Capitolo
2
“I
will love you till the end of time
I would wait a million years
Promise you’ll remember that you’re mine
Baby can you see through the tears?”
- What
goes around...
comes around
«Cosa
ci fai qui? Perché sei tornata?»
Klaus era fermo sulla soglia della cucina, le braccia lungo i fianchi e
le
labbra arricciate.
Credeva non l’avrebbe mai più rivista. Il loro
addio era stato definitivo.
Le aveva chiesto –anzi, le aveva proprio ordinato- di non
tornare mai più. E
perché lo aveva fatto?
In quel momento non voleva pensare ai motivi che lo avevano spinto a
prendere
la decisione di non volerla rivedere mai più.
«Hayley mi ha invitata a conoscere la bambina»
mentì lei, perché sarebbe stato
molto meglio dire una mezza bugia, piuttosto che la verità
per intero. Un po’ come faceva da tutta la vita.
Se Nik avesse saputo che era stato Elijah a chiederle di tornare per
conoscere
la sua nipotina, avrebbe dato di matto.
Avevano trascorso diversi decenni separati, quando lui
l’aveva allontanata con
la forza e un pugnale nel cuore, ma non erano mai stati lontani quando
lei era
sveglia e vigile, in grado di prendere decisioni per proprio conto.
Adesso che lei era davanti a lui, Klaus si sentiva privato di qualcosa
che, in
effetti, non gli era mai appartenuta.
Annuì, decidendo di non reagire in alcun modo a
quell’informazione. In fondo,
quella bambina era sua quanto di Hayley e lei poteva fare
ciò che voleva. Anche
invitare in casa la donna che lui non era ancora in grado di
affrontare.
E
forse non ne sarebbe mai stato capace.
Si fece sa parte in silenzio per farla passare quando lei gli si
avvicinò. La
sua espressione si fece contrita quando notò che lei si era
mossa con
circospezione, quasi temesse che lui potesse attaccarla
all’improvviso.
«Non ti farò niente, tranquilla.»
Differentemente da quanto avrebbe fatto qualche tempo prima, questa
volta
l’ibrido parlò senza sarcasmo e ironia.
Era serio, sincero, e quelle sue parole vennero ricompensate con un
cenno
d’assenso e un leggero sospiro.
«Non mi tratterrò a lungo, sono tornata solo per
conoscere tua figlia.»
Nonostante la tensione palpabile, nell’aria vi era anche
qualcos’altro che lei
non riuscì a decifrare.
Che Nik, sotto quella corazza quasi impossibile da penetrare, fosse
felice di
rivederla?
A quello, Rebekah non si sarebbe mai sognata di aspirare.
Accettò comunque il muto invito di proseguire e si sorprese
quando sentì dei
passi alle sue spalle.
La stava seguendo al piano superiore, in religioso silenzio. E
dov’erano Elijah
e Hayley quando c’era più bisogno di loro?
La vampira acuì i sensi, in cerca dei due, ma evidentemente
non erano in casa.
Quella sì che era una sfortuna!
Klaus non sapeva cosa dirle, non sapeva neppure se ci fosse qualcosa da
dire.
Si limitò a seguirla e si infilò le mani nelle
tasche dei jeans quando lei si
fermò davanti a quella che era stata la sua camera. Attese
che la sorellastra
aprisse la porta e sbirciasse all’interno, ma trattenne il
respiro quando un
sorriso mesto le si disegnò sulle labbra.
«Non è cambiato nulla»
mormorò lei, esterrefatta, mentre il fratellastro
abbassava lo sguardo sulle proprie scarpe. Si stava dondolando sui
talloni o
aveva le allucinazioni?
«Elijah non ha voluto togliere le tue cose»
l’ibrido scosse piano la testa,
come a voler negare qualcosa che però non aveva detto,
«ha sempre detto che un
giorno saresti tornata.»
«E aveva ragione… no? Sono qui.»
Cominciava a sciogliersi, come se davanti
avesse il Nik che aveva sempre amato e non il Klaus che
l’aveva mandata via
dopo aver minacciato di ucciderla. Erano rimasti un giorno e una notte
prigionieri in un cimitero, urlandosi contro e lanciandosi accuse.
E lei si era sfogata, gli aveva detto ciò che pensava di
lui. Le cose negative,
almeno.
Quelle positive, perché ce n’erano nonostante
tutto, le aveva tenute per sé.
Notando che lui non accennava a rispondere, Rebekah chiuse la porta
della
camera che ormai non era più sua e si voltò a
guardarlo.
«Fai strada, per favore.»
«Per di qua, le abbiamo creato una nursery degna di
lei» e lui si era limitato
solo a quello, a dirigere i lavori per creare dal nulla la cameretta
della
bambina della quale non riusciva a fare il padre. La precedette lungo
il
corridoio e aprì la porta della cameretta, entrando in una
nuvola di bianco e
rosa tenue.
Il paradiso per le bambine, l’inferno per gli uomini.
Quando Rebekah entrò nella cameretta tutta al femminile, il
suo sguardo venne
subito attirato dal piccolo corpicino che si intravedeva dalle sbarre
della
culla. Si avvicinò con passo incerto e si sporse oltre la
barriera di legno,
artigliandone i bordi con le mani.
Ed eccola lì, con le guance paffute e rosee, i riccioli
biondi e gli occhioni
di un’indecifrabile tonalità tra il blu e il
verde.
Era la copia dell’uomo che l’aveva raggiunta
davanti alla culla e che aveva
incrociato le braccia a petto. Voltò il capo per guardarne
il profilo marmoreo
e sorrise, intimidita da quella vicinanza cui non era più
molto abituata.
«Posso prenderla in braccio?» domandò
piena di aspettativa, impaziente di stringere
tra le braccia quella piccola vita che adesso le stava sorridendo,
mostrandole
una dentatura inesistente e le gengive arrossate.
«Sei qui per questo, no?» le indicò la
culla con un cenno del capo e arretrò,
puntando gli occhi sulla bambina che veniva sollevata e stretta tra le
braccia
dalla donna dalla quale aveva ereditato il nome. E la bambina, piccola
traditrice, sembrava gradire la vicinanza della la bionda
più adulta che le
aveva appena posato un lieve bacio sulla fronte.
A quella vista, Klaus venne attraversato da un tremito. Era un
avvenimento
singolare, quello di cui era testimone.
Rebekah teneva stretta tra le braccia una bambina che le somigliava
come se
quella fosse stata sua figlia.
Le sussurrava dolci parole e la cullava, attenta
a non dondolarla troppo.
«È davvero bellissima, Nik»
mormorò Rebekah, estasiata dalla bambina che adesso
aveva alzato un braccino e, con la manina paffuta, le aveva afferrato
una
ciocca di capelli. Era piccola, ma sapeva il fatto suo. E di questo,
Klaus era
molto orgoglioso.
Non gli interessavano i geni materni, ma aveva a cuore il fatto che
quella
bambina somigliasse a lui, che avesse il suo stesso sangue.
E che, con lei, si sarebbe comportato in modo totalmente diverso da
come aveva
fatto Mikael con lui.
«Ed è anche molto buona, è raro che
pianga. L’ho sentita davvero arrabbiata
solo poche volte.»
La bambina sembrava un campo neutro, un argomento che potevano
affrontare
entrambi senz’alzare polveroni di alcun genere.
Avrebbero potuto restare a
parlare di lei per ore, come due persone civili, senza rivangare quel
passato
–lontano e recente- che li aveva portati alla rottura
definitiva. Sistemando il
piccolo fagotto nell’incavo del braccio, Rebekah le
sfiorò la guancia con
la mano libera e tornò a rivolgersi al fratellastro che
adesso si era
avvicinando, senza però causare alcuna reazione timorosa in
lei.
«Non ti infastidisce che abbia il mio stesso nome?»
«Perché dovrebbe?» anche se quella
domanda lo aveva spiazzato, non lo diede a
vedere, abituato com’era a nascondersi dietro una finta
indifferenza.
«Hai permesso che tua figlia portasse il nome della sorella
traditrice.»
Non ci sarebbe cascato, non le avrebbe dato modo di creare una nuova
discussione.
Non davanti a sua figlia, l’unica persona che doveva restare
ben
lontana dall’astio e dalle urla.
«Vi lascio un po’ da sole, così potrete
conoscervi meglio» prese la strada
dell’uscita, ma si voltò a guardare la
sorellastra, con la mano già sulla
maniglia, «Mi raccomando, non rapirla. Non sono sicuro che
acconsentirei a
pagare un riscatto» accennando un sorriso, Klaus
uscì e si chiuse la porta alle
spalle, lasciando una Rebekah frastornata da quell’ultima
frase.
Sembrava quasi il vecchio Nik e questo la rendeva irrequieta.
Un conto era andare via, lontana da un fratello padrone che ti odia e
non vuole
più vederti.
Un altro è andare via da un fratello che ti fa una battuta
ed esce dalla stanza
facendoti l’occhiolino.
«Mi
spieghi per quale motivo mi hai fatto lasciare la mia
bambina nelle mani di uno psicopatico in depressione?»
Hayley era fuori di sé dalla rabbia. Camminava spedita per
il quartiere
francese, francese, con Elijah alle costole.
Lui le prese alla mano e la trascinò in una stradina
laterale, quella che li
avrebbe portati entrambi al cimitero cittadino dove avrebbero potuto
parlare
senza che umani ficcanaso li sentissero.
«Non è da solo, c’è Rebekah
con lui» le rispose, spalancando il cancello con la
sua solita grazia.
Era incredibile come un essere tanto forte, potesse essere anche tanto
aggraziato.
Sebbene lo conoscesse già da un po’, Hayley non si
era ancora abituata a tutto
questo.
Ma in quel momento, la sua mente e il suo cuore erano rimasti in casa,
in una
culla di legno intarsiato e verniciato di bianco.
«È tornata?»
«Ti ho chiesto di uscire proprio quando l’ho
sentita arrivare» Elijah incrociò
le dita a quelle della ragazza e le rivolse un sorriso pacato e
gentile. Voleva
tranquillizzarla e placare anche se stesso. Sperava con tutto se stesso
che
quel piano funzionasse. Li aveva tratti in inganno entrambi, ma non gli
importava. Desiderava solo che quei due si chiarissero, una buona
volta. E che
le verità dalle quali erano sempre fuggiti, finalmente
venissero a galla.
«Questo non mi tranquillizza affatto» rispose la
licantropa, sospirando al
tocco gentile della mano del compagno, «E capisco che tu sia
un vampiro, ma
passeggiare in un cimitero è abbastanza
inquietante… proprio mentre mia figlia
è nelle mani di tuo fratello.»
«È suo padre!» esclamò il
vampiro, perdendo per un momento il suo aplomb che recuperò
grazie a un profondo respiro.
Amava Hayley, ma nutriva anche fiducia in suo fratello. Ed era sicuro
di ciò
che diceva.
«Stanno litigando, me lo sento»
Hayley aveva paura. Da quando era diventata mamma,
l’apprensione era diventata
parte di lei. A stento lasciava la piccola Rebekah con Elijah, ma
giusto il
tempo di fare una doccia veloce o nelle notti di luna piena. Vivere
sotto lo
stesso tetto di Klaus non era mai stato facile, ma negli ultimi tempi
–da
quando l’unica donna Mikaelson aveva detto addio alla
città- le cose erano apparse
più calme.
Ora però Rebekah era tornata.
«Anche io.»
Gli occhi della ragazza si inumidirono, ma non per le lacrime. Quella
era
paura, profonda e incontenibile.
«E li lasci da soli con la mia bambina?»
Vedendo quanto fosse indifesa e impaurita, Elijah le lasciò
la mano e la
strinse a sé in un abbraccio. Le accarezzò la
schiena e la baciò in fronte,
prima di trovarle le labbra. Quando la baciava, i suoi tumulti
interiori si
placavano e lui ritrovava la pace.
Era stata una fortuna che Niklaus si fosse disinteressato praticamente
a tutto,
perché così era stato in grado di estorcergli la
benedizione della quale
sentiva l’insostenibile necessità. Aveva
approfittato della momentanea
debolezza del fratello per rincorrere la propria felicità,
ma non provava alcun
pentimento. E adesso avrebbe fatto in modo che anche Niklaus trovasse
la stessa
felicità che Elijah stesso provava.
«Sii fiduciosa,» le sussurrò sulle
labbra, sfiorandole i capelli mentre la
ragazza teneva gli occhi chiusi, «nessuna Rebekah
è in pericolo.»
Klaus invece lo
era. Si sentiva braccato, in pericolo.
Intrappolato tra quelle quattro mura e in un corpo che temeva potesse
tradirlo.
Scese velocemente le scale e si rintanò nella sala che ormai
era diventata il
suo studio.
Vi trascorreva ore, immerso nei colori e nelle tele.
Nessuno osava disturbarlo quando era concentrato nella pittura, a parte
forse
Elijah che però sembrava scomparso insieme alla giovane
lupa. Gettò fuori un violento respiro e afferrò
un pennello, stringendolo forte.
Se avesse continuato in quel modo, il legno gli si sarebbe sbriciolato
in mano.
Le spalle gli cedettero nel sentire dei passi alle sue spalle, ma non
si voltò.
Tenne lo sguardo fisso sulla tela immacolata, che presto venne
macchiata da una
scia color sabbia.
«Alla fine hai ottenuto ciò che volevi, Marcel
è morto»
Forse non avrebbe dovuto parlarne, ma Rebekah aveva bisogno di
incolpare
qualcuno per la morte del vampiro.
E chi meglio di Niklaus? Quando Elijah le aveva dato la notizia,
però, non fu
dolore ciò che aveva provato.
Rabbia, delusione, forse anche un pizzico di sottile piacere. Ma
quell’ultimo
non lo avrebbe mai ammesso.
Ogni uomo al quale lei si fosse interessata, aveva finito per tradirla,
deluderla o lasciarla. Altri erano stati uccisi.
E Marcel non era stato diverso. Per anni lei aveva creduto che lui
fosse morto,
quando invece lui era riuscito a salvarsi e a prendersi
ciò che la sua
famiglia aveva costruito. Questa verità doveva almeno
concederla al suo
fratellastro, perché Klaus aveva detto il giusto.
Quando lei, mesi prima, era andata via, non gli aveva neppure proposto
di
andare via insieme, perché sapeva che lui non
l’avrebbe seguita. In un primo
momento, quella consapevolezza l’aveva ferita.Ma se Marcel
non l’amava
abbastanza da lasciare tutto e andare via insieme a lei, allora non
meritava il
suo amore e neppure una delle tante lacrime che aveva versato alla
notizia
della sua morte.
«Ti avevo promesso che non lo avrei ucciso, ma che non avrei
fatto in modo che
venisse eliminato..»
Klaus si voltò, con l’immancabile sorrisetto che
riusciva sempre a farle
prudere le mani, «beh sorellina, quello non era nei
patti.»
«Perché l’hai fatto uccidere?»
«Vuoi che ti elenchi i motivi?» L’ibrido
proruppe in una roca risata di
scherno, indicando alla bionda il divano dietro di lei,
«Allora prego,
accomodati, ne avremo per un paio d’ore.»
Rebekah non si fece intimorire dal fratellastro. Non si mosse, ma la
sua
espressione mutò.
La fronte le si aggrottò e le sue labbra si strinsero in un
linea sottile. Non
gliel’avrebbe data vinta questa volta, anche a costo di
azzuffarsi con lui.
«Per te era come un figlio.»
«E Mikael era tuo padre, eppure hai provato comunque a
ucciderlo. Cosa sarebbe accaduto se Elijah non ti avesse
fermata?»
Rebekah, colpita da quelle parole, scosse piano il capo e
abbassò lo sguardo,
mentre una lacrima rischiò di scivolarle sulla guancia.
«E tutto pur di proteggerti, sono stata proprio
stupida.»
Era incredibile come lui riuscisse sempre a minare la sua
stabilità, le sue
sicurezze. E come riuscisse a ridurla sempre in lacrime.
Era la sua nemesi, ed entrambi rappresentavano le due facce della
stessa
medaglia.
«Ma non mi hai ancora detto perché lo hai fatto
uccidere.»
Klaus sentì il cuore tornare a indurirsi.
Non era stata stupida a cercare di proteggerlo, aveva fatto
ciò che solo lei
aveva fatto in quel migliaio di anni.
Lei ed Elijah, ovviamente. Ma, chissà per quale motivo, ogni
volta che lei gli
era vicino, tutto si offuscava.
E accadeva solo con Rebekah, perché l’ibrido
sapeva quanto fosse sbagliato che
la sorellina proteggesse il fratello maggiore.
Doveva essere lui a proteggere lei e, provando e riprovando, aveva
commesso un
errore dietro l’altro.
«Chi mi dichiara guerra, muore.»
«O viene chiuso in una bara per decenni.»
Rebekah si voltò e afferrò un bicchiere di
pesante e spesso cristallo.
Lo
soppesò sulla mano, indecisa se lanciarlo su quel
fratellastro duro e
opprimente, o se versarvi dentro dell’ottimo whisky. Decise
di servirsi da bere
e, quando il liquido ambrato le bruciò la gola, si
sentì meglio.
Almeno fino a quando Klaus non continuò a parlare.
«Giusta osservazione, dolcezza.» L’ibrido
raggiunse la vampira e si sporse
oltre la sua spalla per imitare i gesti che poco prima lei aveva
compiuto.
Mentre sorseggiava il suo drink, Klaus la fissò,
domandandosi per quale motivo
fossero insieme in quella stanza, da soli, quando lei invece avrebbe
potuto
essere dall’altra parte del mondo.
Ma non importava, perché Rebekah era lì con lui,
almeno per quel giorno.
Avrebbe però preferito parlare di altro e non di quel
traditore ormai ridotto
in cenere.
«Proteggere mia figlia eliminando l’adottivo figlio
ingrato, o lasciare che
consumasse la sua vendetta su di lei? In fondo, questo è
quello che Mikael ha
cercato di fare con noi per secoli e tu ed Elijah sembra vi divertiate
a
ricordarmi quanto io gli somigli.»
«Sai bene che Marcel non avrebbe mai fatto del male a una
bambina, lo dipingi
come un mostro!»
Irritato da quella conversazione, Klaus le lanciò uno
sguardo gelido e
infuocato al tempo stesso.
Una contraddizione, come quella che lui stesso rappresentava. Non
voleva continuare a parlare d quanto Marcel fosse buono e magnanimo, di
come non avesse mai sfiorato un bambino e di come, a differenza sua,
fosse
capace di amare.
Aveva accolto Marcel in casa sua quando era ancora un bambino
e lo aveva cresciuto secondo i suoi valori.
Gli aveva insegnato ogni cosa, ma aveva fatto l’errore di
tramandargli anche
l’amore per Rebekah.
E quell’errore gli era quasi costato tutto.
«Se sei tornata per dirmi quanto il tuo defunto Romeo fosse
migliore di me,
quella è la porta.»
«Ancora con questa tua assurda gelosia, Niklaus?»
La breve risata senz’allegria e quel nome pronunciato per
intero fecero
irrigidire l’ibrido che si allontanò, per tornare
davanti alla sua tela. Al sicuro, in un certo senso.
Lo stava prendendo in giro? Stava ridendo
di lui?
«Non esiste nessuna gelosia, Rebekah.»
Parlò a denti stretti, vuotando in un
solo sorso tutto il contenuto del bicchiere che poi posò sul
pianoforte a coda
con un secco gesto.
«Mi hai fatto confessare una falsità, facendo leva
sull’affetto che provo per
Elijah. Mi hai costretto a mentire, ma adesso sei tu a dovere a me una
confessione. E anche se conosco già la verità,
voglio avere la soddisfazione di
sentirla uscire dalla tua bocca.»
Sorridendo, la vampira gli si era avvicinata dondolando il capo, con lo
sguardo
assottigliato e la voce che si faceva via via sempre più
bassa fino a diventare
solo un lieve sussurro.
Era intenzionata a non lasciar perdere e a ottenere ciò
che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere.
Quei mesi trascorsi in assoluta libertà, l’avevano
temprata molto più del
millennio trascorso sotto la protezione ossessiva dell’uomo
che adesso gli
stava di fronte, molto più vicino di quanto lei si sarebbe
potuta aspettare.
«Io non ti devo niente.» Contrariato
dall’atteggiamento di Rebekah e attirato
dalla sua vicinanza, Klaus si inumidì le labbra e
sbuffò, passando il peso da
un piede all’altro. Per una volta, forse, avrebbe potuto
dargliela vinta e fare
ciò che lei gli diceva. Darle ciò che gli
chiedeva, assecondarla. «Cosa vuoi che confessi?»
«Che sei geloso, che lo sei da sempre» sulle labbra
della vampira si intensificò il sorrisetto di
aperta sfida, mentre gli si si faceva ancora più vicina,
tanto da sentire il
suo alito fresco sul viso. I loro occhi si incatenarono e Rebekah, in
quel
momento, si sentì invincibile.
Non gli aveva lasciato scampo. «Per una volta nei tuoi mille
anni, Niklaus
Mikaelson, sii uomo e ammettilo.»
Se siete arrivati a leggere fin qui sotto, ci sono buone speranze che
leggerete
anche il terzo e ultimo capitolo.
Quindi a domani, vi aspetto!
E grazie per tutti i like che avete dato al primo capitolo di questa
breve fanfiction! :)