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Autore: MegTachema    13/03/2014    0 recensioni
Elektra e la Profezia è il primo libro di una Trilogia FanFiction basata sulla celeberrima e amatissima Saga di Harry Potter.
La Trilogia di Elektra è un sequel non ufficiale, ed è stato scritto perché, purtroppo, al cuore e alle mani non si comanda: Elektra è figlia del profondo amore e della sconfinata ammirazione per il lavoro di J.K. Rowling. Senza la sua grande penna, quest’opera non sarebbe mai stata nemmeno concepita. È per questo che ogni riga di questo sofferto lavoro è dedicata a Lei, e SOLO A LEI.
 
I riferimenti diretti e indiretti al mondo creato dalla Rowling sono coperti dal suo copyright.
Gli altri contenuti di questo libro sono stati creati dall’autrice.
 
Non è permessa alcuna riproduzione né diffusione a scopo di lucro.
Vietati plagi e scopiazzature; testo protetto da marca temporale.
Le uniche riproduzioni e diffusioni consentite sono quelle in modalità assolutamente gratuita con obbligo di citazione.
 
Meg Tachema è un acronimo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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~~CAPITOLO 5    
CRISI D’IDENTITÀ
 
 
 

«Un’altra matta!» esplose Elektra, ancora nervosa per la precedente schermaglia.
Senza darvi alcun peso, Hermione le ghermì un braccio. «Andiamo subito via di qui. Arrivederci, Dorine, andiamo a fare dello shopping!»
Senza tanti complimenti, trascinò letteralmente Elektra fuori dalla porta sul retro del pub, lontana da quell’uomo e dai guai. Appena furono in un cortile interno circondato da alte mura di mattoni rossi ammuffiti, Elektra si liberò il braccio con un forte strattone e, lasciata andare bruscamente la maniglia della sua valigia, abbaiò: «Io non mi muovo da qui se non mi spiega chi diavolo è lei, dov’è finito Hagrid e che cavolo ci faccio io in mezzo a questi cerebrolesi coi cappelli a punta!»
«Lo stesso caratteraccio» mormorò quella, fissandola accigliata.
«La smetta di guardarmi così, mi rende nervosa... e poi lo stesso caratteraccio di chi?» La donna roteò gli occhi al cielo. «Allora, parla o restiamo qui a fissarci e vediamo chi ride per prima?»
Hermione allargò un sorriso luminoso che scaldò il cuore arrabbiato di Elektra, la quale mantenne comunque lo sguardo da dura. Poi intavolò le spiegazioni: «Lavoro al Dipartimento della Regolazione della Legge Magica e, attualmente, sono un’insegnante del corso ministeriale per Auror.»
«Quel corso al quale sono stata ammessa senza iscrivermi e nemmeno presentarmi agli esami di ammissione?»
«Oh, solo perché non sappiamo d’aver fatto delle cose non significa che non le abbiamo fatte.»
«Eh?»
«Ti sarà più chiaro tra qualche ora e, naturalmente, se deciderai di seguirmi.»
Dopo averla fissata con delle occhiate diffidenti, lei chiese: «Seguirla dove?»
«A fare le tue commissioni: sono venuta al posto di Hagrid perché è più probabile che tu abbia bisogno di un consiglio dal tocco femminile.» Le strizzò l’occhio.
«Come ha detto che si chiama?» domandò Elektra ancora confusa.
«Hermione Granger Weasley.»
«E cosa insegna al corso?»
«Una materia che poco ha a che fare con la legge magica. Ne saprai di più quando arriveremo a scuola.»
«Va bene, professoressa, adesso risponda all’ultima domanda: le stranezze che ho visto finora sono vere o sono su Scherzi Vip?»
«Ah, carino quel programma.»
«Conosce Scherzi Vip?» la incalzò esterrefatta Elektra, felice quasi come se qualcuno le avesse svelato che era tutto un gioco e che i maghi di prima erano degli attori formidabili.
«Sì, sai, i miei genitori sono babbani, quindi conosco bene il mondo dal quale provieni, ma questo non è uno scherzo.»
Ripiombando nello sconforto, farfugliò: «Quindi lei è... è... anche lei quindi è...»
«Una strega.»
Qualcosa di pesante come il piombo vorticava dentro lo stomaco di Elektra, e non erano i biscotti alla cannella di Dorine. La sensazione più spiacevole era non riuscire a trovare il modo per smascherare quella farsa, di non riuscire a trovare il sistema per non credere a una parola, ma come poteva? Hagrid la sera prima ed Hermione adesso erano veri, in carne e ossa, e il suo istinto le diceva che nessuno dei due mentisse. Così, con il cuore in gola, la guardò dritta negli occhi, lanciandole un tacito messaggio d’aiuto per alleviare quella confusione che si era trasformata in panico.
«Cosa volete da me?» chiese con un filo di voce.
«Ascolta, Elektra, non devi avere paura del cambiamento. So che non riesci ad accettare il fatto che, be’, l’avrai capito di essere speciale, no?»
«No! Perché io?»
«Sono sicura che il perché lo hai sempre intuito, anche se hai vissuto, per così dire, una vita normale. Tu e chi ti stava attorno lo avete sempre saputo che eri diversa. Loro ti chiamavano strana; tu sei sempre stata distaccata da quella realtà perché dentro di te sapevi che un giorno avresti radicalmente cambiato vita, tant’è che non hai mai preso sul serio nessun impiego, non hai nessuna relazione stabile, hai vissuto alla giornata e, da quel che mi ha riferito Hagrid, ti aspetta qualche guaio se torni indietro. Beh, adesso sei maggiorenne e credo che tu possa affrontare il tuo destino. Questo è il momento, Elektra, so che hai paura, ma ormai che siamo qui non ti va di scoprire chi sei veramente e qual è il tuo posto?»
«Io non ho paura,» disse trascinando le parole fuori a forza, «ma non riesco a credere di non poter essere io a controllare il mio destino. È vero, l’ho sempre saputo, forse sperato che non fosse quella la mia vita. Ho sempre provato dentro di me la spiacevole sensazione di chi è fuori posto, ma si metta nei miei panni: come creda che mi senta al pensiero di non sapere neanche cosa... chi sono?»
«Come credi che possa rispondere alla tua domanda se ancora non vuoi neanche accettare di scoprirlo?» esclamò con un tocco d’impazienza.
Lo sguardo severo della donna lanciava un rimprovero chiaro: doveva smetterla di tirarsi indietro e decidersi ad affrontare la verità.
«Suppongo che se accetto di seguirla, troverò una spiegazione ai miei sogni strani.»
«Naturalmente! L’unica cosa che ti chiedo è di non meravigliarti in modo eccessivamente vistoso dinanzi a quello che vedrai.» Si avvicinò, bisbigliando furtiva: «Sai, detesto attirare l’attenzione.»
Detto ciò, Hermione le voltò le spalle per dirigersi verso il muro di mattoni. Estrasse un bastone affusolato, lungo all’incirca venti centimetri e, impugnatolo saldamente alla sua estremità più tozza, picchiettò più volte alcuni mattoni di quella parete disegnando un arco.
«Stai indietro!» le ordinò, ma Elektra non poté non avvicinarsi a vedere quello che cominciò a succedere sotto i suoi occhi: il muro scricchiolò pericolosamente e alcuni mattoni si ritirarono, lasciando cadere della calce polverizzata dai loro punti di contatto. Poi vide chiaramente quei mattoni ruotare come degli ingranaggi, coinvolgendone altri tutt’intorno. In breve tempo molti mattoni si ritirarono, lasciando una breccia gigante sul muro a forma di arco, un passaggio spazioso che aprì il panorama più incredibile che avesse mai visto: una strada affollata di gente che andava e veniva su e giù frenetica, costeggiata dai negozi più assurdi che avesse mai visto.
«Benvenuta a Diagon Alley» annunciò la donna oltrepassando l’arco di pietra.
«Di-Diagon Alley?» ripeté seguendola con passo incerto.
«È qui che compreremo tutto l’occorrente per i tuoi studi. Sbrigati, siamo in un ritardo imbarazzante.» Le due s’incamminarono per la via brulicante di persone, indaffarate a fare i loro acquisti. «Hai con te la lista, no?»
«Ehm, sì, ce l’ho qui.» Gliela porse.
«No, tienila pure, ancora non serve. Dobbiamo prima andare a prendere la materia prima.»
«Che sarebbe?»
«Be’, con che credi si possa far compere, scambiando le figurine delle Cioccorane?»
«Quindi si riferisce ai soldi? Ma io non ho il becco di un quattrino!»
«Con te qui no, ma lì dentro sì.» Indicò un palazzo imponente con una scritta enorme sopra l’ingresso.
«Gringott? Ma che cos’è?»
«È la banca dei maghi, e i tuoi soldi sono lì, sbrigati!»
«I miei soldi? Un momento, quali soldi?»
«Quelli che ti sono stati destinati per conseguire il tuo diploma di Auror.»
«Destinati da chi?» Si fece sospettosa.
Hermione le sganciò un’occhiatina indecifrabile. «Alcune persone, che tengono molto a te, hanno istituito una specie di borsa di studio.»
«E lei non mi dirà chi sono, non è così?» domandò disillusa in partenza.
«Ci sarà tempo anche per quello, Elektra, adesso dobbiamo pensare solo a sbrigarci: quelle brave persone ci rimarrebbero molto male se, dopo tutti i sacrifici per mettere da parte quel gruzzolo, arrivassimo troppo tardi a scuola e tu fossi ricacciata indietro al primo giorno. Quindi gambe in spalla!»
Le due entrarono nella banca. Il pavimento in marmo luccicava come uno specchio.
«Stai attenta a non scivolare. Ah, e non stupirti alla vista dei cassieri: sono terribilmente permalo...»
«PORCO BUG! Ma che cos’è quello?»
Hermione le lanciò uno sguardo eloquente, poi chiese scusa al cassiere e cercò di attirare su di sé la sua attenzione porgendogli un biglietto. «Dovremmo prelevare,» dichiarò imbarazzata, «sa, gli studi costano» terminò con un largo sorriso.
Il cassiere le guardò in elaborante silenzio, poi squittì da sotto il lungo naso a punta: «Un momento, per favore.»
Quando si fu allontanato, Elektra si accostò furtivamente alla spalla di Hermione e, avendo imparato la lezione, le sussurrò: «Ma che creatura è?»
«Datti un contegno, Elektra, hai appena visto un folletto.»
«Folletti? Ma in Fantasy Game li fanno diversi, più piccoli, graziosi, coi cappellini rossi a cono.»
«Quelli sono gnomi. E adesso, ti prego, piantala di sorprenderti per ogni cosa e augurati che non se la sia presa... oh, eccolo che arriva, non fiatare!»
«Avete la chiave, gentili signore?» chiese la piccola e grottesca creatura.
«Certo! Elektra? Dài la chiave al signor cassiere.»
«Ehm... quale chiave?» le bisbigliò all’orecchio.
Hermione scattò uno sguardo interdetto verso di lei e, con un tono di esasperazione misto a preoccupazione, le rispose altrettanto a bassissima voce: «La chiave, Elektra, devi averla tu! È d’oro massiccio, scolpita con degli strani disegni.»
«Aaaah, la chiave della nonna, certo!» Affondò la mano nella scollatura, ma si arrestò improvvisamente e deglutì. «Scusi, ma che c’entra la nonna?»
«Te lo spiego dopo, adesso muoviti!»
«Nonna Amanda era una str...?»
«Era una maganò, una strega senza poteri.»
«E suo figlio Jack?»
«Lui non ne sa niente, per cui taci e sgancia quella benedetta chiave!»
«Oh, okay.» Dopo aver ravanato un po’ sotto la maglietta, tirò su il laccio di scarpe con la chiave attaccata, sotto gli occhi disperatamente imbarazzati dell’insegnante; poi, con un gesto plateale, la innalzò fino a sfilarsi l’originale collanina dalla testa. Attorcigliò la cordicella attorno al prezioso oggetto e la porse, disinvolta, al folletto.
Quello non sembrò scomporsi più di tanto. Solo un po’ urtato, domandò: «Allora, quanto desiderate ritirare?»
«Un sacchetto, grazie.» Il folletto si alzò e andò verso quella che sembrava l’entrata di un caveau.
Una volta sole, Elektra destò alcuni interrogativi: «Scusi, ma che unità di misura è un sacchetto? Quanti soldi sono?»
«All’incirca cento galeoni, la valuta che usiamo noi maghi, che corrisponde più o meno a mille sterline.»
«Wow! E quanti altri sacchetti ci sono di là?»
«Quelli necessari a finire i tuoi studi. Questi soldi intanto serviranno a fare le compere di oggi e te ne resterà un po’ per tutto l’anno accademico, sai, qualche spesuccia extra... Comunque, complimenti per la catenina, davvero elegante!»
«Sa, non sapendo con chi avessi a che fare, ho preferito nasconderla bene: me l’ha data la nonna prima di morire, dicendomi di custodirla gelosamente. Ho sempre pensato che fosse un oggetto in suo ricordo, non immaginavo che avesse questa importanza. Pensi che volevo venderla in un momento di magra.»
«Grazie al cielo non l’hai fatto, Amanda si sarebbe rivoltata nella tomba! Lei è stata tra i primi promotori di questa borsa di studio.»
«Cavolo! Lei non me l’ha mai detto... o forse non ha avuto il tempo di farlo. Lei la conosceva?»
«Non proprio. Fino a che età ti ha allevata?»
«Avevo undici anni quando è morta» concluse, con una certa tristezza.
Hermione la guardò con dolcezza. «Deve mancarti molto.»
«Sono passati molti anni, e Jack Power mi è stato accanto.»
La donna le posò le mani sulle spalle. «Ascolta, Elektra, vorrei che oggi non ci fosse posto per i pensieri tristi. Non ho obbligato Hagrid a lasciarmi venire per farti stare col muso.»
«L’ha obbligato lei?»
Lei ridacchiò colpevole. «Beh, non credo che fare shopping con lui sarebbe stato così divertente!»
Risero affabilmente, scambiandosi sguardi d’intesa. All’arrivo del folletto con il denaro, agguantarono la saccoccia e piombarono subito in strada. La professoressa Granger esortò: «Allora, tira fuori la lista con i libri, cominceremo dal Ghirigoro.»
Elektra diede una sbirciata alla lista:
- Interpretare il Pensiero, e Come Difendere la Mente (esercizi pratici), di Anthony Quince;
- L’Arte del Trasfigurarsi, di Clotilde Looklike;
- Manuale dell’Indagatore Magico, di Reginald Holms;
- Compendio degli Anatemi più Comuni e Relative Contro-Maledizioni, di Cornelius Touchwood;
- Terapie con le Erbe, di Bernadette Curie;
- Raccolta degli Incantesimi Superiori, Volume I.
«Accidenti, devo studiare tutta ‘sta roba?» chiese turbata, china sotto il peso dei voluminosi acquisti.
«Sono solo delle guide. Come dice il nostro Kingsley Shacklebolt, ciò che importa è la pratica, ma cerca di non farti bocciare!»
«Un altro professore del corso?»
«Già, uno dei migliori nel suo campo! Adesso andiamo a farti fare la divisa.»
«DIVISA?» strillò senza contegno.
Ignorando la sua reazione, Hermione si fiondò in un negozio di abbigliamento, promettente anche nel nome: Abiti Per Tutte Le Occasioni. Dopo un’estenuante messa in prova di circa un’ora, la sartoria sfornò un paio di impeccabili divise, costituite da due lunghe e decorose gonne a tubo color ago di pino, due camicette dal candore abbagliante, un tozzo cravattino nero dall’aria soffocante e un mantello invernale con il cappuccio imbottito di pelo di vellosa selvatica.
«Oh, tesoro, ti sta tutto un incanto!» esclamò soddisfatta la commessa accostandovi il tocco finale: un paio di lucidi stivaletti neri a punta, con il tacco a rocchetto.
Lei bofonchiò sconcertata: «Con che coraggio la chiamano divisa? Sembra un costume per Halloween.»
«Non fare quella faccia, Elektra, la divisa è obbligatoria.»
«Ma, professoressa, sembro uscita da Buckingham Palace all’epoca della regina Vittoria! Io mi aspettavo una tuta, al massimo una gonna plissettata, ma qui si esagera. Mi vergogno da morire a girare così, e poi le scarpe... non le posso guardare!» piagnucolò.
«Ci farai l’abitudine. Riconosco che la scelta della direttrice sia stata un po’ eccentrica, ma non osare contestarla, per l’amor del cielo!»
«Eccentrica? È totalmente fuori moda, orripilante, ridicola e terribilmente scomoda!»
Hermione sbuffò. Salutata la cordiale signorina, ritornarono in strada per poi fermarsi davanti al negozio di scope.
«Allora, che altro abbiamo, Elektra?»
«Qui dice, sotto la voce “attrezzature”, uno spioscopio, guanti di pelle di drago, kit di pronto soccorso, rotoli di pergamena di varie misure, piume d’oca, polvere magica, Spilla Scudo Scacciafattura a scelta e cappello a punta da sera... CAPPELLO A PUNTA?»
«Certo, ogni strega che si rispetti porta un cappello a punta nelle occasioni speciali.»
«Non s’aspetterà che...», le arrivò un’occhiataccia, «che i-io sia una strega che si rispetti?»
«Spiritosa! Nient’altro?»
«No, è tutto qui.»
«Ma tu non hai né scopa né animale né bacchetta, quindi dovremo procurartele. Vieni, c’è una bellissima Windcut turbo sedici che ti aspetta!»
Elektra continuava a girare freneticamente il collo in tutte le direzioni. La vista delle cose più assurde la investiva di un forte senso di eccitazione febbrile: a parte la faccenda del cappello a punta, ancora tutta da discutere, le parole incantesimi, pozioni, polveri magiche, bacchette, scope volanti le turbinavano come un tornado nella sua testa.
«Bene, non resta che Olivander. È proprio due porte più in là. Vai intanto tu, io ti raggiungo in un lampo!» La incoraggiò strizzandole un occhio e si avviò dalla parte opposta.
Elektra era troppo eccitata da tutte quelle novità per intimidirsi, così spinse la porta del negozio di bacchette facendo tintinnare un campanellino posto sopra l’ingresso. «C’è nessuno? Buongiorno!»
Un vecchio dall’aria estremamente vissuta le diede freddamente il benvenuto: «È venuta per riparare la sua bacchetta?» le chiese, guardandola seccato come se non ne avesse avuto cura.
«No, in verità sono qui per acquistarne una... è la prima volta, cioè è la mia prima bacchetta» rispose timidamente.
«La sua prima bacchetta?» sbottò sbigottito quell’uomo dall’aspetto incartapecorito, «Quanti anni ha?»
«Diciotto appena compiuti, perché?»
«Non le sembra tardi per scoprire il suo dono? Di solito vendo la prima bacchetta a undicenni» disquisì severo, con uno sguardo penetrante e diffidente.
Elektra corrucciò la fronte. Non voleva essere maleducata con quell’anziano signore, ma farla sentire una tardona non era poi così gentile e proprio ben educato da parte sua. Risentita, proferì: «Senta, non sta a lei decidere se sono troppo vecchia per comprare una bacchetta; ho i soldi per pagarla, quindi me ne dia una e non mi faccia perdere altro tempo. E poi non credo sia affar suo la faccenda del...», fece virgolette con le dita, « dono. Mai sentita la frase “meglio tardi che mai”?»
Il vecchio strinse gli occhi mostrandosi molto più accigliato di prima. Elektra pensò di avere esagerato ma sostenne comunque i suoi strali con lo sguardo altero, camuffando ogni possibile segno di rimorso. L’uomo la osservò a lungo; dopo qualche secondo di riflessione, decise di rompere il silenzio: «Io conosco quello sguardo, lei mi ricorda qualcuno» disse glaciale.
«Anche lei mi ricorda qualcuno...», lo zombie nel terzo livello di Mortal Hologram che ogni volta non vuole crepare!, meditò lei, terribilmente indispettita dal suo fare indagatore.
«Però il suo viso ha una fisionomia ignota e poco comune; antica, senza tempo» replicò l’uomo, soave.
«È un complimento?» domandò perplessa.
Uno scampanellio familiare interruppe la cordiale conversazione. Hermione fece irruzione quasi trafelata. «Allora, hai fatto? Buongiorno, signor Olivander.»
L’uomo bofonchiò qualcosa. Si arrampicò su per una scala per raggiungere un’alta scaffalatura dalla quale selezionò un paio di scatolette lunghe e strette; se ne mise una sotto il braccio e ridiscese.
«Ma che gli hai detto?» le sussurrò Hermione.
«Io? Lui! Mi ha detto che sono vecchia, tardona e dalla faccia non ben definita.»
«Che cosa?»
«Provi questa qui» s’intromise laconico il signor Olivander.
Sbuffando ancora per la stizza, Elektra prese in mano quel pezzo di legno lucido. Presto si sentì a disagio: ammesso che avesse in mano una vera bacchetta magica, non sapeva cosa farci né come farla funzionare.
Tenendo ben salda l’impugnatura, se la rigirò davanti agli occhi per osservarne, stupita, le figure di rampicanti stilizzati scolpite su di essa.
Olivander snocciolò: «Bel pezzo questo, dodici pollici, legno di una quercia le cui radici affondavano nelle terre perdute di Avalon. Un pezzo più unico che raro, forte, come il cuore del drago che gli dà la vita. Non sente nulla, signorina?» aggiunse quasi di piglio soddisfatto.
«Cosa dovrei sentire, scusi?» fece Elektra, roteando la bacchetta come se stesse tirando di scherma. Improvvisamente si fermò con gli occhi sbarrati a fissare la punta, dalla quale, senza il minimo preavviso, fuoriuscì una gittata di scintille bianche, rosse e azzurre. «Astrofisico!» lei esclamò stupita, «Questa è davvero una cosa da sballo, però sento un bruciore attorno alla testa.» Se la grattò, sbatacchiando la bacchetta nella speranza che ripetesse lo spettacolo.
«Sapevo di non sbagliarmi!» affermò Olivander, «Lei discende...»
«La prendiamo!» lo interruppe Hermione ansimante, e sgranò gli occhi accennandogli di tacere. Elektra era ancora stordita da una strana euforia per poter captare quell’ambiguo scambio di battute.
Capita l’antifona, l’uomo stirò qualche ruga accennando un sorriso compiaciuto e soggiunse: «Ottima scelta», ma non sembrò rivolgersi alle due acquirenti.
Quando uscirono dal negozio, Elektra dimostrò di averlo notato: «Me lo sono sognato o lui parlava alla bacchetta?»
«Il signor Olivander sostiene che sia la bacchetta a scegliere il mago e mai viceversa.»
«Ed è così?»
«Io penso proprio di sì» conciliò mentre raccoglieva da terra una grossa gabbia per uccelli coperta da un telo scuro.
«Cos’è?»
«È il tuo animale. È un gufo reale, un gran bell’esemplare.»
Elektra sollevò la copertura sobbalzando per il crepitante, garrulo verso improvviso del grosso volatile. «Che me ne faccio?»
«Noi usiamo questi animali per mandare e ricevere la posta. Ti tornerà molto utile, ma devi dargli un nome.»
«È un maschio o una femmina?»
«È un maschio.»
«Allora lo chiamerò Jack!»

  
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