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Autore: Aries Pevensie    06/03/2014    2 recensioni
Non credo nelle coincidenze, preferisco l'inevitabilità. Ogni evento è inevitabile. Se non lo fosse, non accadrebbe.
Dal prologo:
"Un sentimento a lui sconosciuto cominciò a fargli bruciare lo stomaco, mentre sentiva come una stretta al cuore e il respiro gli divenne doloroso. Era certo di poter resistere a quell’emozione, ma presto dovette ricredersi. Sapeva che doverla vedere tutte le mattine a scuola non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione, corrodendolo dall’interno. Sarebbe esploso, prima o poi. E allora si sarebbe messo una mano sul cuore e avrebbe chiesto il perdono di Janis. Ma come?"
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A tutti coloro che si sono rialzati
e -soprattutto- a tutti quelli che 
ancora cercano un motivo per farlo.
Coraggio.




Inevitabile

Araba Fenice
 




La luce filtrò dalle persiane accostate, ma Janis non si fece scalfire da quello spiraglio di mondo che cercava insistentemente di farsi vedere da lei. Ogni mattina era la stessa storia, la luce del sole entrava ad illuminare un’irrisoria porzione della sua camera da letto, lei si voltava dall’altra parte e aspettava almeno un altro paio di ore, poi si alzava, faceva una doccia veloce, beveva un bicchiere di latte e tornava nel letto a crogiolarsi nel suo immenso dolore, senza uscire di casa, senza rispondere alle chiamate e ai messaggi di Carol e Melory. Si era chiusa in una prigione fatta di disperazione, delusione e rabbia; non aveva permesso a nessuno di parlare con lei; le poche volte che zia Linette era andata a farle visita, Janis non aveva aperto bocca, ma si era limitata a comunicare con lei con lapidari gesti e cenni del capo. Melory e Carol non sapevano più che cosa fare, andavano a casa sua ogni giorno a portarle gli appunti e a vedere come stava, ma la loro amica non rispondeva agli stimoli e non reagiva per nessuna ragione al mondo. Era come se la sua mente si fosse rinchiusa in una stanza di manicomio, con quattro pareti bianche ed imbottite, in modo da non far sentire all’esterno le strazianti grida di chi vuole uscire, ma non può. E Janis era lì, tra quelle pareti, un fantasma che guardava da lontano il suo cervello esplodere e rigenerarsi, urlare e poi tacere. Non sapeva come fare, voleva reagire ma tutto e tutti le sembravano sbagliati, non sapeva più di chi fidarsi, non aveva più alcun appiglio a cui aggrapparsi disperatamente. Per uno strano scherzo del destino, colui che l’aveva tirata fuori, poi l’aveva rispinta giù e la stava guardando affogare nelle lacrime e in quella stanza che, a mano a mano che lei si struggeva nel suo dolore, si riempiva di acqua e la lasciava senza via d’uscita: era costretta ad affogare nella sua disperazione.
Si alzò dal letto e si avvicinò titubante alla finestra. Ogni molecola del suo corpo la spingeva a riprendersi quella vita che le aveva regalato sì tanti drammi, ma anche molti momenti felici.
Come quelli con Zayn.
Sfiorò con i polpastrelli la sottile stoffa delle tende, le fece oscillare, ripeté un paio di volte quel movimento, fissando con aria assorta i giochi di luce sul pavimento, poi alzò lo sguardo e lo fissò davanti a sé, come se qualcuno la stesse chiamando, stesse gridando il suo nome: il mondo voleva che lei tornasse a camminare, a respirare e a godersi la sua seppur disastrata vita. Con uno scatto felino scostò la tenda e si lasciò colpire il viso dalla luce del sole, mentre un primo ampio sorriso le increspò le labbra. Strizzò gli occhi e aprì anche i vetri, affacciandosi e respirando l’aria fredda e pungente di quella stagione. Il suo sguardo vagò sulla strada, nei giardini dei dirimpettai, sulle auto parcheggiate ai margini del marciapiede. Il cuore prese a martellarle nel petto, quando una folata di vento le scompigliò i capelli e la fece rabbrividire: era ora di uscire da quella prigione fatta di angoscia, solitudine, tristezza. Zayn era stato colui che la prima volta l’aveva tirata fuori di lì, quel giorno, però, si sarebbe tirata fuori da sola.
 
“Avanti Zayn, non lasciarmi bere da solo!” sbottò Niall, avvicinando una bottiglia di birra alle mani dell’amico, che fissava le sfumature del legno del tavolo del pub in cui si erano rintanati per fuggire all’ennesimo sabato di studio e di lavori di casa.
“Scusami Nialler, ma non sono proprio in vena” sospirò l’altro e allontanò con una mano la bottiglia dell’amico, stropicciandosi un occhio lentamente ed evitando di guardare lo sguardo deluso di Niall, che si riprese il suo bicchiere e bevve un lungo sorso di birra.
“Zayn, amico. So io cosa ti serve: dell’alcol. Se preferisci puoi fartelo direttamente in vena” si intromise Harry, dandogli una portentosa pacca sulla schiena, che lo fece finire con il petto a contatto con il bordo del tavolo, rischiando così di far cadere la bottiglia di Heineken di Niall. Il moro si scusò con lo sguardo e sbuffò piano per non farsi sentire dagli altri. Avevano ragione, non poteva lasciarsi andare così, c’erano un sacco di cose che poteva fare per cercare di scacciare dalla memoria quegli occhi delusi, quel pianto silenzioso, quel cuore lacerato.
Janis.
Il solo nome della ragazza gli fece partire una scarica di brividi dalla base della schiena fino al collo, portandosi dietro un’ondata di freddo intenso. I sensi di colpa gli attanagliarono lo stomaco e gli mozzarono il respiro in gola, afferrò il bicchiere di vodka di Louis e lo trangugiò come se fosse acqua. Strizzò gli occhi mentre l’alcol gli bruciava la gola e il caldo gli scioglieva i muscoli tesi delle spalle e del collo. Quando tornò a guardare i suoi amici, Niall lo fissava con un’espressione mista tra il sorpreso e il preoccupato, Louis era a bocca aperta per l’irritazione, Harry aveva un sorrisetto furbo sulle labbra e Liam semplicemente lo fissava con quegli occhi che, Zayn lo sapeva bene, stavano scavando la sua anima, trivellando quel muro che celava i suoi sentimenti. Perché non poteva essere più semplice nascondere le sue emozioni? Perché non era riuscito a fregarsene dei sensi di colpa e aveva spiattellato tutto? Perché non poteva avere una vita normale, una mente normale, una ragazza normale.
Janis.
Di nuovo quel caos emozionale gli paralizzò le gambe, i pensieri, il respiro. Non poteva continuare così, non poteva morire dietro alle sue azioni. Non poteva lasciarsi scappare l’occasione di avere Janis e lasciarsi amare e il dolore che provava era qualcosa di lancinante, una pugnalata al centro del petto, una manciata di chiodi nello stomaco, una nuvola di polvere di vetro nella gola. Averla persa per la sua stupidità era la cosa che più lo mandava via di testa, quando pensava a quanto sarebbe stato semplice se lui non si fosse innamorato così irrimediabilmente di lei.
Tirò fuori qualche spiccio dal portafoglio e li allungò sul tavolo in direzione di Louis per ripagargli il drink, poi afferrò la sua giacca ed uscì dal locale senza dire una parola, senza guardare in faccia nessuno se non quel ragazzo che indossava una maschera con il suo viso, quel soggetto che gli aveva smantellato ogni certezza e portato via l’unica cosa per cui valesse veramente la pena di lottare.
Janis.
 
Camminava lentamente fra le vie della città, guardandosi intorno come una turista in visita al Louvre, tutte le sembrava nuovo, perfino l’edicola del vecchio signor Patterson, con tutti quelle riviste di giardinaggio esposte in prima linea. Salutò cortesemente l’anziano signore, che le sorrise calorosamente, tornando a leggere il giornale che aveva tra le mani, salvo poi rendersi effettivamente conto di chi gli aveva rivolto le proprie attenzioni, allora alzò lo sguardo e si sporse oltre la piccola balaustra.
“Signorina Ryan, buongiorno! È un piacere rivederla!” la chiamò, facendola voltare. Lei si fermò sul posto e si voltò verso colui che le aveva parlato, poi tornò sui suoi passi e fronteggiò l’uomo.
“Buongiorno a lei”, un altro ampio sorriso le illuminò il viso, come da molto tempo non succedeva, ormai. Si sentiva al posto giusto, sapeva di aver fatto la cosa giusta uscendo di casa quel pomeriggio, era consapevole che non sarebbe stato più come una volta, non aveva più voglia di innamorarsi, era svuotata completamente. Afferrò un giornale di moda femminile e lo porse all’uomo, che le comunicò il prezzo e glielo restituì lentamente, come se temesse di sembrare troppo scortese. I due si salutarono e Janis riprese il suo cammino verso il bar del centro, dove avrebbe trovato Carol, di turno quel sabato mattina, e probabilmente Melory, che passava sempre a fare colazione dall’amica.
Quello che sicuramente non pensava succedesse, era di incontrare Zayn lungo il marciapiede, le mani sprofondate nelle tasche, la testa bassa e gli occhi scuri puntati sulla punta delle sue scarpe. Era combattuta tra l’istinto di attraversare la strada ed andarsene, quello di farsi notare da lui e vederlo in pena, ma soprattutto era tesa ad evitare di correre verso di lui ed abbracciarlo di slancio, perché nonostante tutto, sentiva tremendamente la mancanza di un semplice gesto di affetto, aveva bisogno di stringersi al suo corpo e lasciarsi scaldare il cuore nel profondo. Non fece in tempo a decidere sul da farsi, che lui alzò lo sguardo e inarcò le sopracciglia, bloccandosi sul posto proprio di fronte a lei.
“Ciao”  disse lei, alzando una mano e infilandola poi nella tasca della felpa. Avrebbe voluto sorridere, ma non sapeva se fosse il caso. Era sparita dalla circolazione, non aveva nemmeno voluto sentire le sue spiegazioni, era crollata e tra le lacrime aveva visto i suoi amici che lo facevano allontanare dal suo corpo scosso dai singhiozzi. Non sapeva come interpretare il silenzio di Zayn, che continuava a guardarla con espressione sconvolta, gli occhi sgranati e le labbra serrate.
“Come stai?” continuò, sforzandosi di restare ferma per cercare di non sembrare troppo impaziente di sentire la sua voce calda e dolce. Zayn sembrò riscuotersi dai suoi pensieri e si schiarì la gola, passandosi una mano sulla nuca e distogliendo lo sguardo da lei, profondamente a disagio. Aveva due possibilità, dirle come stava realmente oppure fingere di stare bene, per non passare per quello debole divorato dai sensi di colpa e dalla tristezza.
“Uno schifo” sussurrò schietto, tornando a fissarla in quegli occhi che sognava la notte, velati di lacrime, dannatamente lontani. Janis annuì e si mordicchiò il labbro, cercando in tutti i modi di ignorare la fitta allo stomaco e il respiro mozzato da quelle due semplici parole. Dio quanto le mancava quella voce, quelle labbra, quelle guance coperte di barba, che in quel momento era più lunga di quanto lei non l’avesse mai vista e anche i capelli era scompigliati e lasciati ricadere sulla fronte come se fosse appena uscito dalla doccia. Cosa avrebbe dovuto rispondergli? Che lei invece stava meglio del solito, meglio di quanto potesse pensare? Che non vedeva l’ora di ricominciare con la sua vita, che aveva finalmente capito in che direzione muovere i passi della rinascita?
No, non poteva, perché vederlo lì, davanti a lei, sconvolto dalla stanchezza e dalla disperazione, aveva messo in dubbio ogni sua convinzione, l’aveva fatta vacillare, desiderare di non essere mai uscita di casa. Era come se in quel momento la vittima fosse lui, perché lei gli aveva negato il diritto di spiegarle la situazione, aveva dato per scontato che la sua fosse solo una trappola, quando forse poteva essere un modo per riparare ai suoi errori, farla sentire meno sola, ricucire quello strappo che lui stesso le aveva causato nel cuore.
Quel silenzio cominciava ad ucciderlo, perché non faceva niente? Perché non correva da lui e gli rifilava uno schiaffo in pieno volto? Sarebbe stato molto meno doloroso che vederla lì, muta e immobile, bellissima come sempre.
“Ti vedo bene” mormorò, senza nemmeno rendersene conto. Janis sobbalzò e chinò il capo di lato, scrutandolo attentamente. Non c’era ombra di presa in giro, solo un grande e profondo tormento che gli distorceva i lineamenti e gli dava un’aria strana, quasi malata.
“Sei bellissima come sempre”, la voce era ridotta ad un sussurro roco, come se uscisse involontariamente, come se le parole fossero state estirpate dal profondo.
Quell’ultima frase la fece indietreggiare di un passo, il cuore le martellava nel petto, impazzito ed incontrollabile, mentre nella sua mente si affacciavano migliaia di pensieri, paure e ricordi. Si divertiva forse a distruggerla sotto i colpi decisi del suo egoismo? Dopo sua madre e Oliver, voleva aggiungere quell’ultimo tassello al suo puzzle di devastazione? Aprì la bocca per ribattere, ma non riuscì a proferire parola, nemmeno un verso strozzato uscì dalle sue labbra martoriate dai morsi.
Non appena Zayn si accorse della reazione di Janis, si tappò la bocca con una mano e distolse lo sguardo, trattenendo il respiro per captare il più piccolo suono che poteva essere proferito. Doveva andarsene di lì, lasciarla vivere in pace, per quanto quella situazione potesse permetterglielo. Fece un passo di lato e abbassò il capo, aspettando in silenzio che lei gli sfilasse accanto e proseguisse lungo la sua strada. Lasciarla andare era la cosa più dolora che avesse mai provato, vederla lì a portata di mano e non poterla toccare, sapere di dire sempre la cosa sbagliata, non ricevere risposta, tutte queste cose lo stavano logorando e se lei non fosse andata via in fretta lo avrebbe visto crollare sul marciapiede, il cuore in mille pezzi e gli occhi gonfi di lacrime. Aveva fatto un casino enorme, aveva provato a rimediare, peggiorando solo le cose.
Janis, incerta e rattristata, fece qualche passo avanti e si fermò esattamente alla destra del ragazzo, si voltò verso di lui e allungò una mano verso il suo viso; accarezzò con i polpastrelli la guancia coperta dalla barba ispida, che non gli davano la solita aria da uomo, ma piuttosto quella da ragazzo disperato. Come la prima volta che si erano parlati, nel cortile della scuola, avvertì una forte scarica di brividi lungo tutta la schiena, quella sensazione che solo con Zayn poteva provare, solo quando faceva l’amore con lui. Inconsciamente, forse, gli tirò su il mento e lo costrinse ad incatenare gli occhi ai suoi. Era convinta di provare disgusto per lui, dopo quello che aveva fatto alla sua famiglia, dopo il modo in cui le aveva stracciato il cuore, invece non riusciva a non mettere da parte quel sentimento così forte da stordire.
“Passo da te stasera” disse solo, accarezzandogli il labbro inferiore con il pollice e rivolgendogli un sorriso appena accennato, restio a mostrarsi del tutto. Non poteva fargli capire subito che aveva un esagerato bisogno di lui, di sentire la sua voce, il suo respiro sulla pelle, le sue labbra sulle sue. Non voleva fargli vedere quanto fosse facile per lui farla cedere.
Zayn sgranò gli occhi e la guardò allontanarsi, il passo sicuro, la testa alta, la schiena dritta, sembrava che il mondo le scivolasse addosso come l’aria, niente faceva attrito, la sua anima non aveva più spigoli, erano stati levigati dal tempo, usurati dall’incuria degli altri.
Aveva la possibilità di tornare a prendersi cura di lei e non l’avrebbe di certo sprecata.
 
Casa Malik era deserta, nonostante fosse ora di cena: le sorelle erano tutte a casa di amici e i genitori avevano colto l’occasione per far visita ad alcuni amici che vivevano poco fuori Bradford. Zayn era teso come una corda di violino, non aveva mangiato, non si era nemmeno cambiato gli abiti con cui aveva girato tutto il giorno, aspettava Janis come un fedele cagnolino aspetta il suo padrone per potergli fare la festa, non sapeva neanche cosa aspettarsi. Si sarebbe arrabbiata? Avrebbe urlato? Lo avrebbe perdonato? A quel punto non sapeva nemmeno più se fosse realmente andata da lui, come gli aveva detto quel giorno. Non sapeva più niente, non riusciva ad orientarsi in casa sua, si dimenticava quello che stava per fare, tutto girava in funzione di Janis, del suo sorriso appena accennato, dei suoi occhi che finalmente avevano ritrovato un piccolo raggio di luce. L’aveva vista bellissima, come sempre, forse un po’ più magra e asciutta, oppure era sempre uguale, ma lui non era più abituato ad averla davanti. Si stava torturando le labbra, l’interno delle guance, la lingua, stava rimuginando sulle parole giuste da dirle, come salutarla, se abbracciarla oppure mantenersi a distanza. A metà di questi pensieri sentì il campanello suonare, scattò in piedi e corse alla porta, spalancandola con violenza e spaventando la ragazza, che aveva ancora il dito sul campanello e si stava mangiando il labbro inferiore. Si era forse pentita? Non poteva sopportare l’idea di vederla andare via ancora, così mandò a quel paese tutti i buoni propositi pensati in precedenza e l’abbracciò di getto, fasciandole la vita con un braccio e le spalle con l’altro e attirandola contro di sé, in una morsa calda e dolorosa, dettata dalla spasmodica attesa di quel momento.
“Pensavo non saresti venuta più” confessò tra i suoi capelli, inspirandone l’aroma dolce ed intenso. Doveva essersi fatta la doccia poco prima, perché ormai conosceva bene quella sensazione, quell’odore, quella morbidezza. Sorrise, dapprima a labbra strette, poi quando notò che il respiro di Janis era più veloce, sorrise apertamente, nascondendo il viso nell’incavo del collo da cigno della ragazza. Non gli sembrava vero di averla di nuovo lì, contro il suo petto, i loro cuori a trasmettersi le vibrazione, il calore a condizionarsi ed adattarsi a vicenda.
“Avevo pensato di non venire, per farti capire come ci si senta ad essere illusi e poi lasciati lì. Ma sai, Zayn, non sarebbe stata la stessa cosa. Non avresti provato il dolore che ho provato io, non avresti sentito il cuore sbriciolarsi sotto un unico colpo inferto da una mano amata. No. Avresti scrollato le spalle, acceso la televisione e ordinato la pizza”, appoggiò i palmi delle mani al petto del ragazzo e lo allontanò lentamente, di qualche centimetro, piantò lo sguardo in quello di lui, “Perché sai qual è la differenza fra me e te?” chiese retoricamente, per poi proseguire “Che tu vivi nel tuo mondo, non lasci entrare nessuno, non ti lasci aiutare da nessuno. Non sai cosa sia la sofferenza, non sai cosa sia il dolore, non sai cosa voglia dire morire dentro. Non ti perdoni”, fece un passo indietro e squadrò dalla testa ai piedi colui che si trovava di fronte a lei.
Non riusciva a decifrare il suo sguardo, gli sembrava disgustato, poi triste, poi compassionevole, poi arrabbiato ed infine dolce ma freddo.
“E tu? Tu mi perdoni?” mormorò lui, la voce incrinata da un pianto mai espresso, incapace di rispondere alle sue accuse. Aveva colpito il bersaglio, aveva tirato un dardo nell’unico punto debole della sua muraglia. Lo stava distruggendo e solo in quel momento poteva immaginare lontanamente come si fosse sentita lei la sera del ballo.
“Non lo so” rispose lei, schietta e spietata, la testa alta, la schiena dritta, la postura fiera e composta.
Un altro colpo, un’altra crepa.
“Potrei mai perdonarti per quello che hai fatto?” continuò. Lui abbassò il capo e ripensò a quelle parole, indeciso sul significato da dare a quel discorso che lo stava mandando in confusione.
“Potrei mai perdonarti per avermi rovinato la vita? Rispondi” lo sfidò, ma lui non cedette.
“Dimmi, Zayn. Voglio sentirlo uscire dalle tue labbra. Perché dovrei perdonarti?”
Lo stava mettendo alle strette, le spalle al muro, la mente ko. Lo stava annientando, lui e le sue sicurezze. Lei era la sua sicurezza, lei sapeva come vivere una vita difficile.
“Perché ti amo” sussurrò, le lacrime a rigargli il volto ancora chino, gli occhi ridotti a due fessure offuscate, “Ti amo da impazzire e…”, un singhiozzo lo interruppe. Stava piangendo. Janis stava piangendo di fronte a lui, senza trattenersi.
“Sei la mia rovina, Zayn. La mia rovina” disse con voce stranamente ferma, sicura, glaciale.
La sua rovina.
Crollò in ginocchio davanti a lei, una mano sul cuore e l’altra sullo stipite della porta, per non cadere del tutto.
“Perdonami” balbettò tra le lacrime, mentre lei si metteva a covino con una lentezza che lo stava uccidendo. Se la ritrovò davanti, i lineamenti distorti e confusi. Era un sorriso quello? Oppure una smorfia di dolore? A cosa stava pensando? Cosa stava per fare?
“Perché?” domandò di nuovo, prendendogli il volto tra le mani e spazzandogli via le lacrime con i pollici. Non sapeva nemmeno lei dove trovava quel coraggio, quella forza d’animo, quella sicurezza nell’affrontare colui che l’aveva spezzata.
“Non me lo sai dire? Allora continuo io. Hai idea di come mi sia sentita quando mi hai sputato in faccia la verità? Lo sai che mi hai dato una sofferenza ancora più grande della stessa perdita della mia famiglia? In questo momento ti odio di più per quello che hai fatto a me” si interruppe per ricacciare indietro le lacrime “Per quello che hai fatto a me in qualità di tua ragazza. Sapevi che sarebbe andata a finire così, sapevi che prima o poi la verità sarebbe saltata fuori. Ti sei divertito a vedermi tornare felice e poi distruggermi con un unico colpo? Hai portato avanti il tuo teatrino, muovendoti con esperienza e cautela, nascondendomi tutto. Allora perché sono qui davanti a te? Perché dovrei perdonarti?”
“Perché voglio essere la tua vita, non la tua rovina. Perché ti amo. Perché senza di te faccio pena. Perché tu sei la parte migliore di me, davvero. Perché sei la mia araba fenice, sei rinata dalle ceneri, ti sei alzata e hai continuato ad andare avanti. Perché ho bisogno che tu mi salvi” espirò, continuando a piangere come un bambino tra le braccia della madre.
“Salvami, Janis” la implorò in un lamento strascicato.
“Salviamoci insieme, Zayn. Fammi sentire come quando abbiamo parlato la prima volta. Fammi sentire come quando mi hai baciata la prima volta. Fammi sentire come quando abbiamo fatto l’amore.”, la sua mano scese a stringere quella del ragazzo e le loro dita si intrecciarono senza alcun timore. Caldo e freddo, latte e caffè, sicurezza e fragilità, coraggio e paura.
“Come? Come ti ho fatta sentire?” balbettò, indeciso sul significato di quelle parole. Dove voleva arrivare? Cosa stava succedendo? Perché la sua testa non la smetteva di girare così forte? Perché era così difficile ragionare, pensare razionalmente, con i suoi occhi puntati addosso, con il suo profumo nel naso, con le sue mani gelide che stringevano le sue?
“Viva.”


Aries' corner

Sono vergognosamente in ritardo e per questo la prima cosa che farò sarà scusarmi con chi aspettava questo capitolo!
Veniamo a noi. 
Non so davvero cosa sto facendo, cosa mi inventrò e come andrà avanti la faccenda! Sto scrivendo di getto e per la prima volta ho pubblicato un capitolo importante senza sapere cosa succederà in quello dopo. Come non detto, proprio mentre scrivevo quest'ultima frase ho capito cosa accadrà nel capitolo 10. Meglio tardi che mai! 
Spero vi piaccia e spero che non abbia deluso nessuno! Non so se si capisce, ma Janis non ha ancora perdonato del tutto Zayn, ma è sulla buona strada. Aspettatevi di tutto perché nemmeno io so cosa fare, entrambe le cose mi ispirano! Se Janis perdonasse Zayn, ci sarebbe il lieto fine -probabilmente- e questo mi farebbe molto felice, perché questi due mi piacciono tanto! Però se lei non lo perdonasse, eviterei di cadere del banale...
MAH! Mai stata tanto indecisa su cosa scrivere!!! Penso che scriverò entrambi i finali, li valuterò e deciderò quale pubblicare, poi una volta finita questa long, pubblicherò i missing moments, tra cui potrebbe anche comparire l'altro finale. Non lo so, che palle, sono indecisa!!!!! D:
*si nasconde nel suo angolo d'Irlanda a piangere sulle sue scelte difficili*

Aspetto di sapere cosa ne pensate e cosa mi consigliate di fare! Mi piacerebbe sapere come vorreste che finisse! ;)
A presto, allora! 
Un mega abbraccio a tutti!
AP 

 
   
 
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