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Autore: Bertu    17/03/2014    9 recensioni
Matteo è chiamato da tutti il Gigante Buono. 208 centimetri di tenerezza e amore da donare, anche se preferisce riversarlo sui piccoli pazienti dell'ospedale dove lavora che su una ragazza. Sorriso perfetto e braccia da favola, potrà mai diventare il Grande Gigante Innamorato?
Lucia abiti di fronte a Matteo, ma, complici gli orari diversi e una vita sociale inesistente, non l'ha mai incontrato. Dolce e romantica, ha un debole per i sorrisi, le belle braccia e i bambini. Sogna ormai da anni il suo "Mister X", anche se sa che non lo incontrerà mai: quando parla a un ragazzo balbetta sempre, purtroppo.
Tutto questo, però, è destinato a cambiare.
Gli amici di Matteo e la piccola Cisky uniranno le loro forse non solo per farli finalmente incontrare, ma per svolgere il ruolo di Cupido.
Saranno balbettii?
Sarà indifferenza?
Oppure sarà... amore?
Solo una cosa è certa. Come dice Ivano: "L'amore non è questione di testa, ma di pancia. Anche se io ho solo addominali scolpiti".
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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UN GRAZIE ENORME ALLA MIA SAM PER IL BANNER
Capitolo 2
 
Matteo uscì dalla stanza, lasciando che i dottori si occupassero della madre di Francesca.
Si appoggiò, spalle al muro, vicino alla porta e iniziò a battere leggermente il piede sul pavimento lustro.
In che guaio si era cacciato?
Aveva promesso a quella donna di prendersi cura di sua figlia.
Proprio lui, che a malapena sapeva prendersi cura di se stesso.
 
Tuttavia, ormai, aveva fatto una promessa e non poteva fingere che non fosse successo niente.
Aveva dato la sua parola e non poteva rimangiarla solamente perché la situazione non gli era famigliare, anzi: era del tutto estranea, e non sapeva come comportarsi.
No, quello non sarebbe stato un comportamento da Gigante. Non sarebbe stato un comportamento da lui.
 
Matteo sarebbe riuscito a risolvere anche questa situazione
Nonostante non andassero affatto d’amore e d’accordo, avrebbe chiesto aiuto alla madre.
Alle sue colleghe.
Ai suoi amici.
Anche a Giorgia e Alice.
In un modo o nell’altro ce l’avrebbe fatta.
 
- Una brutta storia, davvero -
Immerso com’era nei suoi pensieri, Matteo non si era accorto che una parte degli uomini in giacca e cravatta era uscita dalla camera.
Il più vecchio, che a occhio e croce sembrava essere anche il responsabile, si era avvicinato a lui, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni neri.
- La prego, mi segua. Andiamo al bar. Le offro un caffè e ne approfitterò per darle parte delle spiegazioni che sta cercando. Credo che adesso sia... come dire… confuso -
Si incamminò quindi verso il bar, aperto anche a quell’ora, senza nemmeno voltarsi per assicurarsi che il Gigante stesse camminando dietro di lui.
 
Matteo seguì diligentemente l’uomo misterioso, non si era presentato, e, arrivati al bar, si accomodò sulla sedia del tavolino più vicino all’uscita, le mani strette a pugno sopra le ginocchia.
Poco dopo l’uomo ritornò con due tazze fumanti di caffè.
Matteo lo ringraziò con un cenno del capo e fissò il liquido nero.
- Quindi… è diventato padre -
Il Gigante sgranò gli occhi e strinse le labbra in una linea sottile.
Era diventato padre.
Padre.
Un brivido gli salì lungo la schiena.
Padre.
 
Sollevò lo sguardo dalla tazza e l’uomo in nero poté perfettamente leggere la disperazione e l’insicurezza negli occhi del Gigante
- Davvero non c’è nessuno che possa prendersi cura di Francesca? -
Qualcun altro che non fosse lui. Qualcuno con la testa a posto. Qualcuno con più esperienza. Lui sapeva prendersi cura dei bambini ammalati, non dei bambini in generale.
Aveva fatto una promessa avventata. Una promessa che doveva essere onorata e mantenuta, ma senza non poche difficoltà.
 
L’uomo più anziano scosse la testa.
- No, la piccola Francesca aveva solo la madre, Anna. Dalla scheda della nostra dipendente posso comunicarle che non aveva parenti in vita e l’identità del padre della bambina rimane ignota. Il campo sul certificato di nascita non è stato compilato e non l’ha rivelato neppure sul letto di morte. Un donatore di sperma, un’avventura di una notte, un incidente, uno sbaglio… non ho informazioni da comunicarle – l’uomo interruppe il monologo per bere un sorso di caffè, dopo aver continuamente mescolato il liquido con il cucchiaino.
- Posso sapere che genere di lavoro svolgeva Anna? – chiese Matteo. Il Gigante non aveva toccato neppure una goccia della bevanda. Immobile, sembrava una statua di sale. I pugni erano ancora stretti sopra le ginocchia.
 
- Assolutamente no! Non posso dirle nulla che riguardi le esperienze lavorative della nostra dipendente. È un argomento riservato, pericoloso e top secret. Il suo incidente è stato… è mancata a causa di una falla nel nostro sistema. Mi sono offerto io stesso di prendermi cura di Francesca, ma Anna mi ha detto che aveva già pensato alla persona adatta… lei -
- Ma da un punto di vista legale… - Matteo cercò di attaccarsi a qualsiasi cosa potesse somigliare a un appiglio, ma il destino sembrava giocare contro di lui.
- Beh, è stato nominato dalla madre in presenza di testimoni. Quindi, a rigor di logica, ha validità a livello legale. Questo fa di lei il padre della piccola. Naturalmente sta a lei decidere, ha lei l’ultima parola. Solo se se la sente, naturalmente – l’uomo interruppe ancora una volta il discorso, come a voler sottolineare le parole che stava per pronunciare. Guardò Matteo dritto negli occhi. Sembrava un avvocato o un professore: quello sguardo non voleva solamente porre enfasi, bensì convincere l’ascoltatore a fare la cosa giusta. In quel caso, adottare la bambina.
- Nel caso lei non voglia tener fede alla parola data… Ecco, in quel caso Francesca sarebbe affidata ai servizi sociali. Verrebbe trasferita in una struttura e sono poche le possibilità di un affidamento, data l’età. È provato che le coppie preferiscono adottare i neonati piuttosto che bambini più grandi. Come può ben vedere le alternative sono poche –
 
Matteo rilassò i pugni e guardò il caffè, ormai solo leggermente tiepido.
Aveva fatto una promessa. E l’avrebbe mantenuta.
 
Prenditi cura di mia figlia, insegnale le buone maniere, terrorizza il suo primo ragazzo, accompagnala al cinema a vedere i cartoni, indirizzala verso una buona università.
Queste erano state le ultime parole, le ultime volontà di Anna.
Forse aveva visto qualcosa in lui quando era riuscito a medicare la bambina. Qualcosa che il Gigante, nonostante si guardasse allo specchio tutti i giorni, non aveva neancora scoperto.
 
Era diventato padre. Così, all’improvviso. Non aveva avuto i classici nove mesi per abituarsi all’idea. Quei nove mesi si erano trasformati in nove minuti. Solo un’ora prima stava parlando di cacca con i suoi amici e adesso era… padre
 Era teso e provava una paura fottuta, eppure… Eppure non vedeva l’ora di prendersi cura di quel piccolo angelo.
Non sarebbe stato un papà in piena regola; avrebbe recitato di più il ruolo del fratello maggiore. Ma si sarebbe preso cura di Cisky.
Forse all’inizio avrebbe avuto qualche difficoltà, ma i Giganti Buoni non demordono.
Era tempo di iniziare una nuova sfida, di scrivere un nuovo capitolo della sua vita.
 
Si alzò dal tavolino, sovrastando l’uomo senza nome e salutandolo con un cenno della testa. Alla cassa pagò un succo di frutta e una brioches al cioccolato.
Si avviò verso le scale e iniziò a salire gli scalini due alla volta, percorrendo a ritroso il percorso il più velocemente possibile.
 
Sapeva poco di bambini, ma era tenace.
Il coniglio che Ivan gli aveva affidato più di un anno prima dopo averlo vinto alla fiera era ancora vivo. E un coniglio non parla. Francesca gli avrebbe comunicato i suoi bisogni: l’avrebbe aiutato. Sarebbe stato un salvataggio reciproco.
Ce l’avrebbe fatta. Ne era sicuro.
 
Con un sorriso sulle labbra entrò nella stanza delle infermiere, dove si aspettava di vedere Cisky circondata da tante donne adoranti che la stavano viziando in attesa di finire il turno.
Invece no.
Era da sola. Seduta composta sul divano, fissava la parete con sguardo triste.
Non l’aveva mai vista così tranquilla. Fece un altro passo verso di lei e la bambina si girò.
Gli occhi azzurri erano pieni di lacrime e il visino era sporco.
- Hai fame? – le domandò dolcemente, sedendosi accanto a lei.
- Un pochino. È un succo alla pesca, quello? –
- Sì. Ti piace? –
 
La bambina annuì, prese il succo per poi accorgersi della brioche.
- Ѐ al cioccolato? – chiese, indicandola con un movimento del viso.
 
Prima che il Gigante potesse dire qualcosa, Francesca iniziò a mangiare di gusto sporcandosi le guance con la cioccolata che usciva ovunque dalla brioches.
Matteo si avvicinò al lavandino, bagnando un fazzoletto e prese qualcosa da posare sulle ginocchia della piccola in modo che non si sporcasse.
 
L’osservò da lontano pensando che ora quella piccola creatura innocente era parte della sua vita.
Aveva molto da imparare, ma, fortunatamente, aveva fatto una buona scelta non presentandosi a mani vuote.
 
Cercò di ricordarsi qualche particolare in più su di lei, ma la sua memoria decise di non collaborare. Si ricordava solo che la bambina odiava essere chiamata Francesca e aveva apprezzato il nomignolo che Matteo aveva creato appositamente per lei mentre le medicava la ferita. E che aveva già compiuto i tre anni.
 
- Adesso che si fa? – gli domandò dopo aver terminato di mangiare la brioche.
Domanda più che legittima.
Con due falcate, il Gigante ricoprì la distanza che li separava e si inginocchiò davanti a lei.
- Adesso andiamo a salutare la tua mamma e poi andiamo alla mia casa. Che sarà anche la tua, d’ora in poi. Spero che ti piaccia: ha un bellissimo giardino -
 
La bambina gli prese la mano e annuì, con fare coscienzioso.
- Lo sapevo che venivo ad abitare con te. Me l’aveva detto la mamma. E devo fare la brava e fare quello che mi dici. Altrimenti verrà l’uomo nero e mi porterà via -
Matteo, senza pensarci due volte, l’abbracciò di slancio e le accarezzò la schiena.
- Non ti preoccupare, Cisky. Adesso ci sono io con te e nessuno ti farà del male. Non lo sai che gli uomini neri hanno paura dei Giganti? -
- Sei davvero un Gigante Buono, Matteo –
 
E i Giganti Buoni proteggono le creature indifese, così come Matteo avrebbe protetto Cisky.
 
***
 
Fortunatamente il signore senza un cognome, non aveva voluto rivelare questo particolare a Matteo, si era occupato di tutta le faccende burocratiche e del funerale della mamma di Cisky. Si era tenuto in maniera intima e discreta due giorni dopo la sua morte; in totale si trattava di una decinapartecipanti .
I partecipanti, in totale, saranno stati una ventina.
 
Matteo non aveva detto nulla a nessuno.
Nessuno (né sua madre né tantomeno i suoi amici) era al corrente dei cambiamenti che stavano accadendo in casa Piano.
Usando il lavoro come scusa, in quei due gironi era risultato irreperibile. Aveva avuto bisogno di tempo per sistemare il piccolo appartamentino dove viveva. Con l’aiuto di uno specialista e di una donna dell’età di sua madre, gentilmente chiamati dall’uomo senza nome, ora l’abitazione era a prova di bimba.
Le prese della corrente erano protette in modo che non vi infilasse le piccola dita, i detersivi erano stati riposti negli armadietti più alti e il ripostiglio svuotato. Ora, al posto dello scaffale di mogano che conteneva tutti i libri e le riviste di medicina collezionate negli anni, al centro della stanza si trovava un bellissimo lettino dalle lenzuola bianche con orsetti con il tutù rosa.
Per non parlare della quantità industriale di peluches, barbie e vestitini con fiocchi e pailettes e dell’armadio nuovo.
 
Dalla casa di Anna era stato impossibile recuperare qualcosa che non fosse una foto della madre con la figlia che ora, in una nuova cornice di conchiglie, si trovava sul comodino vicino al letto.
 
Matteo era stato tremendamente grato per l’aiuto.
La donna si era rivelata affabile e gli aveva dato tantissimi consigli preziosi, sia in campo pratico che non.
- Si ricordi che questa bambina ha bisogno di routine, di recuperare l’equilibrio che ha perso. Cerchi di stabilire degli orari e delle abitudini il prima possibile, magari coinvolgendo delle persone esterne, come un amico, un parente o un vicino di casa. Le parli della madre, ma puntando sempre su ricordi felici, su quanto le volesse bene e sulle cose belle che hanno fatto insieme – poi poso una mano sul braccio di Matteo e gli sorrise, un sorriso da mamma. – Non si preoccupi. Andrò tutto bene, abbia fiducia in se stesso e non si abbatta se vede che tutto non sta andando secondo i suoi piani -
Matteo sorrise, imbarazzato.
 
Il suo viso era sempre stato, e continuava a essere, un libro aperto per tutti.
E in quel momento la sua mente stava veleggiando da un’ipotesi apocalittica all’altra.
Se non avesse voluto mangiare le verdure ma solo cibo spazzatura?
Se avesse trascorso ore davanti alla TV rincoglionendosi?
Se fosse scappata da casa e investita da una macchina?
E se fosse stata rapita?
Oppure… se semplicemente stare con lui non le fosse piaciuto? Fino ad allora avevano passato poco tempo insieme mentre da quella sera… da quella sera avrebbero condiviso ogni momento, ogni secondo.
Gioie e dolori.
Tristezze o delusioni.
Scoperte e avventure.
 
Ancora non aveva chiaro il proprio ruolo in quella faccenda: non aveva chiaro perché Anna avesse scelto proprio lui, un infermiere squattrinato che aveva visto una volta, invece di un collega, magari sposato e con figli. Insomma, qualcuno che sapesse prendersi cura di una bambina, che sapesse quali fossero i suoi reali bisogni.
Forse, durante quella visita, Anna aveva visto solo il Gigante Buono e aveva creduto, per istinto, di potersi fidare di una creatura “mitologica”.
 
Matteo non ne era certo.
Sapeva solo che, man mano che i minuti scorrevano, un’eccitazione strana si stava facendo strada dentro di sé.
A dirla tutta… non vedeva l’ora di passare un po’ di tempo con quella bambina.
 
Con la sua bambina.
La sentiva già parte di sé. Per quanto potesse sembrare stupido e insensato… Cisky gli aveva lasciato qualcosa, come un buco nel cuore, un cratere che non vedeva l’ora di colmare.
 
Congedò la signora gentile e lanciò uno sguardo alla stanza della bambina. Certamente non era perfetta, ma si trattava pur sempre di un inizio. Avrebbe potuto decorarla come le pareva, perfino decorare la porta con degli stancil.
Cisky doveva essere felice.
Nient’altro.
 
Si diresse in cucina. L’acqua stava iniziando a bollire.
La tavola era già stata apparecchiata. Vicino al piatto della piccola aveva messo un orsetto di peluches nella speranza di fare breccia nel suo cuore.
Per cena le avrebbe cucinato degli spaghetti al pomodoro. Un piatto semplice ma buono. E salutare considerato che nel frigo non c’era soltanto la solita acqua, e le birre di Ivan, ma anche una bottiglia di Coca-Cola.
 
Gli sarebbe piaciuto andarla a prendere nella sua vecchia casa, fare un giro insieme e magari mangiare una pizza fuori, ma il signore-senza-un-cognome non gli aveva rivelato l’indirizzo dell’abitazione, scuotendo la testa ogni volta che il Gigante cercava di captare qualche informazione su quella che era stata la vita di Cisky fino al quel momento.
Come poteva darle equilibrio e tranquillità, sempre ricordando con affetto la madre, se non aveva la pallida idea riguardo le loro attività?
 
Pesando gli spaghetti sulla bilancina, battè il piede leggermente sul pavimento.
Avrebbero creato un nuovo equilibrio.
Delle nuove abitudini.
Una nuova routine che fosse soltanto loro.
 
Il campanello suonò, distogliendolo dai propri pensieri.
Abbassò la fiamma e si precipitò ad aprire sorridendo. Salutò Cisky prendendola in braccio e depositandole un bacio sulla guancia.
I capelli biondi erano raccolti in due codini e gli occhi azzurri erano più vispi e allegri dell’ultima volta che l’aveva vista.
Matteo salutò e ringraziò il signore Non-ho-un-cognome-fattene-una-ragione che subito si incamminò giù per le scale senza nemmeno salutare la bambina.
Matteo la tenne in braccio e chiuse la porta.
- Allora adesso siamo solo io e te – le disse facendole leggermente il solletico sul pancino. Cisky rise. Una risata cristallina che lo mise subito d’allegria.
- Hai fame? – le chiese. Cisky scosse la testa.
- Allora, cosa vuoi fare? – le domandò continuando a farle un leggerlo solletico.
- Mi fai vedere la mia camera? –
 
Sempre tenendola in braccio andò nella camera di Cisky e accese la luce, guardandola dritto negli occhi per vedere la sua reazione.
- Wooooooooooooooooooooooow! È bellissima! È tutta per me, Teo? – gli chiese con gli occhi che brillavano e un enorme sorriso sulle labbra.
- Certo, piccina –
Lei gli gettò le braccia al collo e gli baciò una guancia. Poi di dimenò e Matteo la mise a terra mostrandole i vestiti che straripavano dall’armadio e i giocattoli che aveva acquistato con il fiato sospeso. Cisky prese un mano una barbie dai lunghi capelli biondi.
- E sono per me anche tutti questi giochi? - la voce tradiva stupore e speranza.
Matteo annuì sedendosi sul letto.
- Spero solo che ti piacciano. Sai, non me ne intendo molto di barbie e bambole… -
 
Cisky si avvicinò con una bambola in mano anche per il Gigante.
- Non ti preoccupare, Teo. Ti insegnerò io -
 
***
 
Matteo non lo avrebbe mai ammesso, ma giocare con le barbie era davvero sfiancante.
Non si trattava solo di cambiare abiti, di parlare in falsetto e di inventare improbabili storie. Si trattava di tenere sempre l’attenzione alta, in modo da cogliere ogni segno di stanchezza o qualsiasi desiderio potesse passare per la testa della sua piccina. Si trattava di tenere sempre un linguaggio controllato: le barbie parlano come principesse, non come camioniste.
 
Troppo tardi capì che la piccola avrebbe continuato a giocare per tutta la sera, senza degnare la cena di uno sguardo. Posò la barbie che aveva in mano e si alzò, sovrastandola in tutta la sua altezza gigantesca.
Cisky lo seguì attentamente con lo sguardo, come se cercasse di capire cosa frullasse nella testa di quell’uomo strano che aveva giocato con lei senza battere ciglio.
- Forse dovremmo cenare, che dici? -
Cisky lo guardò, gli occhi azzurri cristallino gli comunicarono che aveva ancora voglia di giocare e cenare era l’ultimo dei suoi pensieri.
 
“Ecco” pensò Matteo “adesso come faccio a staccarla delle barbie e a convincerla a cenare? E, le piacerà la pasta? Cazzo cazzo cazzo..” si massaggiò la nuca e iniziò a pestare lievemente il piede sul pavimento.
Ma le cose non andarono come si era immaginato. Cisky posò la barbie che aveva in mano sul letto e gli strinse la mano, sorridendo.
 
In cucina giocò tranquillamente con il peluches che Matteo aveva sistemato vicino al suo piatto. Poi mangiò di gusto, sporcandosi il visino con il sugo al pomodoro.
Cisky rise.
Matteo rise, il cuore pieno di felicità e anche di orgoglio.
Sensazione che triplicò quando, finito di mangiare, si sistemò sul divano per vedere un film e la piccola si arrampicò in braccio a lui.
- Cosa vuoi vedere, piccina? -
- La bella addormentata –
Matteo non obiettò: si era preparato a quell’eventualità. Certamente non poteva far vedere alla piccola film come “La Casa” o “La Madre”. Non voleva avesse incubi.
 
Gli accarezzò i capelli mentre la bambina canticchiava felice con il cartone.
 
Quando tutto credeva che tutto stesse andando per il verso giusto, Cisky lanciò un grido e si precipitò verso il mobiletto. Matteo si alzò con lei, pronto a difenderla da uno scarafaggio, da un ragno o da un allucinazione.
Invece, tirò un sospiro di sollievo vedendo Cisky che guardava, ammirata e rapita, la piccola gabbietta vicino alla TV.
- Ma… è davvero un coniglio? -
- Certo –
- Ѐ vivo? –
Matteo annuì, il sorriso si faceva sempre più largo.
- E come si chiama? – disse infilando un dito nella gabbietta e iniziando ad accarezzarne il pelo.
- Palla –
 
Ah, il piccolo, grande, per non dire obeso, Palla di Lardo (nome scelto da Ivan) aveva fatto colpo più di tutti i giocattoli messi assieme. Il coniglio era stato vinto da Ivan sei mesi prima a una fiera in campagna. Poi lo aveva affidato a lui perché era la persona più affidabile del gruppo.
- Posso tirarlo fuori dalla gabbietta? – gli occhi della bambina brillavano di speranza.
Come poter dire di no?
Matteo l’aprì e appoggiò il coniglio sulle ginocchia di Cisky, che subito prese a parlargli come se fosse il suo migliore amico.
 
Era bastato poco.
Era bastato Palla!
Se l’era cavata.
Si sarebbe dato una pacca sulla spalla, ma la giornata doveva ancora finire.
Adesso doveva portare a letto la bambina e poi sistemare casa… e chiedere ai suoi amici di venirlo a trovare il giorno dopo. I giorni di ferie che aveva preso all’ospedale erano quasi a termine e doveva trovare un sistema per dare alla piccina l’equilibrio che si meritava.
 
Lasciò trascorrere dieci minuti e poi accompagnò Cisky a letto.
L’aiutò a infilare il pigiamino e poi le lesse due pagine di Cappuccetto Rosso.
Solamente quando sentì il suo respiro farsi profondo si azzardò a uscire dalla stanza.
 
Si accasciò sul divano, senza fiato.
Era padre da un giorno e già si sentiva stanchissimo, come se avesse corso tre maratone di New York un giorno dopo l’altro.
Però se l’era cavata.
E se la sarebbe cavata il giorno dopo e quello dopo ancora.
Forse essere padre non era poi così male.
 
Cisky
Oggi è stato il mio primo giorno con Teo.
Mi sono divertita tanto e spero che lui non voli in cielo come la mia mamma
Mi manca tanto, ma con Teo non sono triste.
Adesso ho un coniglio ciccione.
Si chiama Palla e siamo migliori amici.
Teo mi ha letto Cappuccetto Rosso facendo le voci, come al cinema
Mi piace come papà.
Spero non vada via.
 
 
Ciao ragazze :)
Questo capitolo è stato duro da scrivere. Non volevo che fosse troppo drammatico, ma volevo anche mostrare le paure del nostro Gigante. Come potete intuire il tono sarà diverso già dal prossimo capitolo, ma non potevo sorvolare su un cambiamento così importante.
Una precisazione: io non so nulla di giurisprudenza o di psicologia. Potrei spiegarvi come utilizzare un defibrillatore in tedesco, ma non è quello che mi serve in questo momento xD Quindi… prendete tutto con le pinze e chiudete gli occhi, godendovi al massimo questo viaggio insieme a me :)
L’ultima parte del capitolo è una specie di Diario di Cisky, quello che dice a Palla o immagina di dirgli.
Se avete un minuto vi prego di lasciarmi una recensione, per capire se ho fatto un buon lavoro :) e se la storia vi sta appassionando come appassiona me mentre la scrivo :) E se mentre la leggevate avete pensato “ma che stronzata è questa cosa…?” scrivete pure le vostre critiche e cercherò di migliorarmi. È un lavoro di squadra, ho bisogno anche di voi :P
Attimo spam :D Nelle scorse settimane, ho pubblicato il primo capitolo della mia long sui ragazzi (Una pinta di inchiostro irlandese) con protagonista Niall e una OS tenera e fluff *^* Se non avete nulla da fare, che ne dite di farci un salto? ;)
Vi ricordo il mio account fb (Bertu efp) per fare due chiacchiere, chiarimenti, spoiler e… vedere come me la passo :P
Mi trovate anche su ask :D (
http://ask.fm/BertuEfp )
Anche se non era presente, Ivano mi ha detto di dare un bacio a ognuna di voi :P
Ci sentiamo mercoledì tra due settimane per il capitolo 3 :)
Tanto amore e grazie :) <3
Robi
 
Ps: un ringraziamento speciale ad Anerol, IlaPerla, Serena25, Dobby17 e Maka_Soul_145 per aver recensito lo scorso capitolo *^*
Un bacione speciale solo per voi, girls :D <3
 
   
 
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