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Autore: Ryo13    04/03/2014    5 recensioni
Erin Knight ha un solo obiettivo nella sua vita: da quando ha perso lo zio Klaus, ucciso dall'uomo che amava, non vive che per trovare colui il quale possiede il potere complementare al suo, ovvero quello di manovrare il tempo. Tuttavia la sua missione è ostacolata da Samuel Lex — adesso capo dei ribelli e conosciuto col nome di 'Falco' — e dai capi dell'esercito reale che la osteggiano, minacciando la sua carica di Luogotenente. Unica donna in un mondo di uomini e senza alleati, sarà costretta a forgiare nuove alleanze in luoghi inaspettati...
❈❈❈Storia in revisione ❈❈❈
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 15 - Guardia del corpo
 

 

Nella notte risuonavano a ritmo serrato il rumore degli zoccoli sul selciato.

Più ripensavo al bizzarro incontro con Samuel, e più mi saltavano alla mente le discrepanze nel suo discorso. Perché mi aveva fatto avere il medaglione per strapparmi un incontro, salvo poi parlare di tutt’altro?

Non aveva fatto altro che fare riferimento a Chevalier, fino addirittura a indicarlo come l’uomo da cui aveva ricevuto il monile, ma per quale motivo aveva voluto vedermi in origine?

Sempre che ce ne fosse uno, ovviamente. Era possibile che, insinuando il tarlo del dubbio, tentasse di dividermi dall’unica persona che si era schierata dalla mia parte. Ma ancora, perché farlo?

Non avevo alcun indizio per dirimere la faccenda, a eccezione di quello fornitomi da Samuel stesso: Meatha, cinque anni prima.

Lanciai un’occhiata alle mie spalle per controllare Chevalier.

Nessuno dei due aveva più aperto bocca da quando avevamo lasciato il locale, ma sapevamo che un chiarimento era necessario. 

Invece di procedere dalla consueta strada, cambiai direzione, dirigendomi verso un piccolo abbeveratoio che sorgeva al centro di uno spiazzo piuttosto largo: sarebbe stato deserto, a quell’ora della notte.

Chevalier mi seguì impassibile. In prossimità del pozzo, si accostò al mio cavallo, vagliando con efficienza tutta la zona, alla ricerca di eventuali minacce. Dato che non ce n’era alcuna, scendemmo dai cavalli e li lasciammo dissetare.

Sgranchii le gambe prima di sedermi su un lato del muretto.

Chevalier accarezzò la sua giumenta, dandole pacche affettuose.

Non sapevo se stesse cercando di evitarmi o meno. Quando fui sul punto di dirgli qualcosa, lui si voltò, puntando lo sguardo su di me.

«Non mi hai ancora chiesto niente», disse.

Dopotutto, dovevano essergli pesati quei minuti di silenzio tra di noi, tanto quanto a me.

Era ancora rivolto verso il cavallo, le braccia allungate sulla sella, ma il viso inclinato verso di me.

Il suo profilo si stagliava sul manto scuro dell’animale.

Seguii l’onda di una ciocca che gli sfiorava lo zigomo; scivolai con gli occhi sulle spalle larghe e la curva della schiena, prima di soffermarmi su quella dei glutei. 

Deglutii in preda all’imbarazzo, la voglia di avvicinarmi per toccarlo era sorta nuovamente senza il minimo preavviso, mandandomi in tilt. 

Sapevo che mi aveva posto una domanda e che non avevo ancora risposto. Anche lui doveva stare aspettando una parola da parte mia, ma non riuscivo a pensare lucidamente.

Lasciai protrarsi il silenzio impotente, nonostante temessi di essere fraintesa. Quando ebbi la forza di fissarlo di nuovo in faccia, scoprii che dopotutto non era in attesa di una risposta da parte mia. Non esattamente, almeno.

Aveva uno sguardo che non potevo che definire famelico, tanto inequivocabile che bastò un’occhiata per confermare la presenza di un gonfiore all’altezza dell’inguine.

Mi mancò l’aria nei polmoni.

Inspirai un paio di volte e dissi con voce sommessa: «Mi era stato riferito che Stenton ti avesse tentato con le donne. Credevo non ti interessassero simili offerte».

«Solo perché mi sono rifiutato di sottomettermi a lui, non significa che non mi piacciano le donne», rispose, impassibile.

Mi mossi a disagio e lui lo notò.

«Hai paura di me?», sussurrò con voce roca.

Scossi il capo. «Non esattamente. Però temo questa cosa che c’è tra noi perché non la capisco.»

«Sono attratto da te.»

«Non può essere solo questo! Non è… solo… attrazione.»

«Pensi dipenda dal legame?»

«Non lo so, potrebbe essere. Non ho esperienza in questo campo perché, fino a ora, non avevo mai formato un vincolo. Non sapevo che il legame spingesse a qualche tipo di attrazione particolare... e non avrebbe senso, se ci pensi: quando si stipula tra due persone dello stesso sesso si prova la medesima cosa? Oppure è così proprio perché siamo di sesso opposto?»

«Ti assicuro che non mi sono sentito, né mi sento minimamente attratto da Drogart», soffiò fuori con uno sbuffo convinto. 

Abbassò le braccia dai fianchi e si scostò dal cavallo.

Riuscì a farmi ridere, sebbene mi sentissi nervosa.

«Già… buono a sapersi! Comunque non abbiamo modo di scoprire se dipenda dal legame o meno.»

«Perché escludi l’ipotesi della pura e semplice attrazione?»

Gli scoccai un’occhiataccia. «Beh, perché… perché è troppo! Sei un bell’uomo Chevalier, ma non sono solita reagire in questo modo con nessuno!»

«Nemmeno io, ma tu sei bella e io non sto con una donna da molto, molto tempo», disse serio, gravandomi del peso del suo sguardo di diamante.

«Questo, forse, giustifica te ma non me!», risposi spazientendomi e puntellandogli un dito sul petto.

Colto di sorpresa, esitò un momento prima di chiedere: «Cosa supponi che sia, dunque?».

«Non lo so. Perché non me lo dici tu?»

Corrugò la fronte. «Pensi ti stia nascondendo qualcosa?»

«In effetti, non so neanche questo… forse.»

«Non avevi questo dubbio in quella locanda», mi fece notare.

«Forse anche questo fa parte della tua malia, Chevalier. Io non mi fido così ciecamente delle persone, eppure con te mi risulta difficile fare il contrario, e questo non è per niente naturale.»

«È vero, riconosco che reagiamo l’uno all’altra in maniera strana. Mi piacciono le donne, ma finora non avevo dovuto lottare così strenuamente per impedirmi di mettere le mani addosso a una di loro. Questa cosa è cominciata col Giuramento di sangue, aumentando progressivamente. All’inizio pensavo fosse solo l’astinenza, poi ho ipotizzato si trattasse di un effetto collaterale del legame. Adesso mi dici di sentire la stessa cosa ma non ne sai più di quanto ne sappia io.»

Mentre rifletteva ad alta voce, si era messo le mani ai fianchi, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. 

«Io non so nulla di queste cose: da che ricordo, non ho mai avuto a che fare con la magia, ho bisogno che tu mi creda su questo.»

«Perché?»

Scrollò le spalle. «Non lo capisco, ma è così e basta.»

«Mi serve qualcosa di più per fidarmi di te. Per fidarmi veramente di te.»

«Vuoi sapere di cosa parlava il Falco alla taverna», dedusse.

«Possiamo cominciare da quello, sì.»

«Non posso esserti d'aiuto, mi dispiace.»

«E con questo cosa vorresti dire? Forse che Samuel non si è inventato tutto e c’è veramente qualcosa che non puoi o non vuoi dirmi?»

«Le cose non stanno esattamente così, Erin. Può essere che abbia detto il vero, ma io non sono in grado di stabilirlo.»

«Come è possibile, santo cielo!? Devi pur sapere se possedevi un medaglione come quello che mi ha dato, e soprattutto se a un certo punto l’hai ceduto a qualcuno!»

«No se non ricordo nulla prima di questi cinque anni!» proruppe, e fu come ricevere un secchio d’acqua fredda addosso.

Avevo capito bene? Chevalier non serbava alcun ricordo che risalisse a prima degli ultimi cinque anni? Solo cinque anni…

Cominciando a riflettere, le cose acquistarono un nuovo significato: la reticenza, il fatto che nessuno sapeva da dove venisse o chi veramente fosse, che non sapesse rispondere alle insinuazioni di Samuel…

Tacqui ascoltando il rumore dei nostri respiri, fin quando l’atmosfera si distese. 

Chevalier disse: «Non ho modo di stabilire se dice il vero o il falso, perché i miei ricordi cominciano circa cinque anni fa. Non so niente di cosa abbia fatto prima».

«C-com’è possibile?», balbettai. «Voglio dire, non hai proprio nessun indizio sulla tua identità?»

Chevalier scosse la testa con uno scatto nervoso. «Niente di distintivo, davvero.»

«Nessuno che potesse riconoscerti?»

«No.»

«Come è successo? Hai avuto un incidente?»

«Non che ricordi. Al mio risveglio, non avevo subìto nessun trauma apparentemente. Niente se non un livido sul braccio, a dire il vero, ma nulla che potesse spiegare la perdita di memoria.»

«Non sei riuscito a scoprire altro?», chiesi sbalordita. Al posto suo, una tale ignoranza mi avrebbe probabilmente fatto ammattire. Dei… pensare che tutti i miei ricordi potessero sparire per sempre!

«Il risveglio è stato traumatico», sussurrò, ricordando. «Ero in un bosco, solo, confuso e disorientato. Poi ho scoperto che il villaggio più vicino era a miglia di distanza. Non ricordavo nulla e nessuno sembrava conoscermi… ero un fantasma.»

«Ipotizzando che non fossi del posto, cosa potevi mai fare in quel luogo?»

Scrollò le spalle, non lo sapeva.

«C’erano diverse impronte di cavallo, ma era impossibile seguire una pista. In ogni caso, non ero nelle condizioni di fare una ricerca estesa.»

All’improvviso, un pensiero fece capolino. «E Finn e sua madre? Nemmeno loro hanno saputo dirti chi fossi?»

«Ho conosciuto la madre di Finn qualche mese dopo quel risveglio», spiegò con voce monocorde.

Chevalier stava fornendo molte più informazioni di quanto avesse mai fatto prima.

Avevo tentato di raccogliere informazioni su di lui, ma non avevo scoperto nulla. Tutto ciò che si sapeva sulla sua storia risaliva agli anni di schiavitù all'arena del Sangue: davvero molto poco rispetto alla vita che doveva avere alle spalle.

«Credevo vi conosceste da più tempo», commentai piattamente.

Scosse la testa. «Quattro anni fa i nostri cammini si sono incrociati. Lei tentava di sopravvivere per sfamare sé e Finn e... cominciammo una relazione.»

Tacque un momento, probabilmente rivivendo alcuni dei loro momenti, e non aggiunse altro.

«Cosa accadde dopo? Finn non ha mai accennato a sua madre in mia presenza.»

«Cademmo vittime di un'imboscata: lei morì, mentre io e Finn fummo catturati. Divenni uno schiavo da combattimento, ma questo lo sai.»

Pur non facendo trasparire alcuna emozione, compresi quanto quegli avvenimenti lo avessero toccato e ferito.

«Come si chiamava?»

Un muscolo della guancia si contrasse, serrò le mascelle.

«Fosca», rispose.

Incisivo, lapidario.

Non  feci ulteriori domande: non era pronto per questo, non ancora.

Qualcosa mi si strinse all'altezza del petto, mi sentii a disagio. Con un colpo di tosse cambiai argomento: «Dunque non conosci nemmeno la tua vera età?».

Chev stirò le labbra in un sorriso privo di ilarità. «No, effettivamente non la conosco.»

«Andiamo», lo esortai alla fine. «I cavalli hanno bevuto abbastanza.»

«Non hai altro da chiedere?»

«Non in questo momento.»

Afferrai le redini, dando una scossa all’animale che si agitò in protesta. Montai con agilità consumata, attendendo che Chevalier facesse altrettanto. 

Esitò. Mi raggiunse, ignorando la sua giumenta.

«Significa che ti fidi?»

Mi sforzai di abbassare gli occhi alla sua altezza. Istintivamente, sollevai una mano per sfiorargli la guancia, percorrendola fino al mento.

Ebbe un fremito e chiuse le palpebre brevemente; quando le riaprì, il suo sguardo era di nuovo concentrato.

«Ci sono molte cose che non capisco, Chevalier, troppi punti irrisolti. Questa... attrazione è qualcosa di cui non posso fidarmi. Di certo non voglio alimentarla. È pericoloso.»

«Cosa vuoi fare allora? Intendi sciogliere l'accordo che abbiamo?»

«No», risposi decisa. «No, noi... abbiamo bisogno l'uno dell'altro.»

Mi fissò a lungo, l'atmosfera divenne surreale: come se ci trovassimo in un sogno o una dimensione distorta.

Il vento, tra le fronde, creava un suono sommesso e sinistro. Avvertii una tensione improvvisa, simile a quella che percepivo nelle situazioni di pericolo, ma anziché scrutare la zona continuai a guardare Chevalier.

«Io ho bisogno di te, è vero. Ma perché tu ne avresti di me?», mi chiese.

«La mia missione...»

«La tua missione...», ripeté bloccando le mie parole. «Trovo difficile credere che una donna come te possa avere davvero bisogno dell'aiuto di qualcuno. Se volessi, potresti essere addirittura invisibile: chi mai sarebbe in grado di fermare un potere come il tuo, Erin? Sebbene tutti siano decisi a sottovalutarti, ti prego di non credere io sia disposto a fare lo stesso.»

«Perché no? Cosa ti rende diverso?», lo sfidai.

«Ho capito le caratteristiche del tuo potere: l’ho realizzato dopo la tua vittoria al Surdesangr… una donna contro una folla inferocita di uomini sanguinari. Posso non sapere nulla di magia, ma so riconoscere il potere quando lo vedo.»

Con una folata improvvisa, i capelli gli si agitarono attorno al collo. I miei erano strettamente legati in una treccia. L’aria colpì la mia nuca, dandomi un brivido di freddo.

«Vuoi sapere perché non agisco da sola?»

«Sì.»

Sospirai. «Non è conveniente per me usare troppo i miei poteri: se ne abusassi, sia il mio corpo che la mente subirebbero danni irreparabili. Non devo compiere sforzi eccessivi se poi non posso reintegrare le energie. Per questo motivo ho addestrato il mio corpo alla resistenza e ho affinato tecnica e capacità: dovevo essere in grado di tenere testa a un uomo, anche senza l’ausilio del mio dono. Pure, rimango comunque una donna e, data la natura della mia missione, ho bisogno che qualcuno mi guardi le spalle.»

«Anche se dici il vero, ho l’impressione che non sia tutto», commentò.

«Infatti non lo è», sorrisi.

Piegò le labbra, divertito. «Hai ammesso di avere una debolezza, e non è poco, ciononostante la tua evasività mi induce a pensare che tu stia tacendo qualcosa di più importante.»

Avevo l’intenzione di rispondergli a tono, quando un rumore indistinto alla periferia del campo ci mise in allerta.

Chevalier si avvicinò alla giumenta, mantenendosi al suo fianco. Con efficiente rapidità, portò la mano all'elsa della spada e l’estrasse.

«Questo posto non è sicuro. Dobbiamo muoverci, Chev», borbottai innervosita.

Eravamo troppo esposti, senza ripari: costituivamo un facile bersaglio.

Chevalier montò prontamente in sella e mi aprì la strada, facendomi scudo col suo corpo.

Lanciammo i cavalli al galoppo. Fu allora che udimmo delle voci concitate e un gruppo d’uomini partire all’inseguimento.

«Da che parte?», chiese Chevalier, lanciando un’occhiata alle nostre spalle. «Sono in cinque e sono armati», mi informò poi senza la minima traccia di agitazione.

«La strada a sinistra: taglia la città e porta in una zona piena si viottoli dove è facile far perdere le proprie tracce.»

«Preferisci tagliare la corda?»

«No, meglio tendere un’imboscata: voglio capire chi sono e cosa vogliono.»

«Non saranno semplici criminali di strada?», ipotizzò, alzando la voce per sovrastare il frastuono degli zoccoli.

«Mi pare di aver sentito un rumore metallico, di armatura. Dei comuni banditi non ne indosserebbero una per le loro scorribande. Inoltre credo che ci stessero osservando da un po’ di tempo.»

«L’hai notato anche tu», commentò, ma non era sorpreso.

Nel frattempo, eravamo giunti nella parte più interna della Città bassa, scivolando attraverso un intreccio di strade via via sempre più strette.

Le uniche persone che si vedevano erano quelle riunite nelle bische e nei locali, dove scorrevano fiumi di birra scadente e gli uomini si lasciavano volentieri distrarre da qualche donnina allegra. Scorsi un paio di coppie qua e là, agli angoli poco riparati: al nostro passaggio sussultavano, guardandosi attorno per capire da dove arrivasse tanto trambusto.

Nemmeno lo spettacolo di un inseguimento, tuttavia, li distrasse per più di qualche secondo dai loro intrattenimenti: probabilmente erano troppo ubriachi per curarsi del pericolo di venire travolti da uno di quei cavalli, che a malapena entrava in uno spazio così ridotto.

Percorso un quarto di miglio, arrivammo in una zona deserta con un discreto vantaggio sui nostri inseguitori.

«Da questa parte», dissi a Chevalier, quando rallentò. Portammo i cavalli in un vicolo buio e li legammo a una staccionata.

«Che dobbiamo fare?»

«Torniamo nella strada principale, nascondiamoci e aspettiamo.»

Non si udì alcun rumore per un pezzo.

«Da qui non si procede oltre, come vedi, saranno costretti a fermarsi.»

Indicai a Chevalier dove appostarsi e saltai su un albero vicino, appollaiandomi tra i rami.

Finalmente risuonò il tramestio di numerosi zoccoli: come previsto, il gruppo fu costretto ad arrestare la corsa.

«Non è possibile!», esclamò una voce rozza. «Devono essere andati da questa parte!»

«Da qui non si procede, ci sono solo case», rispose spazientito un altro.

«Forse hanno cambiato direzione: dico di tornare indietro.»

«No, fermi!», ingiunse un uomo dalla voce autoritaria e ferma. «Sono sicuramente venuti da questa parte, non ci siamo ingannati. Scommetto che sono qua attorno. Cercateli!»

Si sparpagliarono, senza fiatare. Quello che aveva parlato doveva essere il loro capo: rimase solo mentre a poca distanza si udivano ancora i rumori dei suoi uomini.

A un certo punto qualcuno richiamò la sua attenzione: avevano trovato i cavalli.

Il capobanda raggiunse chi aveva gridato la notizia.

Chevalier, approfittando del fatto che non ci fosse nessuno in vista, si sporse verso la luce lunare, per attirare la mia attenzione.

Scesi dall’albero mentre mi raggiungeva e ci addossammo il più possibile al tronco.

«Stanno per tornare gli altri», mi sussurrò all’orecchio.

«Tratteniamoli», ordinai.

Quando giunsero, sbucammo dal nostro nascondiglio cogliendoli di sorpresa. I cavalli si imbizzarrirono, seminando confusione. Sfruttando il vantaggio, con poche, agili mosse, fummo in grado di disarcionarli senza grande sforzo.

Nel parapiglia, non avevano potuto estrarre le armi, per cui fu facile bloccarli con la minaccia di una lama alla gola.

Prima ancora che parlassero, a quel punto, notai la divisa militare.

«Sono uno squadrone punitivo», imprecai esasperata.

«Cosa significa? Li conosci?»

«Sono soldati. Ero scettica sul fatto che comuni criminali possedessero armature e cavalli… ma non volevo credere fossero della milizia!»

«E cosa volete dalla mia signora?», domandò sprezzante Chevalier a quello che teneva sotto tiro.

L’uomo deglutì ma non rispose.

«Bella domanda. Forza, rispondete, idioti!», ingiunsi loro, stringendo più saldamente l’elsa e facendogli saggiare la fredda lama del pugnale sulla pelle scoperta.

Quello che tenevo bloccato tremò a disagio. «Non… non vai a genio ad alcune persone.»

«Sai che novità!» risposi sbuffando. «Ma chi è l’artefice di questo attacco?»

«Io… io non lo so. Mi è stato comandato di lasciare il Palazzo e di seguire questa unità per una missione di punizione. Non sapevo che era diretto contro di voi, fino a quando… fino a che non vi ho vista nella piazza.»

«E chi è al comando di questo gruppo?»

«Ah…»

«Sta zitto!», intervenne aspramente il compagno al fianco.

«Meglio che lo lasci parlare e che parli anche tu, se non vuoi che vi finisca male», lo minacciò Chevalier con voce ferma.

«I-io…»

«Non ti diremo nulla! Chi diavolo credi di essere?!»

Chevalier rispose torcendogli il braccio, e gli strappò un grido di dolore. Quello gemette fino a cedere: «Basta! Basta!».

«Hai deciso di collaborare?»

Sputò per terra.

«Come preferisci.»

Strattonandolo con più forza, lo piegò in ginocchio e, coprendogli la bocca con una mano, ne attutì le grida.

«Forse è meglio che parli al posto del tuo amico», dissi al ragazzo. «A meno che tu non voglia provare lo stesso dolore.»

Non fu necessario ripeterlo una seconda volta, perché quello, tutto tremante, disse: «Berioth! È Berioth che ci guida, un soldato del luogotenente Gutor.»

Il compagno, ridotto all’impotenza da Chevalier, imprecò più forte e lo minacciò per avere rivelato quell’informazione.

«Fedigar, eh?»

Cominciavo a comprendere. Anche Chevalier ricordò quel nome: «Non è quell’uomo che ti ha importunato ieri alla mensa?»

«Proprio lui», confermai. «Evidentemente, questo è il suo modo di vendicarsi.»

Dal momento che il prigioniero non smetteva di agitarsi, Chevalier si premurò di colpirlo alla nuca con forza sufficiente a fargli perdere i sensi.

Lasciammo andare il ragazzo che aveva collaborato, seppur privato del resto della scorta.

Chev si assicurò che non tornasse indietro e domandò quale fosse la prossima mossa.

«Sono rimasti in tre adesso», calcolai, «se conosco abbastanza Berioth non si sarà scomodato a cercare a lungo. Ci aspettano dove abbiamo lasciato i cavalli, sa che non li abbandoneremmo.»

«Ed è così?»

Scrollai le spalle. «Sono cavalli della milizia.»

Ciò decretò che saremmo andati loro incontro.

Non avendo più motivo di nasconderci, percorremmo la strada in vista ma con cautela, fin quando ci trovammo a fronteggiare i restanti membri della squadra.

«Berioth, ma che sorpresa! Avete scelto una ben bizzarra ora per fare una passeggiata in città. E vedo che siete scortato da quattro compagni. Ditemi, cosa vi porta da queste parti?»

«Deduco che vi siete già occupata di due di loro», disse, lanciandomi una fredda occhiata.

«Oh, intendete quelli che erano rimasti indietro? Erano stanchi in effetti: a uno è venuto un capogiro e ho consigliato all’altro di tornarsene a dormire.»

Berioth sibilò parole inintelligibili.

«Avete gestito molto male questa spedizione, lasciatevelo dire: speravate di coglierci di sorpresa ma così non è stato. Dovrei ritenermi offesa che siate venuto ad affrontarmi con soli quattro uomini?»

«Potrei battervi anche da solo!», sbottò, più per rabbia che per vero convincimento.

«E allora venite! Cosa aspettate?», lo provocai con una risata.

Diede ordine agli altri due di attaccare. Questi obbedirono dopo un’esitazione, sfruttando lo slancio dei cavalli per aumentare la potenza dei loro colpi contro di noi che eravamo a piedi.

Dovevano essere intimoriti dalla mia fama perché nemmeno quei colpi furono vibrati con decisione.

Afferrando le briglie dei cavalli, con uno strattone sfruttammo il loro stesso slancio per farli sbandare. Chevalier atterrò il suo avversario e vi si lanciò addosso. Io, che non ero altrettanto forte, sfruttai la velocità per recidere col pugnale le redini e impedire all’altro di tenere il controllo dell’animale. 

Costretto a scendere di sella, mi fronteggiò a spada sguainata e non mi occorse molto tempo per disarmarlo.

Anche Chevalier, senza scomporsi, aveva dato prova della sua incredibile abilità, sconfiggendo il nemico senza nemmeno fare uso di un’arma.

Berioth dovette rimanere sorpreso della sua forza.

«Ora che avete esaurito le pedine al vostro comando, soldato, vi farete avanti voi?»

Quello digrignò i denti, agitato sulla sella. Osservando i compagni sconfitti, decise che il gioco non valeva la candela e, superandoci, sparì nella notte, abbandonando i suoi uomini.

Disprezzando quell’atteggiamento codardo, mi rivolsi agli sconfitti.

«Ecco cosa farete: tornerete immediatamente al Palazzo delle Guardie, dove resterete in attesa della punizione che spetta a coloro che attaccano un luogotenente. D’ora in poi, ogni volta che incrocerete il mio cammino, vi inchinerete rispettosamente e non vi azzarderete ad alzare la testa fino a quando non sarò sparita dalla vista! Siamo intesi?!»

Balbettando un assenso, risalirono traballanti sui cavalli per fare esattamente quello che avevo comandato loro.

Ferma immobile, riflettevo sul livello di ostruzionismo che avevamo raggiunto: ora dovevo anche temere attacchi a sorpresa alla mia persona.

«Quale punizione li aspetta?», domandò Chevalier alle mie spalle.

«Quando si tratta di una disobbedienza, fino a cinquanta frustate.»

«E se è di qualcosa di più?»

«Per un attacco diretto possono essere assegnate fino a cento frustate», calcolai. «Ma intendo imporne centoventi, dato il modo poco onorevole con cui mi hanno affrontata.»

«Una decisione piuttosto dura», commentò.

«La trovi ingiusta?»

Piegai indietro il volto, guardandolo con la coda dell’occhio e sforzandomi di non far trasparire nulla dalla mia espressione.

«Non ingiusta, no. Rivela una salda presa di posizione.»

Voltandomi completamente, gli chiesi se la cosa lo sorprendesse, dato che avvertivo qualcosa di non detto tra le righe.

Lui scrollò la testa, con un sorriso. «Forse, dopotutto, anche io sono caduto in un errore valutativo. Avrei detto che saresti stata più clemente.»

«Perché?»

«Perché sei una donna. E perché, da quanto ho avuto modo di vedere, sei di indole generosa.»

«Essere generosi non aiuta nell’ambiente militare. Più spesso è necessario mostrare fermezza e risolutezza. Gli uomini capiscono solo il linguaggio della forza.»

«Gli uomini onorevoli comprendono anche la generosità», puntualizzò.

Assentì con un cenno.

«Eppure questo inquieta il tuo animo», continuò.

«Che stai cercando di dire?»

«Sospetto che preferiresti non doverli punire, eppure lo farai con durezza anche perché te lo impone il tuo grado e per difendere la tua posizione nella gerarchia.»

Le sue parole mi turbarono: non fu il modo in cui lo disse, ma il fatto che l’avesse capito, che mi avesse letto così a fondo. Con chiunque altro, la sensazione di vulnerabilità mi avrebbe spinto a chiudermi in me stessa, indossando la consueta maschera; ma con lui non ci riuscii: mi abbandonai a quella strana fiducia nata tra noi.

«Chi sei, tu, Chevalier, che con tanta facilità mi leggi nell’animo?»

Ridusse la distanza che ci separava, tenendo lo sguardo fisso nel mio.

Dopo lunghi attimi di silenzio, rispose: «Sono la tua guardia del corpo».

Stranamente, ciò ebbe l’effetto di confortarmi.

 
 
   
 
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