Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Elikin    03/03/2014    0 recensioni
Germania, 1933.
Un gruppo di ragazzini si ritrova a dover crescere in fretta e a fare i conti con le dure novità che l’ascesa del movimento nazionalsocialista ha portato con sé.
Loro malgrado scopriranno che la vita può essere ben più ingiusta di quanto possano anche lontanamente immaginare.
Genere: Dark, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fumo nero
Capitolo Uno
 


Germania, Magdeburgo - Strada secondaria
16:14, 19 Febbraio 1933
 
- Jean, passa qui!- urla con tutta la sua forza Eren. Sa che da questa azione dipenderà il resto della partita. Non può sbagliare. Stringe i pugni più forte mentre spinge il proprio corpo a dare il massimo. Le corte gambe da bambino affondano nella neve morbida e il cappottino troppo lungo rischia di farlo inciampare, ma lui non ci fa caso: è troppo preso dall’euforia di poter segnare il suo primo gol in partita. Fissa il suo rivale con odio mentre lo osserva prepararsi a tirare in porta, incurante del fatto che lui sia smarcato.
Con gli occhi sgranati vede la gamba caricare un colpo potente, ma il corpo di Jean è troppo sbilanciato, finisce per far piombare il pallone ben oltre il perimetro della porta, costringendo il piccolo Bertholdt ad andare a recuperarlo.
- JEAN! Perché non hai passato?- lo aggredisce raggiungendolo e mettendosi di fronte a lui con aria minacciosa.
 
Tra lui e quella faccia da cavallo non è mai scorto buon sangue, quel tizio gli è sempre sembrato troppo pieno di sé e antipatico. Si sente migliore degli altri solo perché è ricco ed è sicuro che un giorno starà alla destra del Fuhrer. Sono parole pericolose di questi tempi, ma lui non sembra farci caso. Forse perché è ariano e non ebreo come quasi tutti loro?
- Sei stato tu a distrarmi! Il mio tiro era perfetto!- risponde utilizzando quella sua solita voce acuta e antipatica. Eren ha per un attimo la voglia di picchiarlo, ma il suo impeto è interrotto dall’intervento di Mikasa, sua sorella - o meglio sorellastra - che pensa bene di fermargli il braccio proprio mentre lui sta per prendere a botte quel bugiardo. Infuriato si volta verso di lei, incrociando gli occhi scuri dai tipici lineamenti orientali, e cerca di divincolarsi da quella presa d’acciaio sulla sua mano guantata. Sa che contro di lei non avrebbe alcuna speranza di vincere, ma nonostante questo cerca lo stesso di colpirla e liberarsi, ottenendo come unico risultato quello di essere steso a terra e di ritrovarsi a fissare il cielo invernale in mezzo alla neve.
 
- Ma è possibile che ogni partita debba per forza andare a finire così?- si lamenta una voce sconsolata. Dal tono e dalla sua acutezza la identifica come quella di Mina, che solitamente assieme a Christa e Marco è l’unica che cerca di portare una parvenza di pace nel loro gruppo, in situazioni simili. Lentamente affonda le mani nel terreno ghiacciato, cercando in qualche modo di mettersi almeno seduto. Non bada più di tanto ai capelli sporchi di neve - e per i quali di certo sua madre lo rimprovererà -, si limita ad osservare rapito lo scorrere degli eventi.
Con la coda dell’occhio nota che Armin, il loro arbitro, si è avvicinato titubante stringendosi infreddolito nel grosso cappotto azzurro, e sta intrattenendo una discussione con Connie a proposito del comportamento suo e di Jean. Quel barone di Connie! Ne vuole sicuramente approfittare per chiedere l’espulsione e ottenere quindi la parità numerica! Il proprio sguardo si fa minaccioso mentre osserva le figure imponenti della squadra avversaria. Reiner, Annie e Bertholdt hanno raggiunto Connie e Mina e stanno protestando animatamente per ottenere almeno un calcio di punizione, o meglio è Reiner che sta protestando, gli altri due sono troppo silenziosi per fare una cosa del genere. Bertholdt non parla e basta, ed ad Annie non serve parlare quando può prenderti a botte fino a che non le dai ragione. Eren rabbrividisce al pensiero dell’ultima volta in cui è stato una sua vittima e lo coglie come stimolo per rialzarsi e scrollarsi finalmente la neve di dosso.
 
- Ah, ti sei rialzato finalmente, poppante!- dice Jean, catturando l’attenzione di Eren e facendolo di nuovo voltare nella sua direzione
- Certo che sei proprio scarso se ti fai mettere al tappeto da una femmina!- aggiunge canzonandolo. Non è una scelta felice questa sua uscita però, Jean non è di certo tra i più massicci del gruppo e le ragazze sono famose per il loro essere più violente dei maschi di tutto il quartiere. Sentendo quattro paia di occhi scrutarlo più o meno furiosamente, il ragazzo non può fare altro che mordersi la lingua ed indietreggiare lentamente, sotto lo sguardo compiaciuto di Eren. Il suono in lontananza di una voce che conoscono bene, però, interrompe quella scena da tanto desiderata e richiama l’attenzione su una figura piccola e bionda che corre verso di loro. Il ragazzino inizia così a sventolare il braccio in segno di saluto verso la nuova arrivata.
- Ehi Christa, si può sapere dove ti eri cacciata? Per colpa tua abbiamo dovuto giocare dispari. Connie non la smetteva più di lamentarsi.- la informa chinandosi a raccogliere il pallone di cuoio e iniziando a rigirarselo tra le dita. Sa benissimo che non è molto brava a giocare a palla, però la sua mancanza ha fatto scaturire un problema numerico non indifferente - e soprattutto lamentele insopportabili -.
La bambina si scusa, pregandoli di perdonarla per il ritardo immenso, mentre con nervosismo si sistema la sciarpa bianca intorno al collo. Eren nota lo sguardo piccato di Connie, chiaramente ancora offeso, e quello leggermente sognante di Reiner. Sogghigna al pensiero che un bamboccio come quello si sia preso una cotta per Christa, poi torna ad ascoltarla, senza però smettere di controllare con la coda dell’occhio i movimenti della faccia da cavallo. Non si sa mai cosa potrebbe combinare!
 
Nota che la loro compagna di giochi è stranamente diversa dal solito, come se fosse preoccupata ed emozionata allo stesso tempo. Spiega loro che non è potuta essere presente alla loro solita partita, evento più importante di tutta la settimana, per “problemi familiari”. Non si sofferma a spiegare in cosa consistano esattamente, ma le sue mani scorrono nervosamente tra i suoi capelli. Qualsiasi cosa sia deve essere bella grossa!
Ma da bravo bambino, proprio come gli è stato insegnato da sua madre, Eren non fa domande e si limita a fissare Christa con le folte sopracciglia scure corrucciate. Anche quando la vede voltare loro le spalle e dirigersi verso il sentiero che conduce a casa sua.
Ecco, se c’è qualcosa che hanno in comune loro due è il fatto di abitare praticamente a dieci metri l’uno dall’altro. Rimane ancora un po’ a fissarla allontanarsi prima di tornare a volgere lo sguardo sui propri compagni.
- Allora dobbiamo giocare sì o no? Se no io me ne tornerei a casa, mi è venuta fame e mia madre ha preparato una ciambella.- dice Sasha, interpretando i dubbi di tutti. I ragazzini si guardano l’un altro inizialmente indecisi ma chiaramente complici. Con un sorriso Eren posa il pallone a terra e gli tira un calcio poderoso.
- Giochiamo!-
 
 
 
Germania, Magdeburgo - Casa Renz
16:38, 19 Febbraio 1933
 
Odore di mandorle. Il suo naso, per quanto dolorante, ne percepisce il profumo. A quel punto non ci vuole molto prima che lo stomaco colga lo stimolo e i crampi inizino a farsi sentire. E pensare che stava così bene fino a poco prima!
Sente le membra pesanti e addormentate, come se fosse stata troppo a lungo in una stessa posizione. Dove si trova? Ha dei ricordi vaghi; una lunga camminata, la paura, il freddo e... due grandi occhi azzurri. Eppure nel suo gruppo non c’è nessuno che abbia gli occhi di quel colore tipicamente tedesco! La sua mente cerca di ricostruire pian piano gli ultimi avvenimenti, senza sforzarsi, mentre lascia vagare i sensi in cerca di informazioni utili. Percepisce odore di mandorle - e questo è stato appurato - ma sente anche profumo di pulito, di lavanda, come di bucato. Al tatto percepisce di essere poggiata su una superficie morbida, tra le più morbide sulle quali abbia mai riposato. Niente a che vedere con le coperte vecchie e sgualcite del suo accampamento itinerante. Le orecchie captano un suono in lontananza, come un lento sfrigolare e poi un rumore di acqua smossa. Inizialmente non capisce a cosa possano essere dovuti questi suoni così particolari, ma le basta aspettare un po’ perché questi si facciano sempre più forti e chiari.
 
La sensazione è quella data da una sbronza, o almeno è quello che immagina si possa provare dopo aver bevuto dei liquori. Non ne ha mai provati sfortunatamente, gli altri dicevano che erano troppo difficili da recuperare per sprecarli con una bambina piccola come lei. Sbuffa al ricordo di come fosse trattata dagli adulti, dai quali tanto cercava di essere accettata, mentre cerca di aprire un occhio. L’operazione però si rivela essere più complessa del previsto. È come se le palpebre siano incollate al suo viso, non volendole permettere di guardarsi intorno. La sua cocciutaggine però è più forte, e nonostante le ci voglia qualche minuto, la ragazzina riesce ad aprire gli occhi e volgere lo sguardo appannato verso il soffitto di quella che è certamente una casa di lusso. Ma che ci fa lei in una casa come quella?
 
Le ci vuole un po’ per riuscire a mettersi seduta su quello che scopre essere un vero e proprio letto. A quanto pare ha meno energie di quelle che pensava, e per un attimo ha la sensazione che da un momento all’altro ricadrà di nuovo all’indietro. Fortunatamente però le sue braccine riescono a mantenere il peso del proprio corpo magro, e a permetterle di dare un’occhiata migliore all’ambiente circostante.
Capisce da dove proveniva lo sfrigolio finalmente, infatti c’è una stufa nell’angolo, ma non vale lo stesso per quel continuo risciacquare. Ascoltandolo a mente più lucida è sicura che si tratti di qualcuno che sta lavando degli indumenti. Facendo un rapido calcolo, suppone che una sorta di lavanderia debba trovarsi dietro il muro a sinistra che sembra separare la stanza in due. L’arredamento è semplice, in legno scuro che lei non sa bene identificare. Oltre a quello su cui si trovava sdraiata è presente un altro letto e un comodino, inoltre intravede anche una cassapanca semplice e uno specchio. Una debole luce proviene dalla sua destra, e le basta voltare la testa per scorgere una finestra abbastanza grande coperta da due tende accostate.
Le sue mani si allungano con naturalezza in quella direzione, e si ritrovano a scostarle per osservare il paesaggio innevato che si estende davanti ai suoi occhi. A giudicare dalle condizioni delle strade deve aver nevicato per benino di recente. I suoi occhi ambra navigano, avidi di sapere, mentre il viso le brucia, desideroso di sentire il freddo ancora una volta sul viso.
 
Intravede delle figure da lontano. Persone che camminano tranquillamente per la città, altre che vanno di corsa, nota persino passare alcuni soldati a ritmo di marcia per la ronda. Il suo istinto primario è quello di rannicchiarsi per non farsi vedere, salvo poi ricordarsi di trovarsi al sicuro e non dentro il loro solito circo itinerante.
Poi il suo sguardo è catturato da un gruppo di ragazzini che giocano a pallone e una bambina della loro età che si dirige a grandi passi verso il palazzo dove è rifugiata Ymir. Si chiede se sia una dei loro compagni, magari i genitori l’hanno richiamata a casa per via del freddo: per una bambina così piccola e vestita in modo così leggero - solo un maglione e una sciarpa - di certo non sarebbe stato difficile prendersi un malanno. Come a voler confermare la cosa la vede tossire mentre le guance le si fanno rosse. Spera solo che non le venga la febbre, anche se non la conosce le dispiacerebbe che un’altra bambina morisse, ne ha già persi fin troppi nella sua breve esistenza.
Senza che se ne accorgesse lo sciacquio però è finito e l’odore di mandorle si è fatto più forte, come se la fonte le si fosse avvicinata.
 
- Ti sei svegliata finalmente.- dice in tedesco una voce alle sue spalle facendola saltare in aria. Sebbene sia sicura di non averla mai sentita prima è come se la conoscesse in qualche modo. Attende qualche secondo prima di girarsi e incrociare lo sguardo della nuova venuta, come se imbattersi in lei potesse sancire l’inizio di un altro incubo per la bambina.
Ma quando finalmente riesce a vederla non è un trauma così grande. È poco più di una ragazza quella che ha davanti, non avrà più di vent’anni. Gli occhi chiari sono nascosti dietro delle lenti rotonde e i capelli biondi - così chiari da non averne mai visti prima - le ricadono sulla fronte in uno strano caschetto. La sua espressione è seria e lascia in Ymir una sorta di presentimento negativo, che però si obbliga a scacciare in un angolo remoto del cervello. Per ora tutto quelle che deve fare è concentrarsi a capire come ci è arrivata lei lì.
 
- Capisci la nostra lingua?- chiede la donna interrompendo il suo flusso di pensieri e sbuffando un po’ irritata, ha decisamente l’aria di una che odia perdere tempo. Ymir annuisce brevemente, sebbene non sia del tutto vero. Capisce sommariamente quella lingua così dura e grezza, sì, ma non saprebbe tenere una vera e propria discussione.
- Un problema in meno. Allora... hai una vaga idea di come sei arrivata qui o di quanto tempo sia passato?- la incalza di nuovo la ragazza, sistemandosi meglio la montatura degli occhiali sul naso. Stavolta la bambina scuote la testa, causando un altro sbuffo da parte dell’altra.
- Hai dormito per due giorni. Immagino che ovunque fosse la tua carovana ormai se ne sia andata senza di te, mi dispiace.-
Ad Ymir pare di sentire una nota di sincero dispiacere nelle parole della donna. Ovviamente non è nulla paragonato alla paura e al vuoto che sente dentro di sé, però sapere che quella persona oltre ad averla salvata sembra non essere del tutto insensibile riesce in qualche modo a tranquillizzarla. Almeno per ora non sarà in pericolo.
Le palpebre però tornano a farsi pesanti e la testa a girare. Lo sforzo compiuto tutto in una volta dalla bambina è troppo forte per un corpo mal messo come il suo, e la conferma di non avere più un posto dove andare non la aiuta di certo. La donna deve averlo notato, perché facendo una specie di smorfia le si avvicina e le intima di rimettersi distesa.
- Riposati. Se ti serve qualcosa ricordati che io mi chiamo Rico, capito? Rico.- scandisce bene le sue parole in modo da assicurarsi che la bambina abbia inteso. Ancora una volta Ymir annuisce, tranquillizzando Rico, che si allontana con una certa urgenza. Deve aver sentito anche lei lo sbattere di quella che, dal rumore, sembra essere una porta enorme.
- Ora pensiamo a quella sconsiderata di Christa.- la sente borbottare prima di vederla sparire dietro il muro, lasciando la ragazzina da sola con i propri fantasmi.
 
 




Mi scuso per la lentezza dell'aggiornamento della storia, spero che non appena finita questa sessione d'esami e risolti alcuni problemi, riuscirò ad avere abbastanza tempo da scrivere e godermi il mio meritato riposo!
Spero che questo Primo Capitolo vero e proprio garbi, e colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che hanno recensito e lasciato un loro parere! Le critiche costruttive sono sempre ben accette! Grazie anche a chi ha inserito la storia tra i preferiti e le seguite! Siete tutti gentilissimi :3
Alla prossima,
Elikin
   
 
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