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Autore: Lily1013    24/06/2008    1 recensioni
Perchè ci sono cose che devono essere sconfitte, ed altre che invece sarebbe meglio lasciar crescere...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Lasciatemi andare a casa

Lasciatemi andare a casa

E tutto andrà bene

Sarò a casa stasera

Sto tornando a casa

(M. Bublè – Home)

Quando la carrozza si ferma, un valletto l’aiuta a scendere, e prima ancora che i suoi piedi tocchino il selciato della villa, la nonna è già da lei, a sorreggerla.

- Bambina, bambina mia!

Oscar le sorride, e sente le prime lacrime pungerle negli occhi.

L’età l’ha intenerita, e le minime dimostrazioni di affetto l’emozionano come la più blanda delle ragazzine.

A volte, sa di ricordare Rosalie.

La nonna non parla. Sta guardando la sua Oscar, o quello che ne resta: bianca come un cencio, infagottata in un vestito troppo largo, e con un livido blu sotto l’occhio destro. Stringe i denti, e corre ad abbracciarla.

Non ha ancora preso confidenza con trine e crinoline, così tiene tutto su con due mani mentre si fa trascinare dentro dalla gentile nonna, attaccata alla sua vita.

- Sei dimagrita, bambina. Vedrai, ti farò mettere su almeno dieci chili in due giorni – afferma convinta, e finalmente vede Oscar accennare un sorriso.

La fa accomodare nel salottino vicino allo studio, dove ha preparato biscotti e cioccolata calda. Oscar sorride e, per la prima volta da mesi, mangia quanto basta per sentirsi un pochino meglio.

La nonna le racconta qualsiasi cosa le passi per la testa, come se volesse tenerla distratta, volesse farle passare il tempo il più in fretta possibile. Ma entrambe sanno che lei non è Andrè.

- Madame, il signore è tornato.

Oscar posa i biscotti, lo stomaco chiuso. La nonna si alza e le sorride, tendendole la mano.

In sala da pranzo, il generale Jarjayes è già seduto al solito posto.

Vede entrare sua figlia. Ma quella non è sua figlia.

Oscar non ha lo sguardo spento.

Oscar non porta lividi a casa.

Oscar non fa l’inchino, e non chiede il permesso.

Il Generale non chiede niente, mangiano in silenzio.

“Stai facendo una sciocchezza, Auguste”.

“Mi hai sempre rimproverato che non ho saputo fare il padre, ed adesso che lo faccio non ti sta bene?”.

“Se tu lo avessi fatto a tempo debito, a quest’ora non staremmo discutendo”. Auguste invidiava la calma di sua moglie.

“Non mi pare che io abbia alzato un solo dito su di te, mia cara”.

“Infatti, ma se tu lo avessi fatto, io non avrei fatto tutte queste storie”. Aveva finalmente alzato gli occhi dal suo ricamo. “Per prima cosa, sappi che è normale per due coniugi avere delle discussioni accese, e se io e te non ne abbiamo mai avute è perché per la prima parte del nostro matrimonio io ero sempre incinta, e per la seconda parte io sono sempre stata qui” allungò un braccio intorno alla stanza “e non mi pare mi sia mai impicciata delle tue relazioni”. Silenzio imbarazzante. Non aveva mai pensato che Marguerite non sapesse, ma non pensava avesse il coraggio di tirarlo fuori. Probabilmente ormai era talmente vecchia ed estranea da non crearsi il problema di affrontare una situazione arrugginita. “E poi, è imbarazzante per me: cosa dovrò dire in giro? Mia figlia ha la febbre ed è corsa da suo padre come una bambina sciocca? E chi, poi? Oscar François de Jarjayes, ex Colonnello delle Guardie Reali ed ex Comandante dei Soldati della Guardia? Convieni con me che è poco credibile!”.

“Puoi dire a tutti la verità, allora” aveva sbottato il Generale.

“Non essere volgare, Auguste” presentì lei.

“Marguerite, tua figlia ha un marito violento e la tubercolosi. Decidi tu qual è la versione che preferisci dare alle dame di corte ed alla Regina”. Marguerite aveva indietreggiato. “Non mi stupisce che tu non lo sappia, sai”. Si era preso una piccola rivincita. “Io spero venga. Non glielo imporrò, se lo facessi non verrebbe. Non cercare di fermarla. Le hai dato il mio biglietto? Cosa ha detto?”.

“Non mi ha detto niente”. Era arrabbiata.

“Perfetto”.

“Cosa dirò a lui?”.

“Se l’esimio conte di Fersen avrà la bontà di accorgersi che la moglie se n’è andata, dille che è venuta a casa per guarire. Fagli capire che è meglio non si faccia vivo”.

Il generale guarda la nonna, in piedi dietro Oscar. La nonna scuote la testa.

La cena è terminata.

- Oscar, è parecchio tempo che non ci cimentiamo in una partita a scacchi, voglio proprio vedere quanto si sono abbassati i tuoi attacchi.

- Va bene, padre.

- Aspettami in salotto, io vado a scegliere del buon cognac… - la nonna scuote vigorosamente la testa - … vino, vado a scegliere del buon vino. – Oscar si alza. – E vatti a cambiare d’abito, sembri un lampone con le braccia con quel coso addosso.

Pensa che mai, prima d’allora, ha notato quanto fosse bello il sorriso di sua figlia.

- Mi dispiace, padre.

Il Generale arriccia il naso. Se non fosse stato distratto, avrebbe vinto.

- Quel che giusto è giusto.

Oscar può essere rallentata, ma non stupida. Si è accorta che tre partite di seguito sono troppe per suo padre, e che la nonna ha già sbadigliato quattro volte.

- C’è qualcosa che dovete dirmi, padre?

Il Generale alza lo sguardo dalla sua torre ad Oscar.

- Voglio solo sapere come stai.

Oscar giochicchia con il cavallo, cercando di ricordare il muso dolce di Cesàr. Sto male, male padre. Ma Oscar è ancora troppo orgogliosa per dire a suo padre che, stavolta, ha sbagliato lei.

Solo lei.

Ha sbagliato verso se stessa, la sua famiglia.

Verso Andrè.

Sa che suo padre sa della malattia, quindi sa che è inutile fingere. L’ultima cosa che vuole fare è litigare con lui.

Stira le gambe, sentendosi perfettamente a suo agio nella solita camicia e i pantaloni.

- Ho la tubercolosi, padre. L’ho saputo questa settimana.

Il padre non batte ciglio. Lo sapeva, d’altronde.

- Allora vuol dire che resterai qui fin quando non starai meglio. Mi sono informato: si guarisce di tubercolosi. Meglio la nostra campagna, che la brutta aria di Parigi. – Brutta in tutti i sensi, padre. – Questa è ancora casa tua, Oscar, non dimenticarlo. Bene, adesso vai a dormire, la tua camera è pronta. Buonanotte, Oscar.

Il padre si congeda in fretta. Lei resta a guardare la scia che lascia dietro di sé, di rispetto e pragmaticità.

- Vai a dormire, Oscar, devi riposare. – La nonna le lascia un bacio sulla cima della testa.

- Nonna? – la nonna si ferma sulla porta. – Ti voglio bene, nonna.

Spesso, da bambina, aveva pensato che se non avesse avuto la mamma sarebbe stato lo stesso. Lei aveva la nonna. Adesso lo pensa con molta più intensità.

Resta sola, come tante volte succedeva in passato.

Si siede sul canapé, vicino al fuoco caldo.

Aria di casa.

Per quel giorno non aveva avuto attacchi. Poteva permettersi di starsene lì, un po’, a ricordare, a respirare, finalmente.

Pensa che il momento è quasi perfetto.

Fa volare la mente, si sazia di ricordi che in quella casa non può evitare di far salire a galla, di riempirle il cuore.

E chissà, forse se non fosse stata così distratta da quelle memorie dolci, avrebbe sentito il grande portone aprirsi, e passi correre per il lungo corridoio.

- Andrè!

  
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