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Autore: Ely79    16/03/2014    1 recensioni
Basta davvero poco per scatenare l'istinto di un licantropo: un rumore, un atteggiamento, una distrazione. Selene, da poco consapevole della doppia vita del suo compagno, lo capirà a sue spese.
Antefatto di "Due lune" e "Midnight cheesecake"
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Beauty of the Beast - La Bellezza della Bestia'
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II
II

«Come sta?» sussurro preoccupata.
Il medico fa spallucce e il riflesso della lampada tremola sulla chierica.
«È agitato come può esserlo un licantropo. Una parte di lui sa d’aver commesso un atto terribile, anzi, due parti, visto che anche quella umana ha una morale - talvolta prevaricante; tuttavia ce n’è una terza, meno razionale che sa d’aver fatto ciò che era in suo diritto, ovvero difendersi da un potenziale aggressore prima che questi divenisse una minaccia seria. Suppongo stia cercando di mettere d’accordo queste voci interiori».
Evito d’immaginare cosa possa significare per Helios. Sono già troppe le cose da digerire circa l’esistenza dei Figli della Luna, figuriamoci entrare nella testa di uno di loro in piena crisi etica.
«Tuttavia, ciò non gli ha impedito di compiere una scelta. Quella giusta, direi» ammicca Setti posandomi in grembo la versione mummificata della mia mano.
Comincia a riordinare strumenti, garze, antibiotici e disinfettante.
«Da quanto ti permette di vederlo?» domanda distratto.
«Intende… la… Vera Forma
Annuisce distratto.
«Cinque mesi».
Setti si blocca e alza la testa dalla cassetta delle medicazioni.
A ben guardarlo ha le guance un po’ cadenti, leggermente scavate al centro. E un accenno di doppio mento.
«Cinque mesi?» chiede esterrefatto.
Ora sono io a far cenno di sì. Significano quindici incontri notturni (uno per ogni quarto di luna, eccettuato la Luna Nuova) con il suo alter ego. So cosa sta pensando: troppo poco tempo per concedermi di stargli accanto durante la mutazione. Dovrei limitarmi ad osservarlo da un luogo sicuro, permettendogli di interiorizzare poco alla volta la mia presenza. La sua natura lunare ha bisogno di conoscermi secondo altri ritmi. I rischi sono enormi e ne ho avuto la prova.
«E da quanto sai…»
«Sei mesi» biascico.
Sono stanca, ho le spalle che sembrano cemento, mi trascinano in avanti.
«E convivete da…» prosegue, sempre più allibito.
«Dieci mesi. Stiamo insieme da due anni e ci conosciamo da cinque» aggiungo subito, onde evitare ulteriori domande.
Non ce la faccio più: ho i brividi, una sete tremenda, la mano pulsa in maniera sempre più dolorosa e voglio solo tornare a casa. Voglio infilarmi a letto e sentire Helios trascinarsi sotto le coperte con me, sudato e fremente dopo essersi liberato della pelliccia stregata che indossa.
Dovrei essere terrorizzata alla sola idea d’averlo vicino, ma non ci riesco. Penso a noi due al calduccio; a lui che sicuramente vorrà fare sesso come una furia e io che, nonostante sia uno straccio, lo lascerò fare perché, a dispetto di tutto, lo voglio. Voglio fare l’amore col mio compagno per cancellare il pasticcio di questa notte, per sapere che mi vuole ancora, per avere la certezza che le cose si sistemeranno nel verso giusto. E se mi morderà ancora, sarà solo per stuzzicare: da uomo non può fare danni peggiori di questo.
«Giuro che non capisco. Io proprio non… non capisco!» sbotta Setti alzandosi. «È assurdo!»
Cammina avanti e indietro tra il lettino e la scrivania ingombra di carte, libricini, scatolette di cartone, penne. Guardarlo peggiora i capogiri. E dire che non ho mai sofferto il mal di mare.
«Voglio andare a casa» gemo, passando la mano sana sulla faccia.
Il Senza Luna si ferma di botto, quasi sorpreso di sentirmi parlare.
«Come? Beh, è naturale. Dopo uno spavento del genere…»
«Dov’è Helios?»
Il materassino è così scomodo che le gambe hanno cominciato a dolere.
«Te l’ho detto: qui fuori. Non preoccuparti: ti riporterà dai tuoi genitori, troveremo una scusa per…»
«Voglio andare a casa nostra!» grido scendendo troppo in fretta dal lettino.
La stanza ondeggia, scivola.
Uno schiocco di legno riecheggia lontano.
Sono esausta. Le ginocchia cedono. Mi affloscio sul predellino. Il mondo si offusca.
«Helios… » singhiozzo.
Un ululato minaccioso filtra dalla porta, rispondendo al richiamo.
Setti si avvicina e mi fa sedere sul telo caduto, aspettando che mi calmi. Ha l’aria piuttosto scontenta o preoccupata, sono indecisa.
«Helios deve nutrire davvero molta fiducia in te, per decidere di concederti quest’onore. Normalmente le cose si trascinano per anni interi. A volte decenni!» esclama, studiandomi indispettito. «Devi avere qualcosa di diverso, che l’ha convinto a dirti tutto fin da subito perché non è la prassi. L’istruzione degli Osservanti va in altro modo; i segreti si rivelano per gradi. Un Osservante può accostarsi a un Figlio solo quando si è sicuri che non farà simili stupidaggini! Dirvi tutto e subito sarebbe una follia per molti di noi, ma Helios… è troppo assennato. Avrà avuto i suoi motivi. Spero» conclude sbuffando aspro verso la porta, quasi voglia farsi sentire da lui.
Magari dipende dal fatto che siamo nel Duemila e se vuoi convivere con la tua donna è il caso di dirle che una volta la settimana usi il Manto Stregato di un lupo per trasformarti in un essere tutto pelliccia, zanne e artigli, potenzialmente letale, che va a riunirsi con la sua famiglia in un luogo segreto per adorare la Luna? penso spazientita.
Anche Diana aveva detto qualcosa di simile, quando ha scoperto che ero al corrente della loro natura di lupi mannari. Aveva sbraitato tutto il pomeriggio contro suo fratello, reo d’avermi rivelato la cosa anzitempo. Non capisco perché lo ritengano sbagliato: ogni relazione tra un licantropo e un umano è una storia a sé, considerando quanto raramente nascano e durino nel tempo. Tacere sarebbe ridicolo, soprattutto oggi, quando una società ancestrale deve adattarsi ad una infinitamente più dinamica, dove basta un nulla a mandare in pezzi un rapporto. Diamine, se non lo so io che dopo tre anni ho lasciato Fabio (e le sue odiose, puerili, egoistiche omissioni) per buttarmi in una storia con un uomo all’apparenza di vent’anni più grande, e invece ne ha centosettantacinque più di me che in quel momento ne avevo solo ventitré!
Sto mantenendo a fatica un minimo di lucidità, almeno questo è incoraggiante.
Artigli ticchettano lontano dalla porta. Mi alzo e faccio per andarmene, ma il dottore interviene ancora.
«Se esci così ti aggredirà un’altra volta, e non si fermerà a un morso» ammonisce.
Ha ragione. Sebbene in posizione semieretta i lupi mannari superino un uomo di media statura, pare che interpretino una schiena dritta al pari del punto esclamativo sul cartello di pericolo generico. Ciò li spinge a difendersi in ogni modo possibile, arrivando a uccidere se necessario.
Lentamente mi accoccolo sulle ginocchia, stacco i talloni per restare in bilico sulle punte dei piedi. Poggio la spalla al muro e aspetto che la maniglia si abbassi.
La luce nella saletta è più intensa, si riflette sulle pareti smaltate avorio e sul pavimento in cotto su cui spiccano le sedute di plastica verde. Lo cerco tenendo basso lo sguardo. Helios è una macchia color cioccolato in fondo alla stanza, accanto alla porta.
Poso il palmo sinistro a terra e avanzo con un saltino, la testa sotto la linea delle spalle, la mano fasciata stretta allo stomaco. Sembro una rana piuttosto che un lupo. Riprovo. Porto avanti il piede destro, la mano, l’altro piede. Già meglio - credo -, anche se ho lo sgradevole sospetto che Setti mi stia guardando il sedere che tengo troppo su. Procedo tentoni verso le poltroncine, dove sento l’eco di respiro cupo. Barcollo. Pochi metri diventano chilometri. Oscillo e tendo ogni muscolo per impedire la caduta. Devo fermarmi ad ogni movimento. I capogiri aumentano. Lui è vicino, scorgo il profilo della sua ombra. Ansimo. Mantenere l’equilibrio in quella posizione è un’impresa e per evitare di cadere faccia in avanti appoggio a terra anche la mano destra, senza pensarci. Il dolore esplode. Grido. Un verso risponde confuso e feroce.
Istintivamente mi rannicchio sul pavimento proteggendomi meglio che posso, pregando di non averlo fatto arrabbiare sul serio.
Passano i secondi e l’unica cosa che percepisco è l’attesa di qualcosa che non arriva. Spio tra le braccia. La mia ombra è cancellata da una più grande che si allarga in ogni direzione. Helios è sopra di me, le zampe posteriori stanno a meno di un metro dalla mia testa, il pelo rizzato fin sui tarsi lunghi e massicci ben piantati sul marmo. Alle mie spalle sento il suo latrare furioso. Cerco di guardare da sotto l’ascella.
Il dottore è accucciato nell’angolo con i denti scoperti in una smorfia, le mani sollevate. È una posa ridicola per un essere umano. Deve aver fatto qualcosa quando ho urlato, spingendo Helios ad ignorare il fastidio dei miei troppi decibel.
«Helios, calmati. Va tutto bene. Lei sta bene» bofonchia.
Sento una grande zampa posarsi pesante sulla schiena, distinguo i cuscinetti ruvidi dei polpastrelli e la punta degli artigli anche attraverso il pigiama. Mi sta difendendo, ribadendo allo stesso tempo il suo possesso su di me. Quando è nella Vera Forma sa diventare tremendamente geloso di tutto ciò su cui ritiene di poter vantare proprietà. In questo momento potrei essere una compagna, una preda, un giocattolo, un oggetto qualunque incluso nel suo spazio vitale; resta il fatto che sono sua e non mi dividerà con lui un’altra volta. Ha già pazientato troppo lasciando che Setti mi visitasse da solo.
Con molta cautela mi risollevo. È la prima volta che avvicino tanto la testa al suo ventre. Di solito evita di mostrarmi quella parte così vulnerabile, perché il suo doppio notturno non ha ancora fiducia in me, teme un tradimento, un attacco. Ripete che ci arriveremo, che sarà lui a stendersi sulla schiena (ora devo farlo io) per mostrarmi piena stima e affetto, mi permetterà di toccarlo, accarezzarlo. Persino di fargli i grattini. Ora i suoi addominali mi fanno impressione, così contratti e scavati. Intuisco la loro tensione anche attraverso le ciocche fitte.
Salendo, il suo torace si allarga per accogliere il suo cuore. Batte con un ritmo diverso, più lento e vigoroso di quello umano. Fa vibrare la pelliccia come un soffio d’aria lieve. Mi piacerebbe sapere che forma ha il cuore di un licantropo, quanto è grande, se perde mai un colpo quando ha paura o si emoziona. Helios non ha saputo dirmelo.
Arretra di un passo per osservarmi, spezzando l’aura che ci unisce. Stavolta non sbaglio: chino il capo e rimango immobile. Annusa piano, lecca, strofina il muso sulle mie tempie, sulle guance, me lo infila sotto al mento uggiolando. Il tepore che si sprigiona dagli sfregamenti è dolce, rassicurante nonostante il suo pelo sia leggermente ispido; persino la nota selvatica che l’accompagna mi dà sollievo. Quando sento il suo naso premere sulla fronte, capisco di poter abbandonare una parte dei miei timori e guardarlo. Lui ricambia guaendo.
Un brivido mi attraversa quando scorgo le zanne fra le labbra brune. Nessun alone rossastro le colora, non c’è traccia dell’attacco, forse per questo mi fanno ancor più paura: sono nuovamente pronte a tramutarsi in armi mortali. Cerco di non fissarle, tento di sorridere per nascondere la paura, ma il mio compagno sa leggerla nella mia pelle, nel mio respiro, in tutti i minuscoli dettagli del mio corpo che non posso controllare.
Dalle grandi iridi argentee traspare una triste accondiscendenza: cerca di mitigare il mio disagio pur non provando colpa. Ha reagito secondo istinto, ascoltando la sua natura più intima e antica, e per quanto gli esiti possano averlo turbato, si atteggia a maestro intento a fare una ramanzina a un’allieva deludente.
Ti rendi conto di che cosa hai fatto? sembra chiedere e io dovrei avere una risposta.
La verità è che non ce l’ho.
Si abbassa a fiutare rumorosamente la medicazione. La sua schiena è una montagna bruna che mi sovrasta. Disapprova starnutendo diverse volte di fila. Scuote la testa cercando di dissipare l’odore pungente e rivolge uno sguardo minaccioso a Setti.
«Dovrai sopportare finché i punti non verranno via» l’ammonisce, passando la mano fra i radi capelli grigi. «Non ci vorrà troppo, le lacerazioni sono profonde ma non gravi. Per fortuna non l’hai mutilata o…»
Helios lo interrompe, digrignando di nuovo i denti. Un’altra intemperanza e sarà lui a scoprire quali danni possono infliggere le sue zanne. Il dottore si lascia cadere a terra allungando le gambe, le massaggia una alla volta.
«Finiscila di fare il gradasso. So che le medicine sintetiche non ti piacciono, ma quelle naturali impiegherebbero troppo a fare effetto e non penso tu voglia vedere la mano di Selene in quello stato per tre o quattro mesi. Dico bene?»
L’idea di vedere le ferite al vivo per tutto quel tempo mi fa crollare sul pavimento.
Helios si volta a guardarmi, le orecchie calate ai lati della testa. Grugnisce arricciando il naso: gli sta dando ragione, dovrà sopportare. Socchiude le palpebre, prima d’appoggiare il muso sulla mia tempia. Il suo respiro mi scalda la nuca.
Fa tremare i polsi scoprire quanta tenerezza riesca a profondere una creatura tanto immensa e pericolosa.
«Tranquillo» sussurro accarezzandogli il collo. «È tutto okay».



Writer's Corner
In questa notte di Luna Piena, ringrazio chi sta seguendo questa nuova storia. Aspetto i vostri commenti e spunti.
D'obbligo sono i ringraziamenti a Shade Owl, immancabile con i suoi commenti, a crazy_fan e valespx78.
   
 
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