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Autore: ISI    25/06/2008    6 recensioni
"Hai avuto paura... per me?
Hai davvero temuto che la mia anima fosse raggiunta prima dal gelo senza scampo della morte che dal tepore del tuo petto al quale mi hai stretto, incurante del sangue, mentre correvi?
Non sapevi e non sai nulla di me, eppure ho sentito il tuo cuore battere veloce in preda al panico per la mia sorte, per il mio destino, che pareva ormai essere giunto al termine.
Allora...è la prima volta che scrivo qualcosa di fantasy, quindi sappiate esser clementi con me e ditemi ciò che ne pensate di questo primo, breve, capitolo.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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† La riconoscenza del corvo †

 

Capitolo I

Colui che salvò il peccatore

 

 

Cra... cra...

Era un gracchiare aspro quello che lacerò la quiete di quella gelida alba.

 

Cra... cra...

Gemiti di doloro, richieste d’aiuto che si perdevano nel pallore del cielo.

 

Cra... cra...

Fu il suono dolente di chi soffre a dischiudere i suoi occhi ciechi.

Il ragazzo si tirò su a sedere sulla stuoia dove dormiva.

Cos’era stato quel rumore?

 

Cra... cra...

Il lamento che aveva udito risuonò ancora nell’aria, ma questa volta gli parve più flebile, più lieve.

Si alzò dal suo giaciglio, attento a non fare il benché minimo rumore per non svegliare i propri genitori ed uscì silenzioso dalla piccola capanna che chiamava casa.

 

 

Aiuto... aiuto...

E’ questo che vorrei gridare, ma non mi è permesso.

Non più almeno, perché un tempo fui uomo.

Avevo labbra rosse al posto di questo duro becco, braccia e mani invece di queste nere ali, gambe e piedi, non ridicole zampette di uccello.

Un tempo fui uomo, ma ahimé fui anche peccatore.

Un tempo cosparsi la terra con il sangue dei miei nemici, rubai, m’insozzai di colpe terribili senza provare rimorso alcuno, senza accorgermi che stavo facendo a pezzi la mia anima con le mie stesse mani. Ma un giorno, inevitabile, giunse il castigo ed io mi tramutai in nefasto presagio dal canto di nera sciagura, costretto a nutrirmi di topi, di bisce, della fatica contadina che speranzosa sparge di semi sterili un campo arido e brullo.

Un tempo fui uomo ed ora son corvo.

Mi fugge la gente come mi fuggiva allora, quando, però, ad addolcire la solitudine, c’erano il potere, il denaro, l’arroganza e la sicurezza di essere il più forte. Ma gli uccelli non hanno potere, della ricchezza e del denaro non se ne fanno nulla e debbono dimenticare l’arroganza perché le frecce dei cacciatori, quando colpiscono il bersaglio, sono più forti di loro.

Un tempo fui uomo ed ebbi tutto quel che desideravo, però poi, di colpo, tutto scomparve, tutto eccetto la solitudine, unica mia compagna nel volo.

Un tempo fui uomo, ora son corvo e forse tra qualche attimo non sarò più.

Perché la vita possiede ali più veloci delle mie, spezzate, vinte dai sassi.

 

Cra... cra...

 

M’illudo forse che qualcuno venga a salvarmi?

Devo essere impazzito, chi mai desidererebbe salvare un peccatore della peggior specie, qual son io? Chi mai desidererebbe salvare un corvo?

Chiuderò gli occhi per riaprirli all’inferno, com’è giusto che sia, consapevole che nessuno pregherà per la salvezza della mia anima, più nera di queste piume.

Forse sei il mio piccolo cuore di uccello smorzasse i suoi battiti questo sentimento che voi uomini chiamate rimorso si placherà, mi lascerà in pace una volta per tutte...

Non voglio più soffrire...

Sono così stanco...

 

 

S’inginocchiò a terra e delicatamente lasciò che le proprie mani esplorassero ciò che lo circondava su quella strada polverosa e deserta.

Poi lo sentì.

I polpastrelli scivolarono sulle piume lisce e lucide, le dita avvolsero con dolcezza quel corpicino tremante di paura e di dolore, quella piccola vita già tiepida e più vicina alla morte di quanto non avrebbe dovuto.

L’accarezzò piano, come per calmarlo, mentre la sensazione di bagnato che sentì sulle dite e l’odore ferrigno che avvertì lo fecero sussultare: sangue.

Strinse al petto nudo la creaturina appena raccolta e tornò verso casa il più velocemente possibile.

 

 

Cos’è?

Cos’è questo tocco gentile, questo tepore così amorevole che mi accoglie?

Dove sono le dita fredde ed ossute della morte?

Cosa sono queste carezze, come fanno a lenire tanto il dolore?

E questo profumo che sento? questa pelle liscia che sporco con il mio sangue di malvagio? Cos’è questo battere forte e concitato che odo così distinto, così chiaro?

Che sai forse...un cuore?

Sì, non c’è dubbio, è un cuore.

E’ un curo giovane, forte, puro, che non conosce il peccato.

E allora perché mi ha raccolto?

Perché non teme di macchiarsi con il mio sangue?

Dev’essere un cuore ingenuo, perché non sa che ad aiutare il malvagio ci si rimette sempre: il serpente velenoso morde la rana che l’ha aiutato a passare il fiume.

Un cuore ingenuo e misericordioso...

 

***

 

Sgranò i neri occhietti di corvo a causa de male atroce che s’accanì contro quelle che un tempo erano state braccia ed il suo corpo tremò in preda agli spasmi tra le mani del ragazzino, che se ne stava seduto all’ombra di un grande albero.

-Calmo... calmo...- sussurrò all’animaletto cominciando ad accarezzarlo piano, senza fargli male -E’ doloroso, lo so, ma presto passerà, ti sentirai meglio e potrai volare di nuovo...- il tocco delicato delle dita del suo salvatore ebbe di nuovo il suo miracoloso effetto: il dolore, e non solo quello fisico, pian piano diminuì, quasi fino a scomparire, ad annullarsi, mentre il corpo e l’anima, che credeva d’aver perso, d’aver venduto al miglior offerente, trovarono ristoro, si rigenerarono.

 

 

Dio, è come rinascere...

 

 

-E’ stata la mamma a medicarti, sai? Lei è molto brava in questo genere di cose, ricordo che da piccolo, quando mi sbucciavo le ginocchia, sapeva sempre come farmi smettere di piangere...- le sue dita lo sfiorarono lievi per tutta la lunghezza del suo misero, caldo corpicino, sopperendo a quella funzione cui gli occhi lattei non avrebbero saputo adempiere.

 

 

Cra... cra...

Gracchiò piano, riconoscente, lasciandosi cullare ancor un po’ da quelle mani così gentili.

 

 

Grazie... grazie...

Ti devo la vita.

Io che ho ucciso, io che ho rubato, io che ho stuprato, io che ho seminato terrore, distruzione e morte, io che fui uomo temuto e peccatore devo la vita a te, ad un ragazzino cieco che non potrò ricompensare in modo alcuno per il suo atto d’amore.

Anche avessi la bellezza del pavone sarebbe inutile perché non potresti vedermi, ma, purtroppo, non mi appartiene neppure il canto dolce e soave dell’usignolo con il quale mi piacerebbe dilettarti.

Quando io canto, con quella mia voce stridule ed antipatica che la natura, come un  castigo, mi ha riservato, tutti scappano, perché mi credono foriero di rovina, mentre i più coraggiosi tiran pietre, convinti che se faranno centro, riusciranno ad uccidere la sfortuna che li colpisce.

Lapidato...sì, forse è così che dovrei morire: una pietra per ogni mio peccato...

 

 

-Sai, quando ti ho trovato ho avuto paura, credevo che non saresti sopravvissuto, ho pensato davvero che fosse troppo tardi, ma alla fine, per fortuna, ce l’hai fatta. Ora hai le ali fasciate, ma ti prometto che quando saranno guarite e potrai volare ti libererò... sei contento?-

 

 

Hai avuto paura... per me?

Hai davvero temuto che la mia anima fosse raggiunta prima dal gelo senza scampo della morte che al tepore del tuo petto al quale mi hai stretto, incurante del sangue, mentre correvi?

Non sapevi e non sai nulla di me, eppure ho sentito il tuo cuore battere veloce in preda al panico per la mia sorte, per il mio destino, che pareva ormai essere giunto al termine.

Hai un cuore nobile, ragazzo, ma forse è proprio perché non mi conosci che hai avuto il coraggio di salvarmi dalle fiamme dell’inferno che avrebbe dovuto accogliere la mia anima già molto tempo fa. Non sai chi sono, non conosci i miei peccati, non sei stato vittima della mia follia, altrimenti non avresti usato tanta misericordia nel miei confronti, tanto amore.

Perché non c’è perdono per la mia anima, né remissione per i mie peccati.

Perché pur avendo un paio d’ali non sono mai stato libero, non fino in fondo, almeno.

A quale folle, illusoria libertà vorresti rendere le mie membra stanche?

Il cielo è troppo grande per me, troppo vasto e alle volte ho paura del mio stesso continuo vagare, mi chiedo se avrà mai fine, se mai troverò un posto sicuro dove potermi fermare a riposare, un posto in cui nessuno punti il dito per giudicare ed accusare.

Un posto che io possa, senza timore alcuno, chiamare casa.

Sai ragazzo, non avrei mai creduto che un luogo del genere potesse esistere, non nella realtà almeno, eppure le tue mani che mi proteggono sono proprio come quell’Eden che tanto a lungo e tanto invano ho rincorso, come quel paradiso che ho tanto sognato...

Perché mi hai raccolto?

Mi sarà cos difficile ora separarmi da te, dalla tua voce, dal tuo sorriso, dalle tue mani...

Se solo tu mi avessi lasciato là dov’ero a quest’ora non conoscerei l’amore, né la sofferenza che ad esso sempre s’accompagna...

Forse avresti dovuto usare la tua misericordia per aiutare qualcuno più meritevole...

 

 

Angolino del supplizio: allora...è la prima volta che scrivo qualcosa di fantasy, quindi sappiate esser clementi con me e ditemi ciò che ne pensate di questo primo, breve, capitolo.

Non c’è molto da dire sulla storia, se non che, per come è strutturata, sicuramente a molti di voi non piacerà, ma così l’ho scritta per la prima volta e così ho voluto lasciarla, nonostante quello che mi è stato detto, ovvero che forse è troppo veloce e va, per così dire, un po’ di palo in frasca... non piacerà a Chiku per il tipo di linguaggio usato, ma in fondo non importa, perché a me piace...

Forse sarò presuntuosa, ma non posso farci niente, mi avrebbe fatto male il cuore a cambiare anche una sola virgola...

Ogni vostro commento sarà ben gradito...

Isi.

  
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