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Autore: lacrimenere    27/02/2014    0 recensioni
Come potevano, quegli occhi azzurri incredibilmente belli, nascondere una colpa tanto grave?
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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If we take this bird in, with its broken leg…
 
Mi rigirai nel letto, stringendomi nelle coperte.
 
We could nurse it, she said..
 
Sollevai il cuscino e ci infilai sotto la testa, premendolo forte nel tentativo di attenuare il rumore.
 
Come inside for a little lie down with me..
 
 “Oh ma che diamine!” sbottai scaraventando a terra il cuscino, mentre con gli occhi ancora chiusi cercavo a tentoni il mio cellulare sul comodino.
Quando lo trovai aprii un occhio cercando di leggere il nome del triste individuo che aveva ben pensato di rompermi i coglioni alle 8 di mattina.
Attraverso lo schermo rotto, riuscii a decifrare un “Nialler”, così rifiutai la chiamata a prescindere, riposando il cellulare accanto al letto e recuperando il cuscino.
Non c’era altra alternativa, quel ragazzo andava ucciso e basta.
Riusciva sempre, sempre a farmi saltare i nervi.
Sbadigliai bellamente, poi mi tirai le coperte fin sopra la testa sperando di riprendere sonno.
 
If we take this bird in, with its broken leg…
 
 “Io lo ammazzo cazzo, lo ammazzo!” urlai esasperato rigettando indietro il piumone e afferrando il telefono furiosamente.
“Cosa.cazzo.vuoi”
Buongiorno anche a te, principessa
“Niall, dimmi cosa vuoi così posso tornare a dormire” ringhiai.
“Mi sono sentito in dovere di ricordarti che oggi è lunedì e che abbiamo la prova di chimica, e dato che ti sto aspettando al salice da almeno 20 minuti, credevo te ne fossi dimenticato”
Cazzo.
Avevo completamente perso la cognizione del tempo.
Mi passai una mano tra i capelli, sbuffando.
“Harry? Ci sei?”
“Si, scusa”
“Allora, alzi il culo e mi raggiungi o cosa?”
“Io opterei per cosa”
“Vaffanculo, Harry”
“Non credo di aver voglia di venire, mi gira ancora la testa da ieri e ho dormito a malapena due ore”
“Amore, c’ero anche io ieri sera. Siamo nella stessa condizione, eppure io sono qui”
“Si, ma tu non ti sei svegliato convinto che oggi fosse domenica, io si. Quindi, la mia mente ormai è convinta che oggi non ci sia scuola. Quindi, non ho intenzione di abbandonare il mio letto”
“Smettila di fare il coglione, come faccio a passare in chimica se non ci sei tu a suggerirmi?”
“Buona fortuna, Nialler”
Riattaccai mentre il biondo cercava di ribattere, e mi lasciai cadere a peso morto sul letto.
Niente e nessuno mi avrebbe fatto uscire da quella stanza, quel giorno.
 
Sentii mia madre camminare avanti e indietro al piano terra.
“Si Frank, ho già detto ad Abbie cosa deve fare. Si, la pratica dovrebbe essere nel secondo cassetto della scrivania”
Aveva un tono di voce affannato e stava facendo un bel po’ di rumore.
Lo spostamento di una sedia.
Lo sbattere di un’anta.
Il rumore delle chiavi contro il fondo del vaso di vetro che faceva loro da contenitore.
Il tacchettio dei suoi stivali sulle piastrelle.
All’improvviso capii da chi avevo ereditato la mia grazia.
Probabilmente un elefante in un castello di vetro avrebbe fatto meno danni di quelli che stava facendo mia madre al piano di sotto.
“Cosa? Sei sicuro? Guarda meglio… sono sicura di aver lasciato il fascicolo su quella mensola”
A pensarci bene, nemmeno l’ordine e l’organizzazione erano una sua qualità.
“Aspetta, forse è ancora nel mio studio. Vado a controllare”
Sentii il suo respiro pesante avvicinarsi velocemente, seguito dall’eco dei suoi tacchi che battevano furiosamente sulle scale.
Cazzo.
Trattenni il fiato sperando che presa dalla fretta non si accorgesse che fossi ancora in casa.
1.2.3.
Superò la mia porta, ma prima che potessi cantar vittoria il rumore dei suoi passi cessò “scusami un attimo, Frank” e tornò indietro.
Evviva.
Una lama di luce si fece spazio nella stanza buia.
“Frank, ti richiamo appena lo trovo, se lo trovo” e riattaccò.
Usare la tattica degli opossum e fingersi morti probabilmente non avrebbe funzionato, ma ci tentai comunque.
Ma “Harry Edward Styles” sibilò lei scandendo lentamente ogni sillaba.
Evidentemente era consapevole del fatto che fossi ancora vivo.
“Sì, è il mio nome” risposi da sotto le coperte.
Sbuffò spazientita prima di entrare come una furia e spalancare le ante della finestra senza alcuna pietà, accecandomi in modo semi-permanente.
“Ma che fai?!” sbottai coprendomi gli occhi.
“Che diavolo ci fai ancora a casa?!”
“Dormivo, mi sembrava evidente”
Chiuse gli occhi e prese un lungo respiro.
“Nell’ultima seduta di yoga hanno detto che non fa bene arrabbiarsi la mattina appena svegli” disse tra sé e sé, poi mi guardò e tentò un sorriso, falsissimo “forza, alzati…ti do uno strappo” concluse con un tono leggero.
“Non me la sento di andare a scuola, oggi” mi sedetti sul bordo del letto fissandola.
“Forse non ti è ben chiaro questo concetto: non mi interessa cosa tu ti senta di fare, qui si tratta di cosa debba fare. Alzati. Subito.”
Detto questo, uscì dalla stanza mentre ricomponeva il numero e ricominciava a parlare al telefono, senza darmi modo di replicare.
 
La vecchia macchina di mia madre si fermò davanti all’enorme cancello arrugginito del liceo.
“Si, si hai ragione Sarah sono in ritardo, dammi due minuti e sono li” mi stampò un bacio sulla guancia mentre continuava a parlottare al cellulare.
Appena sbattei la portiera, l’auto ripartì con una sgommata.
Fissai il cortile della scuola oltre le sbarre scrostate.
Quante assenze avevo già fatto quell’anno?
Forse la risposta più adeguata sarebbe stata “troppe”.
Accesi una sigaretta, stringendomi nella giacca e dando le spalle al grosso edificio.
Un’altra assenza probabilmente non avrebbe compromesso la mia media già scadente.
Né il mio pessimo voto in condotta.
Mi guardai intorno per un po’, fino a quando un ragazzo nel bar sull’altro lato della strada attirò la mia attenzione.
 
Louis
“Un caffè  al signore seduto là in fondo”
John mi indicò un uomo sulla cinquantina che stava leggendo un quotidiano al tavolo vicino alla porta d’ingresso.
Sospirai, spostai il ciuffo di capelli che mi cadeva sulla fronte con un movimento della testa, presi il vassoio e stampandomi un sorriso in faccia raggiunsi l’uomo.
“Ecco a lei” dissi smielatamente.
Lui per tutta risposta mi guardò dall’alto in basso da sopra i suoi occhialetti tondi, poi riprese a leggere.
Era questo che odiavo del mio lavoro.
Odiavo il fatto di dovermi mostrare sempre disponibile, sempre cordiale, sempre felice.
Il fatto di vedersi sfilare davanti ogni giorno tante - forse troppe - persone, che entravano, bevevano il loro cappuccino e poi se ne andavano, mentre io rimanevo lì.
Il fatto di doversi trovare faccia a faccia almeno una volta al giorno con il classico cazzone che ti trattava uno schifo, o con quello che fingeva non che tu non esistessi, o con quello che attaccava a parlare di quanto fosse triste la vita, di come sua moglie l’avesse cornificato e di come il suo cane si fosse strozzato con i croccantini.
Odiavo i tavolini gialli con le sedie arancioni, odiavo la ridicola magliettina rossa che dovevo indossare, odiavo il rumore della macchina del caffè difettosa.
Odiavo le finestre, le tende, il bancone, le porte, le slot machines.
Odiavo ogni singolo particolare di quel posto.
“Il conto lo può pagare alla cassa quando ha finito” sibilai prima di riprendere il vassoio e allontanarmi.
Passando davanti alla vetrata d’ingresso, gettai uno sguardo fuori.
La strada era praticamente deserta.
In quella zona non passava mai tanta gente, gli unici segni di vita erano dati dai ragazzi che ogni mattina andavano a scuola nel liceo di fronte.
Sospirai, rallentando il passo.
Mi mancava andare a scuola, ma vivevo da solo e per mantenermi avevo bisogno di lavorare.
Ripensai alla mia insegnante di filosofia, sorrisi.
Per quanto l’avessi odiata dal primo giorno che la vidi, in quel momento capii che, nonostante tutto, mi mancava anche lei.
Continuai a guardare fuori, cercando di ricostruire a mente le sagome degli alberi e dei marciapiedi nascosti dalla nebbia.
Fu allora che lo vidi.
Una figura esile, slanciata, che camminava con passo veloce e deciso.
Teneva le mani nelle tasche della sua giacca grigia, aveva la bocca coperta da una sciarpa bianca.
Era ancora lontano quando mi resi conto di conoscerlo.
Si spostò un ciuffo di capelli ricci di lato, prima di alzare lo sguardo e incatenarlo con il mio.
Nonostante a dividerci ci fossero ancora almeno tre metri e una porta di vetro, sentii il cuore esplodermi nel petto.
Deglutii a fatica e raggiunsi John al bancone, con uno sguardo stralunato.
“Hey Louis, tutto bene?” mi chiese preoccupato.
“Io…ehm…” mi passai una mano tra i capelli mentre gettavo un’occhiata alle mie spalle “senti, ho bisogno di una pausa…vado a fumare una sigaretta”.
Senza aspettare la sua risposta mi diressi verso la porta che dava sul retro, uscendo nel momento esatto in cui la capanellina dell’ingresso trillava  annunciando l’arrivo del ragazzo dagli occhi verdi.
 
Tirai forte dalla sigaretta, arrivando al filtro.
La osservai per un attimo, prima di gettarla a terra spegnendola del tutto con la punta del piede.
Buttai fuori il fumo che avevo ancora nei polmoni, stringendomi nella felpa leggera e sollevai lo sguardo al cielo.
Stavo letteralmente congelando, ma l’idea di una morte lenta dovuta all’ipotermia in quel momento mi sembrò migliore di quella di tornare all’interno.
“Oh, Loulou” sussurrai “sei l’individuo più triste sulla faccia della terra”.
Tirai su con il naso, prima di sputare un “oh, al diavolo” e rientrare nel bar.
Respirai profondamente, sfoderai un bel sorriso e tornai da John.
“Stai meglio?”
“Si, grazie” dissi con riconoscenza.
Mi voltai a guardare la sala.
Harry era seduto ad un tavolo in fondo alla stanza e fissava fuori dalla grande finestra che aveva accanto.
“Quel ragazzo non ha ordinato niente?”
John seguì il mio sguardo, e osservò Harry per qualche secondo.
“No. Mentre eri fuori sono andato a chiedergli se volesse ordinare, ma ha detto che stava aspettando”
Fissai Harry, senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Era ancora girato.
“Chissà cosa sta aspettando” disse pensieroso John.
“Chissà chi sta aspettando” risposi di getto.
Presi un block notes e una penna, e lo raggiunsi.
Nonostante una parte di me volesse con tutta se stessa stargli il più lontano possibile, l’altra parte era del tutto in balia dell’istinto.
E l’istinto mi spingeva irrimediabilmente verso di lui.
Per questo, appena mi ritrovai a pochi passi da lui “ciao” tentai con un sorriso incerto.
Lui si voltò, e un lampo di luce passò attraverso i suoi occhi.
 “Hey”.
Sorrise.
Mi schiarii la gola “vuoi ordinare qualcosa?”
“Tu ordini qualcosa?”
“Io lavoro qui” dissi inarcando un sopracciglio.
“Lo so” rispose con un tono divertito, lanciando uno sguardo poco convinto alla targhetta sulla mia maglia.
“Louis Tomlinson” lesse lentamente “Tomlinson? Bel cognome” puntò gli occhi nei miei con un sorriso strafottente sulle labbra.
“Grazie” sibilai “ordini qualcosa oppure hai intenzione di continuare a restar seduto qui facendo complimenti alla gente riguardo ai loro cognomi?”
Ridacchiò e poi “dipende da te. Se per poterti parlare dobbiamo continuare a conversare circa il tuo cognome, a me va più che bene. Ma se preparassi un caffè per entrambi e ti sedessi con me, preferirei”
Chiusi gli occhi qualche secondo per elaborare il tutto.
Rifiuta. Non accettare per nessun motivo al mondo.
Harry continuava a fissarmi nell’attesa che facessi qualcosa.
Lo guardai.
E mi odiai in quel momento, mi odiai con tutto me stesso.
Mi voltai verso il bancone.
“John, fai un caffè per me e il amico? Giuro che poi te lo pago”.
 
Harry
Louis spostò la sedia e si sedette di fronte a me.
L’uomo panciuto che prima stava dietro il bancone si avvicinò con due tazze bollenti.
“Grazie” sussurrò il ragazzo che avevo davanti.
L’altro gli regalò un sorriso sghembo, prima di lanciarmi un’occhiata e allontanarsi.
Avvicinai la tazza e vi versai la bustina di zucchero, Louis mi imitò.
“Allora…” iniziai indeciso.
Non avevo davvero un motivo per essere lì e, soprattutto, non avevo la più pallida idea di come avrei potuto iniziare una conversazione con lui.
“Non dovresti essere a scuola?” chiese lui senza preavviso.
Lo guardai stupito, ma non riuscii ad incrociare il suo sguardo.
Continuava a mescolare il suo caffè, e sembrava terribilmente a disagio.
“Io, beh…” gettai un occhio alla cartella che giaceva accanto alla mia sedia “in realtà si, ma sai… non sono stato molto bene stanotte”
Sentii il suo respiro smorzarsi per una frazione di secondo, poi si portò la tazza alle labbra e bevve un lungo sorso.
“L’avevo notato” disse poi con un sorriso, riappoggiando il caffè sul tavolo.
Picchiettai le dita sullo schermo del cellulare, cercando di coprire il silenzio imbarazzante che si stava creando.
Sentii il suo sguardo pesare su di me.
Poi, improvvisamente, si alzò.
Lo guardai confuso.
“Penso che ora dovrei tornare al lavoro, non vorrei che John mi licenziasse, insomma…” si giustificò grattandosi la nuca.
“Si, hai ragione…”
Pensa ad una scusa per rivederlo. Pensa Harry, pensa cazzo.
Prese le due tazze vuote e le portò dietro il bancone, io lo seguii cercando nelle tasche qualche spicciolo per pagare il conto.
“Sono 1,50 £” annunciò sorridendo.
Cercai di non fare troppo caso ai miei battiti accelerati, tirai fuori 3 £ e glieli allungai sul banco.
Fece lo scontrino e me lo porse insieme al resto.
“Tienili. Te l’offro io questo caffè, è il minimo per averti fatto perdere tempo”
Mi guardò innalzando un sopracciglio.
“Non mi piace restare in debito con la gente”
“Vorrà dire che ripagherai il debito la prossima volta che prenderemo un caffè insieme”
Sorrisi amabilmente e senza dargli modo di replicare uscii dal bar.
 
Camminando per le strade deserte di quel lunedì mattina di metà novembre, l’unica cosa che la mia mente riusciva ad elaborare era l’immagine di due stupendi occhi azzurri.
 
 
 
 
 




Bonjour a tout le monde!
Prima di tutto, ci terrei a scusarmi per il titolo di merda di questo capitolo.
Non mi è venuto in mente nulla di meglio, giuro :(
But, anyway, passiamo alla storia:)
Abbiamo un Harry che marina la scuola e un Louis che lavora in un bar (Lou barista me piasa), bello no?
Il pov Louis è – come sempre – abbastanza confuso.
Chissà perché è così “spaventato” dall’idea di aver Harry intorno, bah.
Il capitolo si conclude con il pov Harry e la descrizione del loro “primo appuntamento” piuttosto imbarazzante.
L’Harry tenerello di fine capitolo mi scioglie il cuore, just saying.
Okay non so che altro scrivere, vi mollo.
 
 
Ciao paxxerelle.
 
  
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