Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Harryette    19/02/2014    6 recensioni
[STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA, SCUSATEMI]
Talvolta ognuno di noi ha già i respiri contati, le lacrime contate, i sospiri contati. E non importa come, ma succede. Succede sempre quello che deve succedere, quasi per inerzia. Talvolta qualcuno di noi si rende conto pienamente del significato del verbo salvare. Salvarsi da qualcosa, salvarsi dal dolore, salvarsi dai pensieri, salvarsi dagli altri. Salvarsi da se stessi. Talvolta qualcuno si scontra con il destino, e capisce che è completamente diverso da quel che si era immaginato. Scopre che, magari, il destino è una persona. Che magari è un ragazzo. Che magari ha i capelli biondi e gli occhi chiari più bui dell’universo.
[SEQUEL DI ANGELS AMONG US, DA LEGGERE ANCHE SEPARATAMENTE].
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Niente muore.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


365 days without you. 

 |trailer|

Chapter 1
‘’ Fate pure ciò che volete, ma siate prima di tutto di quelli che sanno volere.''
 
‘’Sono in clamoroso ritardo, e solo per colpa tua!’’ urlai contro Josh, steso a pancia all’aria sul divano mentre io- che volevo ancora fare qualcosa di utile nella mia vita- mi trascinavo per la casa con una camicia indossata in fretta e furia e una scarpa sì e una no.
‘’Io non ho fatto nulla’’ biascicò lui.
‘’Nulla?’’ ringhia. ‘’NULLA?’’ gli lanciai un cuscino in faccia, colpendolo in pieno anche se non si mosse di un millimetro. ‘’Ti avevo chiesto per piacere di impostare la sveglia sul tuo cellulare, visto che il mio si è rotto. Avevi detto di averlo fatto, razza di stronzo!’’ sbraitai, prima di abbassare notevolmente il tono di voce. Non volevo svegliare Penelope.
‘’Me ne sono semplicemente dimenticato. Ed hai messo la giacca al contrario’’.
Io scossi la testa, esasperata, e la risistemai. Avevo indossato il mio tallieur migliore- anche se indossavo solo vestiti o giacche- perché ci tenevo davvero a fare bella figura. Se fossi riuscita a vincere quella semplice e piccola causa, avrei avuto una tanto agognata promozione. A venticinque anni era quello che mi ci voleva.
Indossai le mie scarpe tacco 12, e pregai tutti i santi del paradiso che l’incontro andasse bene. E che crollasse un fulmine sulla testa di Josh Cooper.
°°°
Attraversai l’enorme piano terra dello studio legale in cui lavoravo, scivolando sul pavimento lucido e nero e producendo uno strano rumore con i tacchi. Stringendo la cartellina fra le mani, come se fosse stata la cosa più importante al mondo, corsi verso l’ascensore sperando non fosse occupato.
Ovviamente, era occupato.
Fremendo e saltellando da una parte all’altra, nel mio professionale completo marroncino, mi sistemai alla meglio i capelli nerissimi. Sospirai nel momento in cui le porte dell’ascensore si aprirono, facendomi sbattere sul petto di qualcosa. Di qualcuno.
‘’Ma stia attento!’’ replicai piccata, cercando di ricompormi e raccogliendo la cartellina che mi era appena caduta a terra. Quando alzai lo sguardo sulla persona che si stava accingendo ad uscire dall’ascensore, notai che aveva un volto conosciuto. Molto e troppo conosciuto.
‘’Mi scusi, ma anche lei dovrebbe far attenzione a dove mette i piedi’’ sospirò, atono. Sembrava quasi… cosa? Stanco? Triste? Con il vuoto negli occhi? Forse tutte e tre le cose messe assieme, o forse nessuna. Ero sempre stata brava a leggere le persone, ma quella volta fallii miseramente.
‘’Ma io e lei non ci siamo già visti?’’ domandai, quasi di impulso. No, di sicuro non avrei dovuto chiederlo. Avrei dovuto scusarmi, entrare in ascensore e iniziare il mio colloquio. Mandare avanti la mia carriera. Ma quegli occhi azzurri- così maledettamente azzurri- non mi lasciavano scampo. Mi inchiodavano lì, esattamente dov’ero, e non avevo intenzione di muovermi.
‘’No’’ ringhiò lui. ‘’E ora, permesso, devo andarmene. Arrivederci’’.
E io rimasi lì, immobile, mentre lui mi superava- dandomi anche una spallata, per giunta!- e raggiungendo l’uscita dello studio. Ma chi diavolo si credeva di essere quel ragazzino biondo ed egocentrico? Avrebbe dovuto averla passata la fase dell’odio infinito verso il mondo e il genere umano.
Mi risvegliai dai miei sogni, ed entrai nell’ascensore premendo il numero ‘’3’’. Quando arrivai fuori la porta del mio studio, mi ci fiondai dentro come se fosse una questione di vita o di morte. Ero sempre stata impeccabile, in vita mia. Niente ritardi, niente richiami. E quella volta, l’unica volta davvero importante, ero in ritardo di quindici minuti. Come avevo supposto precedentemente, un uomo era già seduto davanti alla mia scrivania. Evidentemente Caroline, la segretaria, li aveva fatti accomodare. Accanto a lui c’era un ragazzo, che pensai appartenesse agli One Direction. Anche se erano delle specie di divinità a Londra, non ricordavo bene i loro volti e non mi ero mai soffermata più di tanto a guardarli.
L’uomo più adulto, e visibilmente più grosso, si alzò non appena feci la mia entrata trionfale- si fa per dire- nella stanza che dava sullo skyline di Londra, con pareti di vetro.
‘’Buongiorno e scusate il ritardo’’ sorrisi, avvicinandomi a loro.
‘’Di nulla, avvocato. Sono Paul Higgins, il manager degli One Direction’’ mi tese la mano, ed io la presi senza la minima esitazione. Non ero comunque la tipa da esitazioni.
‘’La prego mi chiami pure Cara. Sono Cara Archibald’’ risposi, di tutto punto, ricevendo un suo sorriso di rimando.
‘’Archibald? Dove altro ho sentito questo cognome?’’ domandò, grattandosi il capo con fare buffo. Oh no, sempre la stessa schifosissima e maledetta storia. Mi affrettai a rispondere: ‘’E’ un cognome non molto comune, forse lo associa a qualcun altro’’.
Poi notai che il ragazzo seduto accanto a Paul si era alzato, così gli tesi la mano. ‘’Avvocato Cara Archibald’’ sorrisi.
Lui ricambiò quasi a fatica il mio sorriso ma- almeno, e cosa che non mi aspettavo- mi strinse la mano. ‘’Harry Styles’’.
Rimasi per un secondo imbambolata nei suoi occhi. Erano…verdissimi e quasi profondi quanto l’oceano. Non riuscii a leggere dentro neanche a lui, così cominciai a pensare che fossi io ad essermi svegliata con la luna storta quel giorno.
Intanto, non mollavo la presa alla sua mano. Lui tossì per ricordarmi, abbastanza educatamente, che dovevo lasciargli la mano a meno che non volevo che diventassimo direttamente dei fossili.
‘’Allora’’ cercai di sviare io, sedendomi dietro la scrivania e facendogli segno di accomodarsi. ‘’qual è il problema?’’.
‘’La Modest- la loro vecchia casa discografica- ha messo in giro la voce che non abbiamo rispettato tutti i loro accordi. Dicono che i ragazzi abbiano firmato un contratto in cui si affermava che sarebbero stati loro fino al 2017, ma non è affatto vero. Gli ha solo dato fastidio che delle promettenti star abbiano cambiato casa discografica. E noi gli abbiamo fatto causa’’ concluse Paul.
‘’Bene’’ sospirai. ‘’Se quello che lei afferma è vero, allora non avremo problemi a vincere la causa. Voi lasciate fare a me’’ sorrisi. Non avevo mai perso nessuna causa fino a quel momento. Ero sempre stata, sin da quando avevo sedici anni, una ragazza sicurissima del suo futuro e molto- forse troppo- ambiziosa. Non mi ero mai voltata, avevo sempre puntato al meglio, guardato avanti senza pensare a nessuno. Senza rimuginare troppo sulle cose. E pensavo che sarei diventata un importantissimo avvocato, e poi avrei pensato a mettere su famiglia. Ancora una volta, però, la vita mi aveva dimostrato quanto fosse inutile fare piani: alla fine niente va come ti aspetti. Quando scoprii di essere incinta di Penelope, il 30 dicembre del 2010, mi crollò il mondo addosso. I miei genitori, una delle famiglie più ricche e importanti di Londra, mi avevano sempre insegnato ad essere perfetta. La migliore. La prima indiscussa. Ma anche loro mi avevano dimostrato di non amarmi tanto quanto dicevano: quando avevano scoperto che aspettavo un bambino, mi avevano cordialmente sbattuta fuori casa senza un soldo- dopo una vita di lusso e sfarzi-, a meno che non avessi abortito. Ovviamente non lo avevo fatto, e al diavolo il buon nome della famiglia alla quale loro tenevano tanto.
‘’Dov’è andato Niall?’’ chiese di getto quello che si era presentato come Harry, mentre avevamo quasi terminato l’incontro e lui non aveva detto una sola parola. ‘’E’ uscito un’ora fa’’.
‘’Non lo so’’ sospirò avvilito Paul. Che dovesse anche fargli da balia? ‘’Con quel ragazzo ho perso le speranze da quasi un anno’’.
Improvvisamente mi sentii il terzo incomodo, e la cosa non mi piaceva per niente. ‘’Lei non è troppo giovane per fare l’avvocato?’’ sentii una voce che non apparteneva né ad Harry né al suo manager. Sull’uscio della porta del mio studio c’era un ragazzo biondo e dagli occhi di ghiaccio. Lo stesso identico ragazzo che avevo incontrato tempo prima in ascensore. O meglio, contro cui ero sbattuta.
Mi alzai quasi in automatico, anche se non avevo intenzione di avvicinarmi e fare la cortese- presentandomi. Non dopo il modo burbero e scorbutico con cui mi aveva trattata. Se era in preda a sbalzi d’umore adolescenziali ed era nervoso per qualche cazzata da ragazzino, non era certo giustificato. Nulla giustificava la maleducazione.
‘’Non sapevo ci fosse un’età per diventare avvocati’’ ribattei piccata, incrociando le braccia al petto com’ero solita fare, quando mi cimentavo nelle mie arringhe. ‘’E, comunque, ho venticinque anni e sono laureata. Vuole vedere?’’ indicai un quadro appeso alla mia parete, che incorniciava la mia laurea. Avevo preso il massimo dei voti, nonostante avessi una figlia di due anni- a quei tempi- sulle spalle, e solo la mia migliore amica che la accudiva.
‘’No, grazie, ci credo sulla parola’’ sogghignò, avvicinandosi ad Harry e guardandolo negli occhi. Non volevo sbagliarmi, ma mi parve di vedere chiaramente Harry fargli segno di smetterla e stare zitto. ‘’Andiamo?’’ domandò il biondo. Ma che cazzo di problemi aveva?
‘’Sì’’ sospirò sconfitto il riccio, alzandosi di botto- seguito da Paul. Solo il manager- evidentemente il più maturo- si degnò di stringermi di nuovo la mano e sorridermi. ‘’Ci vediamo oggi pomeriggio, allora, avvocato Cara. E grazie’’.
‘’Grazie a voi’’ generalizzai io, anche se avrei voluto volentieri utilizzare il singolare. Paul era l’unico che si era dimostrato amichevole e che mi aveva messo a mio agio, pur essendo loro gli ospiti e quello il mio studio.
In un battito di ciglia, furono tutti e tre fuori. Io mi lasciai cadere sfinita sulla sedia girevole dietro la mia scrivania di vetro, piena di appunti, agende e documenti sparsi in ogni dove. Un computer sulla destra che avevo anche dimenticato di spegnere il giorno prima, e la foto mia e di mia figlia accanto- incorniciata nella migliore cornice d’argento che avevo. Ero sfinita e la mia giornata lavorativa era appena incominciata. Avevo altri tre clienti da incontrare, e milioni di causa da cercare di sbrogliare. Che poi, ogni causa era una questione di puro orgoglio: non potevo semplicemente fallire. Un giorno, non importava quanto lontano, quando sarei diventata un avvocato di fama internazionale e i miei genitori mi avrebbero vista sulla prima pagina di uno dei loro solito giornali che comprava la domestica la mattina, avrebbero capito che non avevo ‘’sprecato la mia vita e il mio cervello’’.  Che ero molto di più di una Archibald. Che ero Cara Archibald, ma non la Cara figlia del grande industriale Lee. Cara l’avvocato. Cara la venticinquenne che si era fatta da sola. E allora si sarebbero pentiti di aver messo il buon nome della famiglia davanti alla loro figlia, si sarebbero pentiti di avermi permesso di andarmene via per sempre, si sarebbero pentiti di avermi persa.
E avrebbero smesso di considerarmi una fallita ragazza-madre.
In quel momento, mentre rimuginavo e formulavo mentalmente frasi sconnesse fra di loro, squillò il mio cellulare. Con la paura che Josh avesse combinato qualche guaio, o- peggio- avesse attentato alla salute di mia figlia (che il sabato non andava a scuola) risposi di colpo.
‘’Pronto?’’.
Nessuna risposta. Il panico.
‘’Pronto?’’ ritentai. Silenzio.
Caduta libera. Il panico cominciò ad impossessarsi di me. Non era la prima volta che succedeva, ultimamente. Chiamate improvvise, lasciate così- senza una risposta. Solo qualcuno dall’altro lato che si divertiva a sentire il mio tono frenetico e spaventato, e che mi metteva una paura incredibile.
‘’Chi sei? Si può sapere che cosa vuoi?’’ ringhiai, cercando si sembrare il più temibile possibile, ma è davvero molto difficile quando sei spaventata. ‘’Sono un avvocato. Io ti denuncio’’.
Ma, di nuovo e come succedeva sempre, quel ‘qualcuno’ attaccò. Lasciandomi con la cornetta del telefono ancora attaccata all’orecchio, a fissare il soffitto in silenzio e giurando che se fosse ricapitato avrei fatto qualcosa. Qualsiasi cosa. Tutto purchè quel calvario finisse, perché non ne potevo davvero più. E se avessi scoperto che l’artefice era Josh, l’avrei ucciso con le mie stesse mani. Un avvocato in prigione, cosa c’era di meglio?
_________________
Talvolta ognuno di noi è predestinato. Predestinato a diventare qualcuno in particolare, predestinato a conoscere qualcuno in particolare, predestinato a morire in qualche modo particolare oppure a capire di non aver mai vissuto veramente. Talvolta ognuno di noi è destinato, perché quel qualcosa è già stato deciso tanto tempo prima. Perché è stato scritto nelle stelle all’alba dei tempi, quando ancora non si sapeva se si sarebbe formato questo famosissimo ‘’genere umano’’. Talvolta ognuno di noi ha già una strada da prendere, e magari non se ne accorge nemmeno, non ci pensa, non ci fa minimamente caso. Talvolta ognuno di noi ha già i respiri contati, le lacrime contate, i sospiri contati. E non importa come, ma succede. Succede sempre quello che deve succedere, quasi per inerzia. Talvolta qualcuno di noi si rende conto di avere una missione da portare a termine molto più grande di quella di crescere una bambina, o di convivere con un pazzo, oppure di lavorare giorno e notte. Molto più importante di indossare abiti Armani per far bella figura, di girare con soli tacchi 12. Talvolta qualcuno di noi si rende conto pienamente del significato del verbo salvare. Salvarsi da qualcosa, salvarsi dal dolore, salvarsi dai pensieri, salvarsi dagli altri. Salvarsi da se stessi. Talvolta qualcuno incontra il fato, anche se probabilmente non ci crede neanche. Talvolta qualcuno si scontra con il destino, e capisce che è completamente diverso da quel che si era immaginato. Scopre che, magari, il destino è una persona. Che magari è un ragazzo. Che magari ha i capelli biondi e gli occhi chiari più bui dell’universo.


 
__________________________
 
Chiedo umilmente venia!
So che sono in ritardo colossale, nonostante avessi già anche pronto il capitolo,
ma per un motivo o per un altro non ho mai postato lol
Quanto sono pessima da uno a dieci? Centomila hahaha.
Okay, ora chiariamo qualcosina sul capitolo: finalmente, se così si può dire, entra in scena
il nostro carissimo Niall. Ci terrei particolarmente a precisare che è, e sarà,
molto diverso dal Niall di 'angels among us' (se l'avete letta lol), come potete immaginare
 e come si capirà dopo meglio. Poi...ci sono dei chiarimenti sulla storia di Cara e
di Penelope! e Cara inizia a ricevere strane telefonate...chi potrà mai essere?
Grazie mille per tutto l'affetto che mi dimostrate! Anche se non rispondo spesso,
ovvi motivi di mancanza di tempo, le leggo tutte e vi ringrazio di cuore.
Anche su Facebook e Twitter e Ask mi fate capire quanto siete meravigliose!
Anyway, grazie ancora. A prestissimo, giuro<3
Harryette.

 
Ps: dareste un'occhiata al trailer linkato sotto al banner? c:
 
TWITTER: https://twitter.com/demjstears
FACEBOOK: https://www.facebook.com/harryette.efpwriter.3?ref=tn_tnmn 
ASK: 
http://ask.fm/crediciidai
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Harryette