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Autore: Princess of Dark    08/03/2014    3 recensioni
"E ho guardato dentro un emozione e ci ho visto dentro tanto amore che ho capito perché non si comanda al cuore"
Così dice Vasco Rossi nella sua famosa canzone, così alla fine la penseranno Stefan ed Evelina. Lei scontrosa, indomabile e testarda, lui presuntuoso, arrogante e irresistibile.
Tratto dalla storia: «Ti odio»
«Sai cosa diceva Shakespeare?», sorrise Stefan dolcemente, come se lei gli avesse sussurrato le più dolci parole.
«Cosa?», mormorò Evelina scossa.
«Amami o odiami, entrambi sono a mio favore. Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore. Se mi odi, sarò sempre nella tua mente»

Seconda classificata al contest "Quando le dirai..." di darllenwr
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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“Desideri e destini vanno in senso contrario tanto che i nostri calcoli son sempre rovesciati: nostri sono i progetti, ma non i risultati”
William Shakespeare



La luce che penetrava dalla stanza di Eva per poco non l’accecava e lei, in segno di protesta, mugolò rigirandosi nel letto e coprendosi gli occhi con il lenzuolo.
«Duchessa, siete ancora a letto?! Forza, la colazione e pronta!», esclamò Anna, battendo le mani per spronarla ad alzarsi.
«Non ho fame», si lamentò. «Mi sento accaldata, forse ho la febbre».
Sentendo silenzio, sperò che Anna ci avesse creduto e l’avesse lasciata dormire in pace ma invece la donna si avvicinò a lei e si sedette sul letto, allungando una mano per scoprire dolcemente il suo viso.
«Mia piccola Eva», sorrise la domestica, incrociando gli occhi scuri della ragazza socchiusi per il sonno. «Potrei anche credervi, se non fosse che vi conosco da quando siete uscita dal ventre di vostra madre… e ora coraggio, in piedi!»
«Uffa», sbuffò Eva, rabbrividendo perché Anna le aveva appena tolto le lenzuola da dosso strappandola dal torpore che le regalavano.
 
Ivan e Denis videro Evelina dirigersi verso di loro con una strana espressione in volto, di certo più serena di ieri ma non del tutto spensierata. Erano poche le volte in cui vedevano Eva così nervosa.
«Buongiorno, Eva! Sembrate di buon umore oggi», sorrise Ivan, guardandola divertito mentre strigliava un cavallo dal manto grigio.
«Com’è andata ieri?», chiese Denis sorridendole mentre le porgeva la sella. Eva sorrise malignamente e non riuscì a trattenere un ghigno compiaciuto mentre si avvicinava al suo purosangue e gli accarezzava il dorso.
«Il conte e i suoi uomini mi guardavano come se fossi un alieno. Sono rimasti a bocca aperta», disse soddisfatta e i fratelli risero.
«Quando si dice “donna che lascia senza parole”, eh?»
«Sicuramente ieri sera il conte avrà disdetto tutto. Non ho incontrato né lui né i suoi cagnolini per i corridoi, ecco spiegato il mio buonumore». Assicurò che le redini fossero ben salde e poi montò sul cavallo con un rapido balzo. «Se più tardi sentirete delle urla, sarà mio padre infuriato perché ho perso un altro eventuale marito», aggiunse compiaciuta, fissando in volto i due ragazzi.
«Non dovreste dare così tanti dispiaceri a vostro padre, sembra un brav’uomo». La voce che proveniva alle spalle di Eva la fece trasalire e improvvisamente la sua espressione serena scomparve per far posto a una rabbia omicida. Tirò le briglie al cavallo e si voltò vedendo in piedi davanti alla porta delle stalle Stefan.
«E lo è», disse acidamente. «Quando non cerca di accoppiarmi con simili… scherzi della natura», fece disgustata, osservandolo altezzosamente dall’alto. Stefan accennò una risatina compassionevole, rigirandosi un berretto tra le mani, poggiato spavaldamente a una delle assi di legno.
«Avete una stima così bassa di me?»
«Che ci fate ancora qui?», riprese lei, senza evitare di far trasparire un pizzico di sorpresa.
Chissà perché si aspettava che se ne fosse già andato a gambe levate per la disperazione e, diavolo, ci aveva maledettamente sperato.
«Cosa ci faccio qui? Ditemelo voi, duchessa, dopotutto è vostro padre che vuole accopparvi con il sottoscritto scherzo della natura», fece ironico, puntandosi un dito al petto mentre ripeteva le parole della ragazza.
Il volto di Evelina si contrasse per la rabbia e i suoi pugni afferrarono più saldamente le redini. Odiava già quell’uomo, non poteva immaginare che qualcuno avesse osato prendersi gioco di lei in quel modo. Chi era lui per farlo? Chi si credeva di essere?
«Beh, non vi sembra ovvio? Non nutro nessun desiderio di diventare vostra moglie perciò andate da mio padre a disdire il contratto. Sia ben chiaro: io non vi sposerò», disse determinata. «Morirei, piuttosto», aggiunse in un ringhio minaccioso e si allontanò con il suo cavallo verso la pianura verdeggiante.
Ivan tossì, accennando qualche passo in direzione del conte che teneva gli occhi puntati sulla figura sempre più piccola di Evelina.
«Posso permettervi di darvi un consiglio, signore?», accennò titubante e lo sguardo di Stefan si posò subito su di lui.
«Conosci qualche metodo per addomesticare quella furia?», scherzò sarcastico e Ivan accennò un sorriso forzato e non poco infastidito.
«Evelina è determinata in quello che vuole. Il mio consiglio è di andare dal duca e annullare tutto»
«No», tagliò corto Stefan, facendogli un cenno autoritario con la mano di ammutolire. A parlare stavolta fu suo fratello, avvicinatosi con due grossi passi.
«Se la sposate passerete un inferno: quella donna non vi darà pace!»
«Non sarò io a farlo. Evelina è una donna fuori dal comune: voglio prima divertirmi, magari la sua grinta vale anche a letto…». Sussultò sorpreso quando si ritrovò puntato contro il ferro arroventato con il quale si forgiavano nuovi zoccoli per cavalli. Denis, con uno sguardo assassino e la testa alta, impugnava quel ferro con il quale minacciava di trapassare il cuore di Stefan.
«Non vi permetterò di giocare con la mia padrona», ringhiò minaccioso. Ivan gli mise una mano sul braccio, sussurrando il suo nome per intimarlo a lasciare stare, ma Stefan abbozzò un sorrisetto che si tramutò in una vera e propria risata derisoria.
«Perché non la sposi tu, che sembri tenere tanto a lei?», lo punzecchiò il conte, prima di tramortirlo con un pugno destro e disarmare il povero Denis che, con un calcio, crollò con la schiena a terra.
Stefan si chinò su di esso, mettendo un piede sul suo petto e puntandogli contro la lama con la quale prima era stato minacciato.
«Oh, già, dimenticavo che sei solo un lurido servitore. Osa di nuovi puntarmi contro qualcosa di appuntito e te lo ficcherò su per il…»
«…Stefan!». Il conte si voltò giusto in tempo per vedere l’espressione sconcertata di Raphael, in piedi davanti al portone di legno, e non si mosse di un millimetro.
«Gli stavo insegnando come si mostra rispetto per una casata nobiliare, cugino», fece ironico osservandolo avvicinarsi.
«Su, lascialo stare…», lo incitò, togliendogli pazientemente la spada dalla mano. Denis si ritrasse quando Stefan lo lasciò libero e si mise in piedi, allontanandosi zoppicante. Ivan gli corse incontro e lo trascinò per un braccio timoroso che potesse fare qualche altra cosa insensata.
«Sei impazzito?!», sussurrò spaventato, dandogli un colpetto dietro la nuca. Denis e Stefan si lanciarono un’ultima occhiataccia di odio prima che le loro strade si divisero.
«Siamo stati accolti così cortesemente dal duca e ti metti a litigare con i suoi servitori?!», esclamò Raphael esterrefatto.
«Quella nullità mi ha puntato addosso una lama!»
«Ma smettila, non sapeva neanche impugnarla! Te la darei io una lama dritta in una costola!», sbottò dandogli una pacca di rimprovero sulla spalla mentre Stefan si scrollava la polvere dai pantaloni. «Bel gancio destro comunque», aggiunse mentre uscivano dalle stalle e scoppiarono a ridere.
 
Evelina di certo non immaginava che al suo ritorno dalla cavalcata si sarebbe ritrovata davanti due carrozze e quattro cavalli già pronti per partire. Avvertì un brivido percorrerle la schiena mentre la rabbia le gonfiava il cuore e minacciava di farla esplodere come una bomba a orologeria.
Vide i fratelli Romanov caricare valige sulla prima carrozza assecondando gli ordini di Raphael mentre il conte Chavez parlottava con sua madre e Maximilian sussurrava qualcosa all’orecchio di Nina che era arrossita di colpo.
C’era una strana frenesia, mista a un’aria di festa, come se la sua partenza fosse una cosa lieta, e neanche si erano accorti che era lì impalata accanto al suo cavallo sprizzando odio da tutti i pori. Avrebbe voluto avere i poteri magici e far scomparire dalla terra quei tre. No, forse Maximilian l’avrebbe risparmiato, aveva un’aria simpatica e piaceva a Nina.
«Evelina!», esclamò Denis, notandola per primo a pochi metri da loro.
«Ti occuperai tu dei cavalli, vero?», mugolò la ragazza con un tono melodrammatico.
«Certo. Staranno bene, non vi preoccupate»
«Non è della loro salute che mi preoccupo, piuttosto della mia… impazzirò, Denis, un solo giorno assieme a quell’uomo!», piagnucolò come una bambina capricciosa, aggrappandosi al suo braccio e nascondendo il viso sul suo petto.
Il cuore di Denis saltò qualche battito, quanto bastava per fargli girare la testa all’idea di avere Eva stretta a lui. Poche volte era successo da quando la conosceva, non gli era concesso avvicinarsi più di tanto a lei anche se Evelina non li aveva mai considerati come dei servi.
«Anch’io impazzirò a sapervi lontana da me», sussurrò trai denti, come se stesse parlando con se stesso, mentre approfittava di quei pochi secondi per riempirsi i polmoni del profumo dei suoi capelli.
Ivan vide la scena da lontano e aspettò che l’abbraccio trai due si fosse sciolto prima di avvicinarsi a Eva e prenderle le mani affettuosamente.
«Ci mancherai», fece malinconico ed Eva abbracciò anche lui, poi fece qualche passo incerto verso il piazzale dove gli altri si muovevano indaffarati.
Eva vide Nina indossare un cappellino sul capo e abbracciare Anna come se anche lei stesse per partire.
«Cosa stai facendo, Nina?», fece lei disorientata, mentre sua madre si asciugava una lacrima lasciandole un ultimo bacio sulla guancia.
«Vengo con voi», sorrise la ragazza.
«No, non voglio che lasci la casa per…»
«Lo faccio con piacere, Eva. La mia famiglia ha servito per anni la vostra», fece con tono di voce deciso. Evelina sentì gli occhi pizzicarle per il nobile gesto della sua amica e sorrise dolcemente, guardandola con compassione.
«Non sei obbligata a farlo»
«Lo so, ma qualcuno dovrà pur badare a voi», fece lei in tutta risposta, riservandole un ultimo sorriso prima di avanzare per salire sulla prima carrozza, facendosi aiutare dal giovane Maximilian.
Lo sguardo di Eva finì su quello di sua madre, immobile con le mani in grembo e uno sguardo cupo in volto.
«Non sono mai stata d’accordo con la scelta di tuo padre, volevo che lo sapessi. Però ho avuto modo di vedere che il conte è una brava persona, starai bene con lui», sussurrò Margarita facendo tremare violentemente il labbro. Eva, indecisa se cedere o mantenere alto il proprio orgoglio, abbassò il capo per non mostrarle gli occhi lucidi ma alla fine la circondò con un abbraccio forte.
Aveva bisogno di sua madre, aveva bisogno di sapere che ci sarebbe sempre stata, che non era persa per sempre.
Suo padre invece si era messo in disparte, con il viso pieno di rimorso, stando in silenzio come un peccatore in una chiesa, e attendeva che Evelina si facesse avanti per salutarlo. Ma sapeva anche che sua figlia era troppo orgogliosa e testarda per abbracciarlo e dirgli che stava andando tutto bene.
E infatti la ragazza si voltò a guardare per l’ennesima volta la carrozza, passando poi a testa alta davanti alla figura di suo padre e immobilizzandosi di colpo. Non le rivolse lo sguardo, abbassando il capo e sussurrando tra le labbra parole che fecero male al cuore stanco del duca.
«Spero che tu sia felice di tutto questo», mormorò con freddezza, prima di dargli le spalle e salire sul calesse.
Stefan, da lontano, era rimasto a osservare come Evelina aveva liquidato suo padre e gli lanciò un’occhiata quasi consapevole di ciò che avrebbe dovuto passare. Si congedò cordialmente con i suoi genitori e salì in carrozza rapidamente, sedendosi di fronte alla sua fidanzata.
Le ruote scricchiolarono e le carrozze iniziarono a muoversi trainate dai cavalli. Evelina lanciò un’ultima occhiata fuori dal finestrino, salutando la sua casa, la sua terra, la sua vecchia vita.
Ivan poggiò una mano sulla spalla del fratello, senza distogliere lo sguardo dalle figure che si allontanavano.
«Forse ti farà bene la sua assenza», si limitò a dire. Denis increspò le labbra, trattenendo a stento l’impulso di mettersi a correre dietro la carrozza e riprendersi la sua Eva.
«Tu dici?», mugolò. Vide con la coda dell’occhio suo fratello maggiore annuire.
«Lo so che sei innamorato di lei dall’età di quindici anni. La sua lontananza ti farà finalmente ragionare e trovare una donna alla tua altezza».
Le parole di Ivan non erano di cattiva intenzione, Denis lo sapeva, eppure gli faceva rabbia ogni volta che suo fratello gli ricordava chi era lei e chi erano loro. Cosa credeva? Che non lo sapeva quanta differenza c’era tra le loro famiglie? Che non avrebbe mai potuto averla? Che persino un viziato damerino arrogante che voleva solo portarla a letto aveva più possibilità di lui?
 
Essere lì da soli, seduti l’uno di fronte all’altra, senza altre persone a porre un muro d’impenetrabilità tra i loro corpi metteva a disagio entrambi. Restarono a lungo in silenzio: Stefan la guardava fisso, delineando la forma perfetta delle sue labbra vellutate e degli zigomi, delle sue piccole spalle, le braccia che ricadevano in avanti per congiungere le mani sul grembo, immaginando le forme che nascondevano quei vestiti così poco adatti a lei.
Voleva urlare, scappare, saltare via dal calesse se fosse stato necessario: il solo starle vicino lo opprimeva, gli sembrava che le ali della sua libertà gli fossero già state spezzate.
Poteva essere una donna così bella causa della sua frustrazione? Stefan non aveva mai immaginato di provare un odio così profondo verso qualcuno dell’altro sesso.
Doveva liberarsi di lei. In un modo o nell’altro ci sarebbe riuscito.
Cercava di interpretare il suo modo di stare con la schiena dritta e lo sguardo tutt’altra parte che su di lui e si rese conto che avrebbe pagato per conoscere i suoi pensieri.
Si schiarì più volte la gola, accavallò le gambe, si sistemò il colletto della camicia, tamburellò le dita contro la superficie nervosa irritando Evelina, ma niente: sembrava che lei fosse una statua, non sembrava volergli dedicare un briciolo della sua attenzione.
«A cosa è dovuto questo silenzio?», fece a un tratto Stefan, con un cenno di esitazione iniziale, come se preferisse non svegliare il can che dorme. Evelina lo ignorò ancora, percorrendo il contorno sfumato delle montagne in lontananza. «Mi sarei aspettato che mi aveste insultato ancora», continuò.
«C’è tempo anche per quello, conte», borbottò con acidità. «Quanto ci vorrà per arrivare al vostro paese?», aggiunse, voltando finalmente il capo per guardarlo per la prima volta da quando erano in cammino.
Stefan, che fino a quel momento aveva fatto di tutto per far ricadere l’attenzione su di lui, si sentì finalmente soddisfatto di esserci riuscito, iniziando a pavoneggiarsi mentre si passava una mano nei capelli con aria spavalda.
«Sarà un lungo viaggio. Ci fermeremo in qualche locanda per la notte, possibilmente con qualche cameriera carina». Sorrise, nella speranza di essere sprezzante, mentre si stendeva scompostamente sul sedile. Gli occhi di Eva scintillavano dalla rabbia, o forse era collera quella che ribolliva nelle sue vene.
«Vi avverto: non mi piace condividere ciò che è mio», ringhiò lei, puntandogli addosso gli occhi scuri.
«Nessuno ha detto che sono vostro», la punzecchiò.
«Il contratto che il vostro carissimo padre ha firmato afferma il contrario. Se non volete, sapete cosa fare… siamo ancora in tempo per tornare indietro», disse amara e lui rise di gusto.
«Non ci penso nemmeno!».
Eva decise di adottare nuovamente la tecnica dell’indifferenza: non le andava a genio l’idea di doversi scontrare per tutto il resto del “lungo” viaggio con un cafone come Stefan, era troppo amareggiata per continuare a parlare, troppo delusa dal comportamento di suo padre che alla fine l’aveva ceduta come se fosse uno dei suoi vecchi cavalli da dare via in dono.
Desiderava tanto sfogare tutta la sua rabbia con Nina, seduta nell’altra carrozza assieme a Max e Raphael, perché di sicuro lei avrebbe trovato un modo per rasserenarla e convincerla che non era la fine del mondo, dopotutto. Le avrebbe accarezzato i capelli mentre l’avrebbe ascoltata pazientemente, lasciandole la libertà di sfogarsi, poi le avrebbe sussurrato due paroline sagge elargendo un bel sorriso e sarebbe andata via per prepararle una camomilla.
Eva spesso la invidiava: Nina sapeva sempre cosa dire e cosa fare, riusciva a capire fino in fondo le persone e prenderle con le buone, sapeva anche colpire al tallone d’Achille se necessario. Sempre composta e ordinata, le uniche volte che non sorrideva era perché era malata, la figlia che tutti i padri vorrebbero avere.
Ma forse ciò che Evelina invidiava di più era il fatto che non avesse addosso il peso dell’intera famiglia, che non avrebbe mai dovuto pensare a sacrificarsi per mantenere alto il loro onore. No, Nina non aveva obblighi di nessun genere.
«Ho sete, fermiamoci», fece improvvisamente la ragazza, voltandosi nuovamente verso Stefan, il quale aggrottò la fronte.
«Siamo in mezzo alle campagne, non c’è acqua»
«Sicuramente ci sarà per l’irrigazione!»
«Vi dico di no»
«Io invece penso di sì», fece Eva con insistenza. Stefan tirò un sospiro spazientito, sporgendosi poi dal finestrino e urlando al cocchiere di fermarsi.
«Prego, dissetatevi pure nelle fontane per i porci», la invitò con finta cortesia, facendole il gesto di scendere. Evelina strinse i pugni per evitare che le sue mani gli colpissero il volto prima di scendere velocemente con un piccolo balzo.
Percorse a grandi passi i campi deserti fino a raggiungere uno degli abbeveratoi stracolmi di acqua che continuava a uscire dai rubinetti.  Si chinò e bevve dalle mani a coppa, deliziandosi della freschezza dell’acqua che in quel momento le sembrava l’unico conforto.
«Evelina!». Nina la raggiunse correndo, affaticata dalla gonna che non le consentiva di certo di essere più agile, arrivando accanto a lei con il fiatone. «Va tutto bene?»
«Secondo te?», fece sarcastica, lanciando uno sguardo provocatorio alle carrozze ferme sul ciglio della strada, ora piccole quanto il pugno di una mano. Nina si voltò verso di esse e tornò a fissare la ragazza tirando un sospiro.
«Pensavo vi stesse sentendo male… odiate viaggiare in carrozza»
«… soprattutto se la compagnia non è tra le migliori», aggiunse lei, strofinandosi le mani sotto il getto d’acqua per poi passarle sul collo.
«Posso capire i vostri stati d’animo, duchessa, ma vi consiglio di non amareggiarvi così tanto. Non avete dormito bene stanotte e non avete una bella cera, perciò smettetela di corrucciarvi e riposate un po’: il viaggio sarà piuttosto lungo», le intimò la giovane donna, spronandola a sorridere.
«L’acqua è fresca?». Le due donne si voltarono per osservare Maximilian che avanzava nella loro direzione con una borraccia vuota tra le mani e l’aria sorridente. Evelina annuì e le due si separarono per farlo passare. Max riempì il contenitore e ne approfittò per bere dalla fontana. Emise un grugnito di soddisfazione, asciugandosi poi con la manica della giacca e sorridendo a Nina, anche aveva avuto tutto il tempo per diventare rossa.
«Maximilian, giusto?», intervenne Eva.
«Ai suoi servizi», le fece l’occhiolino l’uomo, mimando un buffo inchino.
«Posso chiedervi se la pistola che portate in vita è carica?». Max fece scorrere con sorpresa la mano sull’arma, prima di ridere divertito.
«Sono responsabile della salute del conte, ed è l’unico motivo per cui non vi risponderò»
«Avete finito o volete anche dormirci, con i porci?!», urlò Stefan, che intanto era uscito e agitava le mani nella sua direzione. Eva guardò dapprima Stefan con aria sprezzante poi si voltò verso Max con lo sguardo implorante.
«Solo un colpo! Ho una buona mira! Non lo saprà nessuno», mugolò intrecciando le dita come in una preghiera.
«Allora?!», urlò ancora Stefan.
«Volete macchiarvi di un simile delitto per uno come il conte Wilson?», la punzecchiò Maximilian.
«Andiamo, non vedo altra via di scampo», sospirò Eva rassegnata, accennando qualche passo in avanti. Nina scosse il capo, sorridendo amaramente e scortandola accanto a Max fino a quando non dovettero separarsi per salire su due carrozze diverse.
«Preferirei la compagnia dei porci alla vostra», la sentì bofonchiare prima di salire.
«Un tipo irascibile, la vostra padrona», osservò Maximilian divertito, porgendole la mano per aiutarla a salire. Nina sorrise.
«Il vostro non è meno fastidioso», commentò sedendosi di fronte a lui e a Raphael.
«Se fate silenzio riuscite a sentire tutti i loro battibecchi», aggiunse il conte e tutti e tre ammutolirono. Nel sentire le voci dei due si misero a ridere.
«La duchessa è una donna in gamba, non si arrenderà fino a quando non l’avrà vinta»
«Purtroppo anche mio cugino è così, Nina…», sospirò rassegnato l’uomo, volgendo i suoi occhi azzurri verso le campagne con aria pensierosa.
«Secondo voi chi la spunterà?»
«Ci stai coinvolgendo in una scommessa, Max?»
«Potrebbe essere divertente… io punto sulla ragazza, mi sembra una tipa tosta», replicò Maximilian con l’espressione furba negli occhi. Nina annuì.
«Anche io!»
«Per solidarietà appoggio Stefan», sorrise Raphael, tornando ai suoi pensieri. Stefan li avrebbe uccisi tutti e tre se avesse saputo che si stavano prendendo gioco di lui!
Tutta la situazione lo faceva ridere, tanto che era assurda: non avrebbe mai immaginato che Stefan, da un giorno all’altro, si fidanzasse, anche se non di sua spontanea volontà. La cosa più buffa era che Evelina sembra l’incarnazione di tutto ciò che Stefan detestava di più delle donne: la sua bellezza sembrava quasi un pegno, un modo di Madre Natura per scusarsi di averle donato una lingua inviperita e un carattere pungente.
Quando suo zio avrebbe visto Evelina, era quasi certo che avrebbe acconsentito a sciogliere il matrimonio: era impossibile per i due convivere per più di dieci minuti, prima o poi qualcuno dei due non ce l’avrebbe fatta.
Max e Nina puntavano sulla duchessa, Rapahel però conosceva Stefan da quando era nato e non aveva mai conosciuto una persona più caparbia e obiettiva di lui.
Gli sfuggì una risatina amara.
«Quanto siamo cattivi, stiamo giocando con le loro sventure», osservò.



“Desideri e destini vanno in senso contrario tanto che i nostri calcoli son sempre rovesciati: nostri sono i progetti, ma non i risultati”
William Shakespeare


 
  
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