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Autore: Clairy93    20/02/2014    7 recensioni
[Seguito di “Mi avevano portato via anche la luna”]
Trieste. 1950.
La guerra è terminata ma quella di Vera Bernardis è una battaglia ben più difficile da superare. E’ sopravvissuta all’abominio dei campi di concentramento, è divenuta un’acclamata scrittrice e ora ha una famiglia a cui badare.
Ma in certi momenti quel numero inciso sulla sua carne sembra pulsare ancora e i demoni del suo passato tornano a darle il tormento.
Situazioni inaspettate sconvolgeranno il fragile mondo di Vera ponendo in discussione ogni cosa, anche se stessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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Sussulto, nel panico.
Spalanco gli occhi che nel frattempo si abituano all’oscurità.
Dov’è la mia stanza? Perché non sento Filippo?
Mi trovo in una baracca.

No, ti prego no!
Sono accerchiata da prigioniere. Dormono, ammassate una sull’altra in posizioni innaturali.
Voglio uscire, ma sono incastrata tra i corpi.
Forza Vera, respira.
Non ci riesco, sto soffocando!
Scalcio con forza e la donna davanti a me cade. Come un inquietante fantoccio, atterra al piano di sotto.
Non stanno dormendo. Sono morte.
Mi alzo, inciampo. Mi rimetto in piedi, cado ancora.
Non voglio guardarli, i cadaveri. Ho paura di scorgere i volti dei miei familiari. Allora perché non riesco a sollevare gli occhi da terra?
Raggiungo l’uscita, grazie al cielo.
Spalanco il portone del dormitorio e sono vessata da una raffica di gelo.
Davanti a me, si estende l’immenso campo di Mauthausen.
Non c’è un’anima.
Si respira morte.
Persino la neve pare aver perso il suo candore, furiosa nell’inghiottire ogni cosa.
Mi volto e intravedo Tommaso. Mi saluta, sorridente.
Dietro di lui, tre tedeschi dalle fattezze bestiali si avvicinano al mio bambino, con sguardi famelici.
Urlo, disperata. Imploro Tommaso di allontanarsi, di correre da me. Ma la mia voce è poco più che un rantolo.
I soldati lo afferrano con brutalità. Le urla di Tommaso squarciano le mie viscere.
Voglio correre da mio figlio, sottrarlo dalla stessa, terribile, sorte a cui io invece sono stata destinata.
Ma avverto di avere le gambe congelate.
No, no, no!
Lasciate il mio bambino! Perché non riesco a muovermi dannazione!
Nascondo il volto tra le mani. Le lacrime si ghiacciano e trafiggono il mio volto.
Poi noto il braccio sinistro, imbrattato di sangue.
Scosto la manica della camicia da notte, ormai quasi un tutt’uno con la mia pelle.
Il numero. Ha ripreso a sanguinare.

Gocce cremisi scivolano silenziose e cadono al suolo. Seguo la macchia di sangue espandersi per tutto il campo fino a che non circonda una figura rannicchiata sull’erba.
Tommaso!
Corro da mio figlio, nonostante il mio corpo intorpidito gridi pietà.
Santo cielo quanto è pallido! E’ così piccolo, e indifeso.
Lo scuoto, invoco ormai allo stremo delle mie forze il suo nome.
All’improvviso Tommaso sbarra gli occhi. Sono immobili. Vitrei…


Mi sembra di rinvenire da uno stato di apnea.
Ho la fronte madida di sudore. Gli occhi colmi di lacrime. Il respiro rapido e ansante. 
Le primissime luci dell’alba rivelano le sagome di un mobilio familiare.
Mi metto a sedere e mi stringo nelle spalle, tremante e infreddolita.
No, non sono tornata a Mauthausen, era solo un incubo. Sempre lo stesso, identico, orrendo incubo.
Ogni notte le emozioni appaiono più intense, spaventosamente reali. A volte mi sembra persino di percepire il freddo penetrare nelle ossa, i crampi allo stomaco per la fame. E il mio timore è non riuscire a svegliarmi. O peggio, scoprire che la mia vita presente non è stato altro che un gioco malato della mia debole mente, mentre in realtà sono ancora prigioniera.
Pensieri poco confortanti si riversano nella mia testa e prego che Filippo si svegli. Vorrei mi stringesse forte a sé, respinga lontano le mie angosce e mi accudisca con premura. Eppure sembra non essersi accorto di niente. Mi sporgo lievemente, seguendo con il dito il profilo dei suoi muscoli. Filippo geme e si gira sull’altro fianco, ignaro. Lui sa bene che ho degli incubi, ma non ha idea della loro frequenza.
Chino il capo, afflitta, e mi sfugge un sospiro.
Lo sguardo si posa sul mio braccio sinistro. Risvolto la manica della camicia da notte e fisso la cifra incisa sulla mia pelle, l’indelebile testimonianza che rievocherà il più grande strazio a cui un essere umano sia mai stato sottoposto. Quattro numeri, contro i quali dovrò combattere una lotta estenuante fino alla fine dei miei giorni.
Affondo la testa nel cuscino, incrocio le dita al petto e osservo il soffitto. Immobile.

“Mamma!”
Dischiudo gli occhi e la luce del mattino filtra tra le mie palpebre addormentate. Sono seduta scomodamente sul pavimento, la testa appoggiata di lato sul materasso. Questo spiegherebbe gli spiacevoli dolori alla schiena e al collo.
“Mamma! Sei sveglia?”
Mi trovo nella cameretta di Tommaso. In un primo momento, non saprei con esattezza come ci sia arrivata e mi spaventa il solo pensiero di aver lasciato la mia stanza senza rendermene conto.
Fortunatamente un barlume di coscienza rende tutto più sensato. Subito riaffiora alla mia mente l’incubo di questa notte. Non riuscivo a prendere sonno, dopotutto ero ancora molto scossa e vulnerabile. Se solo ardivo a socchiudere gli occhi, quelle immagini atroci ed umilianti sembravano riapparire più impetuose, pronte per infliggermi altri tormenti. Mi sono alzata e in assoluto silenzio, ho raggiunto Tommaso.
Lui riposava serenamente, abbracciato al suo orsacchiotto e rannicchiato sotto le coperte.  Mi sono accovacciata accanto al letto di Tommy, incantata dall’incredibile dolcezza che traspare da ogni suo più piccolo gesto, il nasino arricciato, l’ombra delle sue lunghe ciglia sulle gote, le labbra dolcemente dischiuse. Le mie angosce si sono dileguate in un attimo e, senza rendermene conto, devo essermi addormentata.
“Perché sei qui?” la testolina bruna di Tommaso spunta da sotto le lenzuola mentre, strofinando gli occhi, si appoggia allo schienale del letto.
“Non riuscivo a dormire.” Mi siedo accanto a lui, assonnata e ancora intorpidita per la notte trascorsa.
“Hai fatto un brutto sogno?”
Davvero, non so come sia possibile, eppure ci sono occasioni in cui mio figlio riesce a capirmi meglio di chiunque altro. Uno sguardo, un semplice gesto, sono sufficienti perché comprenda la mia inquietudine.
Tommaso sfiora la mia guancia, dandomi un bacio leggero.
“Io odio i brutti sogni. E ho anche paura dei mostri...”
Passo una mano tra i suoi capelli arruffati e gli sorrido rassicurante, perlomeno ci provo.
“Te l’ho detto Tommy, non ci sono mostri sotto il tuo letto. Vedi?” mi abbasso e fingo di controllare con attenzione per tranquillizzarlo “Non c’è nessuno, non devi preoccuparti. Forza, vieni con me.”
Gli offro la mano e Tommaso l’afferra con gesto repentino, tanto che l’incontrarsi dei nostri palmi produce un sonoro schiocco.
Usciamo dalla cameretta, seguendo divertiti i fasci di luce proiettati sul pavimento, saltellando a destra e poi a sinistra.
Passiamo davanti alla mia stanza, sollevo lo sguardo e constato, lo ammetto, con un po’ di delusione che Filippo riposa ancora profondamente. Mi chiedo se si sia accorto della mia assenza…
“Tommy, tesoro, perché non vai a svegliare papà?”
Lui tuttavia si nasconde dietro le mie gambe, intimorito, e sento la sua manina stringere più forte la mia.
“Cosa c’è che non va?” domando, sorpresa per la sua insolita reazione.
Tommaso scuote debolmente la testa e comincia a giocare nervosamente con le dita.
M’inginocchio e prendo le sue mani, racchiudendole con premura nelle mie.
“Tesoro mio, cosa succede? Vuoi dirlo alla mamma?”
Lui china timidamente il capo e curva il labbro inferiore in un broncio. Da dietro le sue ciglia scure, Tommaso scruta la stanza di fronte a lui prima di compiere un piccolo passo, lo sguardo attento sempre puntato su suo padre. Tuttavia ritorna svelto al mio fianco e incrocio i suoi grandi occhi verdi, lucidi e imploranti, mentre mi tira lievemente per un braccio, esortandomi a proseguire.
L’atteggiamento schivo di Tommaso comincia a preoccuparmi, appare spesso intimorito e per questioni futili entra nel panico. Indubbiamente è un bambino molto solitario, anche le sue maestre d’asilo l’hanno notato, eppure non mi sento di obbligarlo nel fare qualcosa finché lui non si sentirà pronto.
E dopotutto, non credo a Filippo dispiacerà se lo svegliamo tra qualche minuto.
“D’accordo Tommaso.” gli pizzico la punta del naso ed emetto un sospiro sommesso “Noi nel frattempo andiamo a fare colazione. Lasciamo dormire papà ancora un po’.”
Tommaso annuisce deciso, stringendo le labbra in un timido sorriso.
Scendiamo piano i gradini delle scale, io alquanto impensierita, Tommaso sicuramente più sollevato.

Sono trascorsi una ventina di minuti quando Filippo, ancora in pigiama e con i capelli arruffati, varca la soglia della cucina annunciandosi con un energico sbadiglio.
“Buongiorno tesoro!” lo accolgo briosa. Addento un frollino spalmato di marmellata e prendo un tovagliolo per pulirmi i lati della bocca.
Dopo la consueta spettinata a Tommaso, Filippo si rivolge verso di me e gli porgo la guancia, ma lui prende il mio mento tra le dita e lo solleva, baciandomi con slancio.
“Mmh…che buono” mormora allontanandosi dolcemente e leccandosi il labbro superiore “Pesca?”
“E’ albicocca, veramente.” rettifico, mentre districo con una mano la matassa ribelle di ricci davanti ai suoi occhi.
Filippo ruota gli occhi e digrigna i denti nella buffa espressione che spesso assume per burlarsi del mio essere, a suo parere s’intende, eccessivamente pignola.
“Non mi avete svegliato questa mattina.” osserva Filippo, riempiendo d’acqua il bollitore della caffettiera.
“Dormivi così bene, sarebbe stato un peccato.”
Strizzo l’occhio a Tommaso e scorgo il suo sorriso d’intesa, prima che affondi il viso nella tazza.

Separarmi da Tommaso, anche per le poche ore in cui si trova all’asilo, non mi è mai tanto semplice. Ogni mattina ho la sensazione di smarrire una parte sostanziale di cui riesco a rimpossessarmi solo quando mio figlio ritorna a casa, stanco per la giornata trascorsa ma illuminato dal più bel sorriso che si possa immaginare.
Dopo aver salutato e augurato una buona giornata a Tommaso e alla sua tata Dorina, celando la mia apprensione ingiustificata, mi obbligo a respingere le innumerevoli preoccupazioni e concentrarmi sulla giornata che mi attende. Salgo in camera per prendere borsa e giacca, per poi recarmi alla libreria di Saba, gestita ormai da mesi dal mio amico Carlo Cerne.
Entro nella stanza e trovo Filippo sdraiato sul letto, appoggiato allo schienale con le braccia incrociate dietro la nuca, mentre rivolge uno sguardo pensieroso fuori dalla finestra.
“Giornata all’insegna del riposo oggi?” gli domando e mi chino sulla specchiera per mettere il rossetto.
Scorgo il riflesso di Filippo il quale, con movimenti lenti e pacati, si mette a sedere per poi indirizzarmi un’occhiata inaspettatamente penetrante.
“Hai pensato alla mia proposta Vera?”
Filippo deve aver notato la mia espressione confusa attraverso lo specchio, poiché rapido aggiunge “Riguardo al matrimonio.”
“Sono in ritardo Filippo, adesso non è proprio il momento adatto per parlarne.” lo liquido sbrigativamente, chiudendo la confezione del rossetto e poggiandola sul ripiano “Devo correre in libreria, Carlo mi starà aspettando.”
Dal riflesso, miro di sottecchi Filippo alzarsi dal letto e dirigersi con passo spavaldo verso di me.
“Inizio a sospettare che tu mi stia tradendo con quel commesso.”
Trattengo una risata mentre apporto gli ultimi ritocchi all’acconciatura.
“Dai Filippo non fare il permaloso, non ti si addice.” mi volto e gli do un bacio sulle labbra, provando ad addolcire la tensione che trapela dai suoi lineamenti “Ti ho promesso che ne discuteremo, e così sarà. Ma non adesso.”
Vado per prendere la borsa quando Filippo mi afferra svelto per un braccio, cingendomi in una presa vigorosa.
“Perché sono quasi certo che tu debba pensare alla tua risposta?” sbotta lui, gelido.
“Perché questa è la verità Filippo! E’ una decisione molto, molto importante. Ho bisogno di tempo, per pensarci.” cerco di allontanarmi tuttavia mi stringe più forte al suo petto, sfiorando le mie labbra con le sue “E ora se non ti dispiace, lasciami andare!”
“Sai Vera, regolarmente mi ripeti che hai bisogno di tempo e credimi, ho sopportato fin troppo la tua costante indecisione. Adesso però, inizio a credere che questo sia solo un pretesto.”
Il suo atteggiamento sprezzante mi ferisce con inaudita ferocia, lasciandomi basita e incredula.
Con gesto secco mi divincolo dalla presa di Filippo, scostando infastidita le sue braccia dai miei fianchi, ghermisco la borsa posata sulla sedia ed esco spedita dalla stanza.
“Vera! Fermati per favore!” mi prega lui, scendendo rapidamente gli scalini e raggiungendomi al piano di sotto.
Ma io sono già sulla soglia di casa, mai come in quel momento così impaziente di uscire, mentre inserisco con mano tremolante le chiavi nella serratura.
“Lascia perdere Filippo. Non vorrei tu dovessi sopportarmi più del necessario.”
“Vera non dicevo sul serio...”
Lo ignoro, intenzionalmente, stanca dei suoi assurdi sbalzi d’umore che, è ovvio, riversa poi su di me. E vorrei capisse che io non posso gestire anche i suoi drammi. Ci provo, certo, ma come potrei esserne capace se a malapena riesco ad affrontare i miei?
“Guardami Vera!”
Io persisto nel tenere lo sguardo puntato a terra, fingendomi affaccendata, ma Filippo mi afferra per le spalle, imponendomi di guardarlo negli occhi.
“Mi dispiace Vera, non so cosa mi sia passato per la mente. Non avrei dovuto.”
“No infatti, non avresti dovuto.” spero che il mio sguardo truce possa esprimere meglio di qualsiasi rimprovero la mia profonda delusione.
“Ma Vera, sono mesi ormai che ne parliamo e in un modo o nell’altro qualcosa ci porta sempre a rimandare. Se vuoi aspettare, d’accordo, io lo accetto! Ma almeno sii sincera. Mi sembra che tu voglia fuggire dal fatto che prima o poi dovrai prendere una decisione.”
“Non sto fuggendo Filippo, ma tu devi imparare a rispettare anche i miei tempi! Per me gestire ogni, singola giornata è un’impresa, mille cose mi terrorizzano. Ci sono mattine in cui vorrei solo rimanere a letto e dimenticare tutte quelle responsabilità e gli obblighi. E’ vero, sono passati cinque anni ormai, ma è ancora tutto, spaventosamente difficile! Perciò non permetterti più di parlarmi in quel modo.”
La bomba che ho gettato pare sia deflagrata in quella serena, ma altrettanto fittizia, realtà che Filippo si è creato. Noto il tremolio del suo labbro inferiore, i pugni stretti lungo i fianchi e i muscoli tesi sotto la maglia.  
“Hai ragione.” mormora Filippo, avvilito, in un sussurro quasi impercettibile.
Solleva il capo e sotto le palpebre calate, i suoi occhi osservano il mio braccio sinistro. Filippo lo percorre, sfiorandolo con le dita, risalendo vicino al lembo di stoffa che cela il mio tatuaggio. Io tuttavia mi ritraggo.
“Ci vediamo questa sera.” lo saluto apatica, aprendo la porta e rivolgendogli un rapido sorriso.
Quando, finalmente, esco di casa, ricaccio le lacrime per la rabbia che mi stanno inondando gli occhi. Sono fiduciosa che la frizzante brezza primaverile e una camminata sul lungomare, ridestino il mio umore.   
Purtroppo però, non questa volta.

“Vera, mi stai ascoltando?” Carlo Cerne schiocca le dita davanti ai miei occhi per attirare la mia attenzione, chiaramente lontana in quel momento.
Mi trovo nella libreria, seduta ad un tavolo ricolmo di libri, documenti ingialliti e fogli sparsi.
“Hai sentito una parola di quello che ho detto?” chiede divertito il libraio, alzandosi e riponendo un tomo su un alto scaffale.
“Perdonami Carlo. Questa mattina ho la testa altrove.”
“Sei distratta, è evidente. Vuoi parlarne?”
Basta rivolgergli un’occhiata sconsolata perché Carlo colga abile il mio malumore, distenda con le mani la sua camicia verso il basso e si accomodi di fronte a me, manifestando un interesse che raramente riscontro in altri.
E come un fiume in piena, gli racconto dell’atteggiamento di Filippo, della discussione di quella mattina e della sua insistenza per il matrimonio.
“Filippo però in parte ha ragione Vera, merita una risposta e tu dovrai scegliere. La domanda a questo punto è una sola: cosa t’impedisce di farlo?”
“Non lo so Carlo. E’ un passo importante e mi sembra tutto così complicato.”
“Non se al tuo fianco hai la persona giusta.”
Apro bocca per ribattere, eppure le sue parole m’inducono a non rispondere subito.
“…Pensi che Filippo non sia la persona giusta?” domando poi, titubante.
La mano di Carlo si blocca a mezz’aria, sospesa per qualche secondo. Sposta di lato una pila di fogli e si china verso di me, indirizzandomi uno sguardo perplesso.
“Io non l’ho detto, mia cara. Tu lo hai pensato.”



Angolino dell'Autrice: Ringrazio immensamente chi mi segue, commenta e mi accompagna in questa avventura. Grazie di cuore per il vostro supporto, vi adoro! :)
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