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Autore: Love01    21/02/2014    0 recensioni
L'uomo,esce dalla mia cella.
Mi stendo immediatamente nel letto.
Stanca,delusa,affamata,assetata.
Decido di placare tutto ciò con del sonno,se solo me lo permettessero.
Un'altra tortura.Non ci permettono di dormire,qui.
Ad una certa ora,incominciano a fracassarci i timpani con suoni acuti,acutissimi.Ultrasuoni,forse.
Sento le mie orecchie pulsare,il sangue.Prima o poi sgorgherà via dalle mie orecchie.
Cerco di attutire il rumore con il cuscino,e ci riesco.
Lentamente distendo i muscoli rilassandomi,sono stanca.Tanto stanca.
Ho freddo.
Solo poche ore fa sono uscita dalla stanza del freddo.
Un'altra tortura che non funziona con me,a quanto pare.
Sempre lentamente incomincio a prendere sonno.
D'un tratto sento la porta della mia cella spalancarsi.
Non mi alzo.Due uomini in uniforme portano via il mio cuscino e richiudono la porta della mia cella.
Resto seduta sul letto cercando di assimilare l'accaduto.
Pochi secondi dopo,i rumori aumentano,si intensificano.
Tappo le orecchie con le mani,ma non serve a niente.
Le lacrime prendono il sopravvento ed i singhiozzi riecheggiano nella stanza buia e sudicia.
«Qualcuno mi aiuti.Per favore.»ripeto supplicando a me stessa.
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Libro O1,Parte 1.


Mattino.

Il mio primo giorno al lavoro.
Ancora non mi capacito di essere ritornata a casa,non era il momento,non ero pronta.Ho ancora cosi' tanti debiti da saldare,cosi' tanti problemi da risolvere e credo non sia il momento più adeguato per rifarsi vivi.
Il cellulare segnava le cinque del mattina e,qui a Los Angeles,il sole sorge abbastanza presto e posso dire con assoluta certezza che lo spettacolo e' da perdere il fiato nella terrazza della mia camera da letto.
Non ho dormito,non dormo da tempo ormai,e se dormo,sono solita fare incubi e risvegliarmi in preda al panico.
Velocemente mi dirigo in bagno e rapida mi faccio una doccia per poi indossare un paio di jeans schiariti,una canotta color panna stretta ed un paio di mocassini.
Appena finito sentii' nuovamente i lamenti di Jason nella stanza accanto,lasciai sul bordo del letto la giacchetta di pelle che stavo per indossare e mi diressi nella stanza del bambino.Piangeva,di nuovo.
Lo presi in braccio e scese con me al piano terra,lo portai in cucina e lo misi sul seggiolino.
«Certo che sei un bambino piuttosto esuberante,eh?»chiesi retorica sfiorandogli il piccolo naso,lui di tutta risposta emise una piccola risata battendo involontariamente le piccole mani che si ritrovava.
Incominciai a preparare la colazione ed intanto sfamai il piccolo.Come sono sempre solita,finii' per pensare ad altro,a quando ero tornata una settimana fa,precisamente.


Flashback.

L'aereo sorvolava la città,i miei occhi erano puntati sul meraviglioso paesaggio che si poteva intravedere dal finestrino.Con le mie lunghe dita affusolate giocherellavo inconsciamente con una ciocca dei miei capelli lunghi e schiariti naturalmente sulle punte.
L'altra mano era intenta a sorreggere il mento poggiando il gomito sul manico del mio posto.Sempre inconsciamente ero solita mordermi il labbro inferiore,roseo,pieno.Ero nervosa,odiavo viaggiare in volo,mi spaventava ma cercavo di mostrarlo il meno possibile,non volevo più apparire debole.
Dalla cabina del pilota,uscii' un uomo,giovane,sulla trentina d'anni:indossava un abito elegante,sul viso traspariva un filo di barba,gli occhi color verde smeraldo ed i capelli color biondo grano.Sorrise dolcemente quando punto' gli occhi sulla donna seduta,ovvero io,si sistemo' i gemelli ai polsi e,come sua abitudine,si accerto' di avere sempre con se la sua arma di difesa.
Dopo essersi toccato la custodia della pistola si avvicino' alla donna sedendosi di fronte a lei;come sua abitudine,si schiarì la voce riportando l'attenzione della ragazza su,io,come mio solito,sobbalzai di poco e strinsi il manico in pelle del mio posto.Strinsi forte la mascella piuttosto irritata,ormai mi ero abituata al suo modo di fare.
«Devi smetterla Grent,la prossima volta ritieniti disoccupato.»
«Mi spiace.Ogni volta mi ripeti questa frase,eppure non hai mai agito.»sorrisi sospirando.Calo' il silenzio poco dopo,passo' la hostess per chiedere se qualcuno desiderasse qualcosa ma entrambi scuotemmo la testa.
«Non credo di essere pronta.»disse poco dopo posando nuovamente lo sguardo sul finestrino.
«Non sei pronta a condurre una vita normale?»chiese inclinando la testa.
«Vita normale?Non ho mai condotto una vita normale e non sono fatta per condurla.Appena metterò piede in città,tutto il peso del mondo graverà sulle mie spalle ed io non sono pronta a questo.»
«Nessuno sa che stai per arrivare in città.Ti ritengono ancora in Brasile.»
«E volevo rimanere in Brasile,infatti.»dissi guardandolo male.
«Beh,e' ora di trovare un lavoro stabile.Invece di girare il mondo..»
«Scommetto che mi hai già trovato un lavoro.»sorrise con fare inquietante,dalla valigetta prese alcuni fascicoli,me li passo' ed incomincio' ad illustrarmi tutto.
«Lavorerai alla Johnson Medical Hospital,Los Angeles.Ottimo stipendio e buone ore.Non puoi tirarti indietro,hai accettato il lavoro un paio di settimane fa ed incomincerai tra una settimana.»
«Johnson Medical Hospital?Con tutti gli ospedali che ci sono proprio li' devo lavorare?»chiesi alzando il tono di un ottava.
«Pagano benissimo e poi hanno offerto di più degli altri appena si e' sparsa la voce del tuo lavoro fisso da dottore.»
«David Johnson?»
«Si,pero' l'ospedale e' gestito da Thomas Johnson,David Johnson e' a New York per affari.»
Fini' di sfogliare la cartella e la ridiedi a Grent,sospirando nuovamente.
«Va bene,casa?»aggiunsi poco dopo.
«Tuo fratello,solo temporaneamente.»la ragazza strabuzzo' gli occhi.
«Sono morta.»
«Non credo sia arrabbiato.»
«Ti arrabbieresti se ti lasciassi inaspettatamente due piccoli marmocchietti e non conoscessi mai tua moglie ed i tuoi due figli?»
«Beh,si.»
«Allora sono fottuta.»
«Ritengo che tu ne abbia passate di peggiori,come quando..»
«Va bene,va bene lasciamo stare che e' meglio.»
La hostess torno' avvisando che tra poco sarebbero atterrati in aereoporto,e cosi' fu.Un auto blindata ci attendeva sulla pista di atterraggio,altri due uomini raccolsero le sole due piccole valigie mie,Grent sali' nell'auto mentre io mi sedetti dietro,gli altri due condussero l'auto blindata fuori dalla pista e dall' aereoporto.
Questo era ciò da cui tentavo di scappare da anni ormai,ma era il momento di ''onorare'' il mio cognome,se si può dire.
«Ha cambiato casa?»
«No,vive ancora li' con moglie e bambini.»
Quanti anni hanno?»
«La bambina ha due anni,mentre il neonato appena sei mesi.»
«Nomi?»
«Il più piccolo si chiama Jason,mentre la bambina Charlotte.»mi morsi il labbro sentendo il nome della bambina,chiusi per un attimo gli occhi respirando con calma.
«Charlotte?E' un nome stupendo.»raggiunsero un grande cancello.
Entrammo percorrendo il vialetto che portava alla bella villa poco distante dalla città,si poteva immediatamente notare l'area circostante ricoperta di verde e con qualche giocattolo sparso qua' e la',sorrisi a quella vista.L'auto si fermo'.
«Siamo arrivati.La stanno aspettando dentro casa.»
«Avevi detto che nessuno sapeva del mio arrivo.»l'uomo non rispose,si limito' a sorridermi e scendere dall'auto,fece il giro ed andò ad aprirmi,i nostri sguardi si intrecciarono,l'uomo divertito,mentre io esausta.
«Sto andando in contro alla mia morte.»dissi aspettando che Grent prendesse le due valigie e me le passasse.
«Non e' la prima volta,giusto Miss?»
«Anche questo e' vero.»dissi un po' divertita.
«Dove vai ora?»continuai poco dopo e notando che l'uomo stesse riaprendo la portiera del conducente.
«Tu vai dalla tua famiglia,io vado dalla mia.Almeno mia moglie non sa che sono tornato e spero di farle una sorpresa.»
«Ci vediamo più tardi,allora?»l'uomo annui' con un cenno e mi lancio' le chiavi della casa.Ricambio' raggiungendo l'ingresso.Intanto Grent aveva già lasciato la proprietà.Presi un respiro profondo prima di inserire le chiavi,girai un paio di volte la toppa e finalmente la porta si apri'.Ad accogliermi ci penso' un bambino,sui sette anni,occhi azzurro scuro e bei riccioli,mi abbraccio' subito anche se rimasi piuttosto scioccata all'inizio,ma poi mi accovacciai ricambiando l'abbraccio.
«Mamma!»mi lascio' un bacio sulla guancia.
«Ehi,ometto.E tua sorella?»chiesi inclinando il volto e lasciando trasparire un sorriso.
«Al parco giochi con mia moglie.»intervenne un uomo.
Alzai la testa fissando l'uomo davanti a me:corporatura robusta,abbigliamento disinvolto e bell'aspetto.
«Ciao Damon.»sussurrai rialzandomi e prendendo in braccio il bambino,nonostante non pesasse poco.
«Helena.»sibilo' lui prima di scomparire in cucina.
Mi aspettavo una reazione del genere da parte sua ma preferì preoccuparmene più tardi,avevo due bambini a cui badare in questo momento.
«Quanto e' arrabbiato da uno a dieci lo zio?»chiesi al bambino.
Il bambino si limito' a mostrare le dieci dita delle mani sorridendo,ricambiai lasciandogli un altro bacio sulla guancia e facendolo scendere dalle mie braccia.Il bambino,Nathan,corse via scomparendo dalle scale per il secondo piano.
«Casa dolce Casa.»la mia voce riecheggiò in tutta la casa.


Ritornai alla realtà e preparai la colazione per il resto delle persone in casa,la tavola era ben allestita alle sette del mattino,l'ora di punta in questa famiglia a quanto pare.
«Buongiorno.»entro' Rose accomodandosi su uno sgabello con in braccio Charlotte.
«Giorno anche a te cognata.»risposi per poi addentare una cialda mentre il bambino stringeva un dito della mia mano.
«Gli stai davvero simpatica,di solito piange tra le braccia di sconosciuti.»
«E' un pregio di mia sorella.»comparve Damon con in mano un giornale.Si sedette accanto la moglie lasciando un bacio a lei ed alla bambina.
«Il problema e' che il pregio viene compensato da numerosi difetti.Buono il caffè.»continuo' poco dopo sorseggiando la bevanda.Mi limitai a sbuffare.
«Nathan e Thea?»chiesi a Rose ignorando Damon,che si limito' a scuotere il capo.
«Si stanno vestendo.»mi rispose mentre faceva mangiare la bambina.
Dal bordo del bancone presi il mio cellulare per accertarmi dell'orario,sette e trenta.
«Conoscendo Nathan sara' tornato a dormire.
Thea invece non ha ancora preparato lo zaino.»aggiunsi prima di uscire dalla cucina.
«Il problema e' che tu non conosci i tuoi figli.»disse ironicamente lui cercando di non farsi sentire.
«Simpatico,Damon.Ti ho sentito.»urlai dal salotto per poi salire le scale.Entrai nella seconda stanza a destra,la stanza di Nathan e,secondo le mie previsioni esatte,il ragazzo era vestito e tornato al letto.Scostai le coperte dal suo corpo e lo scossi leggermente per svegliarlo,ma niente.
«Nathan,e' tardi.»ci misi un po' ma riuscii' a svegliarlo e a sistemarlo e,poco dopo,aiutai Thea col suo zainetto.
«Damon,ti spiace se prendo il Suv Nero?»gli chiesi scendendo le scale,mentre mi stavo sistemando la giacchetta,intanto i bambini erano gia' usciti di casa.
«Fai come vuoi,tanto lo fai sempre.»rispose seccato mentre si sistemava la cravatta.In quel momento Rose poteva ritenersi di trovarsi tra due fuochi,uno dei due sarebbe scoppiato.
«Perfetto,spero il pranzo ti vada di traverso.Buona giornata Rose.»enunciai prima di prendere le chiave ed andarmene.Feci salire i bambini in auto e sistemai loro le cinture per poi sedermi al posto del conducente.Accesi il motore e partimmo.
«Avete la merenda?»chiesi mentre sistemavo lo specchietto dell'auto.Entrambi annuirono.
«Più tardi vi riporta a casa zia Rose,va bene?»
«Perchè?Te ne vai di nuovo?»chiese subito Nathan preoccupato.
«Mamma,non te ne andare.»continuo' poi Thea.
«Nono,non me ne vado.Devo andare al lavoro,torno presto a casa.»raggiungemmo in poco tempo la loro elementare,Nathan frequenta la terza elementare mentre Thea la prima.Li feci scendere dall'auto controllando che avessero tutto.
«Promesso?»chiese Nathan mostrando il mignolo.
«Promesso.»mi accovacciai alla sua altezza mostrando il mignolo e facendo cosi' giurin giurello.
Thea scappo' via lasciandomi un bacio sulla guancia,inseguita da Nathan. Salì in auto e poggiai le mani sul volante,non ero pronta ad andarmene e mi faceva male aver mentito a mio figlio perché nemmeno io potevo sapere se sarei riuscita o no a mantenere la promessa;poggiai la testa sul volante prendendo un respiro profondo,mi decisi poco dopo a partire.Inserii' l'indirizzo dell'ospedale sul gps ed accesi la radio,raggiunsi l'edificio in una ventina di minuti,contando anche il traffico delle otto.
Parcheggiai e scesi dall'auto raccattando la borsa,entrai nell'edificio.
Era piuttosto affollato,tra pazienti e dottori,ma raggiunsi abbastanza facilmente la receptionist.
«Desidera?»una donna bionda,di carnagione scura,mi chiese con un sorriso amichevole,che ricambiai.
«Sono qui per la professione di medico.»
«Ha il cartellino?»scossi la testa.«Carta di identità?Potrò ritrovarla sul computer.»scossi nuovamente la testa.«Mi dia il suo nome,la cercherò sul computer.»chiese gentilmente.
«Helena,Helena Caffrey.» si alzo' dalla sua sedia girevole sconvolta e squadrandomi dalla testa ai piedi.
«E' d-davvero lei?»non mi stupiva quella domanda,non era la prima volta.Mi limitai ad un automatico ''si''.
«Controllo subito,signorina Caffrey.»
«Helena,siamo colleghe credo.Il tuo nome?Sei di Cuba?»
«Cecilia,si e' giusto.Come ha fatto?»
«Caso.»mi limitai a rispondere sorridendo.
Andò a controllare le mie credenziali e,una volta fatto,mi diede il mio cartellino di riconoscimento ed il camice.
«La accompagno negli spogliatoi,almeno potrà cambiarsi.»
Gli spogliatoi femminili si trovano al piano terra,adiacenti a quelli maschili;sono abbastanza ampi,vi e' un armadietto per ogni medico ed infermiere dell'ospedali e ci sono anche le docce.Erano vuoti poiché a quest'ora del giorno si era già al lavoro,velocemente mi tolsi il giacchetto ed indossai il camice.
«Quando inizia il mio turno?»chiesi mentre mi sistemavo i capelli coperti tra la canotta bianca ed il camice.
«Hai il mio stesso turno,perciò incominci ora.»uscimmo dalla stanza ed incomincio' ad illustrarmi il lavoro,niente di nuovo.
"Da quanto lavori qui?»le chiesi interrompendo il suo lungo dialogo di cui avevo perso il segno una decina di minuti fa.
«Due anni.»
«Com'è lavorare qui?»
«Orari flessibile,colleghi simpatici non e' male e poi..»non pote' terminare la frase,fummo interrotte dall'arrivo di un uomo,sulla trentina,col camice indosso e piuttosto agitato.Si avvento' sulla donna accanto a me dandole un bacio veloce sulle labbra,intuii' subito fossero una coppia.
«Il primario ti vuole nel suo ufficio,sbrigati.»riuscii' solo a dire per poi prendere ed andarsene,ma la ragazza lo blocco' per il polso guardandolo perplessa.
«Perché nel suo ufficio?E perché sei cosi' agitato stamattina?»
«Non so perché ti vuole nel suo ufficio e sono agitato stamattina perché il nuovo medico non si fa vedere ed io sono pieno di suoi pazienti.Spero non sia un incompetente.»piccolo malinteso.
Cecilia si volto' verso di me,una smorfia divertita comparve sul volto di entrambe,anche il ragazzo si volto' verso di me,accorgendosi solo ora della mia presenza.
«Ti presento Helena Caffrey,il nuovo medico non incompetente.»dice Cecilia«Io vado,a voi le presentazioni.Ciao amore.»gli lascio' un bacio veloce e scomparve all'angolo del corridoio.
Tesi la mano sorridendo verso il trentenne,notai l'imbarazzo nei suoi occhi.
«Piacere,Helena. Tu sei?»
«Derek,piacere.»alla fine rispose alla mia domanda e strinse la mia mano,anche se un po' tremolante.
«Mi spiace averti dato noie con il lavoro,ho dimenticato il cartellino e Cecilia doveva trovarmi sul computer.Ti spiace illustrarmi le cartelle dei pazienti?»si limito' a fare un cenno con la testa.Lo seguii'.
Ci ritrovammo in una specie di piccolo atrio,alcuni dottori radunati a scherzare coi gomiti poggiati sul bancone,mentre dall'altra parte scaffali e scartoffie di cui si occupavano qualche infermiere.Forse,per farsi un'idea più chiara di dove mi trovi,basta che ci si immagini la serie televisiva Scrubs;anche Derek raggiunse il bancone salutando qualche collega,si fece passare una cartella e mi fece cenno di raggiungerlo.Non mi piacciono i luoghi affollati,preferisco trovarmi in una cerchia ristretta di persone ma decido di mettere da parte il mio scetticismo e raggiungo l'uomo che,nel frattempo si era messo a scherzare con un paio di colleghi.
Mi innervosiva il suo modo di fare,cosi' lo presi per il colletto del camice allontanandoci dalla folla di dottori,che a quanto pare preferiscono ridere piuttosto che salvare vite umane.
«Che ti prende?»chiede divincolandosi dalla mia presa.
«Lavorare,sono venuta a lavorare e non a scherzare.»sospira scocciato e mi passa la cartella.
«Jenny Folton,donna di trentatre anni ricoverata da quasi due settimane in ospedale.»incomincia a parlare mentre ci dirigiamo verso la stanza della paziente.Mi apre la porta scorrevole.
«Prima le signore.»mi limito a sorridere ed entro,chiude la porta dietro di se.
«Ecco il suo primo caso Miss Caffrey,ora salverà la vita a questa donna o la condurrà a morte certa?»
Quella domanda poteva colpire qualsiasi dottore,ma riusci' a coglierò solo l'ironia in quella frase.

«Mangia,Charlotte.»ripete nuovamente Rose esausta,la bambina continua a tenere le labbra sigillate e scuotere la testa in senso di disapprovazione.Ha preso dal padre.
«Io ci rinuncio.»conclude in fine mia cognata lasciandosi cadere sullo sgabello adiacente.Vado a controllare se il sugo per gli spaghetti e' pronto,manca ancora poco.Torno a sedermi sullo sgabello opposto a Rose ed adiacente alla piccola Charlotte,ho portato a casa la cartella di un nuovo paziente,il primo caso l'ho risolto lo stesso primo giorno lasciando la gente piuttosto di stucco.Jason intanto stava facendo un riposino mentre Nathan e Thea sono in giardino a giocare con la palla.Sono le prime ore della sera,fuori si possono notare i colori vivaci del tramonti,uno spettacolo che ho sempre amato.
«Ancora mi chiedo da chi abbia preso Charlotte,se da me o dal padre.»borbotta con le mani sul volto la donna.Per un attimo vi e' un momento di silenzio,ma poi entrambe ci guardiamo negli occhi «Dal padre!»esclamiamo entrambe prima di scoppiare a ridere.
«Sai,Damon non mi ha detto che eri cosi' amichevole."soffia lei tra le risate.
«Davvero?Cosa ti ha detto di me?»
«In realtà parlava poco della sua famiglia,pero',quando tu sei..»
«Scomparsa,si.Continua.»
«Ci eravamo conosciuti poco in quel periodo,anzi io lo conoscevo poco,lui sapeva tutto di me,della mia vita e ciò mi dava sui nervi.Stavo pensando di chiamare la polizia,lo ritrovavo in qualsiasi luogo dove io mi dirigessi.Quel giorno pioveva a dirotto ed io ero a piedi,fradicia.Lui mi si presenta nella sua Bmw nero metallizzato e mi apre un sportello,accetto il passaggio.Gli avevo chiesto di riaccompagnarmi a casa ma lui mi aveva portato qui,in casa sua.»
«Oggi e' casa vostra.»puntualizzo lasciandomi scappare un sorriso sulle labbra,mi piaceva conoscere mio fratello su ogni suo aspetto e questo aspetto non lo avevo mai intravisto,anzi lo avevo sempre trascurato in lui.Ho sempre pensato che,nonostante non avessimo alcun legame di sangue,io e lui,dopotutto,eravamo identici su ogni aspetto ma,in questo momento,dovetti ricredermi.Lui aveva ancora una parte buona dentro di se,una parte di se' capace di amare,cosa che io invece non sono più in grado di fare.
«Già.Comunque,mi ospito' per la notte dicendomi che non mi avrebbe riaccompagnato a casa perché odia guidare quando piove.Ricordo di essermi piegata in due dalle risate per quella affermazione,non poteva trovare scusa piu' assurda.»
«Siete finiti a letto insieme?»annui' arrossendo.
«E la mattina avete fatto colazione sul divano del salotto,giusto?»
«Come fai a saperlo?»chiese imbarazzata.
«E' mio fratello,stesso sangue,stesso carattere se si può dire.»bugia«Continua.»
«Accendemmo la televisione ma non ne facemmo molto casa,eravamo occupati a fare altro."dice con un tono di malizia,sorrido.
«Ad un certo punto..»inizia lei.
«Ad un certo punto mi blocco,drizzando le orecchie.»non ci accorgemmo che Damon era già tornato dal lavoro.Dai suoi occhi traspariva disagio e rabbia,molta rabbia repressa.
«Rose,puoi uscire un attimo per favore.Porta via Charlotte.»chiede con voce roca Damon.
«Tesoro,andiamo a vedere Nathan e Thea,eh?»prende la bambina in braccio e scappa preoccupata.Mi volge uno sguardo prima di andarsene,ansiosa.
«Lascio le labbra di quella che oggi e' mia moglie e volgo lo sguardo verso la televisione.C'era il telegiornale,alzai il volume.Puoi sapere tu come ci sia rimasto ascoltando quelle parole 'La giovane e multi miliardaria Helena Caffrey rimane coinvolta in un incidente aereo all'età di soli vent'anni. L'aereo precipita in mare.'Ho dovuto preparare io i funerali,ho dovuto spiegare io ai tuoi figli che la madre non sarebbe ritornata.Ho dovuto pensare io controllare nostra madre,che non sarebbe riuscita a sopportare la morte di un'altra sua figlia,mentre nostro padre non voleva crederci,ti ha cercata dappertutto ma non ti ha mai trovata.E poi c'ero io,che mi sono dovuto occupare del dolore degli altri e non pensare al dolore per me,di perdere ancora un'altra sorella.»batte i pugni sul bancone cercando di non scaricare la rabbia su di me.Non alza la voce come farebbe qualsiasi altra persona verso di me,sa dei miei problemi in questi casi.
«La cena e' quasi pronta,oggi piatto all'italiana. Spaghetti con sugo.»mi limito a rispondere accennando un falso sorriso e fingendo che non sia successo niente.Questo lo fa scoppiare,fa il giro del bancone e mi prende per il polso.Immediatamente scatto voltandomi di scatto e spingendolo verso il bancone,lo piego in due e poggio un braccio sulla sua gola bloccandogli il respiro.
«H-Helena. Lasciami.»riesce a respirare a fatica,non mi accorgo di ciò che sto facendo.
Semplicemente mi sentivo in pericolo,mi sento sempre in pericolo.Ho imparato a non abbassare mai la guardia.Mi ritiro di poco lasciandolo respirare,fisso le mie mani sconvolta per ciò che ho fatto a mio fratello.
«H-ho il turno di notte oggi.E' tardi,d-dove andare.»lascio completamente la presa su mio fratello ancora sconvolta di me stessa.In quello stesso istante entrano i due bambini.
«Stasera gli zii vi mandano al letto.Niente dolci prima di dormire,intesi?»entrambi annuiscono impercettibilmente.Raccatto velocemente il fascicolo e scappo da casa con la borsa e con la giacca.Monto in auto ma mi blocco ancora prima di partire.
So di aver nuovamente perso il controllo e ciò mi urta i nervi.Io sono innervosita da me stessa.Sinceramente dovrei trovarmi ad essere la paziente piuttosto che il dottore.Se qualcuno tentasse di percepire i miei pensieri,ora sarei rinchiusa in un manicomio.Beh,ho passato di peggio.
Metto in moto e parto.L'auto segna le otto e trenta.Ancora trenta minuti prima che inizi il mio turno notturno. Ritornerò a casa prima delle otto,abbastanza presto per poter accompagnare i bambini a scuola.Mentre guido abbasso completamente i finestrini anteriori,permettendo al mio corpo di trasparire un po' di aria.Indosso camicia leggera di sete color pesca,jeans bianchi ed i miei soliti mocassini dalla Vans a scacchi bianco e nero ma vivo a Los Angeles ed in questo periodo,ai primi giorni dell'estate,la temperatura più bassa sfiora appena i ventinove gradi Celsius.Vorrei poter andare in giro come qualsiasi altre ventitreenne della mia eta',ma mi e' impossibile,poiché io non sono una 23enne qualsiasi.Devo ammettere che Los Angeles e' davvero una bella città notturna,le strade abbondano di gruppi di giovani ragazzi e coppie.Sono tentata di fermarmi in un BarPub circostante ma soffoco immediatamente questa sensazione e conduco la mia strada verso l'edificio dove lavoro.
Una volta raggiunto il lavoro scendo dall'auto,miracolosamente mi scappa uno sbadiglio,segno che forse,dopo tanto tempo,ci sono possibilità che io mi addormenti senza incubi.Non ricordo quando sia stata l'ultima volta in cui sia riuscita a dormire sogni tranquilli finché,in quel momento,non mi torna in mente.Un senso di dolore e tristezza mi percorre e non faccio caso a ciò che mi circonda mentre cammino verso l'edificio.In una piccola frazione di tempo,mi ritrovo per terra un poco dolorante avendo sbattuto contro una povera persona che si faceva i fatti suoi e che purtroppo ha avuto la sfortuna di incrociarmi nella sua vita.Questo era ciò che pensavo finché entrambi non aprimmo prima gli occhi,per vedere contro chi eravamo andati contro,poi spalancammo le bocche capendo di riaver incontrato,forse per entrambi,l'ultima persona che avremmo voluto vedere in questo momento.
«Tom.» l'unico monosillabo che riescono a lasciare le mie labbra in quel momento.
  
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