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Autore: Sef    10/03/2014    4 recensioni
Nathalie ha quasi diciassette anni, gli occhi color pece e un dono che sa di maledizione, il passo leggero e la tendenza a fuggire. Fragile e tagliente come il cristallo, gelida e invitante, ostile e accogliente, tornado e deserto, passioni e apatia, sempre sul filo del rasoio, sapendo che prima o poi dovrà cadere.
Convivevo con il mio segreto da troppo tempo ormai per pensare ingenuamente che sarebbe stato facile fingermi come tutti gli altri, nonostante gli innumerevoli anni di pratica, e sapevo che mi ero praticamente puntata una pistola alla tempia da sola.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I want to shelter you,
But with the beast inside
There's nowhere we can hide.
(...) Don't get too close,
It's dark inside
It's where my demons hide,
It's where my demons hide."
Demons, Imagine Dragons



Una mano mi strinse il braccio mentre uscivo dall'aula di chimica, finalmente l'ultima lezione della mattina. Dire che non ne potevo più sarebbe stato un eufemismo, di quelli colossali. Ovviamente non avevo impiegato nulla a capire le lezioni, nonostante l'anno completamente sabbatico in cui non avevo sfiorato manco per sbaglio un libro scolastico.
L'attenzione scrupolosa che rivolgevo verso tutto ciò che mi circondava, vicino o lontano, mi aveva spossata, oltre a causarmi un mal di testa lancinante.
Avrei solo voluto tornare nel mio attico, sotto le coperte calde, e dormire un po' (e questo dimostrava l'eccezionalità del momento: avevo sempre avuto bisogno di pochissimo sonno, mentre ora il mio corpo ne urlava la mancanza) o comunque levarmi dal frastuono e dagli spintoni che avevo ricevuto tutta la mattinata.
Ne avevo avuto più che abbastanza del genere umano. Avrei voluto inchinarmi, annunciare "a posto così per un altro anno almeno" e andarmene trionfalmente. Cosa mi bloccava dopotutto? Ero sola, come al solito. Sola e responsabile di ciò che facevo. Ma forse era questo il problema: la solitudine, anche se era difficile ammetterlo, mi pesava molto più del caos.
Questo non toglieva che ero al limite.
Senza contare il fatto che, grazie all'idea geniale del responsabile, mi ero ritrovata ogni ora con un accompagnatore diverso. Non sapevo se fosse un caso, ma erano tutti maschi e anche più impacciati di Ben, in un crescendo di balbettii e arrossamenti, frammentati dalla ripetizione del mio nome, che ormai non mi suonava nemmeno più familiare, tanto l'avevano masticato e pronunciato.
Odiavo la scuola.
Così quando una mano sbucata dal nulla mi strinse il braccio, i miei sensi sovreccitati risposero di conseguenza: mi voltai tanto veloce che la testa cominciò a girarmi prima ancora di compiere il movimento. Davvero saggio dare prova della mia abilità sovrumana. Avrei voluto farmi un applauso.
Affondai il mio sguardo in quello color ambra scuro della ragazza di fronte a me. Alta (forse era più appropriato dire bassa) più o meno come me, i capelli lisci color mogano a incorniciarle il viso dolce e paffuto in armonia con la carnagione cappuccino, portava vestiti straordinariamente colorati e aveva un sorriso contagioso. Al collo aveva una di quelle collane a palline colorate, da bambina, che però sembrava disegnata per lei. Chissà che contrasto doveva fare con i miei vestiti neri (molto più facili da lavare, soprattutto per la mia enorme incapacità di far funzionare qualsiasi macchinario umano in generale) e la smorfia imbronciata che addobbava sempre il mio volto.
Non sembrava essersi accorta dell'ambiguità del movimento con cui, in un istante, c'eravamo trovate faccia a faccia, e la sua mano era ancora appoggiata al mio avambraccio. Quella stretta però anziché sembrarmi sgradevole - conoscendo soprattutto la mia totale avversione a qualsiasi tipo di contatto che sforasse il necessario - era caldo, come tutta la sua figura. Sembrava un piccolo sole, e a conferma della mia supposizione il suo sorriso si allargò ancora di più, mentre la sua mano lasciò finalmente la presa. L'improvviso freddo dove prima stavano le sue dita, mi colpì moltò più duramente di quel che pensavo.
Ero decisamente in astinenza da contatto umano.
"Devo accompagnarti alla mensa", sorrise la ragazza, scostandosi un ciuffo di capelli da davanti agli occhi. Poi mi porse la mano. "Io sono Ella."
"Nathalie." Gliela strinsi, sperando che non si sentisse troppo la differenza di temperatura tra le nostre mani. Non avevo mai avuto certi scrupoli, soprattutto perché difficilmente la gente si accorgeva di quei pochi gradi che mi mancavano per raggiungere la temperatura standard, ma per Ella sapevo che era diverso: i suoi occhi dolci mi stavano scrutando in profondità, mi studiavano ma senza per questo farmi sentire a disagio. Era speciale, su questo non c'erano dubbi, ma era solo un'umana. I miei sensi me lo confermavano.
Rilassai le spalle, più a mio agio che in qualsiasi altro momento delle ultime ore, e forse anche dell'ultimo anno, e distesi la fronte. Forse la giornata poteva migliorare.
"Dovrebbe essere lo spostamento più facile", mormorò Ella, mentre ci incamminavamo. "Ma cerca di non perdermi di vista: la mensa è proprio qui" indicò una porta a vetri, in cui si accedeva in un ampio locale, strabordante di gente. "Il disastro è solo entrarci."
Inizialmente non capii cosa intendesse - era impossibile non vedere le sue collane multicolor o la maglia arancione sgargiante che indossava - ma non appena cominciammo a intrufolarci tra la folla, compresi appieno il significato delle sue parole. In pochi secondi, non vedevo più lei, né sapevo dove mi trovassi. Non che questo mi turbasse eccessivamente - prima o poi quella massa rumorosa mi avrebbe risputato fuori in un modo o nell'altro, o almeno lo speravo - e tutto quel calore non era fastidioso come avrei pensato.
Ma c'era qualcosa che stuzzicava i miei sensi, e all'improvviso cominciai a sentire sempre meno il vociare e le urla, come se una bolla d'aria mi si stesse creando attorno.
Una benedizione per la mia testa dolorante, se non fosse stato per le mie pupille che sapevo essersi improvvisamente dilatate, e il mio cuore che rombava nelle mie orecchie come mare in tempesta.
Ero circondata da corpi caldi, cuori che battevano più lentamente del mio, più pastosi, più succulenti, e questa certezza all'improvviso prese il sopravvento su ogni altro pensiero. Cancellò in un secondo il mio controllo, la mia razionalità, annientando ogni parvenza di normalità. Mi passai la lingua sulle labbra in un riflesso incondizionato, e sentii le mani arcuarsi, le unghie artigliare l'aria. Il mio respiro era affannoso, mentre sentivo acuirsi la sensazione che mi stava provocando tutte quelle reazioni naturali, involontarie: fame, o meglio, sete.
Non che non mi fosse mai successo, ma ero sempre riuscita a fermarmi in tempo, o quantomeno a rendermi conto di ciò che stava succedendo. Ma in quel preciso istante ero completamente indifesa di fronte al mostro che mi ruggiva in testa, inerme mentre mi acquattavo, pronta a colpire, a uccidere.
In quel preciso istante il ragazzo di fronte a me, di cui non avrei saputo riconoscere volto o corporatura, annullata com'ero dal bisogno che sentivo ardere dentro di me, fece un passo indietro, probabilmente spintonato da qualcuno più avanti, e la sua schiena entrò in diretto contatto con le mie mani, tese automaticamente in avanti. Il calore che mi trasmise fu così potente che annullò ogni mia resistenza, mentre i miei occhi da predatrice avvistavano quel particolare punto del collo scoperto da cui riuscivo a vedere la vena pulsante, appena sottopelle. Un balzo minuscolo e avrei calmato quella sete assurda e accecante. Un solo minuscolo balzo, e non avrei più sentito la gola dolere come se avessi appena inghiottato un centinaio di chiodi.
Sapevo esattamente cosa sarebbe successo, ci sarebbero state le urla non appena avessero capito cosa stava succedendo, seguito da un fuggi-fuggi generale, e eliminare poi tutte quelle persone non sarebbe stato per nulla facile, se non addirittura impossibile. Ma neanche quella consapevolezza riusciva a fermarmi: il mio cervello cercava disperatamente di richiamare tutti i miei sensi all'ordine, ma ero cieca, sorda e immune a tutto ciò che non rispondesse alle necessità che mi muovevano in quel momento.
Mi rannicchiai, pronta a sferrare il mio attacco, passandomi la lingua sui denti, pregustando il momento in cui ...
E un istante esatto prima del disastro, una mano strattonò il mio braccio, prima che potessi anche solo rendermene conto, e mi trascinò fuori da quella calca.
Ansante mi voltai verso chi mi aveva distolto dal mio obiettivo e incrociai gli occhi enormi di Ella, che mi fissavano preoccupati, senza per questo riuscire a contenere il loro calore contagioso. "Tutto bene? Sei pallida." Mi disse, senza smettere di osservarmi.
Abbassai immediatamente la testa, lasciando che i capelli mi coprissero il volto mentre tentavo di ricompormi. Che diamine mi era successo? Il bisogno non era mai stato così forte, nemmeno quando ero piccola e mi ero trovata ad affrontare tutte le conseguenze del mio segreto. Non aveva mai annientato il mio raziocinio a quel modo, come pochi istanti prima. Mai.
Forse davvero dovevo tornare a rinchiudermi in casa. Era stata una pessima idea mischiarmi ancora con gli umani, avrei dovuto saperlo.
Avevo appena rischiato di uccidere un'intera scuola, e sapevo fin troppo bene che non me lo sarei mai perdonata. Eppure dov'era questa consapevolezza fino a qualche istante prima? Dov'era finita?
"Ehi", la voce penetrò nella mia mente confusa e stranamente ebbe un effetto calmante sui miei nervi ipertesi, mentre la mano di Ella sfiorava la mia.
La guardai, sorpresa. Era davvero umana, quella ragazza? Aveva l'assurda capacità di domare le mie sensazioni, era chiaro, e la conoscevo da appena cinque minuti. Ricambiò la mia occhiata, curiosa, mentre mi rendevo conto che fosse stato chiunque altro anche solo a sfiorarmi prima dell'attacco l'avrei dilaniato, mentre lei, che mi aveva letteralmente spostata di peso, non solo era ancora viva, ma mi stava pure parlando e sfiorando inavvertitamente con il fianco. Era assurdo.
"Non devi preoccuparti, all'inizio è sempre difficile." Sorrise, rassicurante. "Vedrai che andrà meglio." Annuii piano, consapevolmente pallida, senza riuscire a smettere di guardarla, e chiedendomi se stesse davvero parlando solo del caos e del fatto che fossi rimasta imbottigliata. Ero poi sicura che non avesse visto nulla?
Mi sospinse gentilmente verso il bancone del cibo. "Credo sia meglio che mangi qualcosa. Sembra che tu stia per uccidere qualcuno." Rise lei.
Non sai nemmeno quanto, pensai, trattenendomi a stento dal dirlo ad alta voce, e limitandomi a fissarla a bocca spalancata. Colpita e affondata, a dire poco.
"Che è quella faccia?" Si strinse nelle spalle lei, mentre fissava i cibi incolori nella vetrina, e mi passava un vassoio. All'improvviso alzò gli occhi, incastrando il suo sguardo nel mio. "So che non lo faresti." Poi rise. Solo che il suo sguardo era serio, e all'improvviso sembrò che la sua convinzione passasse anche a me. Come se all'improvviso mi restituisse la certezza che avevo anch'io, fino a quando non avevo quasi compiuto una strage nella scuola in cui stavo da una manciata di ore. E di sicuro l'episodio non mi aveva esattamente riempita di speranza per il futuro.
Mi morsi le labbra, mentre fingevo di essere attratta dal primo vassoio esposto, che assomigliava terribilmente ad una pila di calzini sporchi, ma che avrebbe dovuto essere pasta. Era difficile immaginarselo come qualcosa di commestibile.
Repressi a malapena un verso schifato, mentre Ella al mio fianco ridacchiava e, di nuovo, mi sfiorava involontariamente il fianco con il suo, infondendomi un'altra ondata di calma. Tanto che, quando la cuoca mi fissò con aperto odio - enorme com'era metteva in soggezione anche me - mi uscì dalle labbra una specie di squittio. Avevo appena ridacchiato. Io. Che ridacchiavo, probabilmente per la prima volta in tutta la mia vita. Mi trattenni a stento dal tapparmi la bocca con le mani. Ma che mi stava succedendo?
Guardai di sottecchi Ella, che però non aveva notato niente. O almeno, non sembrava. Avevo già capito che con lei non si poteva mai sapere.
"Io non ho fame", proferii dopo un'accurata, e disgustata, analisi del cibo. Tra l'altro dopo l'esperienza di poco prima mi era salita la nausea, e dubitavo che quei cibi avrebbero aiutato.
Lei invece prese una mela - chissà come anche quella aveva uno strano alone grigio attorno, come se fosse stata contagiata dal restante cibo - e mi passò una lattina. "Almeno bevi", i suoi occhi fermi mi costrinsero ad accettare. In un lampo mi ricordò mia madre, prima che tutto mi fosse portato via. Aveva la stessa luce quando si imponeva sui miei capricci.
Scossi la testa, ricacciando indietro il dolore.
Nulla toglieva che mi ero appena fatta intimidire da un'umana con una collana a palline colorate. Fantastico.
Dopodiché Ella cominciò a guardarsi intorno, e capii che cercava qualcuno quando sorrise rivolta ad un tavolo in cui erano seduti una manciata di ragazzi, un po' isolati dalla massa.
Lei mi guardò un attimo, passandosi il peso da un piede all'altro.
Cercai di capire la sua espressione, accorgendomi dell'improvviso imbarazzo tra di noi.
Era ovvio che volesse liberarsi di me. Mica potevo pretendere che diventassimo all'improvviso migliori amiche per sempre, e realizzai con amarezza che probabilmente era così solare con chiunque. Nulla di speciale.
Inghiottii la delusione e feci un passo indietro, stringendo la lattina gelida tra le mani, e cercando di dissimulare le mie emozioni. Perché diamine ci stavo male? L'avevo appena conosciuta, ed era un'umana, mentre io no ... o meglio non del tutto.
Ero qualcuno con un enorme bisogno di sentirsi accettato, come non mi era mai capitato. "Vai pure dai tuoi amici", le strizzai l'occhio, riprendendo la mia freddezza solita. Probabilmente la mia temperatura scese di qualche grado.
Lei rimase interdetta a fissarmi. "Cosa?" E prima che potessi andarmene, liberò una mano dal vassoio, e mi afferrò per la manica. "Non ci siamo proprio capite." Il suo tono era molto più autoritario di prima, e la sua presa salda, soprattutto in proporzione a quanto era minuta. "Tu mangi con me. E i miei amici."
"Ma ..."
Nemmeno si voltò, mentre mi trascinava dietro di sé.
"Non voglio sentire storie." Ora sì che era uguale a mia madre.



Finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare *musica del Gladiatore in sottofondo* *anche l'Alleluja ci sta bene* lol
Prima di tutto grazie a chi mi ha letto, a chi ha lasciato recensioni (vi lancio tante scatole di biscotti virtuali) , a quelle persone stupende che mi hanno incoraggiato per messaggio privato (vi amo tanto tanto). Nathalie mi sta facendo dannare perché è nevrotica quasi quanto me e nel prossimo capitolo - SPOILER - arriveranno alcuni personaggi a cui tengo particolarmente ma che qui per motivi di lunghezza non ci stavano più.
Per ora il rating è arancione senza un motivo specifico, ma penso che tra un po' ce ne sarà qualcuno u.u
Ah, se avete idee sul potere di Nathalie, ogni parere è ben accetto! Sono curiosa di sapere che cosa siete riusciti a dedurre finora!
Vi abbraccio tutti forte, come al solito vi supplico di commentare, in qualsiasi modo, per me soprattutto- per capire se è una cagata o se davvero suona come suona nella mia testa (sembro schizofrenica, ma ok)
S.





  
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