3.
Il buio.
Cos'è
il buio? Sicuramente non un bel compagno di avventura,
poiché è
proprio dietro il buio che si nascondono le nostre paure. Pensieri
che cerchiamo di sotterrare nella parte più profonda e
inabitata
della nostra mente. E forse è proprio da lì che
escono fuori e
creano un vortice di incubi mentre si dorme. Ma in quel momento io
non stavo dormendo, oh no, ero più che sveglia.
Mi
trovavo seduta sulla solita panchina del Green Park, rannichiata in
un angolino con il libro fra le mani, concentrata e assolta nella mia
lettura.
''… Ma Camille si sentiva come se quello strano ragazzo fosse una miniera di sentimenti, come se avesse la possibilità di scavare nei ricordi più belli del suo cuore e riconoscersi, perché, in fondo, William era proprio come lei: un ragazzo misterioso.''
E dopo aver letto l'ultima
parola, il buio mi circondò. Tutti i piccoli lampioni del
parco si
erano spenti di colpo, come si era spento il mio cuore vedendomi
soffocata dalla mia stessa paura. Rimasi più di cinque
minuti fra
l'oscurità della notte con gli occhi fissi nel vuoto,
incapace di
muovermi, incapace di fare qualunque cosa. Solitamente sono i bambini
che hanno paura di tutto ciò, ma io ero diversa, come se la
bambina
che c'era in me viveva nel mio cuore, come se l'aspetto esteriore
fosse una maschera che nascondeva un'anima che gridava continuamente
''Chi sono io?'', perché in
realtà io non sapevo chi ero,
non riuscivo a definirmi o a descrivermi, non era facile
rappresentare una persona che non rientrava in dei canoni ben
precisi. ''Che tipo di persona sei?'' ''Sono timida, allegra,
alcune volte lunatica, buffona, cialtrona e asociale.''
''Impossibile. Quando mai una persona è sia cialtrona che
asociale?'' Mi domandavano ogni volta. Si, strano lo era, ma
le
persone non si cambiano, ed io ero così. Una ragazza strana
e
incomprensibile.
Avevo paura. Era forse
stupido provare questo sentimento? Forse si, forse no. Scossi il capo
e cercai velocemente il telefono nella tasca.
''Nessun servizio disponibile.''
Perfetto, pensai ironicamente tra me e me. Mi alzai dalla panchina e mi misi in punta di piedi per guardare in lontananza, ma la luce non si faceva vedere nei lampioni, neanche nelle case. Londra era nel buio totale. Un blackout in quel momento non mi rendeva certamente la giornata migliore. Sbloccai il telefono e allungai la mano di fronte a me, e grazie alla luce che emetteva il dispositivo riuscii a vedere qualcosa in più. Presi un bel respiro e mi avviai verso sinistra, dove ricordavo che ci fosse il cancello. Green park era un posto bellissimo, sereno e tranquillo, e mai immaginai di ritrovarmi in una situazione del genere. In quel momento avevo paura dello stesso luogo in cui mi rifugiavo per fuggire, almeno per un ora, dalla vita monotona e quotidiana che mi aspettava fuori. Strano a dirsi, strano da affrontare.
''Il coraggio non è cosa da tutti, ma io l'ho visto in te, devi solo trovalo.''
Ricordai
le parole che mi disse la mia insegnante di italiano quando lesse il
mio tema che parlava di me stessa. Coraggio.
Grande parola.
Camminai insicura,
concentrata sulla via giusta da percorrere per uscire fuori dal
parco. Non era facile orientarsi nel buio e trovai una grande
difficoltà. Inspiravo ed espiravo lentamente per cercare di
rimanere
tranquilla, ma improvvisamente sentii un rumore, quasi dei passi, e
mi bloccai di colpo. Il cervello mi urlava di correre, ma il mio
corpo non faceva altro che rimanere immobile. Deglutii e chiusi gli
occhi, in attesa di risvegliarmi da un incubo. Ma io non stavo
dormendo. E quello non era un incubo, era la realtà. Sentii
nuovamente dei passi, proprio dietro di me. Il battito del mio cuore
iniziò ad accellerare e non appena sentii una mano sulla mia
spalla,
spalancai la bocca ed urlai. Improvvisamente qualcuno mi
tappò la
bocca e io cercai in tutti i modi di allonatarmi e correre, ma
sentivo la sua stretta lungo tutto il corpo. Mentre mi dimenavo
sentii un sussurro vicino all'orecchio.
«Carter, non urlare, ti prego, sono io.» Riconobbi la voce, anche se l'avevo sentita poche volte. «Sono Zayn.» spiegò per cercare di calmarmi. Mi voltai verso di lui, puntai la luce del telefono sul suo viso e buttai fuori l'aria che non mi ero accorta neanche di trattenere. La sua espressione era di pura preoccupazione. La bocca era leggermente aperta, le guance erano rosse, le sopracciglia aggrottate e gli occhi fissi su di me. I suoi capelli erano totalmente scompigliati, e con un gesto veloce li sistemò con imbarazzo. Il ragazzo allungò la mano verso il mio braccio e lo strofinò, come per rassicurarmi.
«Non volevo spaventarti, ma hai iniziato ad urlare...» sembrava quasi che si volesse scusare, ma si bloccò di colpo e cominciò a sfiorarmi le guance e la fronte, come sconvolto.«...Oh dio, stai bene? Sei pallida.» mi chiese con voce tremante.
«I-io
non lo so.» dissi
con un accenno di balbettio. Si, ero sollevata di vedere Zayn e non
un estraneo con mali intenzioni, ma qualcosa non andava. Il mio cuore
batteva ancora rapidamente, come se non riuscisse a riaquistare un
battito regolare. «Ho avuto paura.» schiarii la mia
voce che
sembrava decisamente piatta, senza emozioni.
Il ragazzo mi fissò per
svariati secondi, con lo sguardo concentrato a catturare ogni minimo
dettaglio del mio viso, forse per capire. Passò la sua mano
sopra la
mia guancia e con rapido gesto mi attirò a se. Mi stava
abbracciando, uno degli abbracci che aspettavo da tanto tempo, uno
vero. Chiusi lentamente gli occhi e sospirai, stretta fra le sue
braccia. E proprio in quel momento pensai al concetto del paradiso,
un luogo bello in cui ci si sentiva beati e in quel preciso istante
capii che il paradiso doveva essere proprio quello che stavo provando
io. Dopo pochi minuti ci staccamo e gli sorrisi dolcemente, come per
ringraziarlo.
«Potresti aiutarmi ad uscire fuori di qui? Sai, non è il massimo della comodità al buio.» Zayn rise e mi accompagnò gentilmente fuori dal parco. Con la sua compagnia ci misi all'incirca cinque minuti, forse in due l'orientamento era migliore. Non appena uscimmo, il ragazzo mi si fermò proprio di fronte e con leggero imbarazzo parlò.
«Carter – si infilò le mani in tasca – ti serve per cas-» Ma lo bloccai non appena capii le sue intenzioni, non intendevo recargli peso, perciò non gli feci prununciare neanche la domanda.
«Grazie, ma non c'è bisogno. Può venire a prendermi mia madre.» Zayn non sembrò affatto sorpreso, anzi, pareva come se si aspettasse questa mia interruzzione. Fece spallucce e abbassò il capo. Era certamente diverso dagli altri ragazzi, loro non facevano che ripetere ''Sicura?'' ''Sicurissima?'' fino a farmi venire il nervoso. Se la risposta era no, era no. O forse erano abituati ai classici ''No= Si'', grandi cazzate, per quanto mi riguardava.
«Come vuoi, almeno lascia che ti faccia compagnia mentre aspetti l'arrivo di tua madre, che ne dici?» chiese mentre si appoggiava al muro. Io annuii con imbarazzo e chiamai velocemente mia madre.
«E quindi, oltre a leggere, ti piace anche disegnare, Zayn?» chiesi al moro mentre infilavo le mani nelle tasche dei miei pantaloni. Lui annuì sospirando e una piccola nuvoletta di aria calda fuoriuscì dalla sua bocca. Le sue guance iniziarono a colorarsi di rosso al ricordo del ritratto che avevo visto pochi giorni prima.
«So a cosa stai pensando, sai?» si mise una mano fra i capelli. «Perché questo povero imbecille mi ha fatto un ritratto?» disse ridendo mentre si nascondeva con il cappuccio del giubbotto. Lo guardai per un istante negli occhi e dopodiché gli scoppiai a ridere in faccia, letteralmente. Io non stavo assolutamente pensando questo.
«Cosa fai? Ridi?» disse Zayn che non fece altro che ridere insieme a me. Scossi il capo.
«Non penso questo, in realtà sono veramente interessata a ciò che ti piace fare durante il tempo libero.» sorrisi e con un gesto veloce mi abbottonai il giubbotto, poiché cominciavo a sentire freddo. Zayn se ne stava con la schiena appoggiata al muro e lo sguardo rivolto verso il pavimento, ma forse neanche se ne accorgeva. I suoi pensieri erano così vasti e grandi che si potevano ascoltare e percepire attraverso i suoi occhi e i movimenti delle sue labbra. Molte volte lo trovai con un libro in mano e lo sguardo puntato altrove, il suo labiale si muoveva come se stava parlando seriamente con qualcuno, ma accanto a lui non c'era nessuno. Rimanevo sempre dell'idea che i suoi pensieri molte volte lo rendevano come un pupazzo, un ragazzo che rifletteva interiormente, ma esteriormente rimaneva impalato. E quel suo movimento di labbra era semplice un segno che faceva capire alle persone che in realtà lui c'era.
«Beh, allora si, mi piace anche disegnare.» affermò annuendo. Proprio in quel momento un'auto si accostò al marciapiede e qualcuno aprì il finestrino dall'interno. Il volto di mia madre spuntò fuori, ma la sua espressione cambiò radicalmente non appena notò il ragazzo alla mia destra.
«Sali, forza.» disse mia madre. Era una donna piuttosto energica per la sua età e i suoi capelli biondi la ringiovanivano certamente di più. Si chiamava Elizabeth, ma tutti la chiamavano semplicemente Elis. Mia madre iniziò a guardare Zayn e dopo svariati secondi sorrise, come se quel ragazzo gli facesse simpatia. Mi voltai frettolosamente verso di lui e lo salutai scuotendo la mano. Aprii la portiera della macchina, e dopo aver dato un ultimo sguardo al suo sorriso, entrai definitivamente.
Diedi un morso al panino e mi affettai a masticarlo senza essere vista. La cena non era ancora pronta, ma la famiglia si era già accomodata a tavola, compresa me. Conoscendomi, non avrei resistito altri cinque minuti senza mangiare qualcosa, la pancia mi brontolava rumorosamente e così il panino al centro del tavolo mi aiuto a bloccare la fame per altri pochi minuti, mentre mio padre e mia nonna si concentravano a parlare di chissà cosa. In realtà, mi piaceva dialogare con loro, ma in quel momento non ero entrata nel discorso poiché la mia mente era offuscata dal profumo che usciva dalla cucina.
«Carter, cosa diavolo stai facendo?» disse mio padre voltandosi di scatto verso di me. ''Non si mangia nulla, devi aspettare!'' e bla bla bla, si, lo sapevo benissimo, ma la fame celava brutti scherzi... specialmente a me.
«Eh, fi? Cofa? Non 'fo facendo nienfe.» (Eh? Si? Cosa? Non sto facendo niente.) Mancava poco che mi strozzassi. Versai un goccio d'acqua nel bicchiere e deglutii. Mia nonna si girò verso di me e scoppiò a ridere. Era una vecchietta simpatica e nonostante i suoi capelli bianchi e le rughe, dentro possedeva un animo da bambina.
«Oh, andiamo Ronald! Lasciala mangiare, non sta facendo nulla di male.» Mi giustificò, perché, diciamocelo, lei stava quasi sempre dalla mia parte. Proprio in quel momento entrò mio mia madre e versò le porzioni di pasta nei vari piatti. Dopo aver finito si allegò i capelli con un elastico e iniziammo finalmemte a mangiare.
«Beh, non mi dici chi era quel bel ragazzo che ti stava accanto?» chiese mia madre mentre si versava un bicchiere d'acqua.
La nonna e mio padre si guardarono confusi. «UN RAGAZZO? QUALE RAGAZZO?» domandarono impazienti. Ops. Sentii improvvisamente caldo e gli sguardi dei miei parenti non fecero altro che peggiorare la situazione.
«Oh, santo cielo! Elis, avrei dovuto venire con te, guarda cosa mi sono persa!» esclamò elettrizzata mia nonna. Stavo seriamente ripensando alla proposta che mi aveva fatto quel ragazzo: se mi avesse accompagnato lui fino all'inizio della via, sarebbe stato certamente meglio. E allora non mi sarei ritrovata in quella scocciante situazione.
Mio padre entrò in azione con le sue paranoie. «Carter? Devi dirmi qualcosa? Da quanto lo conosci? Ti piace? Ma, cosa più importante, TI HA FATTO SOFFRIRE? Giuro che lo uccido.» disse infilandosi le mani nei capelli.
«Cosa?! Assolutamente no, so a malapena il suo nome, cioè, non siamo neanche amici.» a quel punto ci furono due reazione diverse: mio padre fece un sospiro di sollievo e le altre due misero il broncio.
Mia madre si affrettò velocemente a parlare. «Che delusione... Hai almeno il suo numero?» chiese incrociando le dite. Si, la mia famiglia si comportava come un gruppo di bambini iperattivi e, molte volte, la cosa mi recava fastidio. Il problema era che non avevo più dieci anni, provavo più imbarazzo a parlare di certe cose.
«No – infilai il boccone di pasta in bocca – un affro afgomenfo?» (Un altro argomento?) cercai di girare pagina e cambiare discorso, ma mia madre e mia nonna erano già concentrate a parlare.
«Ma secono me gli piace, tu che dici? Guarda è tutta rossa!» esclamò la nonna, indicandomi. Mia madre annuì mentre si puliva la bocca con un fazzoletto. «Si, guarda là che pomodoro!».
Le mie guance diventarono ancora più rosse. Roteai gli occhi e feci cadere la testa sul tavolo, in segno di resa. «MAMMA.» sospirai. «NONNA.» sbattei la testa sulla tovaglia. «BASTA, VI PREGO.» urlai in preda al totale imbarazzo. Si, loro due erano il mio peggior incubo: le donne più cocciute, convinte e sicure. Ed io, non avevo certamente preso da loro.
Spazio autrice:
Salve a tutti, ormai non faccio altro che scusarmi per i miei ritardi, sono una frana. Si, dopo un mese sono ricomparsa magicamente con un nuovo capitolo ancora più orribile di quello precedente. In realtà, non ho neanche riletto perché ho la febbre, ma ci tenevo a postarlo visto che lo tenevo rinchiuso dentro OpenOffice da una settimana e stava facendo la muffa, lol. Allora... visto che sono una povera rompi palle, volevo chiedervi se vi sta piacendo la mia Fanfiction e se vi piace il capitolo. Siccome scrivere richiede anche impegno (o almeno per me è così) ci tengo molto a sapere ciò che ne pensate, poiché se il mio modo di scrivere o la storia non vi piace, la cancello e la tengo per me (lol, si, scrivo per me stessa. Mi faccio da scrittore e lettore.) Come al solito mi piacerebbe ricevere le vostre recensioni, anche negative perché ognuno ha sempre qualcosa da imparare. Tutto qua, grazie per aver letto lo spazio autrice che non caga mai nessuno, thanks.
Un abbraccio, Giulia.