e sputava sentenze a destra e a manca per poi sparire all'improvviso, che aveva vinto la sua battaglia contro la droga, ma che spesso si lasciava lo stesso andare al suo irresistibile richiamo.

Lestrade non l'aveva mai trattato male, fin dal loro primo incontro, ormai una decina d'anni prima, perché riconosceva la sua genialità nonostante provenisse da una mente tanto irritante, anche se non era mai riuscito ad avvicinarlo realmente. Non prima che John Watson piombasse nelle loro vite, almeno.

E comunque, nemmeno allora Sherlock l'aveva fissato con l'orribile sguardo che invece gli stava rivolgendo in quel momento.

A Lestrade era bastata quell'occhiata a capire. Non aveva bisogno dell'intelletto dei fratelli Holmes per avvertire l'avversione che l'uomo davanti a sé provava nei suoi confronti.

"Chi sei tu?" aveva pensato, afflitto.

« Bene bene bene. » aveva esordito il detective con un sorriso sghembo « Chi abbiamo qui? »

Greg aveva deglutito, sotto lo sguardo indagatore dell'altro, che nel frattempo aveva ridotto gli occhi a due fessure, abbassando il capo per far scorrere le dita sulle labbra.

« Il traditore. » aveva sibilato.

A quell'accusa glaciale, la bocca e la gola dell'ispettore erano diventate secche.

« Cos'è, non riesce a trovare nulla di più intelligente da fare che strabuzzare gli occhi? » lo aveva deriso « Peccato, mi aspettavo almeno un tentativo di discolparsi dal Detective Ispettore Gregory Lestrade di Scotland Yard. »

Greg era rimasto impietrito, totalmente incapace di muovere un muscolo, mentre le parole dell'altro s'insinuavano fin nei recessi della propria mente.

« Su, mi faccia questo favore, Lestrade. Almeno questo me lo deve. » aveva infierito.

« Io non ti ho tradito. » era riuscito a ribattere alla fine, la voce malferma, accorgendosi solo in quell'istante come l'amico gli si stesse invece rivolgendo in modo formale.

Sherlock aveva alzato un sopracciglio.

« Un po' debole come difesa, ispettore. » si era bloccato, come a riflettere sulle prossime parole da usare « Allora rendiamo l'accusa più specifica. Non è stato forse lei quel giorno ad arrestarmi? »

L'espressione di Greg si era oscurata, mentre rifletteva sulle sue parole.

"L'unica volta in cui è succesa una cosa simile è stato quando… oh."

La comprensione gli aveva disteso i lineamenti, e lo sguardo vigile di Sherlock non si era lasciato scappare il cambiamento.

« Vedo che cominciamo a comprenderci. Lei mi ha arrestato, e accusato di essere un impostore, un criminale per giunta! »

"Tutto ciò non ha senso." aveva pensato l'ispettore, senza sapere cosa rispondergli "Sa benissimo cos'è successo davvero, non era mia intenzione, diamine!"

« Io non… » aveva balbettato.

« Vuole forse dirmi che non è stato lei ad arrestarmi? » l'aveva interrotto.

« No, io… l'ho fatto. » era stato costretto ad ammettere.

« Con l'accusa di essere un bugiardo, di aver inventato tutti i casi, di esserne stato io l'artefice? Per un vezzo e divertimento? » l'aveva incalzato.

« Sì, quella era l'accusa, ma- »

« Dopo che io l'avevo aiutata nel corso di innumerevoli anni a risolvere praticamente tutti i suoi casi, senza chiedere nulla in cambio? »

« Certo, hai ragione, però- »

« Non è forse successo che queste ridicole imputazioni abbiano messo tutta l'opinione pubblica e la polizia contro di me? »

« È andata così, non lo posso negar- »

« Non è vero quindi che, con le spalle al muro, sono stato costretto a fingere la mia stessa morte e nascondermi da tutti per ben due anni? »

« Sì, immagino che sia stato anche quello il moti- »

« E non è meschino, secondo lei, che tutto questo sia avvenuto a causa del tradimento dell'unico amico su cui potevo contare? »

La voce di Sherlock si era abbassata di un poco, rotta, come una breccia in quel fiume di attacchi verbali.

E a quelle parole la nebbia nei pensieri di Lestrade si era schiarita.

"Il suo unico amico?" si era chiesto, "Ma… John? Oh, no, sta parlando di me!"

Lestrade sapeva bene che Sherlock poteva essere crudele quando voleva, cattivo con le parole… ma quello non era solo un tentativo di ferirlo per un infantile desiderio di vendetta.

"Non si sta riferendo a John, e con ogni probabilità nemmeno esiste Moriarty in questa equazione. È tutto sbagliato, tutto… contorto. Tuttavia Sherlock crede in quello che dice, crede davvero a questa bugia, a questa realtà distorta." aveva realizzato.

« Bene, ispettore, come vede abbiamo raggiunto un accordo. » aveva continuato il detective, prendendo il silenzio di Lestrade come un'ammissione di colpa « Lei mi ha tradito, e io non voglio più avere nulla a che fare con lei. Lieto di aver messo in chiaro le cose. E ora, mi faccia il piacere: se ne vada. »

Detto questo, si era girato di lato nel letto, dandogli le spalle, come un bambino offeso che tiene il broncio. Un bambino deluso, pieno di sfiducia negli altri, un bambino a cui hanno tolto l'unico amico al mondo, un bambino solo.

A Greg non era rimasto altro che indietreggiare, la testa leggera e le gambe molli, provato da quell'incontro, scosso dal senso di colpa, perché nonostante l'alterazione delle cose, rimaneva un fondo di verità in quello di cui l'amico l'aveva accusato. Sulla porta, l'aveva sentito borbottare: « Caring is not an advantage. [2] »

Ma non aveva trovato la forza di contraddirlo.

 

Mycroft fa un gesto vago della mano, come a voler scacciare via una mosca molesta, e Greg intuisce che quello sia il suo modo per dargli il permesso di parlare. Per quanto irritabile sia, almeno ha l'efficace conseguenza di riscuoterlo da quel ricordo.

Sotto il cipiglio austero del maggiore degli Holmes, si schiarisce la gola impastata dal liquore, per poi cominciare a parlare.

« Dunque. Ho provato a ripercorrere tutte le mosse di Sherlock da quando è iniziato questo caso, oltre a quelle del nostro misterioso uomo. E sono abbastanza sicuro del fatto che a un certo punto lui… » esita per un attimo, sperando di leggere negli occhi dell'altro quanto la sua ipotesi sia semplice follia, ma non incontra nulla se non una glaciale compostezza. Tira un respiro più lungo, che usa per dire la frase tutta in una volta: « Io credo che Sherlock sapesse chi fosse il suo avversario, ben prima di essere rapito. Deve averlo capito a un certo punto. Questa è l'unica spiegazione al suo strano comportamento. »

Era solo un'idea lontana in qualche recesso del suo cervello, non aveva mai davvero riflettuto su un'opzione simile, ma ora che l'alcol ha sciolto le parole e l'ha pronunciato ad alta voce, comprende che non può essere altrimenti.

Greg osserva di sottecchi Mycroft, aspettando che questi gli dia dell'idiota o qualcosa di simile, ma questo non accade. Anzi, l'uomo incrocia elegantemente le gambe una sull'altra, in un gesto fluido mette a posto la giacca con la mano destra, mentre con la sinistra si porta il bicchiere alle labbra. Nient'altro come risposta.

« Tre… tre anni fa. » continua allora l'ispettore, persuaso di avere via libera nelle sue elucubrazioni « Sherlock sarebbe davvero stato pronto a suicidarsi su quel cornicione, non è vero? Se qualcosa fosse andato storto, intendo. » si passa la mano sul volto, « È probabile che non glielo avesse detto in modo aperto, ma io… io credo che avrebbe potuto farlo sul serio. E lei deve averlo saputo. Doveva saperlo… eppure gliel'ha lasciato fare. È stato, è stato forse per il senso di colpa? Per aver svelato tutto a Moriarty, dico. No, cioè. John me l'ha detto che era un vostro piano fin dall'inizio. Però c'era la possibilità che morisse davvero, no? Oppure, oppure voi Holmes vi credete davvero onnipotenti, e lei non si è nemmeno posto il problema? »

Greg si blocca, torturandosi un labbro, per fermare quella scia di parole balbettanti. "Gesù, che diavolo sto dicendo?"

Si costringe a guardarlo apertamente, certo che troverà sfida e ira nei suoi occhi. Invece Mycroft è rimasto nella stessa posizione di prima, prima che Lestrade lo sommergesse di critiche. Negli occhi solo un leggero luccichio a indicare che qualcosa sia cambiato.

"Come cazzo fai a conservare il tuo dannatissimo aplomb anche in una situazione del genere?" si chiede Greg, indispettito, poi guarda nel bicchiere, trovandolo vuoto. "Ho decisamente bevuto troppo."

Chiude gli occhi per un secondo, dando un finto colpo di tosse, dunque posa il bicchiere sul basso tavolino.

« Quello che voglio dire… » apre gli occhi e li fissa in quelli dell'altro « Quello che voglio dire è che credo sia possibile che Sherlock avesse capito qualcosa, ma non l'abbia detto a nessuno. E questo mi porta a pensare che sia stato per proteggerci, in qualche modo, come aveva già fatto con il suo finto suicidio. Magari… forse è andato incontro a tutto questo di sua spontanea volontà. »

Lestrade si abbandona sulla poltrona, lasciando cadere la testa all'indietro.

« Ecco, l'ho detto. » non ottiene nessuna reazione dall'altro, dunque lo sbircia a occhi socchiusi « Ora può anche insultarmi, se vuole. Era questo che pensava volessi dirle? »

« Esatto. E non lo pensavo, l'ho dedotto. » infine Lestrade ottiene una reazione da Mycroft, « E, visto che se lo sta chiedendo, non ho risposto alle sue insinuazioni solamente perché stavo aspettando che mi desse il permesso di parlare, avendomi chiesto di ascoltarla con attenzione. »

Lestrade lo guarda sbalordito, mentre Mycroft si esibisce in uno dei suoi sorrisetti più cordiali e sfacciati.

« Umpf. » sbuffa poi Greg, arrendendosi, « Quindi crede che… la mia supposizione sia giusta? »

« Mi sono fatto un'idea simile, sì. Non ne ho le prove, tuttavia la sua analisi è stata abbastanza accurata. »

Greg alza gli occhi al cielo: "Ed ecco il miglior complimento che otterrò da questa voce, signori e signore!"

Lestrade gli lancia un'occhiata speculativa. "E non risponderà a nessuna delle mie allusioni, ovvio." capisce "Ma forse è meglio così."

Cade il silenzio nella stanza, permettendogli di riflettere per qualche secondo a quello che ha detto, a quello che entrambi credono, e si lascia scappare un sospiro frustato, mentre l'enormità della cosa colpisce la parte ancora lucida del suo cervello: "Dio Sherlock, cosa diavolo hai fatto?"

Senza alcun preavviso, Mycroft gli posa una mano sull'avambraccio, in un lieve gesto incoraggiamento, e Greg rimane a fissarla con sguardo vacuo, incredulo per quel contatto.

« La mente di mio fratello è… ottenebrata. » sussurra il maggiore degli Holmes, senza capire quanto quell'inaspettato tocco abbia sorpreso il suo ospite, "O molto più probabilmente, lo sta ignorando" pensa Greg.

« Lui non sa quello che dice, o meglio, crede di saperlo, ma in realtà non lo pensa davvero. » continua Holmes, mentre Lestrade è sempre più confuso: "Di che cazzo stai parlando?", « Per lo meno non il vero Sherlock. Non deve stare troppo a rimuginare su ciò che le ha detto ieri, Gregory. »

Al suono del suo nome, Lestrade alza gli occhi sull'altro, e le sue palpebre sbattono un paio di volte, prima che gli arrivi l'illuminazione: "Ah. Parla della nostra conversazione. Sherlock che mi dice che l'ho tradito. Sì, quella roba. Cacchio, sono lento. Inizio a essere ubriaco. "

Seguito da un altro pensiero: "Un attimo… ma allora stava registrando con le telecamere anche quello! O l'ha solo visto dalla parete-specchio! Brutto stronzo bastardo! Che fine ha fatto la privacy?"

Greg apre la bocca per esternare quei pensieri, ma alla fine rinuncia e la serra. Non ha nessuna intenzione di scoprire quanto in là possa spingersi la pazienza del Governo Inglese in persona.

"E poi… mi ha chiamato per nome. Questo deve violare almeno una decina delle sue regole del cazzo."

I loro sguardi s'incrociano per un attimo, e Greg vede Mycroft esitare, come se fosse a disagio. "Mh, Mycroft 'maledettissimo' Holmes in imbarazzo. Questo sì che è un evento."

« Io lo so che lei è sempre stato un buon amico per Sherlock. » afferma alla fine « Gli è stato vicino. La ringrazio. »

L'ispettore lo fissa senza parole. Nonostante tutto, forse Mycroft sta davvero cercando di rassicurarlo. Perciò Greg si limita ad annuire rudemente e a farfugliare: « Uhm, sì… grazie. Cioè, prego… di nulla. »

Il maggiore degli Holmes sposta la propria mano dal braccio dell'altro e sorride di poco, in un'espressione che Lestrade noterebbe come più aperta e sincera del solito, se non fosse occupato a riordinare i propri pensieri e a costruire la prossima frase.

« Quindi… cosa facciamo ora? John? » chiede alla fine, speranzoso, per cambiare discorso.

« No, non credo sia il caso di coinvolgere il dottor Watson. Avrà già il suo bel daffare nel riportare indietro mio fratello. Lui è l'unico che potrebbe farcela davvero. »

« Lui non- err… lui non è stupido. »

« No, certo che no. Only an idiot would surround himself with idiots. [3] Vuole sapere se secondo me John ha intuito qualcosa di questa nostra ipotesi? Credo proprio di sì, ma non a livello conscio. »

Greg si ritrova ad annuire in modo sciocco "Sarebbe da John, sì. Capire Sherlock… senza però capirlo. Ha senso questa cosa?"

« Vuole invece sapere se secondo me intuirà che stiamo portando avanti un'indagine parallela senza di lui? Forse lo scoprirà, ma lascerò a lei il compito di occuparsene. »

Mycroft gli sorride enigmatico, e Greg ci mette qualche secondo a capire il vero significato di quelle parole.

« Aspetti… cosa? » mormora alla fine, tirandosi su sulla poltrona « Indagini parallele? »

« Esatto. » assente « Io e lei. »

Greg passa incredulo lo sguardo dalla sua bocca ai suoi occhi. Sorriso da squalo, occhi che luccicano in modo sinistro, ghigno compiaciuto, sguardo persuasivo.

"Oh, no. Non scherza." pensa, "Com'è che avevo detto a Sherlock? 'Non faccio solo quello che mi dice tuo fratello'[4], eh? Mi sa che dovrò ricredermi."

E quello che si accascia con un gemito sulla poltrona, coprendosi gli occhi con una mano, è un Gregory Lestrade piuttosto ubriaco e malridotto, arreso a un destino di complicazioni chiamati 'Holmes'.

 

 

***

 

 

Mycroft ha trascorso gli ultimi tre giorni a tentare di comunicare con il fratello, a vegliare sui suoi progressi, a provare a comprendere qualcosa di più, senza ottenere molti risultati; Sherlock si sta ristabilendo in fretta, nonostante le tracce delle torture che ha subito rimangano ben impresse, non solo sul suo corpo: è più lucido ogni ora che passa, favorito anche dal fatto di avere sempre meno sostanze estranee in circolo, ma la sua mente non da segni di qualche miglioramento significativo; chiunque si sia occupato del suo Mind Palace, ha svolto egregiamente il proprio compito.

Mycroft è dietro alla parete-specchio, appoggiato al suo ombrello prediletto, tentando di trovare conforto in quella posizione tanto abituale; osserva Sherlock, al momento catturato dai genitori in un affettuoso abbraccio: per un attimo, quando sono entrati nella stanza, Mycroft ha temuto che il fratellino si fosse dimenticato di loro e si era domandato quanto questo avrebbe spezzato il cuore dei propri genitori, ma poi Sherlock aveva sorriso, e tutto era andato bene, per fortuna; tuttavia ci sarebbe da chiedersi come mai suo fratello non abbia la solita espressione sgomenta e sofferente, costretto in quella stretta fin troppo espansiva.

A quanto sembra, i loro genitori sono le uniche due persone, oltre al ragazzo, Bill, di cui Sherlock abbia conservato un ricordo intatto, e cosa dovrebbe dedurre da questo, Mycroft? Sempre che ci sia qualcosa da dedurre.

È piacevole scrutare quel quadretto famigliare, Mycroft può scorgere con chiarezza il bambino gentile e curioso che Sherlock è stato; allontana la leggera fitta di invidia e nostalgia, e per l'ennesima volta nella sua vita si chiede come sia successo che Sherlock sia diventato l'uomo che ora ha davanti. Non in quel preciso istante, in realtà: ora a Mycroft ricorda un misto fra quel bambino fragile e pieno di sentimenti e passioni, e l'uomo distaccato e solo che era prima di incontrare John Watson.

Quel medico è stato una benedizione per lui, alla fine è riuscito a tirar fuori il meglio di suo fratello [5], come lui si era sempre auspicato, malgrado non fosse mai stato capace di realizzare quella speranza di persona; ha avuto successo nell'impresa di riaprire il cuore di Sherlock a quelle emozioni che aveva serrato in fondo al cervello, nei ricordi della sua infanzia, gli ha rimembrato l'importanza del contatto umano, dei valori quali l'amicizia e l'affetto.

Mycroft non ha mai necessitato di quel genere di sentimenti: li comprende, e forse ogni tanto li apprezza, ma non ne avverte la mancanza; mentre Sherlock è sempre stato dissimile da lui: da ragazzino aveva cercato disperatamente di ottenere per sé quelle cose, ma la sua stranezza, la sua intelligenza l'avevano sempre più allontanato dalle altre persone, rendendolo incapace di stringere legami. E se questo aveva reso Mycroft indifferente al resto della popolazione mondiale, Sherlock ne era uscito distrutto: si era chiuso in se stesso, preferendo dimenticare piuttosto che affrontare di nuovo il mondo, per non rischiare di ferirsi ancora.

In questo modo era diventato l'high-functioning sociopath [6], come amava definirsi, mentre lui… lui era divenuto l'Uomo di Ghiaccio.

A rifletterci accuratamente, Mycroft trovava ironico quanto partendo da due situazioni tanto simili, fossero sfociati in percorsi così diversi: Mycroft era pigro, detestava l'avventura, e preferiva l'esercizio mentale al lavoro sul campo, perciò era diventato un uomo di governo, tanto abile a tramare e tirare i fili delle sue marionette, riparato dall'ombra, quanto a placare le necessità del proprio corpo con dolci e sfizi analoghi, pago di essersi stabilizzato in un'esistenza con la quale sentisse di essere utile al proprio Paese, in qualche modo, senza allo stesso tempo annoiarsi mai; Sherlock non aveva avuto altrettanta fortuna: era un uomo d'azione, bramava il brivido del pericolo e anelava il trovarsi sempre in prima linea, incapace di ammansire la propria mente, se non con enigmi e casi efferati, e, in mancanza di questi, si era ridotto ad applicare soluzioni autodistruttive, come il fumo o la droga, e pur tuttavia, l'inevitabile tedio lo afferrava a cicli costanti, forse perché avvertiva di non avere davvero qualcosa d'importante nella propria vita. Ovviamente prima dell'arrivo di John, esatto?

Eppure, la sostanziale differenza non consisteva in questo, quanto nel rapporto con il resto del mondo; Mycroft era giunto presto alla conclusione di come in realtà bastasse poco per farsi spazio nella vita: le labbra sempre aperte in un sorriso gentile, anche se non coinvolgeva gli occhi, perché in ogni caso quante persone se ne accorgono?, il tono calmo e suadente, parole garbate; in un mondo di goldfish l'unico modo per ottenere quello che si desidera è far pensare loro di essere carp, lucenti, fiere e capaci di risalire la corrente, e quando sono ormai satolli del loro finto successo, rivelarsi per quello che si è: shark pronti a mangiarli, oppure divorarli senza nemmeno dar tempo di rendersene conto [7]; ma Sherlock? questa era una lezione che il suo fratellino non aveva mai imparato: Mycroft riusciva ad affascinare le persone e a sfruttarle come voleva, pur continuando a vedere tutti come un oggetto; Sherlock, che invece aveva sempre agognato la compagnia altrui, non faceva altro che allontanarle con i suoi modi e tutto il suo essere.

Chiaramente Sherlock non ammetterebbe mai una cosa del genere, ma Mycroft conosce bene suo fratello, e sa dove risieda la verità.

Perciò i due fratelli, così simili eppure tanto diversi, avevano instaurato quel rapporto strano e a tratti morboso: si respingevano e si cercavano come magneti, consci di non poter trovare in nessun'altro una mente che potesse capirli altrettanto bene; tra loro è sempre stata un'infinita lotta a chi deduce prima, una gara a chi intuisce meglio, e guardandolo ora attraverso quel vetro a parete, Mycroft si dice che in fondo la loro relazione è sempre stata tale: Mycroft che lo osserva e ha cura di lui, rimandendo nascosto dietro a un muro e Sherlock, dall'altra parte, troppo cieco per accorgersi davvero della sua presenza; è mai stato un problema per Mycroft? non è sempre stato più divertente, più stimolante in questo modo? mentirebbe a se stesso, se dicesse di non aver adorato ogni singolo istante di quel loro gioco, di quel loro tiro alla fune: alcune cose devono semplicemente andare nel modo in cui vanno. E ora Mycroft ha perso il suo rivale, il suo acerrimo nemico, l'unica persona che davvero ami e che conti qualcosa per lui.

Perché lo Sherlock che lo fissa con odio oltre la porta, mentre i loro genitori escono dalla stanza, è tutto, è chiunque, fuorché il suo little brother.

 

I signori Holmes chiudono la porta della stanza di Sherlock, facendo scomparire la sua espressione dalla vista di Mycroft; tuttavia sarà difficile togliersela dalla mente, non è vero?

Sua madre si avvicina a lui, lo sguardo triste, sfiorandogli la guancia in una carezza dolce, e Mycroft non riesce a fare a meno di chiudere gli occhi per assaporare quel contatto, quel conforto accennato; ma dura solo un momento, poi il maggiore degli Holmes si rammenta di chi sia, ricorda che il ghiaccio è freddo e duro e non può avere esperienza del calore, pena la morte; perciò si scosta dalla mano della madre, sbuffando infastidito.

L'anziana lo guarda con occhi limpidi, forse appena un po' amareggiati, ma non sembra stupita della cosa: lei sa, Mycroft sa, Mycroft sa che la madre sa, e viceversa; non c'è nulla da dire.

« Mycroft… tuo fratello. »

Nessun nomignolo di quando era ragazzo; non una domanda ma nemmeno una risposta; nessuna intonazione nella frase; che cosa, madre? cosa vuole sapere? cosa vuole che Mycroft le dica? cosa vuole da lui? che le assicuri che si prenderà cura di Sherlock? che le spieghi perché, per quale motivo, per l'ennesima volta non è stato capace di proteggerlo, di tenerlo lontano dai guai? perché continua a fallire come fratello, come suo figlio?

Mycroft scruta negli occhi della madre, la posizione rigida, le mani che stringono spasmodicamente il manico dell'ombrello; ma non può dedurre nulla, anzi, ha la sgradevole sensazione che sia la madre a dedurre tutto di lui: è più di una percezione, è una certezza. Dopotutto, i geni dei fratelli Holmes provengono dritti da lei, e se anche la donna ha rinunciato anni prima alla sua mente geniale, e non si è mai spinta oltre come i suoi figli, quelle tre parole, quel silenzio al posto del solito chiacchiericcio, indicano che sta leggendo l'anima del figlio, e Mycroft si sorprende a non esserne infastidito, a desiderarlo quasi, perché lei è l'unica che abbia mai saputo e avuto il diritto di farlo.

Mycroft si chiede se abbia trovato ciò che cerca; si chiede se non siano tutte cose che, dopotutto, la madre conosce già.

Le labbra della donna si stirano in una linea grave, in un sorriso che non trova la strada per riemergere da sotto la pelle; ma Mycroft lo vede, Mycroft sa, e la madre anche.

La signora Holmes annuisce lieve, prima di passare oltre al figlio con un ultimo sguardo carico di affetto.

Il padre ha un'espressione più aperta, Mycroft impiega una frazione di secondo a decifrare il suo volto, e le sue parole sono rotte, sofferenti.

« Resteremo al solito Hotel, finché ce ne sarà bisogno. »

Poi il signor Holmes lancia uno sguardo alla moglie, che si sta allontanando verso l'uscita.

« Lei… si preoccupa, lei… » deglutisce, « Si sente in colpa, ha paura che accada di nuovo come con… »

« Lo so, papà, lo so. » lo ferma Mycroft, e dopo aver pronunciato le parole si accorge con disappunto di non essere riuscito del tutto a nascondere il tremolio nella sua voce.

Il padre gli stringe una spalla per qualche secondo, gli sorride e raggiunge la moglie.

Solo quando Mycroft sente il portone della casa richiudersi, riesce a tirare un sospiro per scaricare tutta la tensione accumulata. Le sue nocche sono diventate bianche, tanto ha stretto l'ombrello.

 

« Fratello. » lo accoglie a mo' di saluto Sherlock, non appena Mycroft chiude la porta dietro di sé.

Il detective è seduto sul letto, avvolto da una vestaglia beige, la schiena poggiata alla testiera, i piedi nudi intrecciati, la testa reclinata all'indietro sui morbidi cuscini, i polpastrelli congiunti nella consueta posizione del pensatore.

Mycroft potrebbe fingere che non sia cambiato nulla, se non fosse per la stanza estranea, per il fatto che quella non è Baker Street, il suo regno; per i macchinari intorno al letto, per la flebo attaccata al dorso della mano, per i gessi alle gambe e le fasciature intorno al torace, per i segni violacei sulle braccia, sul collo, per le ferite che i suoi occhi non possono vedere sotto i vestiti ma che il suo cervello è capace di contare con estrema precisione; e per la voce fredda, per il tono calcolatore, per l'espressione ferina che gli sta dedicando; Dio, Mycroft non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe rimpianto le sue chiamate insensate, il suo tono beffardo, le frasi come "Hello, brother dear. How are you?" [8] pronunciante con quell'irriverenza, quella sfida a cui non sapeva rifiutare nulla.

« Sherlock. » risponde alla fine, cercando di infondere nel suo tono una sicurezza che in realtà non sente di possedere; fortunatamente, anni di esercizio fanno la loro parte.

Il fratello alza un angolo della bocca in un sogghigno accennato, gli occhi accesi da una luce arrogante.

« Fammi indovinare. Sei qui per convincermi della tua versione dei fatti, giusto? » non gli da il tempo di rispondere, « Ancora Mycroft? Da quando ti sei ridotto a ripetere le cose come un volgare e comune uomo? »

La mascella di Mycroft si contrae, mentre unisce le mani sul manico dell'ombrello, facendo sbattere la punta a terra per qualche secondo; non ha intenzione di dargli la soddisfazione di rispondergli, no, non si abbasserà ai suoi giochetti; o piuttosto è che ha paura di tradirsi, se solo aprisse bocca?

Sherlock lo tenta con il silenzio, scrutando con attenzione, poi separa le dita, portandosi l'indice alla bocca, e quindi scuotendolo contro di lui.

« Lo sai, Mycroft, questo è il terzo giorno di seguito che vieni qui, con le stesse intenzioni. È commovente. » il suo volto si apre in una smorfia, « O meglio, lo sarebbe se me ne importasse qualcosa e se non fossi convinto che in realtà faccia tutto parte del tuo piano. »

I suoi occhi vagano per la stanza, indifferenti, per poi posarsi di nuovo sul fratello.

« Comunque. È chiaro che questa volta non hai intenzione di reagire alle mie provocazioni. Ammirevole, devo riconoscerlo. Allora permettimi di continuare, ti dispiace? »

Senza aspettare un segno da parte sua, si volta, afferrando il laptop lasciato sul comodino vicino; lo accende e prende a fissare lo schermo, per un attimo acceso dalla stessa abnegazione che sempre si può osservare sul suo viso durante lo svolgimento di un enigma.

« Partiamo dal mio caro amico Gregory Lestrade. I fascicoli dei casi che mi hai dato da controllare… lo ammetto, li ho trovati piuttosto illuminanti. »

Per un secondo Mycroft viene afferrato dalla speranza di essere riuscito a far breccia in quella oscura corazza, ma quando gli occhi di Sherlock si alzano nei suoi, si ricrede immediatamente; lo sta deridendo: è solo un gioco per lui.

« Dico sul serio. » prosegue, ignorando il cambio di postura nel fratello, le emozioni che sono passate sul suo viso, « Cinque anni di casi che ho risolto per New Scotland Yard riscritti, modificati, aggiungendo dettagli assurdi, sfumature che… sul serio credevi che ci sarei cascato? »

Ora il fratello minore lo schernisce apertamente, il volto sfigurato in un'espressione di irrisoria incredulità; e Mycroft si chiede come possa fargli vedere la verità: come può convincerlo che quella sia la realtà, mentre tutto ciò che crede di conoscere… è solo una menzogna?

« Lestrade è la mente più brillante di Scotland Yard, il migliore in un branco di imbecilli [9], questo l'ho sempre sostenuto, e con te a fianco immagino abbiate smosso il mondo intero per mettere su tutta questa commedia, ma Mycroft, te lo devo dire, tu mi stai sottovalutando. Mi basterà un particolare minimo, una punta di spillo, e tirerò giù questo castello di carte che hai creato. »

Mycroft pensa all'ispettore, all'abbattuto uomo che solo due sere prima ha accolto in quella casa: l'interessante reazione che Sherlock ha avuto nei suoi confronti è stata determinante per comprendere la vera entità della situazione, per capire quanto a fondo fossero riusciti a deviare il suo Mind Palace, a mescolare i suoi ricordi e riscrivere gli eventi togliendo particolari più o meno importanti, per renderli distorti, eppure così maledettamente reali, poiché appena differenti dalla verità; ma il modo in cui Lestrade era uscito da quel confronto aveva annullato in Mycroft ogni briciolo di esultanza.

« Sherlock. » ha finalmente la forza di replicare, « Te l'ho detto, non è come pensi. »

« Certo, certo. » il fratello svolazza la mano in sua direzione, tornando a concentrarsi sul computer « Me l'hai raccontato. Moriarty prima e la sua gigantesca rete d'inganni poi, che a quanto pare mi hanno tenuto impegnato almeno per tre anni, come no. Mi sembra ragionevolissimo. Quasi quanto tu che ti diverti a inventare tutto, con la tua costosa stilografica in mano, nell'ombra del tuo ufficio. Moriarty. Potevi almeno sforzarti un po', con il nome, per renderlo più credibile, eh? E poi… » si lascia sfuggire una risata amara, « Consulente criminale, addirittura. Consulente criminale, Mycroft, sul serio? »

L'istinto gli suggerirebbe di alzare il suo ombrello e darlo più volte in testa al suo caro fratellino; ma l'autocontrollo è da sempre il miglior talento di Mycroft Holmes, perciò si limita a rotearlo di trecentosessanta gradi, cambiando poi posizione.

« Infine il pezzo forte: questo. » e Sherlock gira lo schermo del computer così che il fratello possa vederlo, « E qui Mycroft hai decisamente superato te stesso. »

Quello che Sherlock gli sta mostrando è il blog di John Watson.

« Un blog! Un blog dove questo presunto mio migliore amico, John Watson » e Mycroft nota la smorfia e il brivido che percorrono il fratello nel pronunciare il suo nome, « Ha descritto i casi che abbiamo risolto insieme in questi anni. Insieme! Un collega per i miei casi! Un migliore amico! Io! » ogni frase esclamata con un misto di stupore, scherno, e disgusto in parti uguali.

« Sherlock, non so come altro dirtelo, è la verità. Non ho inventato nulla, non ho nessun piano. Non so cosa pensi che ti abbia fatto, ma John è sul serio il tuo migliore amico, anzi tu sei stato il suo testimone di nozze. Il blog è vero, tutto quello che c'è scritto è accaduto. Qualcuno ha messo mano nel tuo Mind Palace, Sherlock, ciò che credi di sapere non è reale. »

Sherlock scoppia a ridere, un suono freddo e metallico che fa gelare il sangue persino all'Uomo di Ghiaccio in persona.

« Io non ho amici, Mycroft. Ho solo avversari, e nemici mortali. »

E all'improvviso Mycroft realizza che l'uomo che ha davanti non è suo fratello bambino, fragile e sperduto, non è l'autolesionista manipolatore che è stato prima di John, né il brillante detective con il suo blogger accanto: è lo Sherlock come sarebbe diventato se non avesse conosciuto John, se non avesse incontrato una persona abbastanza intelligente e onesta da riconoscere il suo genio senza tacciarlo del soprannome di mostro, una persona tanto sensibile da riuscire a oltrepassare le sue barriere e renderlo un uomo migliore; Mycroft si chiede se il dottore sia consapevole del miracolo che ha ottenuto con Sherlock, se sia consapevole di averlo salvato da un'esistenza grigia e solitaria, se sia consapevole di essere riuscito a fargli comprendere di essere "a ridiculous man, redeemed only by the warmth and constancy of yours friendship" [10].

Lo sguardo di Mycroft è mesto, ora, mentre scuote piano la testa, non ha senso dire null'altro ormai.

« Questo significa » decide solo di chiedergli, « che domani non prenderai parte al - »

« Al tuo piccolo show? » gli occhi di Sherlock brillano « Oh, no, caro fratello. Non me lo perderei per nulla al mondo. Sono proprio curioso di sapere cosa ti inventerai. Hai in mente qualcosa, fratello, lo so. E sta sicuro che lo scoprirò. »

Mycroft annuisce meccanicamente, decidendo di accettare quella piccola vittoria senza commentare; ma il modo in cui lo sta guardando… non può più sopportarlo: sostiene quello sguardo astioso per appena un secondo, poi si volta, sicuro che potrà vederlo davanti a sé ogni volta che chiuderà gli occhi, imperituro memento della sua fallibilità, della sua debolezza.

« Sai, Magnussen aveva ragione. » afferma Mycroft, allontanandosi verso l'uscio, mentre pensa a quello che il disgustoso uomo aveva detto: Sherlock è sempre stato il suo pressure point [11], e lo sarà sempre; « Te lo prometto, Sherlock ti farò tornare come prima. »

Mycroft ha già una mano sulla maniglia della porta, quando Sherlock apre di nuovo bocca.

« Io ti odio. » dichiara, scandendo con cura e lentezza le sillabe.

Mycroft si blocca, chiude gli occhi, e in quel momento non è più tanto sicuro che il suo cuore sia una lastra di ghiaccio: da come si sta stringendo, colpito da quelle parole, da come si sta sciogliendo, è molto più simile a una fragile pallina di neve, piuttosto sporca, oltretutto.

« Sì, lo posso dedurre, Sherlock. » sussurra in risposta, prima di sparire oltre la porta, la maledetta voce che lo tradisce e trema, « Lo vedo. Lo so. »

 

 

***

 

 

L'uomo si rigira e si dimena nel letto, irrequieto. La notte è scesa da diverse ore ormai, ma non ha portato con sé il sonno ristoratore che desidera e di cui avrebbe bisogno.

« John? » sussurra Mary, la voce impastata, « Non riesci a dormire? »

« No. » è la laconica risposta che arriva dal medico.

« Vuoi parlarne? »

« No. » replica ancora, dopo un attimo di esitazione.

La donna accende la luce della abat-jour sul comodino, poi si volta verso il marito, scostando il copriletto color perla e stendendosi su un fianco, le mani unite a far da cuscino al volto.

« John? » chiede ancora, osservando il volto teso del marito, i suoi occhi serrati con forza, « John, parla con me. »

John sospira e si arrende, preferendo però nascondersi dietro il palmo della propria mano, dopo aver sospirato e essersi strofinato la fronte in cerca di un sollievo irraggiungibile.

« Sei in agitazione per domani? » prova allora a spronarlo con delicatezza.

John annuisce piano.

« Lo so, amore, lo so. » risponde Mary, per poi appoggiargli una mano sulla spalla. È l'incoraggiamento che l'uomo stava aspettando.

« È che… » mormora, « È che non capisco, non riesco a comprendere perché lui dovrebbe aver paura di me, e io… non voglio più che mi guardi con quegli occhi. »

Mary allunga la sua carezza dalla spalla, al collo, al volto, fino a prendere la mano dietro cui John si nasconde, e stringerla nella sua. John si volta a guardarla, e ora sono occhi negli occhi. Mary si mordicchia un labbro.

« Non hai… » inizia a dire, cercando le parole giuste, « Non hai nessun'idea del motivo, non ti viene in mente nulla che potrebbe giustificare questa sua reazione? »

« Mary, sono stato in guerra. E continuo a rispettare la decisione di non sapere nulla del tuo passato, » e dicendo queste parole alza una mano davanti alla moglie per prevenire qualsiasi sua obbiezione, « ma se è vero anche solo l'un per cento di ciò che posso immaginare… sappiamo bene tutti e due quale potrebbe essere il motivo. »

Si fissano per qualche secondo, consapevoli di star pensando alla stessa cosa.

Mary sospira, si avvicina di più al marito, e posa la testa sulla sua spalla, stringendogli forte la mano. John si irrigidisce appena sotto quel contatto, perché - anche se l'ha perdonata - con la gravidanza prima, la bambina poi e i suoi sentimenti ancora scombussolati, sono stati pochi i momenti di intimità coniugale. Ma piano piano i suoi muscoli si distendono, perché quella è sempre la sua Mary, la donna che ama, e lui desidera solo abbracciarla e tenerla vicina a sé.

Esita ancora un attimo, quindi svela il peso che sente sulla bocca dello stomaco: « È il mio migliore amico. Fa male vederlo così, sapere come mi vede. »

« Non è lui, in questo momento, lo sai. È come… è come se fosse malato. Cerca di pensarla in questo modo, cerca di pensare che stai facendo di tutto per aiutarlo. »

« Come farò domani a stare nella stessa stanza con lui? » geme il dottore.

« Ti aiuterò io. Ti starò vicino, ce la faremo. Lo riporteremo indietro, John. »

Mary comincia a coprire il volto di John di leggere carezze, nel tentativo di infondergli sicurezza e tutto l'amore che prova per lui, e per un po' rimangono in silenzio.

« Sai » sussurra alla fine Mary, « Quando ti ho sposato lo sapevo. Sapevo che stavo sposando anche Sherlock, in un certo senso, la vita con il tuo pazzo migliore amico. E Sherlock… mi piace, te l'ho detto fin dal primo momento. Odierei perderlo, quanto te. »

« Disse la donna che gli ha aperto un buco nel torace con un proiettile. » ironizza John.

Mary scoppia a ridere, perché è bello sentire che ci scherza su, finalmente. Non ne hanno mai parlato se non con molta tensione, perciò anche John ridacchia.

Le carezze di Mary si spostano sul suo petto, in circolo, diventando via via più intense. Finché si tira su, lasciando la sua mano aperta sopra il cuore di John, per sentire il suo battito regolare, sostenendosi con l'altro braccio appoggiato sul letto, e lo fissa negli occhi.

« Dico davvero, John. » afferma, e l'azzurro dei suoi occhi è luminoso persino nella penombra della camera, « Dopotutto lui ha salvato il nostro matrimonio. »

« Ha salvato il nostro matrimonio? » ripete John, accigliandosi.

« Sì, perché le sue parole ti hanno convinto a non mandarmi via. » annuisce con un sorriso puro, « Per questo devo ringraziarlo. »

Quello che John sente in quella frase è profondo affetto, e quando Mary si avvicina, annullando piano lo spazio fra di loro, e poggiando le labbra sulle sue, la mano che ora stringe in modo significativo il suo petto, John decide che è ora di lasciarsi andare come non fa da tempo. E mentre chiude gli occhi e risponde al suo bacio, approfondendolo con la stessa urgenza e la stessa passione di Mary, pensa: "Alla fine avevi ragione, Sherlock. Mary è così perché io l'ho scelta, e noi ci amiamo e ci meritiamo come siamo. Tu hai sempre maledettamente ragione, Sherlock."

 

« Tutto ok? » la voce che gli pone la domanda, così come la stretta sulla sua spalla, appartiene a Greg.

John annuisce rigido, ma non si volta a guardarlo, né si fida a parlare - tanto dovrà tenere un lungo discorso di lì a poco.

Hanno discusso per una mezz'ora, poco prima, su chi dovesse iniziare, ma non c'erano molte alternative. John è di sicuro la scelta migliore, anche se da come gli altri l'hanno guardato deve esserci qualche riserva in proposito. John ha detestato i loro sguardi di compatimento, e per questo motivo ha combattuto, fermo nella sua posizione, ancora più strenuamente.

Doveva farlo lui, non aveva senso che fosse qualcun'altro. Anche se l'urlo di terrore che Sherlock aveva emesso alla sua vista ancora rimbomba tra le sinapsi del medico. "Non cederò." si era detto.

Mycroft si era assicurato che nei tre giorni precedenti Sherlock venisse a conoscenza della verità, l'aveva obbligato a leggere i fascicoli di Lestrade, a visitare il blog di John. Ma non era servito a nulla. John non era nemmeno sicuro che qualcuno avesse davvero avuto qualche speranza in proposito.

Sherlock aveva accettato di sottostare all'idea del fratello del racconto in diretta, anche se Mycroft aveva informato il medico di come il fratello minore credesse che avessero messo su una specie di teatrino volto a ingannarlo. Una grande cospirazione. John non si stupisce affatto che il cervello di Sherlock abbia elaborato un'idea tanto assurda come via di fuga, per non accettare la realtà. Tutto sommato, il fatto che si stia prestando alla cosa è comunque un buon segno, per lo meno un inizio.

Avevano deciso che per la prima volta sarebbero stati presenti in pochi, perciò John, Mary e Greg si trovano fuori dalla stanza di Sherlock, aspettando il segnale di Mycroft che è già entrato e sta preparando il fratello, mentre tutti gli altri sono seduti oltre la parete-specchio, nella camera adiacente.

John deglutisce. "Non ce la farò mai a guardarlo. Sì, invece. Ce la devo fare. Mio Dio, come faccio?"

I successivi minuti si confondono nei ricordi del dottore. Mycroft che spalanca la porta e fa un cenno, loro che entrano nella stanza, Sherlock che li scruta ad occhi semi aperti, John che evita il suo sguardo, Mary che gli prende la mano e quasi scivola nella stretta sudata del marito, Mycroft che dice qualche parola che il cervello di John registra ma non comprende appieno, Sherlock che fissa il suo sguardo su di lui e si irrigidisce, non apre bocca ma John riesce comunque a sentirne l'urlo, Mary che carezza con il pollice il dorso della sua mano, Greg che annuisce con occhi pieni di comprensione e incoraggiamento, la punta dell'ombrello di Mycroft che sbatte sul pavimento.

È ora. John prende un respiro profondo e comincia.

 

Era passata una settimana dalla comparsa del video di Moriarty, e tutte le volte che John era andato a trovare Sherlock l'aveva trovato a ripetere ossessivamente quel "Did you miss me?", a percorrere tutto il 221B in lunghe falcate, a rimanere in silenzio per ore, immerso nel suo Mind Palace. Niente di diverso, insomma. Se non fosse che John non abitava più in Baker Street, perciò non aveva tempo di aspettare che si destasse dalle sue elucubrazioni e avesse voglia di scambiare con il suo migliore amico almeno un paio di parole.

Era ormai tardo pomeriggio, John si era stufato di tentare di conversare con uno Sherlock che a malapena si accorgeva della sua presenza, alzare la voce non aveva avuto effetto, l'atmosfera era diventata piuttosto opprimente, così John era uscito stizzito dall'appartamento ed era sceso da Speedy's, nella speranza che un caffè e un po' d'aria respirabile gli distendessero i nervi.

Aveva appena terminato il liquido scuro nella sua tazzina, e stava fissando con sguardo vacuo la televisione sopra il bancone del bar - un noiosissimo telegiornale, sul serio, chi va al bar per sorbirsi un telegiornale? - quando lo schermo si oscurò in righe grigie, producendo un basso brontolio. Le prime note di una canzone cominciarono a spandersi per il locale, e a John bastò una manciata di secondi per riconoscerle. Qualcuno provò a cambiare canale, ma sembrava che tutte le emittenti stessero trasmettendo lo stesso programma. Lo schermo era ora nero, e John si stava già precipitato fuori dal locale, mentre una voce iniziava a cantare.

Well now, I get low and I get high,

And if I can't get either, I really try.

Le parole rimbombavano nelle scale mentre John saltava i gradini due a due. Gli pareva di sentire tutta Londra con il fiato sospeso - "Proprio adesso doveva succedere?"

Quando oltrepassò la porta, con il fiato corto, trovò Sherlock che fissava la televisione, le mani unite sotto il mento.

« Sette secondi, John. » disse Sherlock, senza guardarlo, mentre cominciava la frase successiva della canzone.

Got the wings of Heaven on my shoes.

« È lui? » chiese John, anche se conosceva già la risposta, guardando lo schermo sul quale ora era apparso un grosso '9' bianco.

I'm a dancing man and I just can't lose.

« Questa canzone è praticamente la sua firma. » aveva commentato Sherlock, mentre un '8' si sostituiva al precedente numero.

You know it's all right, it's ok.

« Perché i numeri? » aveva chiesto confuso, sedendosi di fianco all'investigatore.

I'll live to see another day.

« Un conto alla rovescia. » aveva spiegato Sherlock, « Il dieci all'inizio della canzone, poi il nove e ora l'otto a distanza di sei secondi esatti. »

« E cosa succederà alla fine? »

We can try to understand

The New York Times' affect on man.

« Un minuto e lo scopriremo. Ora fa' silenzio, John. » aveva risposto in un sussurro, mentre un '7' si sostituiva al precedente numero.

John aveva preso a tormentarsi le mani, osservando inquieto il televisore e seguendo le note della canzone.

Whether you're a brother

or whether you're a mother,

you're stayin' alive, stayin alive.

Un '6' apparve e scomparve, mentre la canzone arrivava al famoso ritornello.

Feel the city breakin' and everybody shakin',

And we're stayin alive, stayin' alive.

Ah, ah, ah, ah, stayin' alive, stayin' alive.

Ma subito dopo il '5' comparvero altre parole: "Did you miss me, Sherlock?"

Gli occhi del detective si allargarono leggermente, mentre la mascella del dottore si spalancava del tutto.

Ah, ah, ah, ah, stayin' alive.

Mentre il cantante dei Bee Gees si esibiva nel suo assolo, il '4' si sostituì al '5', e altre parole sbucarono al posto delle precedenti: "Stai cercando di capire?", e poi la frase: "Trafalgar Square, tra una settimana esatta."

Le parole si dissolsero, rimpiazzate dal '3', mentre il coro continuava a intonare la canzone, e John sentiva il cuore correre a mille lungo la gola.

Life going nowhere.

Somebody help me, somebody help me, yeah [12].

Quindi il '2', accompagnato dalla frase: "Ti servirà tutto l'aiuto possibile, Londra."

E un '1', con la scritta: "Perché faccio sul serio, yeah."

L'ultimo "stayin' alive" della canzone, prima che lo schermo tornasse a grossi pixel grigi, fu affiancato da uno '0' e dalle lettere: "K A B O O M".

Un enorme boato squassò l'aria. Sherlock balzò in piedi, andando alla finestra, seguito a ruota da John. Entrambi fissarono il cielo della City, percorso da fumo e bagliori rossastri. "Bomba, esplosione", ebbe solo il tempo di pensare John, la bocca e gli occhi spalancati dall'orrore, mentre lo sguardi di Sherlock si muoveva veloce lungo la sua Londra, schioccava le labbra e prendeva a parlare.

« Non una John, ma tre. » disse, per poi prendere a indicare diversi punti in aria, « West London, ha usato un palazzo che doveva essere demolito; Docklands, un magazzino vuoto, ci scommetto; e sul Tamigi, nei pressi del vecchio porto, probabilmente un traghetto rubato, piccolo ma pieno di esplosivo. »

John non si era chiesto come aveva dedotto quelle cose, sapeva che l'amico aveva perfettamente impressa nel cervello la cartina della City.

Lo sguardo di Sherlock si fece cupo, mentre si voltava e andava a sistemarsi sulla sua poltrona, immergendosi nel suo Mind Palace.

John era rimasto a osservare nervoso fuori dalla finestra, sotto i suoi occhi erano passate file di auto della polizia e ambulanze, tutte dirette ai tre punti descritti dall'investigatore. Londra si era fermata, rotta solo dal suono delle sirene. Il medico si era quindi spostato davanti alla televisione, facendo zapping per i canali, nella vana speranza di trovare qualche indizio.

Il suo cellulare aveva tremato due o tre volte, per messaggi da Mary, Greg e persino Mycroft, la prima preoccupata chiedeva sue notizie, il secondo gli aveva inviato qualche imprecazione e una richiesta d'aiuto per quel casino, mentre il maggiore degli Holmes si era limitato a scrivergli: Baker Street, fra un quarto d'ora? MH , come se non sapesse che li avrebbe trovati lì, il manipolatore.

Infine non aveva più resistito ed era andato a piazzarsi di fronte all'amico.

« Allora, Sherlock? » aveva aperto le braccia, esasperato, « Che sta succedendo? »

E l'investigatore questa volta si era degnato di alzare gli occhi nei suoi.

« Mi sembra ovvio, John. Questa è una sfida. Diretta a me. » aveva fatto una pausa ad effetto, e John aveva sbuffato, incrociando le braccia. "Dannata drama queen che non sei altro!" [13] aveva esclamato fra sé e sé.

« Un video mandato su tutti i canali della tv contemporaneamente » aveva continuato ignorando il disappunto dell'altro « Stayin' alive, la sua orma. Un appuntamento preciso. E le bombe, in luoghi innocui ma ben definiti, una minaccia subito messa in atto. Cosa ci sta dicendo, John? »

Il medico aveva alzato le sopracciglia.

« È ovvio, John. In un minuto ha messo bene in chiaro le sue intenzioni, che la città è sua e può farci quello che vuole. È un guanto di sfida, solo per me. »

Sherlock si era alzato dalla poltrona con un balzo, le mani che si producevano in un breve applauso, il volto aperto dall'entusiasmo.

« Ah, John, questo sì che è regalo di Natale in ritardo! » aveva esclamato, mentre si infilava il suo cappotto, annodandosi la sciarpa blu intorno al collo.

« Oh, no, è il momento, vero? » si era lamentato John, sospirando prima di passarsi una mano tra i capelli.

« Il momento? » Sherlock aveva alzato un sopracciglio, « Che momento? »

« Quel momento, Sherlock. » aveva risposto, calcando con enfasi sulla prima parola, per poi fare un gesto vago verso i suoi occhi illuminati da una scintilla di eccitazione.

« Oh. » aveva compreso il detective, le labbra che si arricciavano appena in un ghigno furbo « Sì, John, è il momento. »

Aveva sorriso, alzando il bavero del Belstaff in un solo movimento fluido, per poi pronunciare teatralmente la magica frase:

« The game is on. » [14]

 

 

***













 

Note:

 

[1] Those things will kill you = Quelle cose ti uccideranno. È la frase a effetto, riferita alle sigarette, che Sherlock dice a Lestrade nella 3x01, spuntando all'improvviso e rivelando la sua non-morte. Tutto il passo, l'abbraccio, gli insulti, il nome sbagliato, è riferito a quell'episodio.

 

[2] La famosissima "Caring is not an advantage", detta da Mycroft in "A scandal of Belgravia". Traduzione: soffrire non è un vantaggio, o almeno questa è la traduzione dei subs e anche della versione italiana, se non sbaglio. In realtà il verbo "to care" ha diversi significati: soffrire, curare, tenerci, preoccuparsi, interessarsi, voler bene… In questo caso, Sherlock la usa per dire che avere degli amici non è che uno svantaggio, visto che crede che Lestrade l'abbia tradito.

 

[3] Only an idiot would surround himself with idiots = Solo un idiota si circonderebbe di idioti. Niente canone questa volta: è una frase pronunciata da Mark Gatiss, parlando di come secondo lui Watson non sia affatto un idiota, come invece sembra prenderlo un po' in giro Conan Doyle nei suoi racconti, questo soprattutto perché, appunto, un tipo geniale come Sherlock non avrebbe potuto scegliere uno stupido come amico e collega. Mi sembrava carino mettere in bocca al personaggio di Gatiss le sue parole. ;)

 

[4] Non faccio solo quello che mi dice tuo fratello. Frase pronunciata da Lestrade nella 2x02, quando, a quanto sembra, Mycroft lo spedisce a Baskerville per controllare/aiutare Sherlock. Probabilmente è la frase che ha fatto nascere il Mystrade, visto che è il primo vero indizio di un contatto fra i due!

 

[5] Mycroft si riferisce al suo commento finale nella 1x01: "Interessante, quel soldato. Potrebbe tirar fuori il meglio da mio fratello… o renderlo peggiore che mai."

 

[6] High-funcioning sociopath. Mini nota, solo per dire quanto mi faccia ribrezzo la traduzione italiana "sociopatico iperattivo", mentre è "sociopatico ad alta funzionalità", che è tutta un'altra cosa! :P

 

[7] Goldfish, carp, shark. Rispettivamente: pesce rosso, carpa, squalo. Semplice metafora basata sulla definizione che Mycroft da delle persone normali nella 3x01: "Se per me tu sei lento, Sherlock, riesci a immaginare come vedo le persone normali? Vivo in un mondo di pesci rossi."

 

[8] "Hello, brother dear. How are you?" = "Ciao, fratello caro. Come stai?" Frase ironica e ammaliante con cui Sherlock esordisce al telefono con Mycroft, per chiedergli l'accesso ai laboratori di Baskerville, 2x02.

 

[9] Citazione da "Uno studio in rosso", anche se in realtà ho un po' barato. La frase originale di Doyle è: "Gregson è la mente più brillante di Scotland Yard. Lui e Lestrade sono i migliori in un branco d'imbecilli." Ma siccome l'unica apparizione che la BBC fa fare a Gregson è tutt'altro che lusinghiera (2x03, persino John gli tira un pugno! xD ), ho deciso di riferire tutto al solo Lestrade.

 

[10] Citazione dal discorso da testimone di Sherlock, nella 3x02. La frase originale è "John, I am a ridiculous man. Redeemed only by the warmth and constancy of your friendship." = "John, io sono un uomo ridicolo. Redento solo dal calore e dalla costanza della tua amicizia." Qui Mycroft la sta proprio citando a mente: non ho dubbi che sappia tutto di come sia andato il matrimonio. Ho trovato questa frase la migliore e più bella dichiarazione d'amicizia, non solo del discorso di Sherlock. Inchiniamoci a Gatiss/Moffat.

 

[11] Pressure point = punto di pressione, di debolezza. Particolare che, nella 3x03, Magnussen usa per piegare e minacciare le persone. Insomma, avete capito, la puntata la sappiamo tutti a memoria, ormai!

 

[12] Si tratta del pezzo centrale di "Stayin' alive" dei Bee Gees, che Moriarty ha come suoneria del cellulare sia nella 2x01 che nella 2x03. In italiano sarebbe pressappoco così: //Be', adesso, ho alti e bassi,/ e se anche non riesco a ottenere nulla, ci provo veramente./ Ho le ali del paradiso nelle mie scarpe./ Sono un uomo che balla, e non posso perdere./ Lo sai che va tutto bene. È ok./ Vivo per vedere un altro giorno./ Possiamo provare a capire/ che effetto fa il New York Times sull'uomo./ Che tu sia un fratello,/ o che tu sia una madre,/ tu sei un sopravvissuto, un sopravvissuto./ Ascolta la città, e tutti che iniziano a muoversi,/ e noi siamo dei sopravvissuti./ Ah, ah, ah, ah, sopravvissuti, sopravvissuti./ Ah, ah, ah, ah, sopravvissuti./ La vita non va da nessuna parte./ Qualcuno mi aiuti, qualcuno mi aiuti, yeah.// Notare che "Stayin' alive" si può tradurre anche con il più semplice "rimanere vivi", cosa su cui gioca Moriarty nella 2x03, chiamandolo "il loro problema finale". Naturalmente ogni riferimento e significato non è casuale. ;)

 

[13] Drama queen = primadonna. Il riferimento è alla frase di John nella 3x02, quando sia lui che Mary affermano che Sherlock non ha risolto prima il caso perché non era una questione di vita o di morte: "Non sei e non sei mai stato uno che risolve enigmi. Sei una primadonna!" (Quanto è bella questa scena?)

 

[14] The game is on = Il gioco è iniziato. Frase che Sherlock dice sempre quando… ma che ve lo dico a fare? XD

 

 

Nota finale:

Questo capitolo è un esperimento, e ci ho sudato un bel po' sopra. L'intento è di diversificare i diversi POV a seconda del personaggio usato, anche con la scrittura oltre che con il comportamento. Perciò John usa frasi brevi, pensieri diretti e indiretti, incisi, un registro medio ed è trattenuto con le parole; Lestrade è un po' più ironico e "colorito" nelle espressioni, e i suoi pensieri sono diretti; Mycroft usa frasi lunghe e articolate, con molti più punti e virgola, domande retoriche e rivolte a se stesso, un registro piuttosto alto, e i suoi pensieri escono in modo indiretto.

Questo è ciò che ho cercato di fare, almeno… spero abbia qualche senso per voi! :P

  
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