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Autore: klabeks_ks    16/03/2014    1 recensioni
Sono trascorsi sei mesi dal giorno in cui Klaus ha deciso di lasciare libera sua sorella, simulando un distacco che non ha mai posseduto nei suoi riguardi. New Orleans è diventata sua, l’ibrido ha finalmente ottenuto tutto quel che avesse mai desiderato, eppure si sente insoddisfatto, perché la parte più importante di sé è scomparsa con l’unica donna che sia mai riuscita a spezzargli il cuore. Nemmeno sua figlia è in grado di attirare la sua attenzione; l’arte è l’unico mezzo attraverso il quale Klaus esterna l’incompletezza della sua anima. Almeno fino a quando Elijah, stanco della situazione, decide di ricongiungere definitivamente la famiglia, mettendosi in contatto con Rebekah…
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Elijah, Hayley, Klaus, Rebekah, Mikaelson
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Capitolo 2

“I will love you till the end of time
I would wait a million years
Promise you’ll remember that you’re mine
Baby can you see through the tears?”
- What goes around... comes around

«Cosa ci fai qui? Perché sei tornata?»
Klaus era fermo sulla soglia della cucina, le braccia lungo i fianchi e le labbra arricciate.
Credeva non l’avrebbe mai più rivista. Il loro addio era stato definitivo.
Le aveva chiesto –anzi, le aveva proprio ordinato- di non tornare mai più. E perché lo aveva fatto?
In quel momento non voleva pensare ai motivi che lo avevano spinto a prendere la decisione di non volerla rivedere mai più.
«Hayley mi ha invitata a conoscere la bambina» mentì lei, perché sarebbe stato molto meglio dire una mezza bugia, piuttosto che la verità per intero. Un po’ come faceva da tutta la vita.
Se Nik avesse saputo che era stato Elijah a chiederle di tornare per conoscere la sua nipotina, avrebbe dato di matto.
Avevano trascorso diversi decenni separati, quando lui l’aveva allontanata con la forza e un pugnale nel cuore, ma non erano mai stati lontani quando lei era sveglia e vigile, in grado di prendere decisioni per proprio conto.
Adesso che lei era davanti a lui, Klaus si sentiva privato di qualcosa che, in effetti, non gli era mai appartenuta.
Annuì, decidendo di non reagire in alcun modo a quell’informazione. In fondo, quella bambina era sua quanto di Hayley e lei poteva fare ciò che voleva. Anche invitare in casa la donna che lui non era ancora in grado di affrontare.
E forse non ne sarebbe mai stato capace.
Si fece sa parte in silenzio per farla passare quando lei gli si avvicinò. La sua espressione si fece contrita quando notò che lei si era mossa con circospezione, quasi temesse che lui potesse attaccarla all’improvviso.
«Non ti farò niente, tranquilla.»
Differentemente da quanto avrebbe fatto qualche tempo prima, questa volta l’ibrido parlò senza sarcasmo e ironia.
Era serio, sincero, e quelle sue parole vennero ricompensate con un cenno d’assenso e un leggero sospiro.
«Non mi tratterrò a lungo, sono tornata solo per conoscere tua figlia.»
Nonostante la tensione palpabile, nell’aria vi era anche qualcos’altro che lei non riuscì a decifrare.
Che Nik, sotto quella corazza quasi impossibile da penetrare, fosse felice di rivederla?
A quello, Rebekah non si sarebbe mai sognata di aspirare.
Accettò comunque il muto invito di proseguire e si sorprese quando sentì dei passi alle sue spalle.
La stava seguendo al piano superiore, in religioso silenzio. E dov’erano Elijah e Hayley quando c’era più bisogno di loro?
La vampira acuì i sensi, in cerca dei due, ma evidentemente non erano in casa.
Quella sì che era una sfortuna!
Klaus non sapeva cosa dirle, non sapeva neppure se ci fosse qualcosa da dire.
Si limitò a seguirla e si infilò le mani nelle tasche dei jeans quando lei si fermò davanti a quella che era stata la sua camera. Attese che la sorellastra aprisse la porta e sbirciasse all’interno, ma trattenne il respiro quando un sorriso mesto le si disegnò sulle labbra.
«Non è cambiato nulla» mormorò lei, esterrefatta, mentre il fratellastro abbassava lo sguardo sulle proprie scarpe. Si stava dondolando sui talloni o aveva le allucinazioni?
«Elijah non ha voluto togliere le tue cose» l’ibrido scosse piano la testa, come a voler negare qualcosa che però non aveva detto, «ha sempre detto che un giorno saresti tornata.»
«E aveva ragione… no? Sono qui.» Cominciava a sciogliersi, come se davanti avesse il Nik che aveva sempre amato e non il Klaus che l’aveva mandata via dopo aver minacciato di ucciderla. Erano rimasti un giorno e una notte prigionieri in un cimitero, urlandosi contro e lanciandosi accuse.
E lei si era sfogata, gli aveva detto ciò che pensava di lui. Le cose negative, almeno.
Quelle positive, perché ce n’erano nonostante tutto, le aveva tenute per sé.
Notando che lui non accennava a rispondere, Rebekah chiuse la porta della camera che ormai non era più sua e si voltò a guardarlo.
«Fai strada, per favore.»
«Per di qua, le abbiamo creato una nursery degna di lei» e lui si era limitato solo a quello, a dirigere i lavori per creare dal nulla la cameretta della bambina della quale non riusciva a fare il padre. La precedette lungo il corridoio e aprì la porta della cameretta, entrando in una nuvola di bianco e rosa tenue.
Il paradiso per le bambine, l’inferno per gli uomini.
Quando Rebekah entrò nella cameretta tutta al femminile, il suo sguardo venne subito attirato dal piccolo corpicino che si intravedeva dalle sbarre della culla. Si avvicinò con passo incerto e si sporse oltre la barriera di legno, artigliandone i bordi con le mani.
Ed eccola lì, con le guance paffute e rosee, i riccioli biondi e gli occhioni di un’indecifrabile tonalità tra il blu e il verde.
Era la copia dell’uomo che l’aveva raggiunta davanti alla culla e che aveva incrociato le braccia a petto. Voltò il capo per guardarne il profilo marmoreo e sorrise, intimidita da quella vicinanza cui non era più molto abituata.
«Posso prenderla in braccio?» domandò piena di aspettativa, impaziente di stringere tra le braccia quella piccola vita che adesso le stava sorridendo, mostrandole una dentatura inesistente e le gengive arrossate.
«Sei qui per questo, no?» le indicò la culla con un cenno del capo e arretrò, puntando gli occhi sulla bambina che veniva sollevata e stretta tra le braccia dalla donna dalla quale aveva ereditato il nome. E la bambina, piccola traditrice, sembrava gradire la vicinanza della la bionda più adulta che le aveva appena posato un lieve bacio sulla fronte.
A quella vista, Klaus venne attraversato da un tremito. Era un avvenimento singolare, quello di cui era testimone.
Rebekah teneva stretta tra le braccia una bambina che le somigliava come se quella fosse stata sua figlia.
Le sussurrava dolci parole e la cullava, attenta a non dondolarla troppo.
«È davvero bellissima, Nik» mormorò Rebekah, estasiata dalla bambina che adesso aveva alzato un braccino e, con la manina paffuta, le aveva afferrato una ciocca di capelli. Era piccola, ma sapeva il fatto suo. E di questo, Klaus era molto orgoglioso.
Non gli interessavano i geni materni, ma aveva a cuore il fatto che quella bambina somigliasse a lui, che avesse il suo stesso sangue.
E che, con lei, si sarebbe comportato in modo totalmente diverso da come aveva fatto Mikael con lui.
«Ed è anche molto buona, è raro che pianga. L’ho sentita davvero arrabbiata solo poche volte.»
La bambina sembrava un campo neutro, un argomento che potevano affrontare entrambi senz’alzare polveroni di alcun genere.
Avrebbero potuto restare a parlare di lei per ore, come due persone civili, senza rivangare quel passato –lontano e recente- che li aveva portati alla rottura definitiva. Sistemando il piccolo fagotto nell’incavo del braccio, Rebekah  le sfiorò la guancia con la mano libera e tornò a rivolgersi al fratellastro che adesso si era avvicinando, senza però causare alcuna reazione timorosa in lei.
«Non ti infastidisce che abbia il mio stesso nome?»
«Perché dovrebbe?» anche se quella domanda lo aveva spiazzato, non lo diede a vedere, abituato com’era a nascondersi dietro una finta indifferenza.
«Hai permesso che tua figlia portasse il nome della sorella traditrice.»
Non ci sarebbe cascato, non le avrebbe dato modo di creare una nuova discussione.
Non davanti a sua figlia, l’unica persona che doveva restare ben lontana dall’astio e dalle urla.
«Vi lascio un po’ da sole, così potrete conoscervi meglio» prese la strada dell’uscita, ma si voltò a guardare la sorellastra, con la mano già sulla maniglia, «Mi raccomando, non rapirla. Non sono sicuro che acconsentirei a pagare un riscatto» accennando un sorriso, Klaus uscì e si chiuse la porta alle spalle, lasciando una Rebekah frastornata da quell’ultima frase.
Sembrava quasi il vecchio Nik e questo la rendeva irrequieta.
Un conto era andare via, lontana da un fratello padrone che ti odia e non vuole più vederti.
Un altro è andare via da un fratello che ti fa una battuta ed esce dalla stanza facendoti l’occhiolino.

«Mi spieghi per quale motivo mi hai fatto lasciare la mia bambina nelle mani di uno psicopatico in depressione?»
Hayley era fuori di sé dalla rabbia. Camminava spedita per il quartiere francese, francese, con Elijah alle costole.
Lui le prese alla mano e la trascinò in una stradina laterale, quella che li avrebbe portati entrambi al cimitero cittadino dove avrebbero potuto parlare senza che umani ficcanaso li sentissero.
«Non è da solo, c’è Rebekah con lui» le rispose, spalancando il cancello con la sua solita grazia.
Era incredibile come un essere tanto forte, potesse essere anche tanto aggraziato.
Sebbene lo conoscesse già da un po’, Hayley non si era ancora abituata a tutto questo.
Ma in quel momento, la sua mente e il suo cuore erano rimasti in casa, in una culla di legno intarsiato e verniciato di bianco.
«È tornata?»
«Ti ho chiesto di uscire proprio quando l’ho sentita arrivare» Elijah incrociò le dita a quelle della ragazza e le rivolse un sorriso pacato e gentile. Voleva tranquillizzarla e placare anche se stesso. Sperava con tutto se stesso che quel piano funzionasse. Li aveva tratti in inganno entrambi, ma non gli importava. Desiderava solo che quei due si chiarissero, una buona volta. E che le verità dalle quali erano sempre fuggiti, finalmente venissero a galla.
«Questo non mi tranquillizza affatto» rispose la licantropa, sospirando al tocco gentile della mano del compagno, «E capisco che tu sia un vampiro, ma passeggiare in un cimitero è abbastanza inquietante… proprio mentre mia figlia è nelle mani di tuo fratello.»
«È suo padre!» esclamò il vampiro, perdendo per un momento il suo aplomb che recuperò grazie a un profondo respiro.
Amava Hayley, ma nutriva anche fiducia in suo fratello. Ed era sicuro di ciò che diceva.
«Stanno litigando, me lo sento»
Hayley aveva paura. Da quando era diventata mamma, l’apprensione era diventata parte di lei. A stento lasciava la piccola Rebekah con Elijah, ma giusto il tempo di fare una doccia veloce o nelle notti di luna piena. Vivere sotto lo stesso tetto di Klaus non era mai stato facile, ma negli ultimi tempi –da quando l’unica donna Mikaelson aveva detto addio alla città- le cose erano apparse più calme.
Ora però Rebekah era tornata.
«Anche io.»
Gli occhi della ragazza si inumidirono, ma non per le lacrime. Quella era paura, profonda e incontenibile.
«E li lasci da soli con la mia bambina?»
Vedendo quanto fosse indifesa e impaurita, Elijah le lasciò la mano e la strinse a sé in un abbraccio. Le accarezzò la schiena e la baciò in fronte, prima di trovarle le labbra. Quando la baciava, i suoi tumulti interiori si placavano e lui ritrovava la pace.
Era stata una fortuna che Niklaus si fosse disinteressato praticamente a tutto, perché così era stato in grado di estorcergli la benedizione della quale sentiva l’insostenibile necessità. Aveva approfittato della momentanea debolezza del fratello per rincorrere la propria felicità, ma non provava alcun pentimento. E adesso avrebbe fatto in modo che anche Niklaus trovasse la stessa felicità che Elijah stesso provava.
«Sii fiduciosa,» le sussurrò sulle labbra, sfiorandole i capelli mentre la ragazza teneva gli occhi chiusi, «nessuna Rebekah è in pericolo.»

Klaus invece lo era. Si sentiva braccato, in pericolo.
Intrappolato tra quelle quattro mura e in un corpo che temeva potesse tradirlo.
Scese velocemente le scale e si rintanò nella sala che ormai era diventata il suo studio.
Vi trascorreva ore, immerso nei colori e nelle tele.
Nessuno osava disturbarlo quando era concentrato nella pittura, a parte forse Elijah che però sembrava scomparso insieme alla giovane lupa. Gettò fuori un violento respiro e afferrò un pennello, stringendolo forte.
Se avesse continuato in quel modo, il legno gli si sarebbe sbriciolato in mano.
Le spalle gli cedettero nel sentire dei passi alle sue spalle, ma non si voltò.
Tenne lo sguardo fisso sulla tela immacolata, che presto venne macchiata da una scia color sabbia.
«Alla fine hai ottenuto ciò che volevi, Marcel è morto»
Forse non avrebbe dovuto parlarne, ma Rebekah aveva bisogno di incolpare qualcuno per la morte del vampiro.
E chi meglio di Niklaus? Quando Elijah le aveva dato la notizia, però, non fu dolore ciò che aveva provato.
Rabbia, delusione, forse anche un pizzico di sottile piacere. Ma quell’ultimo non lo avrebbe mai ammesso.
Ogni uomo al quale lei si fosse interessata, aveva finito per tradirla, deluderla o lasciarla. Altri erano stati uccisi.
E Marcel non era stato diverso. Per anni lei aveva creduto che lui fosse morto, quando invece lui  era riuscito a salvarsi e a prendersi ciò che la sua famiglia aveva costruito. Questa verità doveva almeno concederla al suo fratellastro, perché Klaus aveva detto il giusto.
Quando lei, mesi prima, era andata via, non gli aveva neppure proposto di andare via insieme, perché sapeva che lui non l’avrebbe seguita. In un primo momento, quella consapevolezza l’aveva ferita.Ma se Marcel non l’amava abbastanza da lasciare tutto e andare via insieme a lei, allora non meritava il suo amore e neppure una delle tante lacrime che aveva versato alla notizia della sua morte.
«Ti avevo promesso che non lo avrei ucciso, ma che non avrei fatto in modo che venisse eliminato..»
Klaus si voltò, con l’immancabile sorrisetto che riusciva sempre a farle prudere le mani, «beh sorellina, quello non era nei patti.»
«Perché l’hai fatto uccidere?»
«Vuoi che ti elenchi i motivi?» L’ibrido proruppe in una roca risata di scherno, indicando alla bionda il divano dietro di lei, «Allora prego, accomodati, ne avremo per un paio d’ore.»
Rebekah non si fece intimorire dal fratellastro. Non si mosse, ma la sua espressione mutò.
La fronte le si aggrottò e le sue labbra si strinsero in un linea sottile. Non gliel’avrebbe data vinta questa volta, anche a costo di azzuffarsi con lui. «Per te era come un figlio.»
«E Mikael era tuo padre, eppure hai provato comunque a ucciderlo. Cosa sarebbe accaduto se Elijah non ti avesse fermata?»
Rebekah, colpita da quelle parole, scosse piano il capo e abbassò lo sguardo, mentre una lacrima rischiò di scivolarle sulla guancia.
«E tutto pur di proteggerti, sono stata proprio stupida.»
Era incredibile come lui riuscisse sempre a minare la sua stabilità, le sue sicurezze. E come riuscisse a ridurla sempre in lacrime.
Era la sua nemesi, ed entrambi rappresentavano le due facce della stessa medaglia.
«Ma non mi hai ancora detto perché lo hai fatto uccidere.»
Klaus sentì il cuore tornare a indurirsi.
Non era stata stupida a cercare di proteggerlo, aveva fatto ciò che solo lei aveva fatto in quel migliaio di anni.
Lei ed Elijah, ovviamente. Ma, chissà per quale motivo, ogni volta che lei gli era vicino, tutto si offuscava.
E accadeva solo con Rebekah, perché l’ibrido sapeva quanto fosse sbagliato che la sorellina proteggesse il fratello maggiore.
Doveva essere lui a proteggere lei e, provando e riprovando, aveva commesso un errore dietro l’altro.
«Chi mi dichiara guerra, muore.»
«O viene chiuso in una bara per decenni.»
Rebekah si voltò e afferrò un bicchiere di pesante e spesso cristallo.
Lo soppesò sulla mano, indecisa se lanciarlo su quel fratellastro duro e opprimente, o se versarvi dentro dell’ottimo whisky. Decise di servirsi da bere e, quando il liquido ambrato le bruciò la gola, si sentì meglio.
Almeno fino a quando Klaus non continuò a parlare.
«Giusta osservazione, dolcezza.» L’ibrido raggiunse la vampira e si sporse oltre la sua spalla per imitare i gesti che poco prima lei aveva compiuto. Mentre sorseggiava il suo drink, Klaus la fissò, domandandosi per quale motivo fossero insieme in quella stanza, da soli, quando lei invece avrebbe potuto essere dall’altra parte del mondo.
Ma non importava, perché Rebekah era lì con lui, almeno per quel giorno.
Avrebbe però preferito parlare di altro e non di quel traditore ormai ridotto in cenere.
«Proteggere mia figlia eliminando l’adottivo figlio ingrato, o lasciare che consumasse la sua vendetta su di lei? In fondo, questo è quello che Mikael ha cercato di fare con noi per secoli e tu ed Elijah sembra vi divertiate a ricordarmi quanto io gli somigli.»
«Sai bene che Marcel non avrebbe mai fatto del male a una bambina, lo dipingi come un mostro!»
Irritato da quella conversazione, Klaus le lanciò uno sguardo gelido e infuocato al tempo stesso.
Una contraddizione, come quella che lui stesso rappresentava. Non voleva continuare a parlare d quanto Marcel fosse buono e magnanimo, di come non avesse mai sfiorato un bambino e di come, a differenza sua, fosse capace di amare.
Aveva accolto Marcel in casa sua quando era ancora un bambino e lo aveva cresciuto secondo i suoi valori.
Gli aveva insegnato ogni cosa, ma aveva fatto l’errore di tramandargli anche l’amore per Rebekah.
E quell’errore gli era quasi costato tutto.
«Se sei tornata per dirmi quanto il tuo defunto Romeo fosse migliore di me, quella è la porta.»
«Ancora con questa tua assurda gelosia, Niklaus?»
La breve risata senz’allegria e quel nome pronunciato per intero fecero irrigidire l’ibrido che si allontanò, per tornare davanti alla sua tela. Al sicuro, in un certo senso.
Lo stava prendendo in giro? Stava ridendo di lui?
«Non esiste nessuna gelosia, Rebekah.» Parlò a denti stretti, vuotando in un solo sorso tutto il contenuto del bicchiere che poi posò sul pianoforte a coda con un secco gesto.
«Mi hai fatto confessare una falsità, facendo leva sull’affetto che provo per Elijah. Mi hai costretto a mentire, ma adesso sei tu a dovere a me una confessione. E anche se conosco già la verità, voglio avere la soddisfazione di sentirla uscire dalla tua bocca.»
Sorridendo, la vampira gli si era avvicinata dondolando il capo, con lo sguardo assottigliato e la voce che si faceva via via sempre più bassa fino a diventare solo un lieve sussurro.
Era intenzionata a non lasciar perdere e a ottenere ciò che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere.
Quei mesi trascorsi in assoluta libertà, l’avevano temprata molto più del millennio trascorso sotto la protezione ossessiva dell’uomo che adesso gli stava di fronte, molto più vicino di quanto lei si sarebbe potuta aspettare.
«Io non ti devo niente.» Contrariato dall’atteggiamento di Rebekah e attirato dalla sua vicinanza, Klaus si inumidì le labbra e sbuffò, passando il peso da un piede all’altro. Per una volta, forse, avrebbe potuto dargliela vinta e fare ciò che lei gli diceva. Darle ciò che gli chiedeva, assecondarla. «Cosa vuoi che confessi?»
«Che sei geloso, che lo sei da sempre» sulle labbra della vampira si intensificò il sorrisetto di aperta sfida, mentre gli si si faceva ancora più vicina, tanto da sentire il suo alito fresco sul viso. I loro occhi si incatenarono e Rebekah, in quel momento, si sentì invincibile.
Non gli aveva lasciato scampo. «Per una volta nei tuoi mille anni, Niklaus Mikaelson, sii uomo e ammettilo.»

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Ciao a tutti e buona domenica!
Se siete arrivati a leggere fin qui sotto, ci sono buone speranze che leggerete anche il terzo e ultimo capitolo.
Quindi a domani, vi aspetto!
E grazie per tutti i like che avete dato al primo capitolo di questa breve fanfiction! :)

   
 
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